lunedì 12 aprile 2021

SOTTO LA GUIDA DELLO SPIRITO

 


I momenti salienti dell'accompagnamento

Dobbiamo ora applicare a tre casi concreti queste condizioni generali relative a ogni dialogo spirituale, tre casi in cui questo si rivela spesso indispensabile. Si tratta di tre momenti decisivi in ogni cammino spirituale: il discernimento della volontà di Dio; la scoperta della nostra interiorità; l'apprendistato dell'agire di Dio in noi e del nostro agire in lui. Innanzitutto il discernimento della volontà di Dio, che si tratti sia di opzioni fondamentali - la scelta di un mestiere, per esempio, odi una vocazione, o del compagno di vita - sia di una delle molteplici decisioni a cui la vita ci obbliga incessantemente, ma di fronte alle quali ci sentiamo così spesso sollecitati in direzioni opposte. Vorremmo scegliere bene, cioè scegliere secondo Dio e i suoi piani: è uno dei casi in cui anche chi non si rivolge regolarmente a un padre spirituale, sarà portato a farlo per chiedere luce. Non che quell'altro fratello, anche se è abituato ad ascoltarci, abbia in tasca la soluzione in virtù di una sapienza personale; o che abbia ricevuto qualche rivelazione a nostro riguardo e che sia in grado di fornirci non solo un consiglio, ma quasi un ordine da parte di Dio. No, al contrario: il padre spirituale non detiene alcuna soluzione e, se svolge correttamente il proprio ruolo, lo sa fin troppo bene. La soluzione l'abbiamo in noi stessi, ci è accordata in anticipo, nel nostro intimo, grazie allo Spirito santo che ci è donato. Questo significa molto concretamente che quello che cerchiamo come volontà di Dio si trova già da qualche parte in noi e che, tutto sommato, non dovrebbe essere così difficile percepirlo. In realtà incontriamo molte difficoltà a farlo e d'altronde sappiamo per esperienza che, in occasione dell'una o dell'altra scelta cruciale, ci è già capitato di sbagliarci. Quello che ci auguravamo, e addirittura credevamo, fosse la volontà di Dio si è presto rivelato un inganno, una dolorosa illusione, alimentata in noi da qualche altro desiderio o tendenza più o meno confessabile, al cui riguardo non avevamo visto chiaro. Il fatto è che la volontà di Dio in noi fa per così dire misteriosamente corpo con il complesso sistema di desideri e di inquietudini del quale abbiamo parlato. Questo miscuglio tuttavia non costituisce ancora il fondo del nostro essere ma è, in una zona più superficiale, come una specie di cappa che rende difficile la trasparenza della volontà di Dio. Il ruolo del padre spirituale non è quello di toglierci questa cappa: nessuno ne sarebbe veramente capace e, anche se lo fosse, una simile operazione provocherebbe un disorientamento così totale che sarebbe meglio risparmiarci questa prova. Il padre spirituale innanzitutto ci ascolterà: attraverso tutti i desideri e le velleità superficiali che si contendono il nostro cuore, come li percepiamo e li esprimiamo, è possibile che colui che ha l'udito fine - e il cuore puro - riesca a cogliere il desiderio di Dio che giace in fondo al nostro cuore, la sua volontà costitutiva del nostro essere. Quando ne avrà percepita qualche traccia, ce la indicherà, non come per imporcela: ancora una volta, non servirebbe a nulla. Ci aiuterà invece a fare noi stessi la cernita, per esempio ponendo alcuni punti di domanda, o verificando i nostri desideri alla luce della Parola di Dio. Ci farà prendere cocienza di quello che differenzia il desiderio di Dio in noi dai nostri piccoli desideri personali. Infatti, non appena saremo in grado di veder chiaro in tutto ciò che ingombra l'ingresso del nostro cuore e ostacola la volontà di Dio, desidereremo immediatamente rinunciarvi, senza neanche grandi sofferenze, pur di offrire tutte le possibilità alla volontà di Dio. Questa, quando davvero ci riguarda, si impone da sola con una forza mite e irresistibile insieme che, senza violenza alcuna, trascina dolcemente la nostra libertà. La volontà di Dio infatti fa parte del nucleo più intimo del nostro essere: da lei dipende tutto ciò che siamo ed è sempre lei che ci condurrà alla nostra piena realizzazione. Un altro punto cruciale dell'esperienza spirituale è costituito dalla scoperta della nostra interiorità. La preghiera è spesso il luogo in cui avviene questa scoperta, a volte abbastanza presto, altre volte solo dopo lunghi anni. In quest'ultimo caso la preghiera ha cessato di essere per noi una sconosciuta: abbiamo già esplorato un certo numero di sentieri, abbiamo tentato diversi metodi e l'uno o l'altro ci sono sembrati efficaci per un periodo. Forse ci siamo familiarizzati con un piccolo trantran che per il momento ci basta: un po' di lettura, un pizzico di riflessione o di meditazione, qualche invocazione, nei giorni migliori anche l'abbozzo di un buon proposito. Perché non esserne felici, soprattutto con i tempi che corrono, o per lo meno accontentarsene, senza voler fare troppo i difficili? Ma arriva il giorno in cui Dio non se ne accontenta più. Per tirarci fuori da questo trantran e invitarci ad andare allargo, Dio dispone di un solo mezzo: troncare la corrente e chiudere i rubinetti. Intelligenza, immaginazione, cuore si trovano contemporaneamente e improvvisamente a secco e devono far fronte a un irrefrenabile disgusto, se non alla disperazione. E’ lo scacco di tutti i nostri sforzi finalizzati alla preghiera, scacco amaramente gustato dal nostro amor proprio ormai senza scampo? No, è esattamente l'opposto che ci viene proposto: lungi dall'essere uno scacco e l'annientamento di ogni speranza, è la possibilità di Dio che ci si presenta, la speranza autentica che ci viene offerta, e che bisognerebbe esser capaci di cogliere al volo. E infatti Dio che prende finalmente in mano la situazione, che affretta il passo e vorrebbe vederci accelerare il nostro. A prezzo, è vero, di una grande prova e di un profondo disorientamento. Eccoci tuttavia alle soglie di un mistero che non finirà più di affascinarci non appena avremo compiuto il passo. Ma quale passo? L'espressione è ancora inadeguata: non c'è alcun passo da fare, come potremmo esser capaci di farlo? C'è solo da lasciar cadere tutto ciò che ci ingombra le mani e il cuore, da mollare la presa e quindi fare molto meno, per lasciarci ondeggiare e cadere verso la nostra interiorità, verso quel mondo nuovo al fondo del nostro essere, verso quella parte migliore di noi stessi che sfocia misteriosamente in Dio: profondità vertiginosa, che abbiamo difficoltà a intravedere e che, una volta intravista, ci attira e ci fa paura nel contempo. In genere anche qui deve intervenire un altro, non per spingerci con forza là dove non siamo ancora decisi ad andare, ma per aiutarci a prendere coscienza di quella vertigine interiore alla quale basterebbe abbandonarsi perché si tranquillizzino le tensioni inutili e si distenda la contrazione dei nostri sentimenti. Dio stesso è questa vertigine al fondo del nostro cuore e la sorgente della preghiera che cerca solo di liberarsi. Benedetto quel cuore in cui questa sorgente ha potuto sgorgare liberamente in seguito a una sola parola - a un solo sguardo, a volte - di un fratello amico. Un terzo punto cruciale di ogni esperienza spirituale consiste nell'apprendistato dell'agire di Dio in noi e di un modo nuovo di collaborare con lui. Come in un dato momento della nostra vita siamo tentati di reinventarci da soli i cammini della preghiera, così siamo soggetti a voler dettare noi stessi le condizioni della nostra militanza al servizio del regno. Mentre invece è Dio a essere all'opera e noi siamo al suo servizio e dovremmo imparare a scovare questa attività di Dio in noi e attorno a noi, affinché possa sostituirsi alle nostre opere personali. Questo suppone una trasformazione progressiva ma molto conseguente del nostro solito modo di agire. Dio desidera tanto insegnarci come prestarci efficacemente alla sua forza che, come un uragano, si scatena continuamente sul mondo e sulla chiesa. Ma noi non sappiamo assolutamente captare questa forza divina, sia perché ci troviamo su una lunghezza d'onda completamente diversa, sia perché disturbiamo l'agire di Dio con le nostre emissioni e attività intempestive. Bisognerebbe innanzitutto fermarci a lungo per far silenzio, in modo che l'agire di Dio possa emergere nel nostro cuore. E, una volta percepiti i segni inequivocabili di questo agire, dovremmo prestarci ad essi interamente, anima e corpo. Si tratta insomma di passare da un attivismo benintenzionato ma sconsiderato a una certa passività nell'azione stessa, che lascia Dio pienamente all'opera in ciascuno di noi. Questo passaggio implica sovente una crocifissione, un'autentica Pasqua, di cui inconsciamente cerchiamo di allontanare il più a lungo possibile il calice. Dio però non manca di mezzi per farci consegnare le armi e costringerci a una resa incondizionata, eppure, nella maggior parte dei casi, non sappiamo riconoscere questi interventi di Dio, soprattutto quando si contrappongono ai nostri. Più ci sarebbe bisogno di rallentare e di fermarsi e più noi ci agitiamo. L'agire di Dio in noi ci sconcerta stranamente: prima di trasformarsi in roccia sulla quale costruire solidamente, è per noi pietra di scandalo e d'inciampo. Eppure solo la potenza di Dio ci permette, malati come siamo, di intraprendere ogni cosa in colui che ci dà forza, ma il cui vigore si manifesta solo nella debolezza, cioè nella passività sovranamente attiva della nostra pazienza umile e fedele. Anche qui abbiamo bisogno dello sguardo e della parola di un altro, di qualcuno esperto sia nelle vie di Dio che nella propria debolezza, qualcuno che ha come sorpreso Dio mentre scriveva diritto sulle righe storte della propria vita, qualcuno che sia riconciliato con la propria insignificanza così come con le meraviglie che Dio non cessa di operare, al di là di tutti i limiti dell'uomo e addirittura a dispetto di tutti gli artifici che così spesso l'uomo cerca di mettere in opera per fare meglio di Dio nel suo campo. Soprattutto in materia di accompagnamento, il padre spirituale non cercherà mai di fare meglio e più veloce di Dio, né di sopravvalutare la grazia. Per il discepolo dovrebbe essere sufficiente osservare il proprio padre all'opera con lui per vedere in che modo unico un uomo può essere chiamato a collaborare con la grazia. Collaborare con la grazia di Dio significa anche collaborare alla gioia dell'uomo: questa è, in definitiva, la posta in gioco della paternità spirituale. La misura della sua attuazione e la verifica della sua riuscita - se di riuscita si può parlare in questo campo - sarà la gioia. Come Dio è alla caccia della gioia dell'uomo – c’è infatti gioia in cielo per un peccatore che torna verso il Padre così il padre spirituale è alla caccia della gioia che cova nel cuore del discepolo. Gioia segreta, impercettibile per ora, gioia di Dio in un uomo, ancora vacillante per il momento, ma già destinata a invadere tutto il suo essere: corpo, anima, psiche, profondità dello spirito e del cuore. Non appena sarà stata percepita questa gioia, basterà che il padre spirituale e il discepolo le si aggrappino quasi alla cieca, ma con dolce testardaggine e nonostante tutto. Quando la gioia di Dio è nel cuore del padre spirituale e quando la gioia di Dio è nel cuore del discepolo, allora tutto diventa possibile, perché "Dio ama chi dona con gioia".

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