Manifestare i propri desideri
Abbiamo appena visto come la qualità della paternità spirituale dipenda dalla qualità di una relazione umana. Ebbene, la qualità di ogni relazione
umana riflette in buona parte la qualità del dialogo che si instaura tra le due persone in questione. Tutta la tradizione è unanime su questo punto: l'accompagnamento si basa sul dialogo, il discepolo interroga
suo padre nell'attesa di una parola che si presume che questi sia in grado di offrirgli. Anche il contenuto di questo dialogo è ben attestato: lo si chiama comunemente apertura del cuore o manifestazione dei pensieri. Di cosa si tratta? Precisiamo subito che è bene tener distinti accompagnamento spirituale e sacramento della confessione. Al presbitero, ministro del sacramento, si confessano i peccati realmente commessi
per i quali si chiede l'assoluzione. Al padre spirituale - al di fuori di qualsiasi contesto sacramentale, dato che nulla vieta che sia un laico - si manifestano i desideri e le tendenze che affiorano nel cuore e nell'immaginazione,
anche se nessun peccato è stato commesso, né interiore né esteriore. La confessione può essere il punto di partenza di un colloquio spirituale che può eventualmente seguirla, ma questo non
è indispensabile: con l'assoluzione finale, la confessione è pienamente compiuta. D'altro canto, un colloquio spirituale non è necessariamente seguito dalla confessione: nella maggior parte dei
casi non è così. D'altronde la guida spirituale non è forzatamente un presbitero: la paternità spirituale non ha nulla a che vedere con il sacerdozio ordinato. Un laico, uomo o donna, che abbia
un'esperienza personale della vita dello Spirito santo può farsene carico altrettanto bene che un presbitero, e senz'altro meglio che un presbitero che abbia poca o nessuna esperienza. Alla propria guida spirituale
non si manifestano innanzitutto i peccati effettivamente commessi, ma piuttosto ciò che gli anziani chiamavano i logismoi, i pensieri. La traduzione è ambigua. Non si tratta tanto di quello che pensiamo, ma piuttosto di quello che sentiamo, di ciò verso cui tendiamo: sentimenti, desideri, inclinazioni che si fanno strada, incontrollati, nel cuore e nella mente, anche se non sfociano - se non raramente - in peccati veri e propri. Il termine "confessione" qui sarebbe
perciò errato, soprattutto nella sua accezione sacramentale: si tratta unicamente di mettere in luce, di scoprirsi di fronte al proprio interlocutore. Chi apre così il proprio cuore non chiede un'assoluzione e nemmeno un incoraggiamento o una
parola rassicurante, anche se così potrebbe sembrare. Chiede innanzitutto di essere accettato: poter esprimere a un altro desideri e sentimenti, così a lungo repressi e rimossi, costituisce per lui un evento straordinario che, già di per sé, rappresenta un enorme sollievo. Non è
più solo con loro, gli è possibile confidarli a un altro che li accoglierà tranquillamente e con amore. Accogliere i sentimenti degli altri è infatti innanzitutto una questione di amore. I primi
momenti del colloquio spirituale, quando i sentimenti più difficili vengono finalmente in superficie, sono sempre i più importanti. La qualità e l'autenticità dell'amore dell'accompagnatore
(e possiamo ben dire del padre spirituale) sono qui messe alla prova. Troppe guide spirituali commettono un grave errore: quello di parlare troppo presto, sia per
biasimare che per rassicurare. Spiegheremo più avanti in che cosa consiste questo errore tattico; ora ci basta sottolineare che l'ascolto attento e benevolo di quanto viene confidato riveste un'importanza determinante
per il prosieguo della relazione. Ancora una volta, non si tratta assolutamente di approvare o di condannare le inclinazioni e i desideri che si affacciano; si tratta semplicemente di accettare una persona per come si presenta,
magari anche afflitta da sentimenti che riesce a esprimere solo con difficoltà. Ha il diritto di essere quello che è, come si sente e come si mostra: con i suoi desideri. Che questi siano buoni o cattivi non deve entrare in linea di conto, per il momento, neanche se sono espressi con un linguaggio molto confuso. Siamo qui di fronte
al punto più delicato dell'accompagnamento spirituale: dietro questa confusione, apparentemente inaccettabile, si nascondono sentimenti umani insoddisfatti e difficili da esprimere, i quali non solamente sono fondamentali,
ma anche vitali e profondamente sani. Il fatto che questi desideri si esprimano per il momento in modo confuso è solo un male relativo che si spiega il più delle volte con l'imperizia e la mancanza di esperienza
unite a incidenti del passato con tutte le conseguenti malformazioni: tutte cose per le quali la vittima non ha alcuna responsabilità. Quanto c'è di profondamente sano in questa persona deve innanzitutto
essere schiettamente riconosciuto mediante la confutazione di alcuni desideri o fantasmi, deve essere ascoltato e, nella misura del possibile, messo in valore nella sua verità profonda. Ecco l'unica possibilità
di metterci in contatto con la misericordia di Dio e con la grazia che vengono a valorizzare l'uomo fin nella sua debolezza più profonda, fino a guarirlo se ne ha bisogno. E’ noto il consiglio che Benedetto
dà all'abate: oderit vitia, diligat fratres, "odierà i vizi ma amerà i fratelli" (RB 64,11). Il fratello deve sentirsi amato nonostante la propria debolezza, e al cuore stesso della propria debolezza. Va amato com'è, e basta. Con Dio non ci sono condizioni
imposte per aver diritto all'amore, né colpe imperdonabili che farebbero decadere dall'amore: il padre spirituale diventa qui l'icona del Padre celeste, "che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e
sopra i buoni" (Mt 5,45), l'icona di Gesù, che non è "venuto a chiamare i giusti ma i peccatori" (Mc 2,17). Il fatto che sentimenti e desideri a lungo repressi possano finalmente emergere al
cuore del colloquio spirituale è importante per un motivo ancora più profondo: è forse la prima volta che siamo in grado di raggiungere perfino i nostri desideri più profondi, il che è assolutamente
necessario se la grazia deve un giorno portare frutto in noi. I nostri desideri più profondi infatti non sono di tipo razionale, non si situano nemmeno a livello della nostra volontà o delle nostre facoltà
d'azione. La grazia scende molto più in profondità nell'uomo, raggiunge i suoi desideri più segreti e ancora totalmente inespressi, là dove questi si sente più vulnerabile e dove
effettivamente è stato maggiormente ferito, là dove sa di essere incredibilmente debole, là dove, secondo Paolo, "la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito desideri contrari alla carne"
(Gal 5,17). La carne per Paolo va intesa in senso lato: sono i nostri desideri profondi, quelli che costituiscono il punto di contatto tra la grazia di Dio e la persona umana, il punto d'impatto in cui lo Spirito e la carne tentano
di sopraffarsi l'un l'altra, dandosi battaglia con desideri opposti. Ma è proprio questo il luogo in cui possiamo essere assolutamente certi di incontrare la grazia. Per essere in grado di ascoltare in noi i
desideri dello Spirito, bisogna innanzitutto che i desideri della carne emergano in superficie e si rendano percepibili. Dove la carne non fosse percepita, come potrebbe esserlo lo Spirito, lui che lotta incessantemente contro
la carne? Ecco perché è estremamente importante essere messi di fronte ai propri desideri più profondi, osare guardarli in faccia, senza paura e anche senza temerarietà, affinché l'impulso
profondo dello Spirito possa anch'esso sorgere e aprirsi un varco. E proprio questo l'obiettivo della paternità spirituale: avvicinare una persona ai propri sentimenti e ai propri desideri più profondi,
al fine di avvicinarlo allo Spirito santo.
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