giovedì 3 settembre 2020

Dare la comunione così è un sacrilegio: meglio astenersi




“Dare la comunione  così è un sacrilegio: meglio astenersi”: lo dice in questa intervista che ci ha rilasciato don Leonardo Ricotta, bravo parroco a Palermo-Villabate, parrocchia Sant’Agata V. M.


Don Leonardo, da lunedì darete secondo il protocollo (anche non è contemplato) la comunione in mano e con un guanto in lattice…

La daranno loro, io no. Queste sono aberrazioni liturgiche ed io cerco di rispettare rettamente la fede cattolica. Amministrare così la comunione è un sacrilegio. Frammenti del Corpo di Cristo potranno appiccicarsi ai guanti che poi si buttano. Che faccio getto Cristo nella raccolta della plastica? Preferisco non darla.



Cioè?

Piuttosto che commettere un atto di sacrilegio e farlo fare ai miei parrocchiani, non la distribuirò e farò fare quella spirituale. Se devo dare al mio popolo un cibo avvelenato, molto meglio stare a digiuno. Poi  quella spirituale ha ugualmente valore considerato che essi ne hanno anche nel desiderio. Nel passato  e penso al regime sovietico tanti volevano prenderla  e non potevano: la fede non è morta perché vi era il desiderio. La vita di fede è certamente sacramentale, ma quando non è possibile, o cercano di trasformarla in un sacrilegio,  Dio crea dei bypass.



I suoi superiori potranno valutare la sua condotta  come disobbedienza…

No. Inoltre l’obbedienza va data ad ordini rispondenti al diritto naturale non a cose ingiuste. Io devo rispettare il Vangelo e chiunque mi imponga il contrario, qualunque incarico abbia nella Chiesa, avrebbe il mio garbato, ma fermo diniego. Le faccio un esempio. Se il mio vescovo mi dice che devo andare a fare il parroco dove non mi piace, ci vado e obbedisco. Ma se mi impone di andare contro la fede o di calpestare l’Ostia,  non posso obbedire. Insomma, l’obbedienza si ha nel lecito e non nell’illecito, questa la grande lezione di San Tommaso di Aquino. Quello che stanno per compiere è un atto di macelleria eucaristica, Padre Pio li chiamava macellai.



Insomma, ribadisce il suo no…

Assolutamente non ci sto al sacrilegio.



Che cosa pensa della Chiesa cattolica di oggi?

Si è liquefatta in questo momento, coprendosi di ridicolo, obbedisce senza colpo ferire, dimenticando la sua dignità e lo stesso Concordato al Cesare. Che senso ha una Chiesa di mascherine? E’ ridicola. Questa Chiesa non soffre, non prega, non combatte, sotto l’influsso di  un progetto satanico. In ogni caso Dio interverrà, non può continuare in questo modo, siamo al punto di non ritorno.



Le è piaciuta la preghiera universale tra le religioni contro la pandemia?

Ma quando mai, è frutto di un ecumenismo fasullo e sbagliato, di stampo massonico ed universalista. In più stiamo subendo una invasione islamica.



Non teme  i rimproveri dei superiori?

No. Mi metto serenamente nelle mani di Dio con la coscienza a  posto.




Intervista rilasciata da Don Leonardo Ricotta 16 maggio 2020 al sito La Fede quotidiana

mercoledì 2 settembre 2020

Le quattro consolazioni dello Spirito Santo



"Non possiamo arrivare a una conclusione sullo stato della nostra anima dalla sua sofferenza o dalla sua gioia ... La consolazione indica, certamente, che l'anima ha fatto un passo nella vita spirituale, ma la desolazione può essere un segno che è ancora più vicina al vertice."
- Luis M. Martinez, Vera devozione allo Spirito Santo
Consolazioni e desolazioni, proprio come le stagioni, si susseguono per tutta la vita. Uno spesso precede l'altro. Dio di solito inonda un'anima di consolazioni per rafforzarla per un imminente periodo desertico, ma anche le desolazioni lasciano il posto a ondate di conforto.
Lo scrittore spirituale Luis M. Martinez ha scritto di quattro consolazioni dello Spirito Santo che potremmo non riconoscere mentre stiamo afferrando disperatamente qualsiasi segnale che Dio sia con noi. Tendiamo a considerare i sentimenti caldi come un'indicazione che tutto va bene con la nostra anima, ma ci sono altri modi in cui Dio ci eleva in modi più sottili, persino impercettibili.

La consolazione della libertà

"Se non siamo felici, è perché non siamo liberi, perché portiamo catene di cui potremmo non essere consapevoli o che potremmo persino amare" (p. 213).

La libertà è una consolazione dello Spirito Santo, anche quando viviamo in circostanze insolite o addirittura disumane (pensate ai campi di concentramento e ai gulag). Viktor Frankl, uno psichiatra e sopravvissuto all'Olocausto, ha scritto nel suo classico, Man's Search for Meaning , che nessuno può togliere la propria libertà interiore di scegliere.
Il libero arbitrio è l'ultimo dono dello Spirito Santo.

La consolazione dell'Unione

“… Una consolazione molto solida, intima, una consolazione che ci fa dimenticare i guai della vita, o almeno li avvolge nello splendore della felicità celeste: la consolazione dell'unione” (p. 214).
È difficile respirare alcuni giorni, non è vero? Quando il mondo travolge e le nostre menti girano così velocemente che non abbiamo quasi un momento per fermarci e pregare, ci sentiamo come se potessimo crollare. Io ho.
In diverse occasioni, lo Spirito Santo intercede. Sono sull'orlo di un guasto e improvvisamente intravisto un uccello insolito nel nostro cortile. Oppure uno dei miei figli dice qualcosa di spiritoso. Oppure un amico si ferma con un cesto di dolcetti e regali.
L'unione con Dio avviene a scatti mentre siamo ancora sulla via della Via Unitiva. Queste sono consolazioni destinate a rafforzarci per i tempi in cui siamo stanchi e oppressi dalla vita.
La consolazione della speranza
“Se viviamo la vita cristiana, abbiamo nel nostro cuore 'la sostanza delle cose in cui sperare' (Ebrei 11: 1) ... E ci rallegriamo nella nostra speranza, non solo perché confidiamo nella promessa di Dio, ma anche perché portiamo dentro di noi la garanzia del suo compimento ”(p. 215).
A volte la speranza è tutto ciò che ci resta. Il mondo è in rovina con la polarizzazione politica, disordini e guerre, povertà e corruzione, incertezza con la crisi sanitaria globale e prove personali. Le persone muoiono ancora di cancro, lottano contro l'abuso di sostanze e riescono a malapena a cavarsela finanziariamente.
Dov'è la speranza?
Penso ai momenti in cui ricordo il buono, il bello e il vero. Esistono ancora. A volte dobbiamo cercare a lungo per trovarli, ma stanno sbirciando attraverso i pezzi incrinati delle nostre vite. Per me, è la fedeltà di un'alba, il caloroso canto funebre di un cardinale del cortile o un ricordo della provvidenza di Dio.
La speranza ci trasporta attraverso luoghi sconosciuti e oscuri.

La consolazione del dolore

“Il dolore illumina; ci sono cose che non comprendiamo a meno che non abbiamo sofferto, perché il dolore getta una speciale luce celeste sul nostro spirito ”(p. 244).
Può lasciare perplessi considerare il dolore una consolazione di Dio. Non conosco nessuno che cerchi il dolore come segno del favore di Dio, sebbene molti santi abbiano saggiamente attribuito le loro sofferenze all'amore più profondo di Dio. Non cogliamo veramente la profondità del sacrificio di Gesù per noi finché anche noi non abbiamo sofferto in qualche modo.
La sofferenza può avvicinarci di più al cuore di Dio. Quando il mio dolore fisico e psicologico mi causa un grande dolore, mi rivolgo ancora di più a Dio. Non sempre sento la Sua voce o provo sollievo, ma guardo alla Croce e ricordo che c'è uno scopo misterioso per le mie lotte in questa vita. Qui sta la consolazione.
Dobbiamo ricordare che le stagioni di consolazione ci preparano per i periodi aridi del nostro cammino spirituale. Entrambi sono doni. Le consolazioni possono arrivare in uno di questi quattro modi inaspettati, che spesso sembrano più aspetti di desolazione che comfort. Come per molti aspetti della vita cristiana, le sofferenze e le gioie si mescolano, così da diventare indistinguibili l'una dall'altra.
Tutta la vita è agrodolce. Ed è buono.
Jeannie Ewing

Invocazione al Padre



Padre, dai conforto allo sfiduciato.
Ascoltaci o Padre. Padre, fai Luce allo smarrito di mente e di cuore.
Ascoltaci o Padre. Padre, consola l'afflitto.
Ascoltaci o Padre. Padre, ravviva la nostalgia di Te allo sviato.
Ascoltaci o Padre. Padre, fai coraggio al timido.
Ascoltaci o Padre. Padre, rendi docile il ribelle.
Ascoltaci o Padre. Padre, sollecita al bene chi non è disponibile a farlo.
Ascoltaci o Padre. Padre, rendi strumento di Pace chi semina odio.
Ascoltaci o Padre. Padre, tra i fratelli, figli devoti e fedeli del tuo Amore, suscita coloro che siano capaci di diffondere, anche eroicamente, il profumo della tua Santità.
Ascoltaci o Padre. Padre, nessuno venga meno alla fedeltà nell'esserTi figlio, nell'adempiere il dovere di sostenere con coraggio la diffusione del tuo Regno di Bene e di Pace. Ascoltaci o Padre.

 (Madre Eugenia Elisabetta Ravasio)

Lasciate le cose di questo mondo e fate si che la vostra giornata sia una continua preghiera.



Trevignano Romano, 1 settembre 2020

Chiesa di Santa Maria dell’Assunta
Figli amati, grazie per aver risposto alla mia chiamata nel vostro cuore e grazie per essere qui riuniti nella preghiera. Figli miei, oggi in mezzo a tutto questo dolore vengo a dare speranza, la speranza di un mondo migliore e pieno d'amore, perché il regno di Dio è molto vicino. Presto sentirete nei vostri cuori tanto amore, saggezza, dolcezza, perché presto questo tempo di paura, d’ingiustizia, di orgoglio non esisterà più. Dio sta scuotendo il mondo, la terra e le vostre coscienze affinché voi possiate inginocchiarvi riconoscendo il vostro solo e unico Dio. E’così che Gesù aprirà le sue braccia, dando a chi ha creduto le dolcezze del nuovo mondo. Lasciate le cose di questo mondo e fate si che la vostra giornata sia una continua preghiera. Cari figli, non temete perché io sarò sempre con voi, soprattutto per confortarvi in questi tempi tristi. Ora vi lascio con la mia materna Benedizione, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Amen.

Santi Martiri del I – II e III Secolo



Dalla Gerarchia Cardinalizia di  Carlo Bartolomeo Piazza 

e dalle Rivelazioni Private della mistica Maria Valtorta 


Martirio delle Sante Perpetua e Felicita. 


1 marzo l944 

Mi dice Gesù, verso le 17: 

«Non era mia intenzione darti questa visione questa sera. Avevo  intenzione di farti vivere un altro episodio dei “vangeli della fede”64. 
Ma è stato espresso un desiderio da chi merita d’esser accontentato. 
E Io accontento. Nonostante i tuoi dolori, vedi, osserva e descrivi. I  tuoi dolori li dài a Me e la descrizione ai fratelli.» 
E nonostante i miei dolori, tanto forti - per cui mi pare di avere il  capo stretto in una morsa che parte dalla nuca e si congiunge sulla  fronte e scende verso la spina dorsale, un male terribile per cui ho  pensato mi stesse per scoppiare una meningite e poi mi sono svenuta  - scrivo. È tanto forte anche ora. Ma Gesù permette che riesca a  scrivere per ubbidire. Dopo... dopo sarà quel che sarà. 
Le assicuro, intanto, che passo di sorpresa in sorpresa; perché per  prima cosa mi trovo di fronte a degli africani, arabi per lo meno,  mentre ho sempre creduto che questi santi fossero europei. Ché non  avevo la minima nozione della loro condizione sociale e fisica e del  loro martirio. Di Agnese sapevo vita e morte.65 Ma di questi! È come  se leggessi un racconto sconosciuto. 
Per prima illustrazione, avanti di svenirmi, ho visto un anfiteatro  su per giù come il Colosseo (ma non rovinato), vuoto per allora di  popolo. Solo una bellissima e giovane mora è ritta là in mezzo e  sollevata dal suolo, raggiante per una luce beatifica che si sprigiona dal suo corpo bruno e dalla scura veste che lo copre. Sembra l’angelo del luogo. Mi guarda e sorride. Poi mi svengo e non vedo più nulla.  
Ora la visione si completa. Sono in un fabbricato che, per la  mancanza di ogni e qualsiasi comodità e per la sua arcigna apparenza,  mi si rivela come una fortezza adibita a carcere. Non è il sotterraneo  del Tullianum visto ieri. Qui sono stanzette e corridoi sopraelevati.  Ma così scarsi di spazio e di luce e così muniti di sbarre e di porte  ferrate e piene di chiavistelli, che quel “che” di migliore che hanno in posizione viene annullato dal loro rigore che annulla la benché più  piccola idea di libertà. 
In una di queste tane è seduta su un tavolaccio, che fa da letto,  sedile e tavola, la giovane mora che ho visto nell’anfiteatro. Ora non emana luce. Ma unicamente tanta pace. Ha in grembo un piccino di  pochi mesi al quale dà il latte. Lo ninna, lo vezzeggia con atto di  amore. Il bambino scherza con la giovane madre e strofina la sua  faccetta molto olivastra contro la bruna mammella materna, e vi si  attacca e stacca con avidità e con subite risatine piene di latte. 
La giovane è molto bella. Un viso regolare piuttosto tondo, con  bellissimi occhi grandi e di un nero vellutato, bocca tumida e piccina  piena di denti candidissimi e regolari, capelli neri e piuttosto crespi  ma tenuti a posto da strette trecce che le si avvolgono intorno al  capo. Ha il colorito di un bruno olivastro non eccessivo. Anche fra noi italiani, e specie del meridione d’Italia, si vede quel colore,  appena un poco più chiaro di questo. Quando si alza per  addormentare il piccino andando su e giù per la cella, vedo che è alta  e formosa con grazia. Non eccessivamente formosa, ma già ben  modellata nelle sue forme. Sembra una regina per il portamento  dignitoso. È vestita di una veste semplice e scura, quasi quanto la sua  pelle, che le ricade in pieghe morbide lungo il bel corpo. 
Entra un vecchio, moro lui pure. Il carceriere lo fa entrare  aprendo la pesante porta. E poi si ritira. La giovane si volge e sorride.  Il vecchio la guarda e piange. Per qualche minuto restano così. 
Poi la pena del vecchio prorompe. Con affanno supplica la figlia di aver pietà del suo soffrire: “Non è per questo” le dice “che ti ho generato. Fra tutti i figli ti ho amata, gioia e luce della mia casa. Ed  ora tu ti vuoi perdere e perdere il povero padre tuo che sente morirsi  il cuore per il dolore che gli dài. Figlia, sono mesi che ti prego. Hai  voluto resistere ed hai conosciuto il carcere, tu nata fra gli agi.  Curvando la mia schiena davanti ai potenti t’avevo ottenuto di esser ancora nella tua casa per quanto come prigioniera. Avevo promesso  al giudice che ti avrei piegata con la mia autorità paterna. Ora egli mi  schernisce perché vede che di essa tu non ti sei curata. Non è questo  quel che dovrebbe insegnarti la dottrina che dici perfetta. Quale Dio  è dunque quello che segui, che ti inculca di non rispettare chi ti ha  generato, di non amarlo, perché se mi amassi non mi daresti tanto  dolore? La tua ostinazione, che neppure la pietà per quell’innocente ha vinto, ti ha valso di esser strappata alla casa e chiusa in questa  prigione. Ma ora non più di prigione si parla, ma di morte. E atroce.  Perché? Per chi? Per chi vuoi morire? Ha bisogno del tuo, del nostro  sacrificio - il mio e quello della tua creatura che non avrà più madre -  il tuo Dio? il suo trionfo ha bisogno del tuo sangue e del mio pianto  per compiersi? Ma come? La belva ama i suoi nati e tanto più li ama  quanto più li ha tenuti al seno. Anche in questo speravo e per questo  ti avevo ottenuto di poter nutrire il tuo bambino. Ma tu non muti. E  dopo averlo nutrito, scaldato, fatto di te guanciale al suo sonno, ora  lo respingi, lo abbandoni senza rimpianto. Non ti prego per me. Ma  in nome di lui. Non hai il diritto di farne un orfano. Non ha diritto il  tuo Dio di fare questo. Come posso crederlo buono più dei nostri se  vuole questi sacrifici crudeli? Tu me lo fai disamare, maledire sempre  più. Ma no, ma no! Che dico? Oh! Perpetua, perdona! Perdona al tuo  vecchio padre che il dolore dissenna. Vuoi che lo ami il tuo Dio? Lo amerò più di me stesso, ma resta fra noi. Di’ al giudice che ti pieghi. 
Poi amerai chi vuoi degli dèi della terra. Poi farai del padre tuo ciò  che vuoi. Non ti chiamo più figlia, non son più tuo padre. Ma il tuo  servo, il tuo schiavo, e tu la mia signora. Domina, ordina ed io ti  ubbidirò. Ma pietà, pietà. Salvati mentre ancora lo puoi. Non è più tempo di attendere. La tua compagna ha dato alla luce la sua  creatura, lo sai, e nulla più arresta la sentenza. Ti verrà strappato il  figlio; non lo vedrai più. Forse domani, forse oggi stesso. Pietà, figlia!  Pietà di me e di lui che non sa parlare ancora, ma lo vedi come ti  guarda e sorride! Come invoca il tuo amore! Oh! Signora, mia  signora, luce e regina del cuor mio, luce e gioia del tuo nato, pietà, pietà!”  
Il vecchio è ginocchioni e bacia l’orlo della veste della figlia e le abbraccia i ginocchi e cerca prenderle la mano che ella si posa sul  cuore per reprimerne lo strazio umano. Ma nulla la piega. 
“È per l’amore che ho per te e per lui che rimango fedele al mio Signore” ella risponde. “Nessuna gloria della terra darà al tuo capo bianco e a questo innocente tanto decoro quanto ve ne darà il mio  morire. Voi giungerete alla Fede. E che direste allora di me se avessi  per viltà di un momento rinunciato alla Fede? il mio Dio non ha  bisogno del mio sangue e del tuo pianto per trionfare. Ma tu ne hai  bisogno per giungere alla Vita. E questo innocente per rimanervi. Per  la vita che mi desti e per la gioia che egli mi ha dato, io vi ottengo la  Vita che è vera, eterna, beata. No, il mio Dio non insegna il disamore  per i padri e per i figli. Ma il vero amore. Ora il dolore ti fa delirare,  padre. Ma poi la luce si farà in te e mi benedirai. Io te la porterò dal  cielo. E questo innocente non è che io l’ami meno, ora che mi sono fatta svuotare dal sangue per nutrirlo. Se la ferocia pagana non fosse  contro noi cristiani, gli sarei stata madre amantissima ed egli sarebbe  stato lo scopo della mia vita. Ma più della carne nata da me è grande Iddio, e l’amore che gli va dato infinitamente più grande. Non posso neppure in nome della maternità posporre il suo amore a quello di  una creatura. No. Non sei lo schiavo della figlia tua. Io ti son sempre  figlia e in tutto ubbidiente fuorché in questo: di rinunciare al vero  Dio per te. Lascia che il volere degli uomini si compia. E se mi ami,  seguimi nella Fede. Là troverai la figlia tua, e per sempre, perché la  vera Fede dà il Paradiso, ed a me il mio Pastore santo ha già dato il benvenuto nel suo Regno”. 
E qui la visione ha un mutamento, perché vedo entrare nella cella  altri personaggi: tre uomini ed una giovanissima donna. Si baciano e  si abbracciano a vicenda. Entrano anche i carcerieri per levare il figlio  a Perpetua. Ella vacilla come colpita da un colpo. Ma si riprende. 
La compagna la conforta: “Io pure, ho già perduto la mia creatura. Ma essa non è perduta. Dio fu meco buono. Mi ha  concesso di generarla per Lui e il suo battesimo si ingemma del mio  sangue. Era una bambina... e bella come un fiore. Anche il tuo è  bello, Perpetua. Ma per farli vivere in Cristo questi fiori hanno bisogno del nostro sangue. Duplice vita daremo loro così”. 
Perpetua prende il piccino, che aveva posato sul giaciglio e che  dorme sazio e contento, e lo dà al padre dopo averlo baciato  lievemente per non destarlo. Lo benedice anche e gli traccia una croce  sulla fronte ed una sulle manine, sui piedini, sul petto, intridendo le  dita nel pianto che le cola dagli occhi. Fa tutto così dolcemente che il  bambino sorride nel sonno come sotto una carezza.  
Poi i condannati escono e vengono, in mezzo a soldati, portati in una oscura cavea dell’anfiteatro in attesa del martirio. Passano le ore  pregando e cantando inni sacri, esortandosi a vicenda all’eroismo.  Ora mi pare di essere io pure nell’anfiteatro che ho già visto. È pieno di folla per la maggior parte di pelle abbronzata. Però vi sono  anche molti romani. La folla rumoreggia sulle gradinate e si agita. La  luce è intensa nonostante il velario steso dalla parte del sole. 
Vengono fatti entrare nell’arena, dove mi pare siano stati già eseguiti dei giuochi crudeli perché è macchiata di sangue, i sei martiri  in fila. La folla fischia e impreca. Essi, Perpetua in testa, entrano cantando. Si fermano in mezzo all’arena e uno dei sei si volge alla folla. 
“Fareste meglio a mostrare il vostro coraggio seguendoci nella Fede e non insultando degli inermi che vi ripagano del vostro odio  pregando per voi e amandovi. Le verghe con cui ci avete fustigato, il carcere, le torture, l’aver strappato a due madri i figli - voi bugiardi che dite d’esser civili e attendete che una donna partorisca per poi ucciderla e nel corpo e nel cuore separandola dalla sua creatura, voi  crudeli che mentite per uccidere perché sapete che nessuno di noi vi  nuoce, e men che mai delle madri che altro pensiero non hanno che  la loro creatura - non ci mutano il cuore. Né per quanto è amore di  Dio né per quanto è amore di prossimo. E tre, e sette, e cento volte  daremmo la vita per il nostro Dio e per voi. Perché voi giungiate ad  amarlo, e per voi preghiamo mentre già il Cielo su noi si apre: Padre  nostro che sei nei cieli...”. In ginocchio i sei santi martiri pregano. 
Si apre un basso portone e irrompono le fiere che, per quanto  sembrano bolidi tanto sono veloci nella corsa, mi paiono tori o bufali  selvaggi. Come una catapulta ornata di corna pontute, investono il  gruppo inerme. Lo alzano sulle corna, lo sbattono per aria come  fossero tanti cenci, lo riabbattono al suolo, lo calpestano. Tornano a  fuggire come pazzi di luce e di rumore e tornano a investire.  
Perpetua, presa come un fuscello dalle corna di un toro, viene  scaraventata molti metri più là. Ma per quanto ferita, si rialza e sua  prima cura è di ricomporsi le vesti strappate sul seno. Tenendosele  con la destra, si trascina verso Felicita caduta supina e mezza  sventrata, e la copre e sorregge facendo di sé appoggio alla ferita. Le  bestie tornano a ferire finché i cinque malvivi sono stesi al suolo. 
Allora i bestiari le fanno rientrare e i gladiatori compiono l’opera.  Ma, fosse pietà o inesperienza, quello di Perpetua non sa uccidere. 
La ferisce, ma non prende il punto giusto. “Fratello, qua, che io ti  aiuti” dice ella con un filo di voce e un dolcissimo sorriso. E, appoggiata la punta della spada contro la carotide destra, dice: 
“Gesù, a Te mi raccomando! Spingi, fratello. Io ti benedico” e sposta  il capo verso la spada per aiutare l’inesperto e turbato gladiatore. 

Dice Gesù: 

«Questo è il martirio della mia martire Perpetua, della sua compagna Felicita e dei suoi compagni. Rea di esser cristiana.  Catecumena ancora. Ma come intrepida nel suo amore per Me! Al  martirio della carne ella ha unito quello del cuore, e con lei Felicita.  Se sapevano amare i loro carnefici, come avranno saputo amare i figli  loro? 
Erano giovani e felici nell’amore dello sposo e dei genitori.  Nell’amore della loro creatura. Ma Dio va amato sopra ogni cosa. Ed esse lo amano così. Si strappano le loro viscere separandosi dal loro piccino, ma la Fede non muore. Esse credono nell’altra vita. 
Fermamente. Sanno che essa è di chi fu fedele e visse secondo la  Legge di Dio. 
Legge nella legge è l’amore. Per il Signore Iddio, per il prossimo loro. Quale amore più grande di dare la vita per coloro che si ama, così come l’ha data il Salvatore per l’umanità che Egli amava? Esse  dànno la vita per amarmi e per portare altri ad amarmi e possedere perciò l’eterna Vita. Esse vogliono che i figli e i genitori, gli sposi, i fratelli e tutti coloro che esse amano di amore di sangue o di amore  di spirito - i carnefici fra questi poiché Io ho detto: “Amate coloro  che vi perseguitano”66 - abbiano la Vita del mio Regno. E, per  guidarli a questo mio Regno, tracciano col loro sangue un segno che  va dalla Terra al Cielo, che splende, che chiama. 
Soffrire? Morire? Cosa è? È l’attimo che fugge. Mentre la vita eterna resta. Nulla è quell’attimo di dolore rispetto al futuro di gioia che le attende. Le fiere? Le spade? Che sono? Benedette siano esse  che dànno la Vita. 
Unica preoccupazione - poiché chi è santo lo è in tutto - di  conservare la pudicizia. In quel momento, non della ferita ma delle  vesti scomposte hanno cura. 
Poiché, se vergini non sono, sono sempre delle pudiche. Il vero  cristianesimo dà sempre verginità di spirito. La mantiene, questa bella  purezza, anche là dove il matrimonio e la prole han levato quel sigillo che fa dei vergini degli angeli. 
Il corpo umano lavato dal Battesimo è tempio dello Spirito di Dio. Non va  dunque violato con invereconde mode e inverecondi costumi. Dalla  donna, specie dalla donna che non rispetta se stessa, non può che  venire una prole viziosa e una società corrotta, dalla quale Dio si  ritira e nella quale Satana ara e semina i suoi triboli che vi fanno  disperare.» 

A cura di Mario Ignoffo

Perciò uscite di mezzo a loro e separatevi, dice il Signore, non toccate nulla d’impuro. E io vi accoglierò 18 e sarò per voi un padre e voi sarete per me figli e figlie, dice il Signore onnipotente (2Cor 6,1-18).



LIBRO DEL PROFETA GEREMIA 


***

Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito.

Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.

Consapevoli dunque del timore del Signore, noi cerchiamo di convincere gli uomini. A Dio invece siamo ben noti; e spero di esserlo anche per le vostre coscienze. Non ci raccomandiamo di nuovo a voi, ma vi diamo occasione di vantarvi a nostro riguardo, affinché possiate rispondere a coloro il cui vanto è esteriore, e non nel cuore. Se infatti siamo stati fuori di senno, era per Dio; se siamo assennati, è per voi.

L’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro. Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.

Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio (2Cor 5,1-21).

Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio.
Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!

Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga criticato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza: nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, con sapienza, con magnanimità, con benevolenza, con spirito di santità, con amore sincero, con parola di verità, con potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama; come impostori, eppure siamo veritieri; come sconosciuti, eppure notissimi; come moribondi, e invece viviamo; come puniti, ma non uccisi; come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!

La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi; il nostro cuore si è tutto aperto per voi. In noi certo non siete allo stretto; è nei vostri cuori che siete allo stretto. Io parlo come a figli: rendeteci il contraccambio, apritevi anche voi!

Non lasciatevi legare al giogo estraneo dei non credenti. Quale rapporto infatti può esservi fra giustizia e iniquità, o quale comunione fra luce e tenebre? Quale intesa fra Cristo e Bèliar, o quale collaborazione fra credente e non credente? Quale accordo fra tempio di Dio e idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente, come Dio stesso ha detto: Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo. Perciò uscite di mezzo a loro e separatevi, dice il Signore, non toccate nulla d’impuro. E io vi accoglierò 18e sarò per voi un padre e voi sarete per me figli e figlie, dice il Signore onnipotente (2Cor 6,1-18).

In possesso dunque di queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a compimento la santificazione, nel timore di Dio (2Cor 7,1).

Purtroppo la missione di Geremia risulterà vana. Il popolo non solo non si converte, si ribella e si ostina nella sua idolatria, nella sua immoralità. La sentenza viene applicata, il popolo distrutto, Gerusalemme rasa al suolo, i suoi tesori presi e trasportati in Babilonia. 

***

MOVIMENTO APOSTOLICO CATECHESI



SOLO CON LA PREGHIERA SARETE RISPARMIATI!



Domenica 30 agosto 2020 4:00

Figlio mio, Sono Maria, la tua mamma piena di amore per i suoi figli.

A quelli che cercano un rifugio di pace e di tranquillità, dico loro di non temere, perché Li tengo sotto il Mio Mantello Virginale affinché possano ritrovare VITA!

È con la Mia Presenza nel loro cuore che Io posso guidarli fino a Mio Figlio Gesù.



Cari figli, non dimenticate che siete di fronte al Male ed è con la preghiera che voi potete combattere. Uniti al Mio Cuore Immacolato e al Cuore di Mio Figlio con la preghiera, la vostra sicurezza è assicurata in questi giorni di tenebre.

Non dimenticate che il Maligno cerca con tutti i mezzi di traumatizzarvi e a voi scoraggiare. È nella vostra debolezza che Egli viene a cercarvi.

Ogni volta che il vostro cuore si sente pesante, pregate e offrite la vostra pesantezza affinché Dio Nostro Padre trasforma questo male in grazie.


SOLO CON LA PREGHIERA SARETE RISPARMIATI!

L'unica e sola protezione che vi rimane è quella che il Padre vi concede.


Nient'altro potrà essere sufficiente a proteggervi dove tutto crolla per fare posto ad un Nuovo Sistema Mondiale. Il male sarà al suo apice.

Cari figli, CAPITE BENE! che state affrontando la più grande lotta tra Il Bene e il Male e voi siete L'OBIETTIVO. Siate dunque vigilanti e pregate più che mai.


Caro figlio, grazie per il tuo ascolto. Ti amo e Ti benedico. »


Maria, la tua mamma

Robert Brasseur

VITA DI CRISTO



La Circoncisione  

«Passati gli otto giorni, in capo ai quali il bambino doveva essere circonciso, gli venne posto il nome di Gesù com'era stato chiamato dall' angelo prima di esser concepito nel seno materno» (Luca 2: 21)  

La circoncisione era il simbolo del patto stretto da Dio con Abramo e il di lui seme, e aveva luogo l'ottavo giorno dalla nascita.  

La circoncisione presumeva che la persona circoncisa fosse un peccatore, e adesso il Bambino prendeva il posto dei peccatori: qualche cosa avrebbe fatta nel corso della Sua vita. La circoncisione era un segno, una prova della qualità di membro d'Israele. La sola nascita umana non bastava a immettere un bimbo in seno ad Israele: un altro rito occorreva, qual è consegnato nel Libro della Genesi:  «Disse ancora Dio ad Abramo: "Tu poi osserverai il mio patto; e così la tua discendenza dopo di te, nelle sue generazioni. Ed ecco il patto mio, che custodirete, tu ed i tuoi discendenti: ogni maschio di fra voi sarà circonciso; la vostra carne circonciderete, in segno d'alleanza fra me e voi"» (Genesi 17: 9-11).  

La circoncisione, dell’Antico Testamento, era una prefigurazione del battesimo, del Nuovo Testamento. Entrambi simboleggiano una rinunzia della carne al peccato della carne. La prima consisteva in una ferita del corpo; il secondo, nella purificazione dell'anima.  

La prima incorporava il bambino nella comunità di Israele, il secondo incorporava il bambino nella comunità del nuovo Israele, ossia nella Chiesa.  

Il termine «circoncisione» fu in séguito usato nelle Scritture per spiegare il significato spirituale dell'applicazione della Croce alla carne mediante l'autodisciplina.  

Mosè, nel Libro del Deuteronomio, parlò, in termini inequivocabili, della necessità di circoncidere il cuore; e anche Geremia impiegò la stessa espressione; mentre S. Stefano, nell'ultimo messaggio da lui pronunziato prima di essere ucciso, disse ai suoi ascoltatori che essi erano incirconcisi nei cuori e nelle orecchie.  

Sottoponendosi a questo rito, di cui non abbisognava in quanto era senza peccato, il Figlio di Dio impose all'uomo di appagare le esigenze della Sua nazione, allo stesso modo ch'Egli avrebbe osservato tutte le altre norme ebraiche.  

Egli festeggiò la Pasqua; osservò il sabato; partecipò ai conviti, e obbedì all'Antica Legge finché non fu il momento di perfezionarla realizzandone e spiritualizzandone le oscure prefigurazioni secondo che Dio aveva disposto.  

Nella circoncisione del Divino Infante c'era una vaga allusione, un vago accenno al Calvario, a riguardare quella precoce donazione di sangue.  

L'ombra della Croce era già sospesa su un Bambino d'otto giorni d'età. Sette volte Egli avrebbe versato il Proprio sangue, e quella fu la prima, perché le altre sarebbero state l'Agonia nell'Orto, la Flagellazione, l'Incoronazione di Spine, la Via della Croce, la Crocifissione, la Trafittura del Cuore. Sennonché, ogniqualvolta si aveva un'indicazione del Calvario, si aveva anche un segno di gloria, e difatti, nel momento stesso in cui Egli anticipava il Calvario versando il Proprio sangue, Gli venne conferito il nome Gesù.  

Un bambino di soli otto giorni principiava già a versare il Proprio sangue a compimento della Sua già perfetta condizione umana. Di vermiglio si tinse la Sua culla, e significò un indizio del Calvario. Il Prezioso Sangue cominciava il suo lungo pellegrinaggio. Trascorsi otto giorni dalla Sua nascita, Cristo obbediva ad una legge di cui Egli stesso era l'Autore, una legge che in Lui appunto avrebbe trovato la sua ultima applicazione. Nel sangue umano c'era stato il peccato, ed ecco ora il sangue cominciare a versarsi per sopprimere il peccato.  

Come l'oriente assume al tramonto i colori dell'occidente, così la circoncisione riflette il Calvario.  

Dev'Egli cominciar subito la Sua opera di redenzione? La Croce non può aspettare? Vi sarà tempo a sufficienza. Venuto direttamente dalle braccia del Padre a quelle della Sua madre terrena, sulle braccia di lei Egli è portato al Suo primo Calvario.  

E, molti anni dopo, di nuovo dalle braccia di lei sarà preso dopo la mortificazione della carne sulla Croce, dopo che avrà compiuto l'opera del Padre. 

Venerabile Mons. FULTON J. SHEEN 

SOTTO LA GUIDA DELLO SPIRITO



Manifestare i propri desideri


Abbiamo appena visto come la qualità della paternità spirituale dipenda dalla qualità di una relazione umana. Ebbene, la qualità di ogni relazione umana riflette in buona parte la qualità del dialogo che si instaura tra le due persone in questione. Tutta la tradizione è unanime su questo punto: l'accompagnamento si basa sul dialogo, il discepolo interroga suo padre nell'attesa di una parola che si presume che questi sia in grado di offrirgli. Anche il contenuto di questo dialogo è ben attestato: lo si chiama comunemente apertura del cuore o manifestazione dei pensieri. Di cosa si tratta? Precisiamo subito che è bene tener distinti accompagnamento spirituale e sacramento della confessione. Al presbitero, ministro del sacramento, si confessano i peccati realmente commessi per i quali si chiede l'assoluzione. Al padre spirituale - al di fuori di qualsiasi contesto sacramentale, dato che nulla vieta che sia un laico - si manifestano i desideri e le tendenze che affiorano nel cuore e nell'immaginazione, anche se nessun peccato è stato commesso, né interiore né esteriore. La confessione può essere il punto di partenza di un colloquio spirituale che può eventualmente seguirla, ma questo non è indispensabile: con l'assoluzione finale, la confessione è pienamente compiuta. D'altro canto, un colloquio spirituale non è necessariamente seguito dalla confessione: nella maggior parte dei casi non è così. D'altronde la guida spirituale non è forzatamente un presbitero: la paternità spirituale non ha nulla a che vedere con il sacerdozio ordinato. Un laico, uomo o donna, che abbia un'esperienza personale della vita dello Spirito santo può farsene carico altrettanto bene che un presbitero, e senz'altro meglio che un presbitero che abbia poca o nessuna esperienza. Alla propria guida spirituale non si manifestano innanzitutto i peccati effettivamente commessi, ma piuttosto ciò che gli anziani chiamavano i logismoi, i pensieri. La traduzione è ambigua. Non si tratta tanto di quello che pensiamo, ma piuttosto di quello che sentiamo, di ciò verso cui tendiamo: sentimenti, desideri, inclinazioni che si fanno strada, incontrollati, nel cuore e nella mente, anche se non sfociano - se non raramente - in peccati veri e propri. Il termine "confessione" qui sarebbe perciò errato, soprattutto nella sua accezione sacramentale: si tratta unicamente di mettere in luce, di scoprirsi di fronte al proprio interlocutore. Chi apre così il proprio cuore non chiede un'assoluzione e nemmeno un incoraggiamento o una parola rassicurante, anche se così potrebbe sembrare. Chiede innanzitutto di essere accettato: poter esprimere a un altro desideri e sentimenti, così a lungo repressi e rimossi, costituisce per lui un evento straordinario che, già di per sé, rappresenta un enorme sollievo. Non è più solo con loro, gli è possibile confidarli a un altro che li accoglierà tranquillamente e con amore. Accogliere i sentimenti degli altri è infatti innanzitutto una questione di amore. I primi momenti del colloquio spirituale, quando i sentimenti più difficili vengono finalmente in superficie, sono sempre i più importanti. La qualità e l'autenticità dell'amore dell'accompagnatore (e possiamo ben dire del padre spirituale) sono qui messe alla prova. Troppe guide spirituali commettono un grave errore: quello di parlare troppo presto, sia per biasimare che per rassicurare. Spiegheremo più avanti in che cosa consiste questo errore tattico; ora ci basta sottolineare che l'ascolto attento e benevolo di quanto viene confidato riveste un'importanza determinante per il prosieguo della relazione. Ancora una volta, non si tratta assolutamente di approvare o di condannare le inclinazioni e i desideri che si affacciano; si tratta semplicemente di accettare una persona per come si presenta, magari anche afflitta da sentimenti che riesce a esprimere solo con difficoltà. Ha il diritto di essere quello che è, come si sente e come si mostra: con i suoi desideri. Che questi siano buoni o cattivi non deve entrare in linea di conto, per il momento, neanche se sono espressi con un linguaggio molto confuso. Siamo qui di fronte al punto più delicato dell'accompagnamento spirituale: dietro questa confusione, apparentemente inaccettabile, si nascondono sentimenti umani insoddisfatti e difficili da esprimere, i quali non solamente sono fondamentali, ma anche vitali e profondamente sani. Il fatto che questi desideri si esprimano per il momento in modo confuso è solo un male relativo che si spiega il più delle volte con l'imperizia e la mancanza di esperienza unite a incidenti del passato con tutte le conseguenti malformazioni: tutte cose per le quali la vittima non ha alcuna responsabilità. Quanto c'è di profondamente sano in questa persona deve innanzitutto essere schiettamente riconosciuto mediante la confutazione di alcuni desideri o fantasmi, deve essere ascoltato e, nella misura del possibile, messo in valore nella sua verità profonda. Ecco l'unica possibilità di metterci in contatto con la misericordia di Dio e con la grazia che vengono a valorizzare l'uomo fin nella sua debolezza più profonda, fino a guarirlo se ne ha bisogno. E’ noto il consiglio che Benedetto dà all'abate: oderit vitia, diligat fratres, "odierà i vizi ma amerà i fratelli" (RB 64,11). Il fratello deve sentirsi amato nonostante la propria debolezza, e al cuore stesso della propria debolezza. Va amato com'è, e basta. Con Dio non ci sono condizioni imposte per aver diritto all'amore, né colpe imperdonabili che farebbero decadere dall'amore: il padre spirituale diventa qui l'icona del Padre celeste, "che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni" (Mt 5,45), l'icona di Gesù, che non è "venuto a chiamare i giusti ma i peccatori" (Mc 2,17). Il fatto che sentimenti e desideri a lungo repressi possano finalmente emergere al cuore del colloquio spirituale è importante per un motivo ancora più profondo: è forse la prima volta che siamo in grado di raggiungere perfino i nostri desideri più profondi, il che è assolutamente necessario se la grazia deve un giorno portare frutto in noi. I nostri desideri più profondi infatti non sono di tipo razionale, non si situano nemmeno a livello della nostra volontà o delle nostre facoltà d'azione. La grazia scende molto più in profondità nell'uomo, raggiunge i suoi desideri più segreti e ancora totalmente inespressi, là dove questi si sente più vulnerabile e dove effettivamente è stato maggiormente ferito, là dove sa di essere incredibilmente debole, là dove, secondo Paolo, "la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito desideri contrari alla carne" (Gal 5,17). La carne per Paolo va intesa in senso lato: sono i nostri desideri profondi, quelli che costituiscono il punto di contatto tra la grazia di Dio e la persona umana, il punto d'impatto in cui lo Spirito e la carne tentano di sopraffarsi l'un l'altra, dandosi battaglia con desideri opposti. Ma è proprio questo il luogo in cui possiamo essere assolutamente certi di incontrare la grazia. Per essere in grado di ascoltare in noi i desideri dello Spirito, bisogna innanzitutto che i desideri della carne emergano in superficie e si rendano percepibili. Dove la carne non fosse percepita, come potrebbe esserlo lo Spirito, lui che lotta incessantemente contro la carne? Ecco perché è estremamente importante essere messi di fronte ai propri desideri più profondi, osare guardarli in faccia, senza paura e anche senza temerarietà, affinché l'impulso profondo dello Spirito possa anch'esso sorgere e aprirsi un varco. E proprio questo l'obiettivo della paternità spirituale: avvicinare una persona ai propri sentimenti e ai propri desideri più profondi, al fine di avvicinarlo allo Spirito santo.

Spirito di pace



In te si esprime l'accordo del Padre e del Figlio, tu sei la pace divina personificata.  
Vieni a renderci partecipi di questa pace essenziale, mettendoci in armonia col Cristo e col Padre.  
Vieni a farci gustare la pace intima dell'accordo profondo del nostro essere con Dio, dal quale dipende l'accordo profondo con noi stessi.  
Muovici a cercare questa pace con un comportamento che si sforzi di piacere al Signore in tutte le cose.  
Liberaci dalle inquietudini e dalle angosce che ci turbano e ci impediscono di amare Dio con tutto il cuore.  
La certezza della bontà divina e la illimitata fiducia nella sollecitudine del Padre celeste ci facciano superare ogni preoccupazione per l'avvenire così da poter vivere in una pace inalterata.  
E la pace del nostro accordo con Dio ci aiuti a custodire la pace che deriva dall'unione con quelli che ci circondano.  
Tu che diffondi la pace, fa di noi gli artefici della pace, spiriti concilianti e cuori generosi in tutte le iniziative della carità.  
Donaci di seguire tutte le ispirazioni con le quali tu vuoi condurci sulla via della pace: pace della coscienza, pace dei rapporti sociali, pace dell'universo.  
Stabilisci in noi il regno della pace, segno autentico del regno di Cristo.