mercoledì 17 maggio 2023

«Chi è mia madre? »

 


1. Quando venne per Gesù il tempo di dedicarsi al lavoro apostolico, Maria lo seguì col cuore, tenendosi a discreta distanza per un riserbo rispettoso del piano di Dio. La sua missione accanto al Figlio, per reciproca intesa, si svolgeva nel nascondimento, su un piano di compartecipazione spirituale.

Ma era inevitabile che qualcuno sorgesse a turbare questo riserbo. Fu probabilmente per indiscrezione dei parenti di Gesù che un giorno qualcuno gli disse: «C'è qui tua madre e i tuoi fratelli che ti vogliono vedere». Il nome della madre avrebbe attirato l'attenzione di Gesù - e delle folle - sui fratelli...

Gesù rispose con parole apparentemente distaccate: «Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli? Ecco, chi fa la volontà di Dio mi è fratello, sorella e madre». Con queste battute, in cui è capovolto l'ordine delle persone, Gesù, al tempo stesso, difende il riserbo della Madre e la beatifica: nessuno come lei ha compiuto con tanto slancio la volontà di Dio!

Altrettanto avvenne quando una donna, presa dall'entusiasmo, gridò tra la folla: «Beato il grembo che ti ha portato!) (Lc 17, 27). Gesù le rispose: Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».

2. Maria non solo custodiva la Parola di Dio, ma la «metteva in pratica» più d'ogni altra creatura. Questa Parola in lei non rimaneva sospesa a livello puramente mentale, ma invadeva la sfera affettiva e si trasformava in azione, raggiungeva la punta delle dita. La Parola di Gesù, anzi lo stesso Verbo di Vita veniva interiorizzato vitalmente, perfezionando la configurazione di Maria con Gesù.

«Non coloro che dicono - Signore, Signore! - entreranno nel regno dei cieli, ma coloro che fanno la volontà del Padre mio», ammonisce Gesù, per metterci in guardia dal rischio di girare a vuoto intorno alla stessa Parola di Dio senza che essa diventi in noi «spirito e vita».

3. Il vero amore di Dio immerge nella mistica della fatica, propria delle opere, per le quali «il regno di Dio patisce violenza, e solo i violenti lo rapiscono» (Mt 11, 12). Le grandi intuizioni dell'amore che lampeggiano in certi momenti di grazia sono sterili finché rimangono allo stadio di astrazione o di velleità. Hanno bisogno di immergersi nell'oscurità del servizio umile, quotidiano, anonimo, per portare frutto «nella pazienza». Gli eletti del Regno non si fanno sui molli divani dei salotti, ma emergono dalla «grande tribolazione», come il Battista, che non è una canna agitata dal vento, ma l'«amico dello sposo» di provata fedeltà.

Quando ci giudicherà nell'amore, Gesù esaminerà i fatti concreti: «Ebbi fame e mi deste da mangiare, fui forestiero e mi ricoveraste, infermo e veniste a visitarmi...» (Mt 25, 35 s).

I Santi, alla scuola di Gesù e di Maria, avevano l'ardimento dell'azione, anche se grandi mistici: pensiamo a Teresa d'Avila, che si spostava da un luogo all'altro per costruire conventi, alle fatiche missionarie di Francesco Saverio, all'umiltà di S. Pietro Claver, che si fece schiavo degli schiavi. Pensiamo alla fatica di Gesù, per comprendere il suo detto: «Mio cibo è fare la volontà del Padre mio».


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