mercoledì 1 gennaio 2025

Quanto importi non fare la propria volontà ma quella di Dio, e quante utilità apporti la mortificazione.

 


LA VOLONTÀ DI DIO    O  STRADA REALE E BREVE  PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE 


Non mi contento di aver detto in generale l'importanza e la pratica di questo esercizio divino; ma voglio discendere più al particolare, e dichiarare quello, in che si riepiloga tutto ciò, e come un'anima santa giungerà a fare in tutto la volontà di Dio, secondo lo stato di questa vita. Al quale effetto bisognano tre cose. La prima, non fare in niente la propria volontà: e questa è come il fondamento delle altre due, perché è impossibile, che adempiamo la volontà di Dio, se attendiamo ad adempire la nostra, della quale dobbiamo prima spogliarci e scaricarci come di una soma intollerabile, non essendovi peso più grave di quello, che sia ciascuno a sé medesimo, per poter poi correre nell'esecuzione del volere di Dio. La seconda, far tutto quello che uno farà, perché è volontà di Dio; e per questo sono necessari e la purità d'intenzione e il conoscimento della divina volontà. La terza, star contenti di tutto quello che Dio vuole: perché uno abbia un medesimo volere e non volere con Dio, non basta fare tutto quello che Dio vuole che faccia, ma è necessario non resistere, né dissentire da quello che Dio vuol fare. Di tutto questo tratteremo, quanto sarà necessario, e di passaggio dichiareremo meglio alcune ragioni, che abbiamo accennato, in conferma dell'utilità ed eccellenza di questo esercizio, fino ad arrivare uno ad avere non solo conformità con la volontà divina, ma anche uniformità, e se così mi è lecito dire, deiformità. 

Venendo alla prima parte, per adempire la volontà divina, è necessario non adempire la nostra, molto più di quello che sia necessario disfarsi il gelo dell'acqua, affinché questa venga a bollire; e come un uomo non può vivere in Roma e insieme in Ispagna, ma per vivere in una parte, deve partire dall'altra, così per vi vere a Dio e in Dio, adempiendo la volontà divina, si deve negare la propria volontà, come il medesimo Cristo ci insegna dicendo, che per seguitarlo deve prima ciascuno negare sé stesso e pigliare la sua croce, cioè negare la sua volontà con tutte le sue passioni, appetiti e altre potenze esteriori e interiori con una universale mortificazione di tutte. Non ispaventi alcuno questo nome tanto rigoroso e aspro agli orecchi di mortificazione totale; ma si considerino i suoi effetti miracolosi e i suoi frutti soavissimi; e starà ognuno tanto lontano dal temerla, che con tutte le sue forze l'abbraccierà; o se non ha tanta fortezza, almeno non potrà ingannare sé stesso ancorché voglia, e giudicherà che si deve abbracciare e desiderare. Forse il mansuetissimo Dio sarà divenuto tiranno, che sia per rallegrarsi senza cagione e frutto del nostro scarnificamento, vedendo a i suoi figli diletti macerate le carni con cilici, illividite con battiture, famelici, sitibondi, umiliati, afflitti e senza gusto della terra? Gran bene per certo deve risultare da questo, poiché un Dio, tanto buono e pietoso e amoroso Padre, ce l' ha incaricato tante volte e tanto di proposito, così per bocca dell'Unigenito suo diletto, come per quella de' suoi Profeti e Apostoli. Come avrebbe Gesù, tanto mansueto e umile di cuore, avuto il coraggio di pronunciare sentenza così cruda, quale fu quando disse: Se alcuno vuol venire dietro di me, rinneghi sé stesso e prenda la sua croce...(Matt. 16, 24. - Marc. 8, 34) se non fosse stato, che in questo avviso ci faceva gran favore, per i frutti grandi che nascono da questa rinuncia? E sebbene è vero che per animarci ad essa non abbiamo bisogno di saper altro, se non che piace a questo Signore, tuttavia accennerò alcuni altri beni che porta seco, perché almeno conosciamo quanto ragionevole e giusto è questo divino volere e quanto profittevole per noi; perché se nella mortificazione, che è la cosa che più ci spaventa, ritroviamo queste utilità, non dubiteremo che si ritrovino anche in tutte le altre cose più aggradevoli. 

Sono adunque tanti i frutti della mortificazione e annegazione della propria volontà, che piuttosto ci potremmo lamentar di Dio, se non ce l'avesse raccomandata tanto di proposito e non ci avesse avvisati, che ci era tanto conveniente. Se un padre vedesse che un suo figlio savio, ben disposto, grazioso, robusto è caduto ammalato e giace in un letto all'ospedale, frenetico, sfigurato, deformato,  sì debole da non poter muovere un braccio, con un gusto sì guasto fino a sostentarsi solo di cose immonde; ed egli sapesse un rimedio col quale potesse non solo liberare il figlio dalla morte, ma renderlo sano e più forte che mai, con maggior disposizione e vaghezza di prima, e col gusto purgato per godere il sapore e la dolcezza dei cibi delicati…, non farebbe un'empietà tener segreto questo medicamento, senza dirlo ad alcuno, né procurare di darlo al figlio? Senza dubbio un padre simile sarebbe tenuto da tutti per stolto o per inumano, avendo un sì crudele odio al suo figliuolo, Quello dunque che non ci parrebbe bene in un uomo, perché non lo vogliamo in Dio? Come non vogliamo che egli non pubblicasse in tutta la sacra Scrittura, con gli esempi e con le parole de' suoi santi Profeti e per bocca del suo Unigenito Figliuolo, tanto gran ristoro della nostra natura corrotta e inferma, quale è la mortificazione con l'aiuto della sua grazia? Per suo mezzo si compongono gli affetti, si regola l'appetito, si purga l'intelletto, si riforma lo spirito, restituendolo alla sua antica nobiltà, e talvolta a maggiore, con maggiori gradi di santità. Perché dunque Dio aveva a tacer questo e, non pubblicare e lodare un rimedio tanto notabile? E perché noi non dobbiamo gradire questo avviso e non ci abbiamo a ristorare con tale medicina?

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P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J. 

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