ILDEGARDA DI BINGEN
L’unità nella Trinità
In principio c’è l’unità.” Tutte le creature”, dice in una lettera,“furono prima del tempo in Dio Padre. Egli li aveva ordinato in sé e poi il Figlio li tradusse in atto. Dio aveva presso di sé davanti ai suoi occhi tutte le creature come una luce, Solo quando egli pronunciò il fiat essi si rivestirono di un corpo. Tutta la creazione sorge della pienezza della definitiva decisione di Dio e ogni creatura si riferisce all’uomo, perché egli, l’uomo, è il cuore del mondo. Ogni creatura, per quanto piccola e nascosta, porta in sé le tracce della Trinità”.5
Quando s’inizia la trattazione del tema della malattia, ci si presenta immediatamente la domanda sull’origine del male, o meglio, del dolore. Perché e da dove? Perché, se è vita, è vita e malattia?
Come è entrato il male nel mondo e quale n’è la radice? Questo l’abbiamo detto; Ildegarda dà le sue risposte a riguardo del male e quali sono le cause ultime dell’essere malati. Il male non ha un essere, perché non è stato creato, è semplicemente un danno. Ogni danno a cose o a persone si manifesta come una perdita di essere, così anche la malattia è una perdita del proprio essere, un nulla. E come nessun danno è qualcosa di creativo, così pure la malattia è qualcosa che indebolisce e si manifesta come ciò che toglie, diminuisce, è una rinuncia, un annullarsi. Il fa tto patologico si afferma sempre come un prendere parte al nulla, senza qualità positive e senza sostrato. Non ha nessuna causa costituente, solo una causa deficiente.
Come si potrebbe comprendere effettivamente questa causa? Quel che lo promuove è, risp etto al corpo umano, qualcosa di negativo. La sua natura è mancanza, errore, deficienza, decadenza, caduta, deperimento, declino. Un essere minorato che si minora e si riduce a meno, in tutti i casi, una distruzione. Così per Ildegarda, la malattia appare sotto l‘aspetto del vuoto, dell’arido, di una confisca, una decadenza, di un dover essere che non è giunto al suo fine, un essere di meno di quello che dovrebbe essere, una mancanza di quelle che sono le caratteristiche della vita. La malattia, per Ildegarda, significa una mancanza di vero sviluppo, una deficienza, un rimanere indietro, un non avere luogo. La malattia non segna un processo, ma solo una disintegrazione dell’essere e il fatto che la vita possa distruggersi è sempre un mistero. Riguardo alla genesi delle malattie, Ildegarda prende posizione non da una tara della materia o di una colpa del malato. Dio nella sua paterna bontà creò solo quanto è buono. La volontà di essere libero, sbagliando nella sua scelta, si ribella e cade nel nulla. Questa è la superbia, quel volere di ciò che non è. La superbia è l’affermazione di un opinione ostinata e riottosa, che prende in considerazione soltanto se stessa e non pone fiducia in niente. L’uomo, se vuole essere uomo, è sempre in relazione, una buonarelazione. La superbia vuole sempre quello che Dio non vuole e crede sempre e solo quello che lei stessa ha fissato. È cupa, oscura, perché rifiuta la luce della verità ed incomincia quanto non potrà mai portare a termine. Per questo è in sé nulla, perché non è stata creata e non è stata fatta da Dio.
Lei si è creata, lo conferma la sua esistenza, solo nel guardare un altro, nel porre fiducia, mentre il tenere in considerazione soltanto se stessi è l’immagine di quanto estirpa e distrugge ogni valore, spirituale e biologico. Quanto avviene nel cosmo è sempre in relazione e rapporto scambievole con il tutto. “Liberi” significa essere in relazione.
Ogni creatura per questo deve guardare al suo Creatore, non porre la sua ambizione esclusivamente alla conquista di una piccola gloria personale, di un vantaggio personale. Nello Scivias, l’inizio della ribellione trova la sua espressione nel volgere via lo sguardo. Ildegarda vede una grande stella, Lucifero, che non vuol più guardare Dio. Nel momento in cui non vuol più guardare Dio, si estingue e, da stella lucentissima che era, si trasforma in nero carbone. L’uomo non può avere un dono perfetto di sé e da sé, deve riceverlo sempre da un altro. Solo quando impara a conoscere il dono della gioia che proviene dall’altro e della gioia di donare ad un altro, “…prova giubilo ardente nel cuore”, così dice Ildegarda nel Libro delle opere di Dio. L’essere dotato di ragione non esce fuori da sé, non guarda a sé, non ha mai come fine se stesso. La ragione rivolge il suo canto di lode sempre ad un altro. Per questo il suo canto è per un altro, la sua luce si riflette sempre su di un altro.
Lucifero vuole risuonare per se stesso, non per un altro ed è stato tagliato fuori, lontano dall’essere divino. Non può più cantare.
Senza necessaria conoscenza e senza tener contro delle altre creature, egli volle costruire il suo proprio regno al settentrione, lontano da Dio, ma Dio lo colpì, creando dal fango un essere fornito di anima e corpo, un’unità, e proprio il corpo, con cui Lucifero a veva pensato di allettare l’uomo, diventa l’esca che lo prenderà prigioniero. Ildegarda pensa a Cristo. L’inganno a Lucifero è riuscito6 e la storia della sua caduta è il tema della storia del mondo. L’opera di Dio, che lo ha cacciato dal paradiso, già ci ha diviso in terra. Ma attraverso quanto è stato diviso scorre la linea della salvezza.
Il paradiso resta e rimane intatto nella sua luminosità. Tra l’essere e il non essere c’è il ponte e il punto di contatto. Quello che è, è buono, vitale, attivo, fecondo. Quello che non è, è male in sé, perdita, morte e vanità. La tendenza di distruggersi da sé è al tempo stesso il castigo per la ribellione a Dio. E questo lo possiamo forse vedere nella storia.
Sr. ANGELA CARLEVARIS osb
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