... ma è proprio un ritorno alle origini?
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Quindi è storicamente falso che i fedeli dei primi secoli della Chiesa prendessero l’Eucarestia dalla mano del prete, o del diacono o di un laico, per servirsi, poi, da se stessi… La più antica fonte liturgica, infatti, dopo la “Didaché” (scritta tra il 70 e il 90) raccomandava:
«Ciascuno sia attento (…) che qualche frammento non abbia a cadere e perdersi, perché è il Corpo di Cristo, che deve essere mangiato dai fedeli e non si deve disprezzare»6.
S. Giustino (100-166), nella sua “Apologia”, indirizzata all’imperatore romano, annotava che sono «i diaconi che distribuiscono la Comunione e la portano agli ammalati»7.
S. Sisto I (Papa dal 117 al 136) decretò che i soli ministri del culto (preti e diaconi) erano abilitati a toccare i Santi Misteri: «hic constituit ut mysteria sacra non tangerentur nisi a ministris»8.
È chiaro che tali parole erano per fermare gli abusi!
San Pio I (Papa dal 141 al 156) inculcava il rispetto della Chiesa, “casa di Dio”, e dell’altare su cui si perpetuava il divin Sacrificio. Lo stesso faceva San Soterio (Papa dal 167 al 175)9.
Santo Stefano I (Papa dal 254 al 257) scrisse che «i laici non devono considerare le “funzioni” ecclesiastiche come se fossero loro attribuite»10.
Sant’Eutichiano (Papa dal 275 al 283) richiamò severamente all’ordine e alla disciplina il clero, e impose di portare essi stessi la Comunione ai malati, non affidandola ai laici. «Nullus praesumat tradere Comunionem laico vel feminae ad deferendum infirmo»11.
San Felice I (Papa dal 269 al 274) ordinò che la Santa Messa venisse celebrata sulla tomba di un martire, nelle cripte sepolcrali, nelle nicchie della Catacombe, o altrove: «hic constituit supra memorias martyrum Missas celebrare»12.
Si noti: questa decisione di S. Felice I - osserva Dom Cabrol - regolarizzava un uso già stabilito13.
È da notare che questa decisione di San Felice I non era un atto isolato, perché fondato sulla Tradizione Apostolica. Lo attesta anche Sant’Evaristo (Papa dal 101 al 109) e Sant’Igino (Papa dal 137 al 141)14.
Tertulliano di Cartagine (160-222) parla dell’Altare cristiano, quale “ara Dei”15, e scrive: «soffriamo quando, per disgrazia, succede che qualcosa del calice o del pane consacrato ci cada a terra» (“Calicis aut panis etiam nostri aliquid decuti in terram anxie patimur…» in “De Corona”.
S. Ireneo di Lione (130-218) scrive:
«È di frequente che il Sacrificio deve essere offerto sull’altare»16.
L’altare era di legno o di pietra, e veniva benedetto e unto17.
Nel “Liber Pontificalis” si parla di San Silvestro (Papa dal 314 al 335) che curò gli abbellimenti delle chiese e di ornamenti l’altare, guarniti anche di argento e pietre preziose18.
S. Ippolito (II-III sec.), nella sua “Tradizione Apostolica”, - la più antica fonte liturgica dopo la “Didaché” - scrive: «Stia attento, ciascuno (…) che qualche frammento non abbia a cadere e perdersi, perché è il Corpo di Cristo che deve essere mangiato dai fedeli e non si deve disprezzare…»19.
Anche Origene (185-254) scriveva:
«Voi che assistete abitualmente ai santi misteri, sapete con quale rispettosa precauzione conservate il Corpo del Signore quando vi è consegnato, per timore che ne cada qualche briciola e che una parte del tesoro consacrato si perda…» (“…ne ex eo parum quid decidat, ne consecrati muneris aliquid dilabatur…”)20.
S. Dionigio d’Alessandria (†264)21 fa le stesse raccomandazioni.
S. Efrem (306-375) conferma anch’egli questa tradizione: «manducate hunc panem nec conteratis micas eius; quod vocavi corpus meum, hoc revera est»; «una particula e micis eius milia milium sanctificare valet et sufficit ut vitam praebeat omnibus qui manducant eam…»22.
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del sac. dott. Luigi Villa
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