domenica 19 aprile 2020

L'ultimo Papa canonizzato



IL CAPPELLANO DI TOMBOLO (29 novembre 1858 - 13  luglio 1867) 


IL “MOTO PERPETUO” 

Mamma, sono stato destinato Cappellano a Tombolo. Il paese non mi piace,  perché un po' cattivo, nondimeno devo obbedire e vi andrò” (55b). 
Così una sera del tardo autunno del 1858 disse Don Giuseppe Sarto alla  buona Margherita Sanson appena seppe che il suo Vescovo lo aveva  destinato Cappellano a Tombolo: un paese prevalentemente di mercanti di  bestiame e di mediatori. Gente molto accorta ed attaccata al danaro, ruvida di  modi, abituata alle piazze, amica delle osterie, e — quello che è peggio —  pronta, per sistema, alla bestemmia, ma più per ignoranza che per cattivo  animo. 
Un campo da dissodare quale poteva desiderare un apostolo di Dio, votato  alla fatica, come il nostro giovane Cappellano, il quale sapeva che “la vita del  prete è vita di sacrificio” e che l'Ordinazione Sacerdotale non era stata per lui  che l'introduzione alla “via del Calvario” — come egli stesso ricorderà più  tardi, ad un novello sacerdote da lui molto amato (56). 
Fragrante del sacro crisma sacerdotale, Don Sarto entrava a Tombolo il 29  Novembre 1858 (57): vigilia della festa di S. Andrea Apostolo, Patrono del  paese. 
Quelli che lo videro arrivare ricordano la povertà della sua veste, le scarpe  con il fondo di legno ed un mantello così misero che faceva compassione al  solo vederlo (58). 
Era povero, ma aveva un programma netto e preciso: la salvezza delle anime  ad ogni costo. 
Il Parroco, Don Antonio Costantini — un sacerdote di non comune criterio e  molto pratico della vita di campagna (59) — lo accolse a braccia aperte,  perché sapeva che il nuovo Cappellano — un pretino dal volto asciutto e  dagli occhi vivi e profondi — veniva proprio dal popolo ed era già stato  informato che aveva un'anima temprata alla vita rude della povertà e del sacrificio. 
Passato qualche giorno, Cappellano e Parroco si intesero, si compresero e si  amarono con reciproco rispetto, con vicendevole stima e pari amore. 
Avevano i medesimi sentimenti, le medesime aspirazioni, le stesse vedute, i  medesimi propositi: un cuore solo ed un anima sola (60). 
*** 
Presi gli ordini e le opportune istruzioni, sereno e gioviale, Don Sarto si pose  immediatamente al lavoro senza domandare se fosse ingrato, faticoso o  difficile. 
La mattina si alzava prestissimo, e, molte volte, per non disturbare il  sacrestano, apriva egli stesso la Chiesa (61). 
Pregava, faceva la sua Meditazione, si portava all'altare, e, con un gaudio  sempre crescente, come chi ha dimenticato la terra, celebrava la Santa Messa  con un raccoglimento così profondo che un Tombolano nella sua semplice  fede diceva: “Mi pareva di vedere sull’altare Gesù Cristo stesso” (62). 
Poi, pronto ad ogni momento, correva, sollecito dove il dovere lo chiamava.  Non conosceva soste, non conosceva riposo.  
Non si rifiutava mai, anche quando avrebbe potuto con piena giustificazione  dire di no. 
Non perdeva un attimo di tempo: era sempre in moto, non era mai stanco  (63). 
— “El gera un secarello — affermava la nipote del Parroco — tanto magro e  fruà che no dìgo: ma el gera el moto perpetuo” (64). 
*** 
Lavoratore instancabile nel dominio dello spirito, nei momenti più tranquilli  del giorno, ma specialmente alla sera, i Tombolani lo vedevano in chiesa  raccolto in preghiera (65). 
Di notte studiava, scriveva prediche, preparava spiegazioni di Vangelo, di  Catechismo o di Dottrina Cristiana (66). 
 “Spesso d'inverno — raccontava la ricordata nipote del Parroco Don  Costantini — quando io mi alzavo alla mattina con un buio ancora fitto,  vedevo la finestra della sua stanzetta già illuminata. 
— “Stanotte ve sèu desmentegà de stuàr el lume — gli domandavo quando  veniva in Canonica a prendere il caffè. 
— “Oh! no, no — mi rispondeva — gavevo da studiar! 
— “Ma quando dormìo allora? 
-- “Oh! a mi me basta un soneto — diceva sorridendo” (67). 
*** 
Un giorno il Cappellano di Galliera, Don Carminati, suo intimo amico, gli  chiese: 
— Dimmi la verità: quante ore ti bastano di riposo, perché tu possa dire di  aver dormito abbastanza? 
— Quattro ore! — rispose. 
— Beato te! — replicò l'amico — che sai vivere quando noi siamo stanchi  morti (68). 
Il giovane Cappellano dormiva poco, perché lo urgeva il bene delle anime,  perché si sentiva operaio di Dio nel senso più esatto della parola. 

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c.

È fondamentale lo scopo che la nostra intenzione dà alle cose.



In tutto ciò che esiste, Dio ha messo una finalità. Tante finalità secondarie, magari subordinate le une alle altre, ma tutte in funzione di una sola, grande, sublime Finalità: dare compimento al suo Regno, al decreto eterno del suo Volere Divino, fare che i tanti figli siano in tutto simili al Figlio e una cosa sola con Lui.  
Ma, ad immagine di Dio, anche noi mettiamo una finalità in ogni cosa che facciamo. Essa deve essere subordinata ed in funzione della nostra finalità ultima, la quale deve sempre più coincidere con la Finalità di Dio, vale a dire, con il Volere di Dio. Altrimenti “chi con Lui non raccoglie, disperde” e tutto ciò che fa va perso, è inutile, è pura perdita. In altre parole: ogni cosa che facciamo, la facciamo per Dio oppure per il proprio “io”. La finalità che diamo ad ogni nostra azione (anche inconsciamente) determina la direzione che essa prende: verso Dio o verso il nostro “io”. Immaginiamo una fila di aerei sulla pista di decollo di un aeroporto: uno dopo l’altro decollano e partono, e tutti dovrebbero salire in alto, verso il cielo, ma purtroppo tanti non si elevano e finiscono per precipitare e schiantarsi. Non s’improvvisa l’ultima e definitiva risposta a Dio, non si cambiano i gusti, l’oggetto dei desideri: “là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). 
Anche i ragionamenti e i discorsi umani, apparentemente ben congegnati e che mostrano delle finalità buone in sé stesse, ma secondarie, spesso nascondono una intenzione (una finalità ultima) che si discosta da quella di Dio. Così sono i suggerimenti e le tentazioni del padre della menzogna, come quando tentò il Signore nel deserto, o quando s’insinuò per bocca di Simon Pietro. 

P. Pablo Martin Sanguiao

AIUTATEMI A COMPIERE L’ATTO DELLA MIA MISERICORDIA.



Succederà presto il mio ritorno sulla Terra, … abiterò per sempre con il mio popolo.
Cuoricini del vostro Gesù, le cose di questo mondo vanno perdute a causa del peccato, Io torno a rimediare ogni cosa e mettere il mio popolo in una condizione nuova, una Terra piena di amore e felicità.
La mia Carità è infinita come il mio Amore.
Non siate stolti, o uomini, approfittate di questo poco tempo che ancora vi rimane a disposizione per cambiare rotta: … voltate le spalle a Satana e tornate al vostro Dio Amore.
Ogni cosa prende forma in Me: … il cielo diverrà di un azzurro splendente mai visto ai vostri occhi, le cateratte dei cieli si apriranno a voi, o popolo di Dio!
Griderò il fallimento di Lucifero!

Ridonerò al mio popolo la libertà!

Non sarete mai più schiavi, o uomini, ma liberi, aliterete nell’Universo, sarete come gli Angeli, avrete i doni di Dio e amerete infinitamente.
Questa Pasqua è in Me, o uomini, non rinunciate al mio Spirito che è già su di voi, se voi lo accoglierete sarete santi e parteciperete alla vita eterna.
Lasciate le cose del mondo e venite a Me, rivestitevi di luce o uomini, abbandonate il buio della tenebra, avvicinatevi alla Luce, venite a riscaldare i vostri cuori nell’Amore infinito del Padre, vostro Dio Amore e Creatore.
Sorgeranno ora cose nuove, il fallimento dei potenti è ormai in atto, … IO SONO!
Le cose si aprono alla Verità, il Male si perderà per sempre!

Aiutatemi, o voi che Mi state seguendo in fedeltà e amore,

a compiere l’atto della Mia Misericordia:
proporrò ad ogni uomo la libertà e l’eternità nella felicità immensa,
se Mi riconoscerà quale suo Dio!

Se Mi chiederà perdono con cuore pentito, il suo aspetto subito cambierà,

sarà trasformato nella luce del Risorto.

È tempo di cose nuove in Dio:
Amati figli, convertite il vostro cuore al vostro Dio Amore per godere di tutto il suo Bene.

Amen!
Carbonia 17.04.2020

Giurare fedeltà al magistero di Bergoglio?



IL MARCHIO SATANICO DEL MAGISTERO DI BERGOGLIO

Per rendere accettabile questa “nuova dottrina”, si ricorre all’inganno che questa deve essere accolta come unica soluzione al problema più grave che fronteggia l’umanità: la Pace Universale tra i popoli.
Il cancro del tempo in cui viviamo è che questo compito è svolto proprio da chi dovrebbe “confermare i fratelli nella Fede” in Cristo-Dio, l’unica vera fonte della Pace, e non ingannarli, distogliendoli dalla salvezza dell’anima con la favola di una Pace Universale tra i popoli che ponga fine ad una situazione di continue guerre, create invece appositamente per promuovere questo falso scopo. E per ottenere questa “pace”, questi traditori di Cristo, ci chiedono di abbattere il suo ostacolo principale: la Chiesa di Cristo.
È la Chiesa di Cristo che essi chiedono di annichilire per sostituirla con la “Chiesa Universale dell’uomo” di ispirazione satanica: e questo lo si vuole ottenere con un’opera di perversione della dottrina di Cristo, con i Magisteri di Anti-papi che portano il “Marchio della Bestia”, come il Magistero di Paolo VI e il Magistero del
suo ultimo seguace, Bergoglio. 

Questi Magisteri satanici hanno il compito di imporre la pura dottrina di Lucifero in sostituzione della pura dottrina di Gesù Cristo che si può sintetizzare nelle tre definizioni che divinizzano Nostro Signore: 

1. Gesù Cristo è Dio; 
2. Gesù Cristo è Redentore dell’uomo;
3. Gesù Cristo è Re dell’Universo.

La pura dottrina di Lucifero, la scimmia di Dio, si ottiene invece semplicemente sostituendo, nelle tre definizioni, “Gesù Cristo” con “Satana”, e cioè: 

1. Satana è Dio; 
2. Satana è Redentore dell’uomo;
3. Satana è Re dell’Universo.

Il Magistero satanico degli Anti-papi doveva, quindi, gradualmente promuovere i tre Culti della Massoneria:
il Culto del Fallo, il Culto dell’Uomo e il Culto di Lucifero con le tre divinizzazioni:  

1. divinizzazione della Natura (dove Satana si presenta come Dio);
2. divinizzazione dell’Uomo (dove Satana si presenta come Redentore dell’uomo);
3. divinizzazione di Lucifero (dove

Satana si presenta come Re dell’universo).
Queste tre blasfeme divinizzazioni, che sono rappresentate da Tre Triplici Trinità, sono i pilastri della “Chiesa Universale dell’Uomo” che hanno spalancato le porte ad una “Nuova Religione” che propaga le eresie di perversione sessuale, idolatria dell’uomo, idolatria del mondo, modernismo, libertà religiosa, ecumenismo e salvezza garantita a tutti.
Lo stemma “papale” di Bergoglio esprime i contenuti del 32° grado della Massoneria di R.S.A.A., cioè di ricostruire una Nuova Torre di Babele che dovrebbe seppellire la Chiesa di Cristo, ma soprattutto quello di sostituire il Sacrificio di Cristo, e cioè l’Eucarestia-Corpo Sangue Anima e Divinità di N.S. Gesù Cristo, con una “eucarestia” che simboleggia la creazione divinizzata che si unisce al “creatore”, Lucifero. 
Il fine ultimo, quindi, è il sogno di Lucifero di riprendere il potere assoluto che aveva sull’umanità, prima del Sacrificio di Cristo sulla Croce, portando il culto solare della Massoneria al suo apice, facendo risplendere il suo Sole Infinito, al centro di una Natura, Umanità e Lucifero divinizzati, con l’eliminazione totale del Sacrificio di Cristo sulla Croce dalla faccia della terra.

del dott. Franco Adessa

DELLA ESORTAZIONE E DELLA LODE CHE POSSONO FARE TUTTI I FRATI



REGOLE ED ESORTAZIONI

1 E questa o simile esortazione e lode tutti i miei frati, quando a loro piacerà, possono annunciare ad ogni categoria di uomini, con la benedizione di Dio:


2 Temete e onorate,
lodate e benedite,
ringraziate e adorate
il Signore Dio onnipotente
nella Trinità e nell’Unità,
Padre e Figlio e Spirito Santo,
creatore di tutte le cose.
3 Fate penitenza,
fate frutti degni di penitenza,
perché presto moriremo.
3 Date e vi sarà dato,
Perdonate e vi sarà perdonato;
E se non perdonerete agli uomini le loro offese,
il Signore non vi perdonerà i vostri peccati.
Confessate tutti i vostri peccati.
7 Beati coloro che muoiono nella penitenza,
poiché saranno nel regno dei cieli.
8 Guai a quelli che non muoiono nella penitenza,
poiché saranno figli del diavolo
di cui compiono le opere,
e andranno nel fuoco eterno,
9 Guardatevi e astenetevi da ogni male
e perseverate nel bene fino alla fine.

S. Francesco d’Assisi



GESU’ AL CUORE DELLE MAMME



Non risentimento, ma bontà Una mamma è sempre il perno fondamentale della casa, è sempre una lampada che rischiara con la luce serena del suo amore materno. Ma se nell'amore materno si mescolano risentimenti e reazioni, allora il perno non sostiene, e la lampada forma le ombre che annebbiano la luce... L'amore materno unisce la famiglia con la benedizione, il risentimento la divide, e allora ogni suo membro diventa egoista e prepotente. Non sono le parole violente che vincono le dissensioni, ma la preghiera e la bontà.

don Dolindo Ruotolo

sabato 18 aprile 2020

IL MISTERO DEL PURGATORIO



ILTEMPO PREZIOSO

Le povere anime nel Purgatorio! Io le considero e scruto i loro dolori ed i loro pensieri: esse hanno  un indescrivibile pentimento per ogni attimo sciupato della loro vita. Vorrebbero con grida  richiamare indietro ognuno di quegli attimi e riempirli di Dio. Sono affamate di quella fame di  grazia di cui avrebbero dovuto sentire la fame durante la vita.
Vedo chiaro quanto è profondo questo sentimento, se esse hanno giocato con il tempo. Il vuoto  che hanno nell'anima genera tale fame, che esse tendono per così dire la lingua a ricevere un nutrimento spirituale. Ma quando sono così arroventate dal pentimento, allora viene il buon Dio e  reca il suo Santo Sangue e tutta la sua eternità per colmare quel vuoto, per colmare con la sua  Santa Passione ed il suo Sangue, ciò che è stato scavato dalla contrizione.
Non si pensa abbastanza seriamente, mentre si vive, a quanto severo è Dio nel giudicare sull'uso del  tempo, specie coloro che avevano una vocazione superiore, coloro che erano consacrati a Dio,  offerti a Lui, i servi e le serve di Dio. Ci sono tante povere anime che mi pregano e mi assediano:  «Va' dunque nel mondo e di' che non vivano anch'essi in questa cecità». Così scrivo queste parole,  come meglio posso, incalzata dalle povere anime.
Il tempo ha un'importanza particolare specie per i consacrati a Dio. Ci sono tante cose inutili nella  vita; sono tutti vuoti destinati al Purgatorio; tutti buchi che devono essere rattoppati nell'eternità. Nemmeno del nostro stesso tempo siamo noi a disporre. Dio ce lo ha dato perché lo colmiamo di  intenzioni sante, ce lo ha dato quasi fosse una coppa con le parole: «Va', attingi alla fonte della vita  eterna, poi torna da me e riportala colma».
Allora Gesù berrà alla coppa e riconoscente introdurrà l'anima in questa infinita eternità, nel mare  della vita eterna, dove essa si congiungerà al flusso comune della infinita ed eterna eternità.
Il tempo della nostra vita deve essere riempito di intenzioni sante: non si dovrebbe effettivamente  fare nulla che non avesse un motivo santo. Con la santa intenzione si può dar pregio ad ogni cosa,  anche a ciò che non ha né valore né utilità: quante cose inutili appartengono al nostro galateo ed  alle regole della nostra amabilità, quante cose inutili nella nostra professione e nel nostro dovere!  Si fa quello che c'è da fare per non dare nell'occhio, e per adattarci agli altri; eppure anche questo  tempo deve essere santamente calcolato, poiché anche in ciò che per sé non ha valore è racchiuso  il valore di un qualche dovere, qualsiasi cosa si faccia, per amore di Dio. Ma anche qui taluni sono  tentati a volersi scusare troppo ampiamente, a preoccuparsi più delle cose terrene che di Dio solo,  mentre dedicano un tempo troppo lungo alle cose esteriori, un tempo che spesso si potrebbe di  molto abbreviare o addirittura eliminare.
Chi ama il mondo ed il suo movimento e la sua azione vi partecipa volentieri. Per chi non lo ama  ciò che egli è costretto a fare è un sacrificio, egli da sé riduce tutto allo stretto indispensabile. Dio ci  giudica severamente in rapporto al tempo! Noi che viviamo solo un istante, come dovremmo  calcolare e risparmiare! Così come fa il mercante con i suoi affari e le sue imprese, per guadagnare  molto e trarre profitto da ogni cosa.
È un tale danno ogni istante che noi viviamo senza un motivo più elevato, lasciando inutilmente il  bel sentiero della grazia. Da tutto, anche da ogni cosa terrena, si può trarre un guadagno per Dio. 
Egli ha cosparso la nostra vita di tesori eterni, intimamente cosparsa. Basta non dimenticare di  avere in tutto un movente ed una finalità santa, basta non fare nulla senza una santa intenzione. Dio si compiace che noi distribuiamo il nostro tempo e non ne disponiamo da padroni assoluti. Il  tempo non appartiene a noi, ma a Lui! Egli ha contati gli istanti della nostra vita e conosce che  cosa essi devono rendere. Egli vede esattamente che cosa perdiamo e che cosa troviamo. Egli ha  posto un fine santo in ogni attimo della nostra vita, un compito, un piano, e noi dobbiamo  rispondere a tutte le intenzioni di Dio, dando ad ogni cosa un fondamento, così che i suoi fini siano  anche i nostri e non riportiamo vuoto ciò che Egli ci ha preparato perché lo riempissimo.
Il grande onnipotente Iddio è anche il Dio degli attimi della nostra vita, Dio del nostro tempo prezioso. Egli è maestro, il nostro buon maestro, e dobbiamo ubbidirlo in tutto.
Vedo nel Purgatorio anche molti religiosi, i quali, per essersi troppo a lungo ed inutilmente  trattenuti con gli uomini, presentano tante zone vuote nell'anima; religiosi che per i mondani  rapporti di amicizia hanno smarrito l'ornamento del riserbo claustrale, che non hanno capito di  dover concedere alle visite ed alle amicizie solo il tempo che non contraddiceva alla solitudine del  chiostro. Quanto mondo trovo in queste anime, e questo mondo è zero davanti all'eternità. Quanti  hanno dedicato ore ed ore al mondo in cose che si sarebbero potute sbrigare molto più  rapidamente. Quante ore di interiore preghiera e di raccolte visite al tabernacolo avrebbero potuto  guadagnare, e quante di queste ore preziose sono state giocate e sono andate perdute per Dio e per  l'eternità! Quanti minuti si sarebbero potuti risparmiare per il Dio Eucaristico, se l'anima avesse  avuto fame, la vera fame del suo dovere e di Dio! Quanto è buono il Signore che concede alle  anime di riparare a tutto questo nel Purgatorio! Il Purgatorio è perciò anche una sofferenza  impregnata di tempo. Esse soffrono a causa del tempo e questa è nostalgia: provano una indicibile  nostalgia di Dio, di purezza, di perfezione, e sono insieme felici perché sanno di essere nei luogo  del miglioramento: questo le libera da ogni disperazione, il loro dolore è una speranza, una fiducia,  un desiderio ed un ritorno.
Davvero Dio non ci ha dato il tempo perché con esso giocassimo e facessimo ciò che vogliamo. Il  tempo è il vaso con cui dobbiamo attingere alla fonte della vita eterna, e, se non lo riportiamo pieno, il Signore ci guarda con occhio interrogatore e chiede: «Che cosa hai fatto con questo tesoro di  grazia? Io ti comandai di riportarmelo pieno e tu sei andato per le tue vie; dimenticando il comando  del tuo Dio, hai perfino infranto il vaso bello e santo; che cosa mi riporti?».
Allora l'anima si sprofonda ai piedi di Dio, poiché ora sta davanti ai giudice eterno e non può  sfuggire a Lui, alla sua Parola, come spesso forse ha fatto nella vita. E sta davanti a Lui, davanti  al Dio onnipotente, e forse Gli ha riportato solo i cocci, i cocci di tante grazie infrante, di tanto  tempo perduto. Allora essa prega il Signore: «Io ti prego, fallo ritornare intero». E se l'anima era  già pentita in punto di morte, il suo accento sarà ancora più pentito.
Allora il Signore clemente dice: «Vieni dunque nel Purgatorio, lo faremo tornare intero». Ma questa  guarigione non può e non deve avvenire senza dolore, perché l'anima perde la sua rigidità solo  nella contrizione, e la contrizione fa male. Ma chi riporta il vaso colmo ha sorte felice: a lui si  spalancano le porte dell'eternità. Abbiamo tanto, infinitamente tanto da attingere alla fonte  dell'amore misericordioso: nella Santa Comunione, prima ancora nella confessione, e nelle Sante  Messe, nelle predicazioni. Nulla ci manca, purché non diventiamo dissipatori della Parola di Dio e  impariamo tutto, tutto quello che conviene alla nostra salute e ci conduce ad una celeste purezza. Siamo così ben provveduti di grazie; dobbiamo solo non riceverle ingrati e insensibili, per abitudine. Ma Dio è così misericordioso che, se abbiamo una volontà buona, possiamo anche qui sulla  terra riparare dove abbiamo mancato. Basta convertirsi e con buona volontà volere essere  migliori; allora anche il passato viene sanato da Gesù stesso. Quando il vaso del tempo non è  ancora pieno, possiamo giungere a riempirlo con la contrizione e la buona volontà e la santa fame  della Parola di Dio: per essa riceviamo Gesù, e troviamo la forza di seguire la sua Parola. Nella  Parola di Dio troviamo la via alle sorgenti della grazia e impariamo ad usarne rettamente. Per  l'udito comunichiamo con Gesù e ricevendolo devotamente seguiamo il suo richiamo e gli apriamo l'ingresso del cuore. Ogni parola di Dio, ogni parola del sacerdote è un bussare di Gesù al cuore, ed  ogni buona volontà è un aprire la porta. Quando uno apre la porta, Gesù si prende cura di tutta la sua  anima e dei suoi impegni eterni.

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY



Una vocazione tardiva (1805-1809).  
Giovanni Maria Vianney a vent'anni. 

Era la seconda volta che Giovanni Maria Vianney lasciava i campi di Dardilly ed il focolare domestico. Dopo la sua prima Comunione era cresciuto alquanto, ma i massai di Point-du-Jour potevano ritrovare nel giovane ventenne l'amabile e candido fanciullo di un giorno; non era ancora perfetto, ma già lasciava intravvedere a quale grado di virtù avrebbe potuto salire. Quasi ad' ogni pasto non prendeva che la sua minestra 1, anche se lo si pregava di cibarsi d'altro, ed era pure sempre all'età dello sviluppo, nella quale l'appetito si fa maggiormente sentire. Giovanni Maria, che si imponeva queste penitenze in vista di uno scopo preciso, le rese ancora più aspre, e, per attirare la benedizione di, Dio sopra i suoi studi, ottenne dalla zia che gli preparasse sempre la sua parte di minestra senza mettervi il condimento. Sia per dimenticanza che per maggiore comodità Margherita Humbert gli servì molte volte il cibo come ai suoi famigliari, ma il nipote, dominato per un momento ancora dalla sua naturale vivacità, presentava poi un volto triste, come se, deglutendo ciascuna cucchiaiata, arrischiasse di essere soffocato 2. Verrà giorno in cui, meglio trasformato dalla grazia di Dio, conserverà il suo abituale sorriso anche nelle più spiacevoli circostanze.  

Di cuore sempre aperto alla compassione verso gli indigenti, qualche volta conduceva a casa, per la notte, tutti i mendicanti che vedeva sulla strada; talvolta la casa ne fu riempita 3. Un giorno, andando a Dardilly per visitare la famiglia, incontrò un povero e gli diede le scarpe nuove che suo padre gli aveva comperato. Se ne era creduto proprietario legittimo, avendole pagate con il suo lavoro, ma a casa non si pensò così e lo si accolse coi più severi rimproveri, quando si presentò a piedi nudi. Questo fatto tuttavia non gli insegnò nulla, ed un altro giorno, incontrando una povera donna circondata da bambini in tenera età, profondamente commosso, le diede sette franchi, cioè tutto quanto possedeva 4.  

Gli studi iniziati lo chiamavano al presbiterio di Ecully ogni mattina ed ogni sera. Vi entrava accolto dal sorriso benevolo di Margherita Balley, che in abito comune conservava ancora l'anima ed i modi di Suor Maria Giuseppa Dorotea 5. Suo fratello Carlo era conosciuto per buon teologo e si sapeva che aveva rifiutato più volte la cattedra di morale nel seminario maggiore di Lione. La sua accoglienza era grave e la voce ferma, ma lo sguardo era dolce e confidente, tanto che Giovanni Maria in sua compagnia si sentiva bene.  

La grammatica latina gli parve alquanto difficile. Quantunque la sua conversazione vivace e di buon gusto, che rendeva ambita la sua compagnia, potesse lasciar intravedere qualche dote d'ingegno. le cose di studio non le comprendeva senza estrema difficoltà, e soprattutto diventava lento e confuso appena si sentiva una penna in mano: senza sua colpa l'intelligenza era rimasta troppo a lungo senza esercizio; né era più felice la memoria, che pure doveva avere la parte principale nel ritenere le prime nozioni: offuscata nel tempo in cui maneggiava lesto la vanga lucente, aveva anche dimenticato le poche nozioni grammaticali, un giorno imparate alla scuola del maestro Dumas. - Ma non si comincia la sintassi latina prima di conoscere quella della propria lingua.  

Il piccolo Deschamps, i fratelli Loras, fanciulli di buona formazione, che imparavano con evidente facilità le declinazioni e le coniugazioni, udendo il loro compagno leggere stentatamente quello che ad essi era sembrato facile come un giuoco, ridevano di lui. Ma non rideva l'abate Bailey, che si domandava invece preoccupato: «Questo giovane giudizioso, di una profonda pietà, si scoraggerebbe al primo ostacolo?» - Si trattava di una penosa fatica, ben più dura di quella sopportata nella vigna paterna. Venuta la sera, lo scolaro ventenne, alla luce della piccola lampada della masseria, ostinatamente si chinava sui suoi libri, pregava con fervore, supplicando lo Spirito Santo ad imprimere le parole nella sua «povera testa». Ma al mattino seguente si accorgeva che le parole sempre ribelli gli erano sfuggite di nuovo.  

Si esercitava nelle traduzioni facili dei Fatti scelti dell'Antico Testamento 6, il manuale classico per i principianti, in quell'epoca. Il P. Deschamps ci ha detto di avere aiutato allora il suo vecchio compagno di studio a cercare le parole nel vocabolario per fare una buona traduzione 7. Mattia Loras, forse il migliore nella scuola dell'abate Balley, rendeva a Giovanni Maria il medesimo servizio, ma, d'indole nervosa e di mano pronta, un giorno, stanco delle incomprensioni «del vecchio scolaro», lo schiaffeggiò oltraggiosamente in presenza dei suoi compagni. L'offeso, che pure aveva avuto da natura un carattere violento, s'inginocchiò allora davanti al fanciullo di dodici anni, che lo aveva percosso, domandandogli umilmente perdono. Mattia che nascondeva un cuore d'oro si pentì tosto e, commosso fino alle lagrime, cadde nelle braccia di Giovanni Maria, ancora genuflesso 8, sigillando un'amicizia profonda. Mattia Loras divenuto missionario negli Stati Uniti e vescovo di Dubuque non dimenticherà mai i particolari di questo fatto 9  

***
Canonico FRANCESCO TROCHU 

EPISTOLARIO



Il direttore 

Insistente richiesta.   Non per iniziativa personale, ma, in un secondo tempo,  alla richiesta esplicita e ripetuto invito, padre Pio assume le parti di maestro  e direttore dei suoi maestri e direttori. E lo fa non senza una certa ritrosia e  con grande timore riverenziale. Ritiene una stonatura l'inversione delle parti e  un controsenso che il discepolo diventi maestro di chi ha il compito di  insegnargli, che l'infermo prescriva ricette e amministri farmachi al suo  medico:  

"Mi fate un paterno rimprovero dal perché non vi parlo mai nelle mie lettere del  vostro spirito, ed avete ben ragione. Ma, che volete, sembrami una vera  stonatura che mentre l'infermo ricorre per rimedi al medico, si permetta di  scoprire in pari tempo al suo medico le di lui infermità. Ma sorvolando sopra  questa stonatura, per non contravvenirvi e solo per ubbidirvi, mi permetto di  dirvi ciò che il Signore mi permette di manifestarvi, sicuro di farvi cosa grata  e di essere da voi compatito per la mia spudoratezza" (9 5 1915). 
"Mi confondo, mi copro il volto di rossore nel leggere la vostra paterna  ammonizione, che cioè volendo per me le necessarie assicurazioni e desiderando  che mi si scriva assai per consolarmi, sia io tanto parco nel darle agli altri e  specialmente a voi. L'è questo un dolce vostro rimprovero ma a me riesce assai  amaro da strapparmi le lagrime, perché vedo che ne avete tanta ragione. Ma sarà  mai possibile che un infermo prescrive medicine al suo medico? Oh! e non sarebbe  troppa spudoratezza il farla da medico col suo medico? Se poi sono parco con gli  altri è perché temo che il troppo parlare non mi abbia da far sbagliare" (1 6  1915). 

"Ho letto e riletto attentamente nella vostra lettera quello che riguarda le  vostre interne sofferenze, e sono compreso da un senso vivissimo di umiliazione  nel dover venire a decidere cose che riguardano voi, mio padre, mia guida, mio  superiore. Avrei voluto esimermi da questo dovere, ma nol posso: avrei dovuto  soffocare gli stimoli della coscienza, che mi avrebbe rimproverato di aver fatto  male. Quindi invertiamo pel momento un po' le parti e parlerò pure con tutta  franchezza e sincerità. Chiamato a sentenziare su ciò che mi avete espresso  nella lettera, dichiaro, senza far torto alla verità, dinanzi a Dio ed alla mia  coscienza, essere tutto effetto di tentazione ciò che mi avete espresso nella  vostra lettera. Sa Iddio, padre, con quale spirito io parlo in questo momento"  (23 7 1917).

PREGANDO PER I FRATELLI NELLA D. V: PER RIDARE A DIO LA GLORIA



(tratto dagli Scritti sulla Divina Volontà della Serva di Dio Luisa Piccarreta)



Volume 14 Luglio 6, 1922
Benedizione di Gesù alla sua Mamma. Chi vive nella Divina Volontà è depositrice della Vita Sacramentale di Gesù.


Stavo pensando ed accompagnando Gesù nell’Ora della Passione quando Si portò alla Divina Mamma per chiederle la santa benedizione, ed il mio dolcissimo Gesù nel mio interno mi ha detto: “Figlia mia, prima della mia Passione volli benedire la mia Mamma ed essere da Lei benedetto; ma non fu la sola Mamma che benedissi, ma a tutte le creature, non solo animate ma anche inanimate; vidi le creature deboli, coperte di piaghe, povere, il mio cuore ebbe un palpito di dolore e di tenera compassione e dissi: ‘Povera umanità, come sei decaduta! Voglio benedirti, affinché risorga dal tuo decadimento; la mia benedizione imprima in te il triplice suggello della Potenza, della Sapienza e dell’Amore delle Tre Divine Persone, e ti restituisca la forza, ti sani e ti arricchisca; e per circondarti di difesa benedico tutte le cose da Me create, affinché tu le riceva tutte benedette da Me: ti benedico la luce, l’aria, l’acqua, il fuoco, il cibo, affinché resti come inabissata e coperta con le mie benedizioni. E siccome tu non la meritavi [la mia benedizione], perciò volli benedire la mia Mamma, servendomi di Lei come canale per far pervenire a te le mie benedizioni’.
E come Mi ricambiò la Mamma mia con le sue benedizioni, così voglio che le creature Mi ricambino con le loro benedizioni; ma ahimè, invece di ricambio di benedizioni, Mi ricambiano con offese e maledizioni! Perciò, figlia, entra nel mio Volere e portandoti sulle ali di tutte le cose create suggella tutte con le benedizioni che tutti Mi dovrebbero, e porta al mio dolente e tenero Cuore le benedizioni di tutti”.
Onde, dopo aver fatto ciò, come per compensarmi mi ha detto: “Figlia diletta mia, ti benedico in modo speciale; ti benedico il cuore, la mente, il moto, la parola, il respiro, tutta e tutto ti benedico”.
Onde, dopo ciò ho seguito le altre Ore della Passione, e mentre seguivo la Cena Eucaristica, il mio dolce Gesù Si è mosso nel mio interno, e con la punta del suo dito ha bussato forte nel mio interno, tanto che lo ho sentito con le mie orecchie, e ho detto tra me: “Che vorrà Gesù, che bussa?” E Lui, chiamandomi, mi ha detto: “Non bastava bussarti per sentirmi, ma anche chiamarti per essere ascoltato. Senti, figlia mia, mentre istituivo la Cena Eucaristica chiamai tutti intorno a Me, guardai tutte le generazioni, dal primo all’ultimo uomo, per dare a tutti la mia Vita Sacramentale, e non una volta, ma tante volte per quante volte ha bisogno del cibo corporale. Io volevo costituirmi come cibo dell’anima, ma Mi trovai molto male vedendo che questa mia Vita Sacramentale restava circondata da disprezzi, da noncuranze ed anche da morte spietata. Mi sentii male, provai tutte le strette della morte della mia Sacramentale Vita, [morte] sì straziante e ripetuta; guardai meglio, feci uso della potenza del mio Volere e chiamai intorno a Me le anime che sarebbero vissute nel mio Volere. Oh, come Mi sentivo felice! Mi sentivo circondato da queste anime, cui la potenza della mia Volontà le teneva come inabissate, e che come centro della loro vita era il mio Volere; vidi in loro la mia Immensità e Mi trovai ben difeso da tutti, ed a loro affidai la mia Vita Sacramentale. La depositai in loro affinché non solo ne avessero cura, ma Mi ricambiassero per ogni Ostia consacrata con una vita loro. E questo succede connaturale, perché la mia Vita Sacramentale è animata dalla mia Volontà Eterna [e] la vita di queste anime come centro di vita è il mio Volere, sicché quando si forma la mia Vita Sacramentale, il mio Volere agente in Me agisce in loro ed Io sento la loro vita nella mia Vita Sacramentale, si moltiplicano con Me in ciascuna Ostia, ed Io sento darmi vita per Vita.
Oh, come esultai nel vedere te per prima, che in modo speciale ti chiamai a formar vita nel mio Volere! Feci [in te] il mio primo deposito di tutte le mie Vite Sacramentali, ti affidai alla mia Potenza ed alla mia Immensità del Volere Supremo, affinché ti rendessero capace di ricevere questo deposito. E fin d’allora tu eri a Me presente, e ti costituii depositrice della mia Vita Sacramentale e, in te, a tutte le altre [anime] che avrebbero vissuto nel mio Volere. Ti diedi il primato su tutto, e con ragione, perché il mio Volere non è sottoposto a nessuno, e fin sugli Apostoli, sui sacerdoti, perché se loro Mi consacrano, ma [tuttavia] non restano vita insieme con Me, anzi Mi lasciano solo, obliato, non curandosi di Me; invece queste [anime che sarebbero vissute nel mio Volere] sarebbero state vita nella mia stessa Vita, inseparabili da Me; perciò ti amo tanto: è il mio stesso Volere che amo in te!”

Le Mie piccole barche



Gesù: “Quando salii il Calvario, Io Mi addossai interamente la responsabilità di diventare il Salvatore del Mondo e di andare avanti fino al culmine delle Mie Sofferenze, accettate con Amore per la Gloria del Padre e la Vita Eterna per i Figli di Dio.

Anche voi, quando dovete compiere un atto d’Amore per la Gloria di Dio, non disdegnate la sofferenza che l’accompagna. Accettate tutto per la Gloria di Dio, affinché la Misericordia divina impregni ogni vostro minimo sforzo e accompagni la vostra decisione.

Come il seme si lascia trasportare dal vento là dove deve penetrare nel terreno scelto per diventare pianta e sostenere il frutto che donerà, così il tuo SI sia SÌ’. Non misurare la tua forza con il tuo corpo; sii certa che Dio solo può ottenere da te il meglio di te stessa, perché tu non ti conosci. Sei come una barca che Dio riempie fino all’orlo per far passare le Anime dalla parte della riva meravigliosa, a te ancora sconosciuta.

Ma da questa barca, di cui nessuno conosce la capacità, nemmeno tu, Io farò uscire i Salvati degli Ultimi Tempi, le Anime che hanno esitato a gettarsi nella fornace ardente del Mio Cuore, che brucia giorno e notte dello stesso Fuoco che incendiò i cuori di tutti i Miei Apostoli, di tutti i Miei Santi.

Figlia, non temere la tempesta che si scatenerà tra poco su tutta la Terra con una forza fino ad oggi insospettata, perché presto si romperanno da ogni parte gli ormeggi, lasciando alla deriva chi non era saldamente ancorato al Mio Santo Cuore.


Io ti chiedo di informare i tuoi Fratelli di venire immediatamente a rifugiarsi nelle barche che sopporteranno la furia dei marosi scatenati dal Male. Barche che saranno riempite fino all’orlo; non abbiate paura, Io sono qui! Sara necessario che vi uniate e remiate vigorosamente verso il solo Rifugio che vi riparerà da questa furiosa tempesta. Venite al Porto della Salvezza, venite a Me senza riserve. PortateMi tutti quelli che sono sul punto di naufragare ed annegare per sempre. Non abbiate paura

Gridate il Mio Nome e remate con tutte le forze verso il Porto della Salvezza:


‘0 Cuore adorabile del Mio Salvatore, sii il nostro Rifugio, 0 Cuore Addolorato ed Immacolato di MARIA, sii la nostra Luce in questo Tempo di tenebre.

Prega per noi, Santa Madre di Dio.
Guida tutte queste piccole barche
verso il Cuore Adorabile del Tuo Divin Figlio
perché vi giungano tutte le pecore al completo
e non se ne perda nemmeno una’.

La Luce risplende e le Tenebre non L’hanno riconosciuta. Ed ecco che Essa sta per nascondersi, affinché ogni Uomo comprenda l’errore nel quale le Tenebre l’hanno sommerso. Ogni Anima si vedrà così com’è alla sua stessa luce interiore, nello spazio che l’Uomo Mi ha riservato nel suo cuore.

Illuminerò il film della sua vita, che si svolgerà come una bobina di filo, dall’esterno all’interno per riavvolgersi dall’interno all’esterno; in questo modo sarà svelato ogni dettaglio e sarà rimesso in ordine, se accorderete il vostro si per una vita migliore.

L’Uomo, così, riceverà il suo primo Perdono per rientrare in un Mondo Nuovo. Per tre volte Io porrò la stessa domanda. Questo sì sarà, quale prima promessa, d’accettare il proprio cambiamento per diventare migliore:

‘Figlio, vuoi seguirMi?.
‘Sì, lo voglio!’.

La sua seconda domanda gliela porrò dinanzi alla Porta del Mio Regno della Città Santa, la Nuova Gerusalemme:

‘Vuoi diventare abitante della Città Santa?’.
‘Sì, lo voglio!’.

E la terza domanda sarà quella in cui Io gli chiederò:

‘Accetti di vivere con il tuo Dio per l’Eternità?’.
‘Sì, lo voglio!’.

Allora Io introdurrò Mio Figlio, portandolo Io Stesso sulle braccia, per metterlo seduto a fianco del Mio Trono, molto vicino a Me. Egli sarà Santo della Mia Santità, incoronato della Mia stessa Gloria. La sua fronte brillerà della Mia Luce, che non si spegne, perché sulla sua fronte brillerà per sempre la Mia Croce Gloriosa.


Io sono 1’Eterno. Santo é il Mio Nome.

Amen”.

”J. N. S. R.” 30 marzo 1995

GESU’ OSTIA




Parole e miracoli di Gesù che preparano l'evento eucaristico

Tutta la vita di Gesù è una preparazione al suo sacrificio. La sua presentazione al tempio, avvenuta quaranta giorni dopo la nascita, lascia già immaginare la croce nelle parole profetiche di Simeone a Maria: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2,34-35).
Nel battesimo, al Giordano, San Giovanni Battista va incontro a Gesù esclamando: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!" (Gv 1,29); è l'eco delle parole profetiche di Isaia: "... era come agnello condotto al macello" (Is 53,7).
Il battesimo nel Giordano, infatti, è la preparazione di un altro battesimo, quello di sangue, di cui parla lo stesso Gesù: "C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto" (Gv 12,50).
Nei tre anni di predicazione, Gesù non solo indirizza lo sguardo di chi l'ascolta verso l'albero della croce, ma lascia intravedere e prepara, pure, ciò che miracolosamente egli compirà nell'ultimo pasto con gli apostoli.
Come si è precedentemente visto, nel discorso riportato da San Giovanni (Cfr. Gv 6,22 ss), Gesù afferma: "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo", "quello vero", "il pane della vita", "e il pane che io darò è la mia carne". E conclude dicendo: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda".
Queste parole di Gesù torneranno in mente ai suoi discepoli, quando prenderanno il pane e il vino consacrati dalle mani del loro Maestro nell'Ultima Cena. Senza questo discorso, infatti, non avrebbero potuto pienamente comprendere l'atto d'amore, sacrificale e redentivo che l'Eucaristia contiene.
Quando Gesù dice: "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12,24), parla di se stesso. Egli muore per comunicare la vita, come appunto fa il seme, che marcisce per germogliare; così, diventa spiga e poi pane: il prezioso nutrimento dell'uomo.
Dopo aver raccontato la parabola del seminatore, Gesù spiega che "Il seme è la parola di Dio" (Lc 8,11): crescerà e si svilupperà nella terra fertile del cuore di chi l'avrà accolta.
Ora, quando il Signore insegna ai suoi seguaci di chiedere al Padre celeste il "pane quotidiano" (Mt 6,11), non si può pensare ad un pane che sia nutrimento solo per il corpo e non per l'anima. La tradizione della Chiesa, infatti, vi indica il pane materiale, il pane della Parola e il pane eucaristico. (Questo triplice aspetto sarà esposto ampiamente nel successivo paragrafo).
Gesù si presenta come "pane vivo", ma anche come "acqua viva" (Gv 4,10). Alla donna samaritana, incontrata vicino al pozzo di Giacobbe, dice: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna" (Gv 4,13-14).
L'acqua (elemento che purifica e disseta, che mantiene in vita la natura, indispensabile per l'uomo al pari del cibo), qui, assume anche un significato eucaristico, come l'acqua e il sangue usciti dal costato di Gesù colpito in croce dalla lancia di uno dei soldati (Cfr. Gv 19,34), e che richiama l'acqua sgorgata dalla roccia nel deserto, dopo essere stata colpita da Mosè col suo bastone (Cfr. Es 17,1 ss; Nm 20,1 ss).
San Colombano scrive: «Il Signore stesso, il nostro Dio Gesù Cristo è la sorgente di vita che ci invita a sé, perché di lui beviamo. Beve di lui chi lo ama. Beve di lui chi si disseta alla parola di Dio; chi lo ama ardentemente e con vivo desiderio. Beve di lui chi arde di amore per la sapienza».
Gesù dice di essere "la vera vite" (Gv 15,1 ss). E nella frase: 'Io sono la vite, voi i tralci" (Gv 15,5), riecheggia il profondo e vitale legame che deve intercorrere tra il Signore e i suoi seguaci, quell'intimità che si assapora quando Cristo dimora in noi e noi in lui, come avviene durante la comunione eucaristica.
Tutti noi, pure, portatori di Cristo, siamo tralci in cui scorre la medesima linfa della vera vite.
Nelle antiche civiltà orientali, l'albero della vite è un albero cosmico: le sue radici affondano nella terra, i suoi tralci avvolgono il cielo, e gli acini sono come le stelle: l'albero della vite s'identifica con l'albero della vita.
E il frutto della vite è l'uva. In alcune rappresentazioni pittoriche della Sacra Famiglia, Maria porge al Bambino un grappolo d'uva: uva che darà il vino-sangue dell'Ultima Cena e della Croce.
Un classico tema del Vecchio Testamento è la figura di DioPastore. Anche Gesù applica a se stesso questa immagine, rivelando così la sua natura divina.
Al re Davide che invoca: "Il Signore è il mio pastore" (Sal 22,1), fa eco Gesù: "lo sono il buon pastore" (Gv 10,11 e 14). Tra gli elementi che accompagnano la raffigurazione del pastore, quello che riveste un maggior significato simbolico è il bastone. Tale attributo, usato per guidare il gregge, rappresenta lo Spirito Santo, colui che guida. Ed è al bastone che spesso è appeso il vasello, una zucchetta per contenere latte.
Il latte, come simbolo eucaristico, lo ritroviamo nell'invito che San Pietro fa ai cristiani: "come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza: se davvero avete già gustato come è buono il Signore" (1 Pt 2,2-3).
L'immagine del latte associata all'Eucaristia la usa anche Sant'Alfonso de' Liguori: «Siccome una madre che tiene il petto ripieno di latte, va trovando bambini che vengano a succhiare, acciocché la sgravino da quel peso, così appunto il Signore da questo Sacramento d'amore ci chiama tutti»l.
E Santa Teresa di Gesù Bambino verseggia: «I1 serafino si nutre di gloria, di puro amore, di perfetta letizia: io, bambinella, nel ciborio non vedo che il colore, l'immagine del latte, il latte che s'addice alla mia infanzia. L'amore del cuor divino non ha l'eguale, tenero amore, potenza insondabile! L'Ostia mia bianca è il latte verginale !».
Nell'Ultima Cena Gesù ci lascia la speranza dell'ultimo ed eterno banchetto, quello del regno dei cieli: "lo vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò di nuovo con voi nel regno del Padre mio" (Mt 26,29).
Anche il regno dei cieli, infatti, viene da lui descritto con scene di banchetto. Ricordiamo, ad esempio, la parabola del convito (Cfr. Lc 14,15-24), dove si racconta di un uomo che vuol dare una grande cena, ma gli invitati trovano tutti delle scuse per non andare. Allora il padrone di casa, irritato, ordina al servo di uscire per le strade della città e condurre poveri, storpi, ciechi e zoppi a riempire la sua casa. "Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena". Chi non accetta, infatti, il messaggio della salvezza, non potrà partecipare all'Eucaristia celeste.
Nella parabola del ricco epulone (Cfr. Lc 16,19-31), il povero Lazzaro, costretto a sfamarsi di ciò che cade dalla mensa del ricco, quando muore viene portato dagli angeli "nel seno di Abramo", cioè al posto d'onore della mensa divina.
Gesù non si limita ad usare il linguaggio, per preparare l'evento eucaristico dell'Ultima Cena; compie anche gesti significativi, come la trasformazione dell'acqua in vino, e la moltiplicazione dei pani.
L'episodio delle nozze di Cana, in cui Gesù compie il suo primo miracolo, è ricco di immagini:
a) I due sposi simboleggiano Adamo ed Eva.
b) Gesù e Maria sono il nuovo Adamo e la nuova Eva.
c) La trasformazione dell'acqua in vino è il passaggio dall'antica alla nuova alleanza.
d) Il vino offerto da Gesù viene attinto dalle giare, la cui acqua serviva per la purificazione. Ora la forza purificatrice non è più nell'acqua, ma nel sangue del Redentore, simboleggiato dal vino nuovo.
e) Questo vino nuovo viene servito per ultimo: è il segno ch'è finito il tempo vecchio ed è iniziato il tempo nuovo, quello messianico; non più nozze terrene, dunque, ma nozze divine. Sant'Agostino, infatti, interpreta la presenza di Gesù alle nozze di Cana, come la presenza del Verbo che è venuto in questo mondo per sposare l'umanità redenta col suo sangue.
L'Eucaristia è il convito nuziale dove non è più l'acqua ad essere trasformata in vino, ma è il vino che sarà trasformato in sangue.
Gesù moltiplica dei pani e dei pesci. Anche questo miracolo è l'anticipazione simbolica dell'Eucaristia: il Pane che verrà spezzato, moltiplicato e distribuito a tutti i credenti.
Quali sono gli insegnamenti da cogliere in questo episodio?
a) Il pane moltiplicato ci indirizza verso i fratelli: come Gesù, anche noi dobbiamo moltiplicare e distribuire, con loro e per loro, il pane della nostra fede.
b) Come per il vino di Cana, anche la sovrabbondanza dei pani indica che in Gesù è arrivata la pienezza dei tempi.
c) La raccolta del pane avanzato ordinata da Gesù, perché nulla vada disperso, sottintende la sacralità di questo pane, quale segno del proprio corpo, nonché la raccolta dei 'figli di Dio che erano dispersi" (Gv 11,52), "perché tutti siano una cosa sola" (Gv 17,21).
d) Le dodici ceste riempite sono destinate a tutta l'umanità. Il numero dodici, infatti, che richiama al numero degli apostoli, rappresenta l'universalità della Chiesa. Quando rinnova il miracolo, le ceste riempite sono sette: il numero dei doni dello Spirito Santo che conferisce alla Chiesa anche l'attributo della santità.
I Vangeli ci presentano, dunque, un Gesù che dà da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, che si siede a tavola nella casa del fariseo, di Matteo, di Lazzaro, di Zaccheo... Anche queste scene conviviali hanno lo scopo di prepararci a comprendere il contenuto dell'Eucaristia, ch'è la Cena del Signore, dove il suo corpo e il suo sangue diventano nostro cibo e nostra bevanda. E sarà proprio questo pasto consumato fra amici ad attuare la vittoria di Cristo sulla morte. Nella 'comunione' con Cristo, infatti, consiste la salvezza dell'uomo.