mercoledì 15 aprile 2020

Comunione sulla mano? NO! é sacrilegio!



...  ma  perché,  allora, la  “nuova  prassi”?

In Italia entrò in vigore la prima domenica d’Avvento, (3 I dicembre 1989), in base ad un Decreto del card. Ugo Poletti, allora Presidente della C.E.I. Ma ne aveva già dato “notizia” l’Osservatore Romano del 5 ottobre, sotto il titolo: “Il cammino della Chiesa in Italia. Promulgata la delibera della CEI sulla distribuzione della Comunione”.
Per gli storici risultò subito chiaro che questa “concessione” era piuttosto ambigua e discutibile, anche perché la “nuova prassi” era già stata introdotta, qua e là, senza alcuna autorizzazione. Paolo VI stesso aveva dovuto dire che c’era stato un “inizio abusivo”!44 Comunque, la “Conferenza Episcopale Italiana”, ancora nel 1974 aveva saggiamente deciso che si doveva mantenere l’uso “tradizionale” nella distribuzione della Santa “Comunione in bocca”45. Infatti, sul “Rito della Comunione”, al n. 21, si legge: «Nel distribuire la Santa Comunione “si conservi” la consuetudine di deporre la Particola sulla lingua dei comunicandi; consuetudine che poggia su una tradizione plurisecolare…».
La “mens” della Santa Sede, quindi, non era mai stata per questo “nuovo corso”. Roma aveva resistito sempre con “ferma opposizione”. Per esempio: il 12 ottobre 1965, una lettera del “Consilium”, l’Organo addetto all’esecuzione della “Costituzione” conciliare sulla Liturgia, “prega vivamente” la Conferenza Episcopale Olandese «perché si torni dappertutto al modo tradizionale di comunicarsi»46. Ma le pressioni per la “nuova prassi liturgica” si facevano sempre più pressanti. Venivano, soprattutto, dalla Germania, dall’Olanda, dal Belgio e dalla Francia.
E purtroppo Paolo VI, il 3 giugno 1968, cedette e diede il “via” alle “Conferenze Episcopali” che ne facessero richiesta, limitandosi a ricordare «ai vescovi la loro responsabilità, affinché vogliano, con opportune norme, prevenire gli inconvenienti e moderare la diffusione indiscriminata di quest’uso, per sé non contrario alla dottrina (e invece sì, come vedremo più avanti!), ma alla pratica molto discutibile e pericoloso»47.
Per l’Olanda, il “Consilium” aveva scritto al card. Alfrink: «Sia conservato il modo tradizionale di distribuire la santa Comunione».
Questo avvenne il 12 ottobre 1965. Più tardi, il “Consilium” riferiva che il Papa «non ritiene opportuno che la Sacra Particola sia distribuita sulla mano e assunta, poi, dai fedeli in vario modo loro proprio; e prega, pertanto, vivamente, la Conferenza che dia le opportune disposizioni perché si torni, dappertutto, al modo tradizionale di comunicarsi».
Invece, il 27 giugno e il 3 luglio 1968, venne data la “concessione” anche alla Germania (16 luglio 1968) e al Belgio (12 luglio 1968). Però, dopo vivaci “proteste” di non pochi Vescovi e fedeli, Paolo VI comunicò alle suddette Conferenze Episcopali di «sospendere, temporaneamente, la pubblicazione e l’applicazione dell’indulto»48. 
Giusto il tempo per consultare l’episcopato universale, il cui esito fu chiaramente significativo: 1.233 “no”, contro 567 “sì”, (e, anche di questi, ben 315 con riserva!)49. Così, lo stesso “Concilium” dovette riconoscere che c’era “una larga maggioranza assoluta contraria alla nuova prassi”50!
Subito dopo, Paolo VI volle lui stesso, deliberatamente, «moderare la diffusione indiscriminata di quest’uso». Il “Consilium” (per l’attuazione della Costituzione liturgica), preparò allora una lettera per la consultazione delle Conferenze episcopali, inviata alla Segreteria di Stato il 18.10.1968. In questo testo, alle parole: «per mandato esplicito del Santo Padre», Paolo VI aggiunse di suo pugno, tra parentesi, la seguente decisiva limitazione: «che non può esimersi dal considerare l’eventuale innovazione con ovvia apprensione»!
Nella votazione che ne seguì, più della metà dei Vescovi - come abbiamo già detto - si dichiarò contro la nuova prassi.
Di conseguenza, il 29 maggio 1969, l’Istruzione “Memoriale Domini” della Sacra Congregazione del Culto, approvata da Paolo VI, riconosceva che la maggioranza dei vescovi non voleva che si toccasse l’antica disciplina: («… Episcopus longe plurimos censere hodiernam disciplinam haudquaquam esse immutandam; quae immo, si immutetur, id tum sensui tum spirituali cultui eorundem Episcoporum plurimorumque fidelium offensioni fore»)51, e richiamava che il modo tradizionale della Comunione doveva essere conservato e che era la legge tuttora in vigore… perché rispondeva al bene comune della Chiesa. 
Vi diceva, infatti: «Vescovi, sacerdoti e fedeli sono vivamente esortati ad attenersi all’uso tradizionale, in ossequio al giudizio della maggior parte dei vescovi, per rispetto all’attuale legislazione liturgica e per riguardo al bene comune della Chiesa»52.
Anche la “Institutio generalis” dell’ultima edizione del “Nuovo Messale Romano”, promulgata il 26 marzo 1970, ristabiliva espressamente la pratica della Comunione tradizionale con due precisazioni che figurano agli articoli 80 e 117. Nell’articolo 80, infatti, tra gli oggetti che si devono preparare per la celebrazione della Messa, c’è il “piattello”, (“patina pro communione fidelium”) e, all’articolo 117 vi si descrive il modo con cui si deve compiere la Comunione; e cioè: il sacerdote presenta l’Ostia al fede le, dicendo: “Il Corpo di Cristo” (Corpus Christi), e il fedele risponde: “amen!”; e, «tenendo il piattello sotto il suo volto, egli riceve il Sacramento» («et tenens patinam sub ore, Sacramentum accipit»). Ora, qui, ci si può chiedere: perché mai si era “consultato” l’episcopato della Chiesa universale quando, poi, non se ne tenne conto?
Anzi, perché anche in Italia, che fino agli anni 70 aveva sempre respinto questa “nuova prassi” di distribuire la “Comunione sulla mano”, ora, quasi d’improvviso, raggiunse i due terzi, così da arrivare alla concessione di questo “nuovo” uso di comunicare?
Il noto canonista e storico della Chiesa, prof. Georg May, ha espresso il seguente giudizio: «L’introduzione della “Comunione nella mano” è dovuta a una catena di atti di disubbidienza e violazioni di diritto, nonché all’esercizio di forti pressioni… In un primo momento, il Papa si oppose assai fortemente a una prassi introdotta contro la legge della Chiesa; ma poi, come in parecchi altri casi, cedette alle pressioni e diede alla “Comunione sulla mano” un permesso, soggetto a condizioni e limitazioni, sanzionandone così l’esercizio generatosi nella disubbidienza»!53 Comunque, anche qui possiamo dire che questa, purtroppo, era la tattica abituale di Paolo VI: imporre la “sua” riforma liturgica “progressivamente”! Lo confessa lo stesso Bugnini nel suo succitato libro54. 

del sac. dott. Luigi Villa

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