giovedì 11 agosto 2022

Santi devoti dell’Eucaristia -

 


SAN TOMMASO D’AQUINO

S.Tommaso d'Aquino diceva: “È necessario conoscere per  amare. Sant'Agostino diceva invece: "bisogna amare per  conoscere". Chi aveva ragione? Certamente entrambi, la  verità può avere volti diversi, pur essendo sempre una, e  l'amore ne compone sempre le diversità.I quattro volumi della  “Summa teologica “ sono l'opera più importante di San  Tommaso d’Aquino.Quest’opera straordinaria tuttavia, resta  appena un abbozzo alla domanda di tutta la sua vita: chi è, che  cosa è Dio? L’autore ha cessato di scrivere tre mesi prima di  morire, con il cuore e lo spirito ricolmi di Colui che è stato  l’oggetto di tutti i suoi desideri: “Quello che ho scritto mi  sembra tutto paglia a confronto di quello che ho visto e che mi è stato rivelato”, disse a chi gli domandava perché avesse  deciso di non scrivere più. Nella piccola cittadina di Aquino,  il castello di Rocca-Secca si erge imponente di fronte alla  celebre abbazia di Montecassino. È là che nel 1224, la  contessa Teodora, dà alla luce il suo ottavo figlio, Tommaso.  Il conte Landolfo già pensa e gioisce del destino che prevede  per questo suo figlioletto, perché ha già deciso, che farà di lui  l’abate di Montecassino. Fin dalla sua infanzia Tommaso si  distingue per la bontà di cuore e per la sua intelligenza. Se  piange, gli danno un libro, lui si calma e dimostra piacere  nello sfogliarlo. All’età di cinque anni come molti nobili della  sua epoca è inviato alla scuola di Montecassino.Fa rapidi  progressi e dimostra virtù superiori alla sua età. Posato  riflessivo, passa lunghi momenti in Cappella. Fugge i  divertimenti futili e rumorosi. Studia con impegno e si vede  sempre con un libro in mano. A sei anni, un giorno, è seduto  alla sua scrivania tutto immerso nel silenzio. Il suo maestro gli  si avvicina, Tommaso alza gli occhi verso il religioso e  l’interroga: “Ditemi, chi è Dio?” Dopo qualche anno, l’abate  avendo notato la sua santità precoce e l’ardore per lo studio,  consiglia il conte di inviarlo all’Università di Napoli.  Tommaso passa alcuni mesi in famiglia e così ciascuno può  ammirare le sue squisite qualità di cuore. Si teme per la sua  innocenza per la vita gaudente della gran città della quale  all’epoca si diceva: Napoli è un paradiso, ma abitato da  demoni. Tommaso arriva a Napoli nel 1237. Ha tredici anni,  la sua intelligenza lascia i professori stupefatti: fornisce prova  di profondità di giudizio, di una perspicacia e penetrazione  veramente sbalorditiva e ripete le lezioni con più chiarezza dei  professori. A diciassette anni viene a conoscere l’Ordine dei  Frati predicatori fondati da San Domenico nel 1215.  Tommaso segue assiduamente gli insegnamenti tenuti nella  chiesa di sant’Arcangelo. Dopo tre anni di discernimento  riceve l’abito domenicano a vent’anni. Questo fatto getta la famiglia d’Aquino e i suoi parenti nella costernazione: il figlio  di una così illustre casata diventare un semplice religioso!  Giovanni il teutonico, maestro dello Ordine, dovendo recarsi  in Lombardia porta con se Tommaso al fine di sottrarlo alla  collera della famiglia. Due dei suoi fratelli (il padre era morto  l’anno prima), lo raggiungono, lo catturano e lo trascinano al  castello di Rocca-Secca. Per più di un anno Tommaso subisce  una dura prigionia e deve subire gli assalti della persuasione  materna: promesse, minacce, maltrattamenti. Nulla scalfisce  la convinzione e la fedeltà del giovane novizio: alla sua causa  guadagna le sorelle, incaricate di convincerlo. I suoi fratelli  tentano di spogliarlo dell’abito ma lui stringe con pugno di  ferro i lembi della sua veste. Fanno entrare nella sua stanza  una prostituta e Tommaso afferra dal caminetto un tizzone e  lo rotea davanti al viso della sciagurata che spaventata fugge.  Tommaso in ginocchio con lo stesso tizzone che ha messo in  fuga la prostituta, traccia sul muro una gran croce e chiede al  Signore la grazia della purezza dell’anima e del corpo. Cade  in estasi e vede scendere dal cielo due angeli i quali gli  cingono i fianchi con una cintura bianca, intessuta con un’arte  di estrema finezza. La indosserà per tutta la vita avendo cura  di nasconderla agli occhi altrui. Questa cintura meravigliosa è  conservata fino ad oggi, nella chiesa di San Domenico di  Chieri.Questa resistenza inflessibile che mai ha perso di  mansuetudine rispetto e dolcezza, vince finalmente la contessa  Teodora.Tommaso incomincia gli studi teologici a Parigi. Il  suo maestro è Alberto il Grande, domenicano. Nel convento  di San Giacomo, Tommaso conduce una vita ordinata e dedita  alla preghiera. Parla poco, studia molto, prega senza sosta.  Maestro Alberto confessa di esserne deluso: avevano tanto  vantato l’intelligenza del giovane che egli si attendeva di  meglio: in occasione di una lezione particolarmente ardua, un  allievo che pensa Tommaso in difficoltà, si offre di spiegargli  la lezione, ma si imbroglia, si confonde. Tommaso allora umilmente offre il suo aiuto e gli chiarisce il passaggio oscuro  con una lucidità così perfetta che il giovane ammirato corre a  raccontarlo a maestro Alberto. Costui sottomette lo studente  ad un esame pubblico e gli propone quattro argomenti da  confutare. Tommaso lo fa con tanta chiarezza e facilità, da  lasciare Alberto il Grande e gli altri allievi  stupefatti.Tommaso incomincia ad insegnare a trent’anni.  Consacrato sacerdote si distinguerà sempre per la sua  devozione e amore alla santa Eucaristia. Tutta la sua via è  consacrata ad esortare, stimolare, spiegare, combattere le  eresie. Porta avanti i suoi corsi, le predicazioni, scrive libri e  con il comporre una Messa al Santissimo Sacramento, nonché  il magnifico Pange Lingua, canta il mistero sublime  dell’Eucaristia. Lavora dettando a due o tre segretari al  medesimo tempo. Passa in chiesa gran parte della notte e  rientra in cella poco prima dell’alba affinché nessuno si  accorga che non ha dormito. Non manca mai alla recita  dell’Ufficio delle ore pur avendo avuto la dispensa per causa  della mole del suo lavoro e delle numerose visite che deve  ricevere. Il suo pensiero non si allontana mai dal pensare a  Dio. Suole dire: la vera felicità consiste nella contemplazione  di Dio. Dice in una sua preghiera: “Gesù, è solo da Te che io  attendo la conoscenza della verità che devo insegnare agli  altri”.Quando non riesce ad afferrare un concetto, o a chiarire  qualche punto difficile della dottrina, lascia tutto, scende in  cappella, apre il tabernacolo, vi infila la testa e rimane così  fino a quando non riceve luce. Celebrando l’Eucaristia,  lacrime continuano a scendergli lungo le guance. Più volte lo  hanno veduto sollevato da terra, e a volte va in estasi. A  tavola, sovente nemmeno si accorge di quello che sta  mangiando: un giorno servono a tavola delle olive talmente  salate che nessuno riesce mangiarle.

Tommaso raccolto in Dio, termina la sua porzione, senza  accorgersi di nulla. Un altro giorno, invitato assieme al suo  priore alla tavola del santo re Luigi, tutto ad un tratto da un  grido e batte un pugno sulla tavola: “Ah! Infine ho trovato  l’argomento per confutare i Manichei!” Il Priore pieno di  confusione lo tira per la manica. Umilmente Tommaso si  scusa, ma il Re pieno d’ammirazione, fa chiamare il segretario  perché possa scrivere subito l’intuizione avuta. Il 6 dicembre  1273, a 49 anni, durante un’estasi, vede il Cristo: “Bene hai  scritto di Me, Tommaso, che cosa vuoi in ricompensa? – Solo  Te, Signore!” Risponde il santo.Affascinato dalle verità eterne  che ha contemplato, cessa di scrivere è prega affinché la fine  della sua vita segua subito al terminare del suo scrivere. Un  giorno, secondo l’usanza vigente nei conventi, faceva la  lettura a tavola. Il correttore gli fa notare l’errore di pronuncia  di una frase. Subito Tommaso si corregge secondo il  suggerimento del correttore. Dopo il pasto, un monaco lo  avvicina e gli esprime il suo malcontento: “Voi avete  sbagliato a pronunciare la frase, come vi è stato suggerito  perché il correttore si è sbagliato, non voi.” Subito Tommaso  replica: “La pronuncia non ha alcuna importanza, l’importante  è essere umile e obbediente” Un monaco straniero che doveva  recarsi in città ricevette il permesso di farsi accompagnare dal  primo monaco che avesse incontrato. Vede Tommaso e gli  dice di seguirlo. Tommaso soffriva di molti dolori alle gambe,  perciò avanzava lentamente prendendosi così i rimbrotti del  monaco. In città la gente rimase sconcertata nell’assistere alla  scena e fanno conoscere al tale, chi era quello che stava al suo  fianco seguendolo come un garzoncello. L’infelice si scusò  del suo errore, ricevendo l’insegnamento del santo Dottore  sulla perfezione dell’obbedienza: “L’uomo si sottomette  all’uomo per amore di Dio, come Dio ha obbedito all’uomo  per amore dell’uomo” Per quanto occupato in cose importanti,  era sempre presente agli atti della comunità. Diceva che bisognava attendere subito al suono della campana, che  chiamava. Un giorno era riuscito a chiarire un punto difficile  del lavoro che stava scrivendo. La campana suona chiamando  i monaci alla preghiera; Tommaso immediatamente si alza  dallo scrittoio, senza neppure terminare la parola che stava  scrivendo, e si dirige alla cappella. Al riprendere il lavoro  trova la parola scritta a caratteri d’oro. Così il Signore volle  premiare l’obbedienza umile di Tommaso. Tommaso, per le  sue origini nobiliari, per le sue doti eccezionali con cui era  stato arricchito da Dio, nonché per l’illuminazione divina di  cui beneficiava, avrebbe potuto inorgoglirsi, ma in realtà  nessuno era più umile e mite di lui. Un giovane, trasportato  dall’ira lo rimprovera e gli dice che non era così sapiente  come lo reputavano. Tommaso risponde dolcemente: “È  proprio vero, ragazzo mio, ecco perché non smetto mai di  studiare. All’udire parlare di orgoglio o di amor proprio,  Tommaso si traccia una croce sul cuore. Nelle sue preghiere  chiede solamente due cose: che la sua dottrina piaccia a Dio, e  di poter vivere e morire da semplice religioso. Era così  caritatevole che non pensava male di nessuno, mai! Quando  scopriva qualche mancanza nel prossimo, piangeva le loro  manchevolezze come se le avesse commesse lui stesso, non si  adirava mai e mai rimproverava. Contestava solamente  quando era necessario per ragioni di zelo o per la verità.; se  gli altri sbagliavano, gemeva in segreto, pregava, piangeva  davanti al crocefisso. Invitava il colpevole a riconoscere il suo  errore con una tranquillità d’animo e una così grande  moderazione di linguaggio, che calmava gli animi più agitati e  destava l’ammirazione di quanti lo ascoltavano. Eppure, un  grafologo, studiando la sua scrittura, è rimasto sorpreso nello  scoprire che Tommaso avrebbe avuto un temperamento  violento.Invece con la grazia di Dio era tutto dolcezza. Dice di  lui Bartolomeo di Capua: “L’anima di Fra’ Tommaso era il  radioso tabernacolo dello Spirito Santo, perché sul suo viso si vedeva sempre splendere la gioia e la dolcezza”.Un  contemporaneo così si esprimeva a suo riguardo: “Quello che  insegnava con la bocca, lo compiva con le opere, non avrebbe  mai osato insegnare quello che Dio non gli avesse concesso di  praticare.” Chiamato da papa Gregorio X a partecipare al  Concilio di Lione, durante il viaggio si ammala. Arrivato in  Sicilia, si fa portare al convento cistercense di Fossa Nova:  “Ecco il luogo del mio riposo! Esclama. La sua ultima  confessione sembra quella di un bambino. Il 7 marzo 1274  attorniato di domenicani e cistercensi, riceve l’estrema  unzione, predica per un’ultima volta sul cantico dei cantici,  poi la voce diventa un soffio. Mormora il Credo poi dice  mormorando: “Affido tutto al giudizio della Chiesa”, dopo  queste parole, entra in agonia. All’alba, serenamente, lontano  dagli onori effimeri di questo mondo raggiunse nella gloria il  suo Signore, che in vita tanto aveva amato e servito. San  Tommaso d'Aquino ha scritto numerose preghiere  eucaristiche, con le quali esprimeva il suo amore per Gesù  Eucaristia, tra cui vari inni per il Corpus Domini: il”Pange  Lingua”, le cui ultime due strofe (Tantum Ergo  Sacramentum), sono utilizzate durante la benedizione  eucaristica e la sequenza del Corpus Domini, il “Sacris  solemnis”, le cui ultime due strofe costituiscono il “Panis  Angelicus”, il “Lauda Sion Salvatorem” e l'inno “Adoro te  devote” per l'adorazione eucaristica. Certamente può essere  annoverato tra i Santi più eminenti, devoti dell'Eucaristia, che  ha ricevuto un'infusione di sapienza teologica da Dio,che ha  trasferito con umiltà e spirito di servizio alla Chiesa: questo  gli ha valso il titolo di Dottore Angelico. 

Gioacchino  Ventimiglia 

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