domenica 19 aprile 2020

L'ultimo Papa canonizzato



IL CAPPELLANO DI TOMBOLO (29 novembre 1858 - 13  luglio 1867) 


IL “MOTO PERPETUO” 

Mamma, sono stato destinato Cappellano a Tombolo. Il paese non mi piace,  perché un po' cattivo, nondimeno devo obbedire e vi andrò” (55b). 
Così una sera del tardo autunno del 1858 disse Don Giuseppe Sarto alla  buona Margherita Sanson appena seppe che il suo Vescovo lo aveva  destinato Cappellano a Tombolo: un paese prevalentemente di mercanti di  bestiame e di mediatori. Gente molto accorta ed attaccata al danaro, ruvida di  modi, abituata alle piazze, amica delle osterie, e — quello che è peggio —  pronta, per sistema, alla bestemmia, ma più per ignoranza che per cattivo  animo. 
Un campo da dissodare quale poteva desiderare un apostolo di Dio, votato  alla fatica, come il nostro giovane Cappellano, il quale sapeva che “la vita del  prete è vita di sacrificio” e che l'Ordinazione Sacerdotale non era stata per lui  che l'introduzione alla “via del Calvario” — come egli stesso ricorderà più  tardi, ad un novello sacerdote da lui molto amato (56). 
Fragrante del sacro crisma sacerdotale, Don Sarto entrava a Tombolo il 29  Novembre 1858 (57): vigilia della festa di S. Andrea Apostolo, Patrono del  paese. 
Quelli che lo videro arrivare ricordano la povertà della sua veste, le scarpe  con il fondo di legno ed un mantello così misero che faceva compassione al  solo vederlo (58). 
Era povero, ma aveva un programma netto e preciso: la salvezza delle anime  ad ogni costo. 
Il Parroco, Don Antonio Costantini — un sacerdote di non comune criterio e  molto pratico della vita di campagna (59) — lo accolse a braccia aperte,  perché sapeva che il nuovo Cappellano — un pretino dal volto asciutto e  dagli occhi vivi e profondi — veniva proprio dal popolo ed era già stato  informato che aveva un'anima temprata alla vita rude della povertà e del sacrificio. 
Passato qualche giorno, Cappellano e Parroco si intesero, si compresero e si  amarono con reciproco rispetto, con vicendevole stima e pari amore. 
Avevano i medesimi sentimenti, le medesime aspirazioni, le stesse vedute, i  medesimi propositi: un cuore solo ed un anima sola (60). 
*** 
Presi gli ordini e le opportune istruzioni, sereno e gioviale, Don Sarto si pose  immediatamente al lavoro senza domandare se fosse ingrato, faticoso o  difficile. 
La mattina si alzava prestissimo, e, molte volte, per non disturbare il  sacrestano, apriva egli stesso la Chiesa (61). 
Pregava, faceva la sua Meditazione, si portava all'altare, e, con un gaudio  sempre crescente, come chi ha dimenticato la terra, celebrava la Santa Messa  con un raccoglimento così profondo che un Tombolano nella sua semplice  fede diceva: “Mi pareva di vedere sull’altare Gesù Cristo stesso” (62). 
Poi, pronto ad ogni momento, correva, sollecito dove il dovere lo chiamava.  Non conosceva soste, non conosceva riposo.  
Non si rifiutava mai, anche quando avrebbe potuto con piena giustificazione  dire di no. 
Non perdeva un attimo di tempo: era sempre in moto, non era mai stanco  (63). 
— “El gera un secarello — affermava la nipote del Parroco — tanto magro e  fruà che no dìgo: ma el gera el moto perpetuo” (64). 
*** 
Lavoratore instancabile nel dominio dello spirito, nei momenti più tranquilli  del giorno, ma specialmente alla sera, i Tombolani lo vedevano in chiesa  raccolto in preghiera (65). 
Di notte studiava, scriveva prediche, preparava spiegazioni di Vangelo, di  Catechismo o di Dottrina Cristiana (66). 
 “Spesso d'inverno — raccontava la ricordata nipote del Parroco Don  Costantini — quando io mi alzavo alla mattina con un buio ancora fitto,  vedevo la finestra della sua stanzetta già illuminata. 
— “Stanotte ve sèu desmentegà de stuàr el lume — gli domandavo quando  veniva in Canonica a prendere il caffè. 
— “Oh! no, no — mi rispondeva — gavevo da studiar! 
— “Ma quando dormìo allora? 
-- “Oh! a mi me basta un soneto — diceva sorridendo” (67). 
*** 
Un giorno il Cappellano di Galliera, Don Carminati, suo intimo amico, gli  chiese: 
— Dimmi la verità: quante ore ti bastano di riposo, perché tu possa dire di  aver dormito abbastanza? 
— Quattro ore! — rispose. 
— Beato te! — replicò l'amico — che sai vivere quando noi siamo stanchi  morti (68). 
Il giovane Cappellano dormiva poco, perché lo urgeva il bene delle anime,  perché si sentiva operaio di Dio nel senso più esatto della parola. 

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c.

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