mercoledì 30 settembre 2020

APERTURA AL MONDO

 


LA BATTAGLIA CONTINUA 2


Tutti abbiamo lo stesso “mondo”: quello della natura e quello della “storia” che ci contiene. Il primo, è il “mondo” dei sei giorni e delle notti, delle stagioni e degli anni. Il secondo, è il “mondo” delle vicende terrene, nella famiglia, nella società, nella patria. È il “mondo” in cui ci conosciamo e ci incontriamo; il “mondo” delle gioie e dei dolori. Ognuno, però, ha il “suo mondo”: «quando ero bambino, pensavo come un bambino, ragionavo come un bambino» (1 Cor. 13, 11). Il “mondo” da adulto è un altro “mondo”, quello delle proprie scelte; un “mondo” che si costruisca nella libertà. Tutto un altro “mondo”, comunque, è quello del cristiano, perché non è solo spettacolo dei sensi, né solo oggetto della investigazione scientifica e tecnica, perché non è il solo campo del suo lavoro, ma perché è, soprattutto, il “mondo” della creazione, avvenuta “in principio” cioè fuori del tempo, per cui il “mondo” che abitiamo, per il cristiano ha una figura che passa (1 Cor. 7, 31), e cioè ha il suo senso, primo e ultimo, al di là di sé, in Dio, che l’ha tratto dal nulla e continua a conservarlo e guidarlo con la sua Provvidenza.

Ma, soprattutto, è il “mondo” della Redenzione, avvenuta nel tempo per riparare al peccato dell’uomo, accaduto al principio del tempo, e divenuto, però, oggetto della misericordia di Dio in Cristo, entrato nel “mondo” e nel “tempo”per aiutarlo a salvarsi dal peccato che, però, l’uomo continua a commettere nel “mondo” e nel “tempo”. Dobbiamo dire, allora, che l’unico “mondo” vero è quello del cristiano, perché illuminato dalla luce della Fede che ci svela l’inserzione del “tempo” nell’eternità con la creazione, e dell’eternità nel “tempo” con l’Incarnazione, dipanando, così, l’arruffìo della Storia coi suoi errori e orrori, in una trama di “Storia Sacra”, qual è il progetto “nascosto dai secoli in Dio”(Ef. 3, 9). Più vero di tutti, allora, è il “mondo dei Santi”, penetrato dalla Grazia Divina che porta alla partecipazione della stessa Vita Divina in un flusso e riflusso di “amorosi sensi”, anche se quasi sempre avvolta nel “mistero”1. Ma il Vaticano II, con i suoi Decreti, spalancò alla Chiesa porte e finestre, perché uscisse da sé stessa e si buttasse nel “mondo”. Ma cosa si intende, allora, per “mondo”? Rendiamoci conto. Vediamo, per primo, nelle Sacre Scritture: “mondo”, nell’Antico Testamento, si identifica con il creato. In Genesi (1, 31) leggiamo che «Dio vide tutte ciò che aveva fatto ed era tanto buono»; «Il cielo è il mio trono, il “Mondo”, lo sgabello dei miei piedi» (Is. 66, 1). Il Salmista esclama: «Dio, Dio nostro, quanto è ammirevole il tuo nome nell’universo mondo!» 

E altrove scrive: «I cieli narrano la sua gloria e l’opera delle tue mani rivelano il firmamento». Nel Nuovo Testamento troviamo, invece, due concetti del “Mondo” diametralmente diversi. Qui, il Mondo è visto non come creato, ma come “umanità”. Di esso, Gesù dice: «Dio ha tanto amato il mondo da sacrificare per esso il suo Unigenito» (Gv. 3, 16); mandando i suoi discepoli nel mondo con lo stesso compito, disse: «Come Tu hai mandato Me nel mondo, anch’Io li ho mandati nel “mondo”» (Gv. 17, 18) e :«Andate, dunque, in tutto il mondo» (Mc. 16, 15). Nelle stesse pagine del Vangelo troviamo anche la “condanna del mondo”. È il Mondo nemico di Gesù, che non accetta la fede in Cristo, rinnega la sua morale, odia l’opera di Cristo e coloro che lavorano per la sua opera nel mondo. Il generalissimo di questo mondo è Satana: «Il Principe di questo mondo sarà gettato fuori» (Gv. 12, 31); “Questo mondo” non l’ha conosciuto, perché preferisce le tenebre alla luce. Un mondo pieno di scandali: «guai al mondo per gli scandali» (Mt. 18, 7); «Non amate il mondo, né ciò che è il mondo. Se uno ama il mondo, non c’è in lui l’amore del Padre, poiché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, degli occhi, l’orgoglio della vita, non è dal Padre, ma dal mondo. Ora, il mondo passa e la sua concupiscenza con lui» (1 Gv. 2, 16). In questo mondo, tuttavia, Gesù manda i suoi discepoli come «agnelli in mezzo ai lupi» (Lc. 10, 3), e li avverte: «Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato Me prima di voi» (Gv. 15, 18). «Il mondo godrà, voi invece piangerete» (Gv. 16, 20). Anche San Paolo condanna il mondo: «Non conformatevi a questo secolo (cioè il “mondo” Rom. 12,2) poiché se io volessi piacere agli uomini, non potrei essere il servo di Cristo» (Gal. 1, 10), perciò, «il mondo è per me crocifisso ed io lo sono per il mondo» (Gal. 6, 14). Ma allora, come comportarci dinanzi al “mondo”? E ancora: «può la Chiesa aprirsi al mondo?» Il problema ci porta a riflettere sulla “ecclesiologia odierna”, la quale ha rigettato chiaramente i due assiomi, intrinsecamente annessi nella sua ontologia: “extra Ecclesiam nulla salus”, e l’altra: “La vera Chiesa è (ma “non sussiste in”) quella cattolica, con la quale ha introdotto il relativismo, l’ecumenismo, il pluralismo, ecc., con quale si è venuto a cancellare “ubi Petrus, ibi Ecclesia”, e che la salvezza è solo per chi crede in Gesù Cristo. Quindi, dal Vaticano II è scaturita una chiesa che non è più “societas perfecta”, ma “semper riformanda”, e che, perciò, rinnega i caratteri ontologici della Chiesa fondata da Gesù Cristo, tenendosi aperta, invece, a qualsiasi forma di sincretismo. Dovendo vivere nel “mondo” “totus positus in maligno”, dobbiamo poter dire come San Paolo, l’apostolo delle genti, che per lui il “mondo è crocifisso”. Se dobbiamo lavorare nel “mondo” senza perderci, noi dobbiamo saperlo anche fuggire per ritirarci in noi e in Dio. Quindi, nell’uso delle cose, occorre che osserviamo la gerarchia dei valori, come ce lo insegna lo stesso Gesù: «Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua Giustizia, e tutto il resto (del “mondo) vi sarà dato in soprappiù» (Mt. 6, 33). L’insidia più grave per un cristiano, infatti, è quando viene bandito, o perlomeno ignorato, il “soprannaturale”. Purtroppo, oggi, si può dire che la “crisi del soprannaturale” ha toccato i vertici più alti nella storia della Chiesa, proprio per questa apertura al “mondo” che Paolo VI ha voluto con la cosiddetta “svolta antropologica”, che non è altro che il ritorno di fiamma del “modernismo” che San Pio X e i suoi immediati successori avevano cercato di debellare. Ora, l’azione del Magistero dovrebbe centrarsi, soprattutto, per un ritorno al soprannaturale, offuscato anche per l’insidiosa penetrazione del soggettivismo e del ritorno al naturalismo più sfacciato, la cui conoscenza non poteva non essere che l’offuscamento della stessa dignità naturale dell’uomo. 

Ormai, è stato dimenticato che l’uomo, per la sua anima spirituale, è stato creato ad «immagine e somiglianza di Dio» (Gen. 1, 27), dal che dipende, secondo San Tommaso, che l’uomo «è principio delle sue opere, in quanto ha il libero arbitrio ed il potere delle sue azioni»2. 

Sappiamo ormai da tempo che Paolo VI, fin dall’inizio del Suo Pontificato, aprì il “dialogo” con il “mondo moderno”. Lo aveva annunciato all’apertura della Seconda Sessione del Vaticano II (settembre 1963): «La Chiesa cercherà di lanciare un ponte verso il “mondo contemporaneo” ». Le vie da seguire le scrisse nella Sua prima enciclica: “Ecclesiam suam” dell’agosto 1964. Tra le iniziative di Paolo VI, a questo riguardo, ci fu la Sua domanda di perdono (maggio 1964) agli artisti e agli intellettuali:«Vi abbiamo messo, a voi che siete creatori, sempre vivaci, zampillanti di mille idee e di mille novità, una cappa di piombo addosso. Possiamo dirlo. Perdonateci!». Incredibile questa richiesta di perdono con quel “Vi abbiamo”, che denuncia tutto l’arco della storia della Chiesa dei Papi, immemore di tutti i Papi che furono i mecenati dell’arte e degli intellettuali! Inutile, perciò, difenderlo! Paolo VI partì, fin dall’inizio, con una volontà ferrea di abbandonare le rotaie della Tradizione per percorrere i sentieri sconosciuti del “rinnovamento”, cercando in tutti i modi di sradicare quel “manicheismo larvato” della mentalità cattolica di cui parla Maritain, per la quale «il mondo in sé non era più che corruzione, per cui si pose in primo piano i valori della negazione, di rifiuto, di timore… Abbassare gli occhi! Volgere altrove la testa! Fuggire le occasioni, ecc. Il morale prendeva, così, il sopravvento sul teologale, e la fuga dal peccato sulla carità». Una mentalità, quindi che Paolo VI voleva correggere, specie attraverso la predicazione e l’azione. Difatti, le innovazioni introdotte da Paolo VI furono tante e profonde. Premesso questo, Paolo VI apparve al “mondo”, con evidenza, come uomo fisiologicamente di sinistra, un autentico e tipico “progressista”. Lo dimostrava in ogni suo gesto, in ogni sua scelta istintiva, nel modo con cui intendeva la cultura, gli Autori che leggeva (come, ad esempio, Adorno e Mancuse), nella su affinità con i cardinali progressisti (tipo Suenens, Alfrink); sui libri, quando era arcivescovo di Milano, egli ne scriveva le “prefazioni”. Agli occhi di molti tradizionalisti, quindi, Paolo VI apparve sempre come un “pericoloso rivoluzionario”! 

Certo, il dialogo col mondo non lo inventò Paolo VI. Prima di inviare i suoi discepoli nel “mondo” per evangelizzarlo, Gesù li aveva avvertiti: «Il mondo mi odia. Il mondo non può ricevere lo Spirito di verità». Ben conscio di questo, l’apostolo S. Paolo si recò ad Atene, capitale della cultura di allora, e gli ateniesi si recarono all’Areopago ad ascoltarlo, pieni di interesse. Fu un primo incontro con la cultura profana. «Tutti gli ateniesi e gli stranieri ivi residenti non si dilettavano d’altro che di parlare o di udire quello che c’era di più nuovo». Lo si legge negli Atti degli Apostoli: intelligenti com’erano, avevano già eretto un altare “al Dio sconosciuto”. Fu riferendosi a questo altare, che Paolo iniziò il suo discorso, seguito dagli ateniesi finché non si mise a parlare della resurrezione di Cristo dai morti. Allora, però, lo interruppero. «Alcuni presero a deriderlo» - dicono gli Atti - «altri dissero: di questo ti sentiremo un’altra volta»! Paolo lasciò Atene, si ritirò nella vicina Corinto, ma lo shock subìto all’insuccesso di Atene lo aveva turbato tanto, sì da dubitare se dovesse continuare o no a predicare. Ma intervenne il Signore che gli disse, in visione: «Non temere, ma parla e non tacere!» Da questo sfasamento montiniano, abbiamo ormai, una Fede distrutta dall’ecumenismo: l’evangelizzazione fu sostituita dal “dialogo” e il Regno di Dio fu rimpiazzato dal “Regno dell’uomo”. In nome della laicità e dei diritti umani, la Morale cattolica, affossando la Fede e la centralità della Persona di Gesù Cristo, si è dissolta, senza più contare le conseguenze “del peccato originale”. Ora, questa guerra non si è ancora conclusa. Paolo VI, in un domani, sarà dichiarato “anatema”, soprattutto per la sua “apertura al mondo”, per il suo “Movimento d’animazione della Democrazia Universale” (MASDU), già condannato, ed Egli sarà considerato il “Grande corruttore” della Chiesa del XX secolo!

sac. dott. Luigi Villa 

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