giovedì 8 aprile 2021

Lettere di Sant'Agostino

 


LETTERA 10 

Scritta dopo la precedente. 
Agostino spiega la difficoltà di convivere saltuariamente con  Nebridio, data la necessità di continui viaggi (n. 1-2). La vera  tranquillità si trova nel proprio intimo e nell'unione con Dio (n. 3). 

AGOSTINO A NEBRIDIO 

Come poter essere insieme? 

1. Nulla mai, nelle questioni da te mosse, mi ha tenuto, mentre vi  pensavo, così agitato come quello che ho letto nella tua ultima  lettera, in cui ci accusi di trascurare di adoperarci perché ci sia  possibile vivere insieme. Grave colpa, e, se non fosse falsa, assai  pericolosa! Ma poiché un ragionamento probabile sembra  dimostrarci che noi possiamo passare il tempo secondo le nostre  intenzioni qui piuttosto che a Cartagine od anche in campagna,  sono veramente incerto, o mio Nebridio, come debba comportarmi  con te. Ti si deve mandare il mezzo di trasporto che è più adatto  per te? Infatti il nostro Luciniano garantisce che in lettiga coperta tu  puoi viaggiare senza danno. Ma penso che tua madre, dal momento  che non sopportava la tua assenza quando eri sano, la sopporterà  molto meno adesso che sei malato. Verrò io in persona da voi? Ma  qui ci sono alcuni che non potrebbero venire con me e che non ritengo lecito abbandonare. Tu infatti puoi dimorare piacevolmente  anche in compagnia del tuo spirito; si richiede invece un grande  sforzo perché essi possano fare la stessa cosa. Dovrò forse andare  e tornare frequentemente e stare ora con te ora con loro? Ma  questo non è né vivere insieme né secondo i nostri progetti! Infatti  il viaggio non è breve, ma addirittura tanto lungo che addossarsi  spesso la fatica di compierlo non significherebbe aver raggiunto la  desiderata tranquillità. A ciò si aggiunge l'infermità del mio corpo,  per cui anch'io - come sai - non sono in grado di fare ciò che voglio  se non cesso assolutamente di voler fare più di quello che posso. 


La tranquillità dell'anima necessaria alla meditazione. 

2. Pertanto pensare per tutta la vita a partenze che tu non possa  compiere tranquillamente ed agevolmente non è da uomo che pensi  a quell'ultima e sola che si chiama morte, alla quali anzi tu  comprendi che bisogna unicamente pensare sul serio. È ben vero  che Dio concesse ad alcuni pochi, che volle fossero i reggitori delle  chiese, non solo di attenderla intrepidamente ma anche di  desiderarla ardentemente e di sobbarcarsi senza alcuna  inquietudine alle fatiche di affrontare quelle altre; ma né coloro che  a siffatti ministeri sono trascinati dal desiderio dell'onore mondano,  né d'altra parte a quelli che, pur essendo privati cittadini,  desiderano una vita affaccendata, reputo sia concesso questo bene  così grande, di raggiungere, in mezzo agli strepiti e agli affanni  delle riunioni e andirivieni, quella familiarità con la morte che noi  cerchiamo: nella tranquillità infatti sarebbe stato possibile sia agli  uni che agli altri di indiarsi. Se invece questo è falso, io sono, per  non dire il più stolto, certo il più indolente di tutti gli uomini, io che,  se non raggiungo una tranquillità priva di preoccupazioni, non sono  capace di gustare ed amare quel bene genuino. Credimi, occorre un  grande isolamento dal tumulto delle cose passeggere perché si  realizzi nell'uomo un'assenza completa di timore non dovuta a  insensibilità, audacia, desiderio di vanagloria e superstiziosa  credulità. Di qui infatti deriva anche quel solido gaudio, da non  paragonarsi neppure minimamente con nessun altra gioia. 


La tranquillità è nell'anima unita a Dio. 

3. Che se un tal genere di vita non è realizzabile nella condizione  umana, perché questa tranquillità qualche volta si verifica? Perché  si realizza tanto più frequentemente quanto più ciascuno adora Dio 
nei penetrali del suo spirito? Perché per lo più una siffatta  tranquillità perdura anche nell'agire umano, se da quei penetrali si  passa all'azione? Perché talvolta, quando parliamo, non sentiamo la  paura della morte e, quando non parliamo, la desideriamo persino?  Lo dico a te, giacché non direi questo a chiunque; lo dico a te, di cui  ben conosco i progressi verso le cose superne; tu, pur avendo  frequentemente sperimentato quanto piacevolmente viva l'animo  quando muore all'amore del corpo, vorrai dunque negare che tutta  la vita dell'uomo possa diventare intrepida, così da essere a buon  diritto chiamata saggia? Oppure oserai affermare di aver mai  provato un simile stato d'animo, che è conforme a ragione, eccetto  quando ti raccogli nel tuo dramma interiore? Così stando le cose, tu  vedi che non rimane altro se non che anche tu decida con me in  modo che possiamo vivere insieme. Infatti come bisogni agire con  tua madre, che certo tuo fratello Vittore non abbandona, tu lo sai  molto meglio di me. Non ho voluto scriverti altro per non distoglierti  da questo pensiero. 


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