martedì 29 settembre 2020

LA PRESENZA REALE

 


GESÙ MANSUETO ED UMILE DI CUORE

Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore.

Matteo, XI, 29.

Gesù c'insegna col suo stato eucaristico ad annichilarci, al fine di rassomigliargli. L'amicizia vuole eguaglianza di vita e di condizione: per vivere dell'Eucaristia bisogna che ci annichiliamo con Gesù che in essa si annichila. Entriamo nell'anima di Gesù, nel suo Cuore e vediamo quali sentimenti Lo hanno animato e sempre Lo animano nell'adorabile Sacramento. Noi apparteniamo a Gesù Sacramentato, perché Egli si da a noi per assorbirci in Lui. E' nostro maestro nel Sacramento e dobbiamo ascoltarne le lezioni, vivere del suo spirito. Sì, vuole insegnarci egli stesso a servirlo secondo la sua volontà e il suo beneplacito: è più che giusto, giacché egli è Nostro Signore e noi siamo i suoi servi.

Ora Gesù mi rivela il suo spirito con queste parole: Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore. E quando i figli di Zebedeo vogliono far discendere il fuoco sulla città che respinge il divin Maestro, egli dice: Voi non sapete a quale spirito apparteniate.

Dunque, lo spirito di Gesù è umiltà e mansuetudine: umiltà e dolcezza di cuore, cioè amata, accettata per amore di Gesù e per rassomigliargli. A queste virtù Egli vuole formarci, perciò è nel Sacramento e viene in noi. vuol essercene maestro, egli, che solo può insegnarle e darne la grazia.

I. - L'umiltà del cuore, ecco l'albero che da il fiore e il frutto della mansuetudine. Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore. Gesù parla dell'umiltà del cuore, ma non aveva anche l'umiltà dello spirito? No, l'umiltà dello spirito negativa, fondata sul peccato e sul nulla della nostra natura corrotta; Gesù non vi era soggetto; ne fece tuttavia le opere per nostro esempio. Così Egli si umilia come i peccatori, e tuttavia è senza peccato: non deve arrossire di nulla, non avendo fatto, come diceva il buon ladrone, nulla di male. Ma noi! noi di tutto dobbiamo arrossire; di male ne abbiamo fatto molto e neppure conosciamo tutto quello di cui siamo colpevoli.

Gesù non ha l'ignoranza della natura decaduta; e noi nulla sappiamo fuorché il male. Noi viziamo la nozione del giusto e del bene. Gesù sa tutto ed è così umile come se non sapesse nulla: rimane trent'anni ad imparare nel silenzio! Ha tutti i doni naturali; sa e può fare ogni cosa con perfezione; non lo lascia trapelare; lavora grossolanamente, alla maniera degli apprendisti: Non è figlio del legnaiolo? legnaiolo come suo padre?

Gesù non ha mai lasciato capire che sapeva tutto; negli stessi suoi insegnamenti attesta ch'egli non fa che ridire la parola del Padre; si limita alla sua missione; la compie nella forma più semplice e più umile.

Si condusse dunque come un uomo veramente umile di spirito. Non si glorificò di nulla, non cercò mai di brillare, di fare dello spirito, di comparire più istruito degli altri; anche nel tempio, essendo in mezzo ai dottori, li ascoltava e li interrogava per istruirsi: audientem et interrogantem eos.

Gesù aveva l'umiltà di spirito positiva, che non consiste nell'umiliarsi della propria miseria, ma nel riferire il bene a Dio, umiliandosi nel bene: Egli in tutto dipendeva dal Padre, lo consultava, e obbediva a quelli che glielo rappresentavano in terra, rinviava a suo Padre la gloria di ogni bene; è magnifica la sua umiltà di spirito, ammirabile, divina: Io non cerco la mia gloria: è un'umiltà gloriosa, spontanea, tutta amore.

Noi dobbiamo avere l'umiltà di spirito, perché siamo ignoranti e peccatori: è dovere di giustizia. Siamo obbligati ad averla anche per la nostra qualità di discepoli, di servi di Gesù.

Tuttavia nel suo comandamento Gesù ci parla solo dell'umiltà di cuore; si direbbe che il suo amore teme troppo umiliante per noi parlarci di questa umiltà di spirito che ricorda troppe miserie, peccati, motivi di disprezzo. L'amore di Gesù getta un velo su questo lato penoso e ci dice d'essere come lui, umili di cuore.

Ora che vuol dire essere umile di cuore? Ricevere da Dio con sommissione di cuore le occasioni di umiliarsi, come beni, come atti che ridondano a grande gloria di Dio stesso; accettare il proprio stato con i doveri inerenti e non arrossire della propria condizione; mantenersi nella semplicità quando si ricevono da Dio grazie straordinarie. Amando Gesù debbo rassomigliargli, debbo amare ciò ch'egli ama, fa e preferisce a tutto: l'umiltà.

L'umiltà di cuore è più facile che l'umiltà di spirito, poiché si tratta di un sentimento grandemente onorabile ed elevato: rassomigliare a Gesù, amarlo, glorificarlo in queste sublimi circostanze di umiltà.

Abbiamo noi questa umiltà di cuore, o meglio questo amore di Gesù umiliato? Forse abbiamo l'umiltà che si accompagna con lo zelo, col successo, con la gloria, che si da con pura intenzione e senza mira di gloria umana; ma non l'umiltà che discende con S. Giovanni Battista, il quale si abbassa e si nasconde, lieto di essere lasciato per Nostro Signore; non l'umiltà di Gesù, nascosto, annichilato nel Sacramento per dar gloria al Padre.

E' questo il vero combattimento per cui si trionfa della natura: amare l'umiltà di Gesù è la vittoria, la gloria di Gesù stesso in noi.

Vi è l'umiltà nella prosperità, nell'abbondanza, nel buon successo, negli onori, nella potenza, e dovrebbe essere molto facile, poiché allora si gode, anche umiliandosi, cioè riferendo la gloria a Dio.

Ma vi è l'umiltà positiva del cuore che si esercita tra le umiliazioni interne ed esterne, della mente, del cuore, del corpo, delle proprie opere, vera tempesta che ci sommerge. E' l'umiltà di Nostro Signore e di tutti i santi; amare Dio in quello stato e ringraziarnelo, ecco la vera umiltà di cuore.

Come si giungerà ad acquistarla? Non con riflessioni e ragionamenti, perché crederemmo di possederla a cagione dei bei concetti che ne abbiamo o di eroiche risoluzioni da noi prese, e non andremmo più in là. Bisogna semplicemente metterci nello spirito di Gesù, veder Gesù, consultarlo, agire sotto la sua divina influenza, in società di amore con lui; raccoglierci nella sua divina umiltà di cuore, offrire le nostre azioni a Gesù, umiliato per amore di noi nel Sacramento, ove preferisce questo stato di oscurità a tutta la gloria; ed esaminarci poi se durante l'azione abbiamo ripigliato il dono di noi stessi. Diciamo spesso: Gesù mansueto ed umile di cuore, fate il mio cuore simile al vostro.

II. - L'umiltà di cuore produce la mansuetudine; Gesù è così mansueto, che questa virtù s'imprime come carattere nella sua vita: è il suo spirito. Imparate da me che sono mansueto! Non dice: Imparate da me che meno una vita penitente, che sono povero, prudente, silenzioso, no, ma ci richiama alla sua dolcezza; perché l'uomo decaduto è naturalmente collerico, portato all'odio, geloso, permaloso, vendicativo, anche omicida nel suo cuore, bieco nel suo sguardo, con la lingua avvelenata, violento nelle sue membra. L'ira è entrata nella sua natura, perché è orgoglioso, ambizioso e sensuale; perché è infelice e umiliato della sua condizione di decaduto; è un essere inasprito, come si dice di un uomo che crede aver sofferto ingiustamente.

Dolcezza interiore. - Nostro Signore è dolce nel suo cuore! Ci ama, vuole il nostro bene, non pensa che al bene che può farci, ci giudica nella sua misericordia e non con la sua giustizia: ah! non è ancora l'ora di questa. Gesù è una tenera madre, è il buon Samaritano; il debole fanciullo, il peccatore, il giusto, tutti hanno posto nel tenero suo Cuore.

Nel Cuor di Gesù non è indignazione contro quelli che lo disprezzano, che lo insultano, che gli vogliono, gli fanno o si dispongono a fargli del male: li conosce tutti, ma non ha per essi altro che compassione e soffre dell'infelice loro stato; Vedendo la città, pianse sopra essa.

Gesù era dolce di natura, essendo veramente l'Agnello di Dio, dolce per virtù affine di dar gloria al Padre, e dolce per la missione ricevuta da Lui: la dolcezza doveva essere il carattere del Salvatore affinché potesse attirare i peccatori incoraggiandoli a venire, affezionarseli e fissarli nell'osservanza della divina legge.

Anche noi avremmo un grande bisogno di questa dolcezza di cuore! Non l'abbiamo; al contrario, troppo spesso, ci sentiamo pieni d'irritazione nei nostri pensieri e nei nostri giudizi. Giudichiamo troppo, delle cose e delle persone, guardando al successo, col nostro punto di vista, e stritoliamo quelli che ci si oppongono; mentre dovremmo giudicare come Gesù, od alla luce della sua santità, o nella sua misericordia; che in tal modo saremmo sempre nella carità e nella pace: Con l'umile va sempre in compagnia la pace, dice l'Imitazione di Gesù Cristo.

Ancora: se prevediamo di dover essere contraddetti, quanti ragionamenti, quante giustificazioni, anzi energiche risposte si agitano nella nostra immaginazione! Or come tutto ciò è lungi dalla dolcezza dell'Agnello! E' amor proprio che vede soltanto se stesso ed i propri interessi.

Che se abbiamo un'autorità, non vediamo che noi stessi, i doveri dei nostri inferiori, le virtù che dovrebbero avere, perfino l'eroismo dell'obbedienza; la forza del comando, il dovere pure di umiliare, di spezzare l'ostacolo, il bisogno di dare un esempio: cose tutte che non valgono un atto di mansuetudine. Dice il Salvatore: Chi tra voi è più grande, sia come il più piccolo: e chi precede, sia come uno che serve. Noi siamo e dobbiamo essere i discepoli del divin Maestro, dolce ed umile di cuore: come il suo Vicario che s'intitola servo dei servi di Dio, e non generali d'esercito.

Perché sì spesso tanta energia contro le opposizioni? Perché quella collera, che certo non è santa, contro il male, contro la persona dei miscredenti, degli empi? Ahimè! in fondo è la vanità che ci domina: crediamo di dar prova di energia, ma in realtà è impazienza, mancanza di coraggio. Nostro Signore invece compiange questi infelici, prega per essi, si adopera per il loro bene e nelle relazioni con essi trova modo di onorare il Padre con l'umiltà e la mansuetudine.

Ricordiamo che questo fare troppo energico, pungente, è di cattivo esempio. Oh! mio Dio, fate il mio cuore dolce come il vostro.

Dolcezza di spirito. - Gesù è dolce nel suo spirito: non vede in tutto che Dio suo Padre: negli uomini, creature di Dio; è il padre che piange i figli perduti e cerca di ricondurli, che medica le loro piaghe da qualunque causa provengano, che vuol ridar loro la vita divina! La sua anima è quindi tutta quanta nel sentimento della paternità verso i suoi figli, nella pena per la loro miserabile condizione. E' preoccupato del loro bene, per esso lavora; lo fa nella pace, e non nella collera, nell'indignazione e nella vendetta,

Così Davide piangeva sul colpevole suo figlio Assalonne e raccomandava di risparmiargli la vita; così Maria Santissima, Madre Addolorata, piange sui carnefici di suo Figlio e loro ottiene il perdono.

La vera carità si pasce nello spirito come nel cuore del bene da ristabilire, non già della vista del male e dei mezzi per farne vendetta; non separa mai l'uomo dal suo stato sovrannaturale presente e futuro; non lo disgiunge da Dio, e così non mai vede in esso un nemico: la carità è dolce e paziente.

Ciò che abbiamo riconosciuto nel nostro cuore si trova altresì nella nostra mente e nell'immaginazione, che sollevano in noi tante tempeste e ci mettono in mano la spada per tutto fendere. Tagliamo corto a questi attacchi: tosto uno sguardo verso Gesù, e ritorna la calma.

III. - Dolce nel suo cuore e nel suo spirito, Gesù è pur naturalmente dolce nel suo esterno.

La mansuetudine di Gesù è come il soave profumo della sua carità e della sua santità. Essa regna su tutti i movimenti della sua persona: nulla di violento nei suoi gesti, che sono la calma espressione dei suoi pensieri ed affetti pieni di dolcezza: il suo andare è tranquillo e non affrettato, che nei suoi movimenti tutto è regolato dalla sapienza. La sua persona, l'attitudine, le vesti, tutto annunzia in lui l'ordine, la quiete e la pace: è il regno della dolce sua modestia, essendo la modestia, per dir così, la dolcezza del corpo come né è il decoro.

Il capo del Salvatore ha un atteggiamento modesto, non fiero né altero od imperioso; neppure troppo umiliato o timido; ma l'atteggiamento, il fare della semplice ed umile modestia.

I suoi occhi non esprimono alcun sentimento di collera o di sdegno: hanno uno sguardo di affetto per sua Madre e S. Giuseppe, uno sguardo di rispetto per i Superiori, di bontà per i discepoli, di tenera compassione per i peccatori, di misericordioso perdono per i nemici.

L'augusta sua bocca, che è il trono della sua mansuetudine, si apre con modestia e con dolce gravità. Il divin Salvatore parla poco: dalla sua bocca non esce mai una lepidezza, una parola di derisione, di curiosità: tutte le sue parole, come i suoi pensieri, sono il frutto della sapienza. Le espressioni che adopera sono semplici, sempre convenienti e adatte agli uditori, che sono per lo più popolani e poveri.

Egli evita nelle sue predicazioni ogni personalità che offende; combatte soltanto i vizi di scuola e di casta; i cattivi esempi e gli scandali; non svela i delitti occulti, né i difetti intimi.

Non fugge da chi lo odia; non lascia di compiere alcun dovere, o dire alcuna verità, per timore, per evitare una contraddizione, o per piacere ad un personaggio qualunque esso sia. Non fa rimproveri prematuri, né profezie personali prima del tempo segnato dal Padre; vive tra quelli che sa doverlo abbandonare, con la stessa semplicità e dolcezza, non essendo ancora venuto il momento di parlare, l'avvenire è per lui come se gli fosse ignoto.

Gesù ha una pazienza inalterabile con le turbe che lo premono ed una calma ammirabile in mezzo a tutte le agitazioni, domande, esigenze di quel popolo grossolano e terreno.

Più ancora da ammirare è la vita di Nostro Signore, tutta calma, dolcezza e bontà coi discepoli rozzi, poco intelligenti, suscettibili, ambiziosi, che fanno oggetto della loro vanità il divin Maestro. Gesù prodiga a tutti lo stesso amore; non ha preferenze, né parzialità: Gesù è tutto miele, dolcezza, amore!

Quale condanna della nostra vita, se la mettiamo a confronto con quella di Gesù Cristo! Il nostro amor proprio brandisce facilmente una spada a due tagli contro certe persone la cui vita, il cui carattere più contrariano il nostro orgoglio. Impazienze, rimproveri, gesti minacciosi, tutto viene da un fondo di pigrizia che vorrebbe sbarazzarsi prontamente di un ostacolo, di un Sacrificio, di un dovere, che sfuggiamo oppure compiamo con precipitazione.

Ahimè! a dir vero quelle pose, quelle arie, quelle parole sono ridicole; spero che il buon Maestro né abbia pietà, essendo cose da fanciulli o da sciocchi. Notiamo ancora che la dolcezza con i grandi o con chi può favorire la nostra vanità, è debolezza, adulazione, viltà; mentre lo sfoggio di forza coi deboli è crudeltà. L'umiliazione poi non è sovente che segreta vendetta. Oh mio Dio, pietà!

IV. - La mansuetudine di Gesù trionfa nel suo silenzio. Gesù, venuto per rigenerare il mondo, resta per il pubblico in silenzio sino alla età di trent'anni, nonostante i molti vizi da correggere, tante anime sviate, tante mancanze nel culto divino, nei leviti, nei capi della nazione. Non riprende alcuno, ma prega, fa penitenza, non cede al male e ne domanda perdono a Dio.

Quante belle cose avrebbe in quel tempo potuto dire per ammaestrare e consolare! Non le disse: invece ascoltò gli anziani, assistè alle istruzioni della sinagoga, degli scribi, dei dottori della legge, come un israelita del popolo. Quante cose avrebbe potuto riprendere, riformare, ma non era l'ora.

La Sapienza increata, il Verbo di Dio, che ha creato la parola, che ispira la verità, tace e onora il Padre col suo dolce ed umile silenzio. Questo silenzio di Gesù ci dice eloquentemente: Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore.

Quale condanna per noi, che parliamo come stolidi, dicendo spesso cose di cui non abbiamo sufficiente cognizione, decidendone altre molto dubbie, affermando, imponendo il nostro sentimento!

Quante volte diciamo quel che non dovremmo dire, rivelando cose che l'umiltà più elementare vuole si tacciano! Ond'è che nostro Signore ci tratta come si fa con un ciarliere, un indiscreto: ci lascia parlare da soli, a nostra confusione: il suo pensiero non essendo con noi, la sua grazia non feconda le nostre parole.

Il silenzio dolce di Gesù è paziente. Egli ascolta sino alla fine quelli che gli parlano, senza mai interrompere, egli che già conosce quanto gli si vorrà dire; risponde direttamente egli stesso; riprende, corregge con bontà, senza umiliare, senza ferire, come farebbe il migliore dei maestri per il suo scolaretto; ascolta cose spiacevoli, inopportune e sempre trova l'occasione d'istruire e di fare del bene.

Quanto diversamente ci comportiamo noi! Impazienti di rispondere a quel che già sappiamo, annoiati di ascoltare quel che ci contraria o si prolunga alquanto, dal volto e dalle maniere lasciamo conoscere il nostro malumore. Non solo non abbiamo lo spirito di Gesù, ma neppure quello di un uomo bene educato, di un pagano onesto e savio.

Nella vita sono molte circostanze nelle quali la pazienza, la mansuetudine, l'umile silenzio sono la virtù dell'ora presente e innanzi a Dio l'unico frutto di un tempo che noi crediamo perduto. La sua grazia ce ne avverte: ascoltiamone la voce; obbediamo con semplicità e fedeltà. Che diremo del mite silenzio di Gesù in mezzo ai patimenti?

Gesù abitualmente tace, pur conoscendo lo spirito incredulo di parecchi discepoli, il cuore iniquo e ingrato di Giuda, di cui conosce tutti i perfidi pensieri, le infami macchinazioni. Gesù si contiene, è calmo, affettuoso con tutti, come se nulla sapesse: ha con essi le relazioni ordinarie, rispetta il segreto che il suo Eterno Padre mantiene su di essi. Quale lezione contro i giudizi temerari, i sospetti, le segrete antipatie! Gesù mette la legge della carità, del dovere comune, al disopra della conoscenza che ha del segreto dei cuori, tale essendo l'ordine della Provvidenza.

Al cospetto dei giudici confessa semplicemente la verità della sua missione e della sua divinità; ai pontefici dichiara che è il Figlio di Dio; al governatore romano risponde che è re. Tace alla presenza dell'impudico e curioso Erode; mantiene il silenzio d'un condannato durante gli scherni sacrileghi della coorte pretoriana; riceve senza lamentarsi i colpi dei flagelli, e l'insulto dell'Ecce homo; non si appella dalla condanna ingiusta; prende con amore la croce e sale al Calvario tra gli insulti, le maledizioni e le angherie di tutto il popolo; e quando la malizia degli uomini è esaurita ed i carnefici han consumata l'opera loro, apre la bocca e dice: Padre, perdona loro, perché non sanno quel che si fanno.

Ah, non sarà il nostro cuore a tale vista intenerito e penetrato di salutare dolore?

Or che dirò della dolcezza di Gesù in Sacramento? Come vi descriverò la sua bontà nel ricevere tutti; l'affabilità, nell'adattarsi agli uni e agli altri, ai piccoli, agli ignoranti; la pazienza nell'ascoltar tutti e tutto quel che gli vogliono dire, il lungo racconto di tante miserie; la tenera sua bontà nella Comunione in cui si da a ciascuno secondo la sua condizione ed entra in tutti con gioia, purché trovi lo stato di grazia e un po' di devozione, qualche buon desiderio, almeno un po' di rispetto, e da a ciascuno la grazia che gli conviene, lasciandogli l'anima inondata di amore e di pace come ricompensa dell'accoglienza ricevuta? E quale dolcezza paziente e misericordiosa verso quelli che lo dimenticano! Li aspetta! Prega per quelli che l'offendono e lo disprezzano; non leva lamenti né fa sentire minacce; non punisce all'istante gli oltraggiatori sacrileghi, ma con la sua dolcezza e bontà si adopera a rimetterli sul buon cammino. L'Eucaristia è il trionfo della mansuetudine di Gesù Cristo.

V. - E quali saranno i mezzi per acquistare la dolcezza di Gesù? E' cosa facile vedere il bello, il buono, la necessità di una virtù, soprattutto della dolcezza; ma arrestarsi qui è fare come l'infermo che conosce il suo rimedio, lo tiene in mano e non lo prende, o come il viaggiatore che, seduto a tutto suo agio, si contentasse di guardare la strada che deve percorrere.

Ora il gran mezzo per acquistare la dolcezza del Cuore di Gesù è l'amore di Gesù stesso, perché l'amore tende sempre a produrre la conformità di vita tra quelli che si amano.

E l'amore opererà in tre modi. Il primo consiste nel soffocare il fuoco sempre acceso della collera, dell'impazienza, della violenza, per mezzo della guerra all'amor proprio che si fa sentire nelle tre concupiscenze le quali si disputano il nostro cuore. Noi c'irritiamo perché la nostra sensualità, il nostro orgoglio od il nostro desiderio di comparire e di essere onorati urtano contro qualche ostacolo: combattere queste tre passioni capitali è dunque far guerra al nemico della mansuetudine.

Il secondo modo consiste nel preferire a ciò che facciamo attualmente, ciò che ci si presenta, nell'ordine disposto dalla Provvidenza; se c'irritiamo, questo avviene perché siamo stornati da una occupazione che ci piace più di quella che Iddio allora ci assegna. Lasciamo adunque ogni cosa per obbedire alla volontà di Dio, e quel che si presenta sia sempre per noi la cosa migliore e più gradita. Questa trasformazione di noi stessi non può farsi che dall'amore dell'adorabile divina Volontà del momento, la quale, per la gloria di Dio e per il nostro maggior bene, varia le sue grazie ed i nostri doveri: noi siamo allora come un servo che lascia un padrone qualsiasi per mettersi al servizio della persona stessa del Sovrano. Come questo pensiero è atto a farci coraggio e a conservarci nella dolcezza e nella pace tra le vicissitudini della vita!

Ma viene in terzo luogo il migliore fra tutti i mezzi che è di avere sempre innanzi agli occhi l'esempio di Nostro Signore, il suo desiderio, il suo beneplacito; questo mezzo è stupendo, tutto luce, tutto cuore. Per essere mansueti, guardiamo all'Eucaristia: mangiamo la manna divina che ha in sé ogni sapore e soavità: facciamo nella Comunione la nostra provvista di dolcezza per tutto il giorno: né abbiamo tanto bisogno! Essere dolce come il nostro buon Salvatore e per amore di Lui, ecco la mira di un'anima che vuole vivere del suo spirito.

O anima mia, sii mansueta verso il prossimo che ti mette alla prova, come Dio, come Gesù, come la Santissima Vergine sono dolci verso di te; sii dolce verso di Lui, affinché il tuo Giudice ti sia benigno, poiché ti sarà restituito con la misura con cui avrai dato. E se tu pensi ai tuoi peccati, a quello che hai meritato e che meriti ancora, vedendo con quale bontà e dolcezza, con quale pazienza e rispetto ti tratta Nostro Signore, o povera anima mia, tu dovrai disfarti, verso il tuo prossimo, in dolcezza e umiltà di cuore.

di San Pietro Giuliano Eymard


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