Parole e miracoli di Gesù che preparano l'evento eucaristico
Tutta la vita di Gesù è una preparazione al suo sacrificio. La sua presentazione al tempio, avvenuta quaranta giorni dopo la nascita, lascia già immaginare la croce
nelle parole profetiche di Simeone a Maria: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada
trafiggerà l'anima" (Lc 2,34-35).
Nel battesimo, al Giordano, San Giovanni Battista va incontro a Gesù esclamando: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!" (Gv 1,29);
è l'eco delle parole profetiche di Isaia: "... era come agnello condotto al macello" (Is 53,7).
Il battesimo nel Giordano, infatti, è la preparazione di un altro battesimo, quello di sangue, di cui parla lo stesso Gesù: "C'è un battesimo che devo
ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto" (Gv 12,50).
Nei tre anni di predicazione, Gesù non solo indirizza lo sguardo di chi l'ascolta verso l'albero della croce, ma lascia intravedere e prepara, pure, ciò che miracolosamente
egli compirà nell'ultimo pasto con gli apostoli.
Come si è precedentemente visto, nel discorso riportato da San Giovanni (Cfr. Gv 6,22 ss), Gesù afferma: "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo", "quello
vero", "il pane della vita", "e il pane che io darò è la mia carne". E conclude dicendo: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò
nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda".
Queste parole di Gesù torneranno in mente ai suoi discepoli, quando prenderanno il pane e il vino consacrati dalle mani del loro Maestro nell'Ultima Cena. Senza questo discorso,
infatti, non avrebbero potuto pienamente comprendere l'atto d'amore, sacrificale e redentivo che l'Eucaristia contiene.
Quando Gesù dice: "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto"
(Gv 12,24), parla di se stesso. Egli muore per comunicare la vita, come appunto fa il seme, che marcisce per germogliare; così, diventa spiga e poi pane: il prezioso nutrimento dell'uomo.
Dopo aver raccontato la parabola del seminatore, Gesù spiega che "Il seme è la parola di Dio" (Lc 8,11): crescerà e si svilupperà nella terra fertile
del cuore di chi l'avrà accolta.
Ora, quando il Signore insegna ai suoi seguaci di chiedere al Padre celeste il "pane quotidiano" (Mt 6,11), non si può pensare ad un pane che sia nutrimento solo per
il corpo e non per l'anima. La tradizione della Chiesa, infatti, vi indica il pane materiale, il pane della Parola e il pane eucaristico. (Questo triplice aspetto sarà esposto ampiamente nel successivo paragrafo).
Gesù si presenta come "pane vivo", ma anche come "acqua viva" (Gv 4,10). Alla donna samaritana, incontrata vicino al pozzo di Giacobbe, dice: "Chiunque
beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente d'acqua
che zampilla per la vita eterna" (Gv 4,13-14).
L'acqua (elemento che purifica e disseta, che mantiene in vita la natura, indispensabile per l'uomo al pari del cibo), qui, assume anche un significato eucaristico, come l'acqua
e il sangue usciti dal costato di Gesù colpito in croce dalla lancia di uno dei soldati (Cfr. Gv 19,34), e che richiama l'acqua sgorgata dalla roccia nel deserto, dopo essere stata colpita da Mosè col suo
bastone (Cfr. Es 17,1 ss; Nm 20,1 ss).
San Colombano scrive: «Il Signore stesso, il nostro Dio Gesù Cristo è la sorgente di vita che ci invita a sé, perché di lui beviamo. Beve di lui chi
lo ama. Beve di lui chi si disseta alla parola di Dio; chi lo ama ardentemente e con vivo desiderio. Beve di lui chi arde di amore per la sapienza».
Gesù dice di essere "la vera vite" (Gv 15,1 ss). E nella frase: 'Io sono la vite, voi i tralci" (Gv 15,5), riecheggia il profondo e vitale legame che deve
intercorrere tra il Signore e i suoi seguaci, quell'intimità che si assapora quando Cristo dimora in noi e noi in lui, come avviene durante la comunione eucaristica.
Tutti noi, pure, portatori di Cristo, siamo tralci in cui scorre la medesima linfa della vera vite.
Nelle antiche civiltà orientali, l'albero della vite è un albero cosmico: le sue radici affondano nella terra, i suoi tralci avvolgono il cielo, e gli acini sono come
le stelle: l'albero della vite s'identifica con l'albero della vita.
E il frutto della vite è l'uva. In alcune rappresentazioni pittoriche della Sacra Famiglia, Maria porge al Bambino un grappolo d'uva: uva che darà il vino-sangue
dell'Ultima Cena e della Croce.
Un classico tema del Vecchio Testamento è la figura di DioPastore. Anche Gesù applica a se stesso questa immagine, rivelando così la sua natura divina.
Al re Davide che invoca: "Il Signore è il mio pastore" (Sal 22,1), fa eco Gesù: "lo sono il buon pastore" (Gv 10,11 e 14). Tra gli elementi che accompagnano
la raffigurazione del pastore, quello che riveste un maggior significato simbolico è il bastone. Tale attributo, usato per guidare il gregge, rappresenta lo Spirito Santo, colui che guida. Ed è al bastone che
spesso è appeso il vasello, una zucchetta per contenere latte.
Il latte, come simbolo eucaristico, lo ritroviamo nell'invito che San Pietro fa ai cristiani: "come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso
verso la salvezza: se davvero avete già gustato come è buono il Signore" (1 Pt 2,2-3).
L'immagine del latte associata all'Eucaristia la usa anche Sant'Alfonso de' Liguori: «Siccome una madre che tiene il petto ripieno di latte, va trovando bambini
che vengano a succhiare, acciocché la sgravino da quel peso, così appunto il Signore da questo Sacramento d'amore ci chiama tutti»l.
E Santa Teresa di Gesù Bambino verseggia: «I1 serafino si nutre di gloria, di puro amore, di perfetta letizia: io, bambinella, nel ciborio non vedo che il colore, l'immagine
del latte, il latte che s'addice alla mia infanzia. L'amore del cuor divino non ha l'eguale, tenero amore, potenza insondabile! L'Ostia mia bianca è il latte verginale !».
Nell'Ultima Cena Gesù ci lascia la speranza dell'ultimo ed eterno banchetto, quello del regno dei cieli: "lo vi dico che da ora non berrò più di questo
frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò di nuovo con voi nel regno del Padre mio" (Mt 26,29).
Anche il regno dei cieli, infatti, viene da lui descritto con scene di banchetto. Ricordiamo, ad esempio, la parabola del convito (Cfr. Lc 14,15-24), dove si racconta di un uomo che
vuol dare una grande cena, ma gli invitati trovano tutti delle scuse per non andare. Allora il padrone di casa, irritato, ordina al servo di uscire per le strade della città e condurre poveri, storpi, ciechi e zoppi
a riempire la sua casa. "Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena". Chi non accetta, infatti, il messaggio della salvezza, non potrà partecipare
all'Eucaristia celeste.
Nella parabola del ricco epulone (Cfr. Lc 16,19-31), il povero Lazzaro, costretto a sfamarsi di ciò che cade dalla mensa del ricco, quando muore viene portato dagli angeli "nel
seno di Abramo", cioè al posto d'onore della mensa divina.
Gesù non si limita ad usare il linguaggio, per preparare l'evento eucaristico dell'Ultima Cena; compie anche gesti significativi, come la trasformazione dell'acqua
in vino, e la moltiplicazione dei pani.
L'episodio delle nozze di Cana, in cui Gesù compie il suo primo miracolo, è ricco di immagini:
a) I due sposi simboleggiano Adamo ed Eva.
b) Gesù e Maria sono il nuovo Adamo e la nuova Eva.
c) La trasformazione dell'acqua in vino è il passaggio dall'antica alla nuova alleanza.
d) Il vino offerto da Gesù viene attinto dalle giare, la cui acqua serviva per la purificazione. Ora la forza purificatrice non è più nell'acqua, ma nel sangue
del Redentore, simboleggiato dal vino nuovo.
e) Questo vino nuovo viene servito per ultimo: è il segno ch'è finito il tempo vecchio ed è iniziato il tempo nuovo, quello messianico; non più nozze
terrene, dunque, ma nozze divine. Sant'Agostino, infatti, interpreta la presenza di Gesù alle nozze di Cana, come la presenza del Verbo che è venuto in questo mondo per sposare l'umanità redenta
col suo sangue.
L'Eucaristia è il convito nuziale dove non è più l'acqua ad essere trasformata in vino, ma è il vino che sarà trasformato in sangue.
Gesù moltiplica dei pani e dei pesci. Anche questo miracolo è l'anticipazione simbolica dell'Eucaristia: il Pane che verrà spezzato, moltiplicato e distribuito
a tutti i credenti.
Quali sono gli insegnamenti da cogliere in questo episodio?
a) Il pane moltiplicato ci indirizza verso i fratelli: come Gesù, anche noi dobbiamo moltiplicare e distribuire, con loro e per loro, il pane della nostra fede.
b) Come per il vino di Cana, anche la sovrabbondanza dei pani indica che in Gesù è arrivata la pienezza dei tempi.
c) La raccolta del pane avanzato ordinata da Gesù, perché nulla vada disperso, sottintende la sacralità di questo pane, quale segno del proprio corpo, nonché
la raccolta dei 'figli di Dio che erano dispersi" (Gv 11,52), "perché tutti siano una cosa sola" (Gv 17,21).
d) Le dodici ceste riempite sono destinate a tutta l'umanità. Il numero dodici, infatti, che richiama al numero degli apostoli, rappresenta l'universalità della
Chiesa. Quando rinnova il miracolo, le ceste riempite sono sette: il numero dei doni dello Spirito Santo che conferisce alla Chiesa anche l'attributo della santità.
I Vangeli ci presentano, dunque, un Gesù che dà da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, che si siede a tavola nella casa del fariseo, di Matteo, di Lazzaro,
di Zaccheo... Anche queste scene conviviali hanno lo scopo di prepararci a comprendere il contenuto dell'Eucaristia, ch'è la Cena del Signore, dove il suo corpo e il suo sangue diventano nostro cibo e nostra
bevanda. E sarà proprio questo pasto consumato fra amici ad attuare la vittoria di Cristo sulla morte. Nella 'comunione' con Cristo, infatti, consiste la salvezza dell'uomo.
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