lunedì 13 settembre 2021

SULLA CURA DOVUTA AI MORTI

 


Domanda di Paolino: Quale utilità per uno l’essere sepolto presso la  Memoria di un santo? 

1. 1. È tanto tempo, o venerando coepiscopo Paolino, che alla tua  santità sono in debito di una risposta, da quando mi mandasti quel  tuo scritto tramite i messi della nostra religiosissima figlia Flora, e  mi chiedevi quale giovamento poteva esserci per uno dal fatto che il  suo corpo, dopo la morte, venisse sepolto presso la Memoria di un  santo. Era quello che aveva chiesto a te la summenzionata vedova  in merito al suo figliolo che era morto in coteste parti e alla quale  avevi risposto consolandola e raccontandole della salma del giovane  fedele Cinegio, per il quale l’affetto religioso della madre aveva  disposto che tutto fosse fatto il meglio possibile, e che venisse  tumulato nella basilica del beatissimo confessore Felice. Così hai  colto l’occasione che, con gli stessi latori della tua lettera, hai  scritto anche a me per coinvolgermi nella medesima questione,  chiedendomi che cosa ne pensi io e, da parte tua, manifestando che  cosa ne pensi tu. Tu dichiari che non ti sembrano inutili i sentimenti  di questi animi religiosi e fedeli che hanno a cuore queste cose per i  loro cari. E aggiungi che non può essere senza significato l’antica  usanza della Chiesa universale di pregare per i defunti; e che da  questa usanza si può dedurre anche che è utile all’uomo, dopo la  morte, se la premura affettuosa dei suoi cari nell’inumarne il corpo  gli assegna anche un posto che esprima già di per sé il desiderio  della protezione dei santi. 


Nel comportamento in questa vita si determina ciò che gioverà per  l’altra. 

1. 2. Però, stando così le cose, tu dici di non capir bene se a questa  opinione non contraddica quanto afferma l’Apostolo: Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per  ricevere la ricompensa delle opere compiute mentre era nel corpo,  sia in bene sia in male 1. È chiaro che questo detto dell’Apostolo  ammonisce che è prima della morte che si deve provvedere a ciò  che può essere utile dopo. La questione si risolve così che, vivendo  bene quando si vive nel corpo, si raggiunge la possibilità che le  suddette cose siano di giovamento quando si sarà morti; e perciò,  secondo quello che essi fecero per mezzo del corpo, potranno esser  loro di giovamento le cose che devotamente si faranno per loro  dopo il tempo del corpo. Quindi ci sono di quelli a cui queste cose  non porteranno alcun vantaggio: o che si facciano per coloro che  hanno meritato tanto male da non esser degni di avere nessun  aiuto, o che si facciano per coloro che hanno meritato tanto bene  da non aver bisogno di nessun aiuto. Quindi il modo con cui  ciascuno è vissuto mentre era nel corpo fa sì che giovi o non giovi  quanto religiosamente si fa per lui quando non sarà più nel corpo. Il  merito per cui queste cose potranno giovare, se non si è acquistato  in questa vita, invano lo si cercherà dopo questa vita. Ecco perché  la Chiesa, o anche il devoto affetto dei propri cari, fa tutto quel che  può di bene per i defunti; però ciascuno riceverà la ricompensa  delle opere compiute mentre era nel corpo sia in bene che in male,  perché il Signore renderà a ciascuno secondo le sue opere. Perché  dunque quel che si fa per uno gli possa giovare dopo la vita del  corpo dipende da quanto egli ha meritato quando viveva nel corpo.  La Chiesa ha l’antica usanza di pregare per i defunti all’interno della  Messa. 

Sant'Agostino

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