PANE DI VITA ETERNA E
CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA
Conversione
l Corpo e il Sangue di Nostro Signore si presentano sotto l’aspetto del pane e del vino per conversione di tutta la sostanza del pane e del vino in tutta la sostanza del Corpo e del Sangue del Signore. Questa trasformazione mirabile prende il nome di transustanziazione.
Il Dottor Angelico insegna che Cristo si fa presente nel sacramento non per movimento locale, bensì per conversione della sostanza: «Alcuni hanno sostenuto che dopo la consacrazione rimane in questo sacramento la sostanza del pane e del vino. – Ma ciò è insostenibile. Primo, perché questa affermazione esclude la realtà del sacramento eucaristico, la quale implica la presenza in questo sacramento del vero Corpo di Cristo. Ma questo non è presente prima della consacrazione. Ora, una cosa può farsi presente dove prima non era o per mezzo di un movimento locale o per il convertirsi di qualche altra cosa in essa: il fuoco p. es., comincia ad essere in una casa o perché ci si porta, o perché viene generato in essa. È chiaro però che il Corpo di Cristo non incomincia ad essere presente in questo sacramento per un movimento locale. Primo, perché allora dovrebbe cessare di essere in cielo; infatti ciò che si sposta localmente non giunge nel luogo successivo se non lasciando il precedente. Secondo, perché ogni corpo mosso localmente attraversa tutti gli spazi intermedi: cosa che non si può affermare nel nostro caso. Terzo, perché è impossibile che un unico movimento del medesimo corpo mosso localmente finisca allo stesso tempo in luoghi diversi: il Corpo di Cristo invece si fa presente sotto questo sacramento contemporaneamente in più luoghi. Da ciò si deduce che il Corpo di Cristo non può incominciare ad essere in questo sacramento se non per mezzo della conversione della sostanza del pane in esso. Ma quello che si muta in un’altra cosa, a mutazione avvenuta non rimane. Per salvare quindi la verità di questo sacramento si deve concludere che la sostanza del pane non può rimanere dopo la consacrazione»[26]. E: «…non c’è altro modo per cui il vero Corpo di Cristo possa iniziare ad essere in questo sacramento all’infuori della conversione in esso della sostanza del pane: e tale conversione viene negata ammettendo o l’annichilazione della sostanza del pane o la sua risoluzione nella materia preesistente»[27].
Tale conversione non è come nel caso dei cambiamenti naturali, ma è possibile solo in virtù della potenza di Dio: «essendo presente in questo sacramento il vero Corpo di Cristo, il quale non può iniziarvi la sua presenza con un moto locale, e neppure esservi presente come in un luogo […], bisogna concludere che il Corpo di Cristo vi inizia la sua presenza per la conversione in esso della sostanza del pane.
Questa conversione però non è simile alle conversioni naturali, ma è del tutto soprannaturale, compiuta dalla sola potenza di Dio. Da qui le parole di S. Ambrogio: “È noto che la Vergine generò fuori dell’ordine della natura. Ora, anche ciò che noi consacriamo è il Corpo nato dalla Vergine. Perché dunque cerchi l’ordine naturale nel Corpo di Cristo, se il Signore stesso Gesù è stato partorito dalla Vergine fuori dell’ordine di natura?”. E a commento del passo, “Le parole che vi ho rivolto (a proposito di questo sacramento) sono spirito e vita”, il Crisostomo afferma: “Sono cioè spirituali, non hanno niente di carnale né seguono un processo naturale, ma sono state liberate da ogni necessità terrena e dalle leggi che vigono sulla terra”»[28].
È perciò opera solo di Dio: «…ogni conversione che si compia secondo le leggi naturali è un cambiamento soltanto formale. Dio invece è atto infinito, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Perciò la sua azione si estende a tutta la natura dell’ente. E quindi può produrre non soltanto delle conversioni formali, in cui in un medesimo soggetto si succedono forme diverse; ma può trasmutare tutto l’ente, in modo che tutta la sostanza di un ente si converta in tutta la sostanza di un altro.
Ciò appunto avviene per virtù divina in questo sacramento. Infatti tutta la sostanza del pane si converte in tutta la sostanza del Corpo di Cristo, e tutta la sostanza del vino in tutta la sostanza del Sangue di Cristo. Perciò questa non è una conversione formale, ma sostanziale. E non rientra tra le specie delle mutazioni naturali, ma con termine proprio può dirsi “transustanziazione”»[29].
La transustanziazione è opera dello Spirito Santo e delle parole della consacrazione. In una difficoltà l’Aquinate si pone questa domanda: «Il Damasceno afferma: “Solo per virtù dello Spirito Santo avviene la conversione del pane nel Corpo di Cristo”. Ma la virtù dello Spirito Santo è una virtù increata. Dunque per nessuna virtù creata di tali parole si compie questo sacramento»[30]. E risponde: «Quando si dice che solo per virtù dello Spirito Santo il pane si converte nel Corpo di Cristo non si esclude la virtù strumentale che è nella forma di questo sacramento; come quando si dice che solo il fabbro fa un coltello non si esclude la virtù del suo martello»[31].
Non si tratta di un mutamento naturale o formale, come quelli che conosciamo, perché la forma deve essere nella materia o nel soggetto, e qui non c’è né l’uno né l’altro: «Anche la seconda obiezione si basa sulla conversione o mutazione formale; perché, come abbiamo detto, è necessario che la forma sia nella materia o nel soggetto. Ciò invece non avviene nella trasmutazione di tutta la sostanza, alla quale non compete avere soggetto»[32]. «Questa conversione, come abbiamo notato, non ha propriamente un soggetto. Tuttavia gli accidenti, che rimangono, hanno una certa somiglianza con un soggetto»[33].
Ciò è così per il solo motivo che Dio è Dio ed è l’autore dell’essere: «Per virtù di un agente limitato non può una forma cambiarsi in un’altra forma, né una materia in un’altra materia. Ma per virtù di un agente infinito, che opera su tutto l’ente, tale conversione è possibile perché ad ambedue le forme e ad ambedue le materie è comune la natura di ente; e l’autore dell’ente può mutare l’entità dell’una nell’entità dell’altra, prescindendo di ciò che distingueva l’una dall’altra»[34].
Tale conversione è istantanea, e questo per tre motivi: in primo luogo, perché la sostanza del Corpo di Cristo, termine della stessa, non è suscettibile di un “di più” o di un “di meno” – cioè perché è impossibile che la transustanziazione sia graduale –; secondo, perché non c’è un soggetto da preparare successivamente; terzo, perché la realizza ’infinita potenza di Dio[35]
Il pane si fa il Corpo di Cristo, ma il Corpo di Cristo non si fa pane: «Questa conversione del pane nel Corpo di Cristo sotto certi aspetti assomiglia alla creazione e alla trasmutazione naturale, e sotto altri differisce dall’una e dall’altra. Infatti è comune a tutti e tre la successione dei termini, cioè che una cosa sia dopo l’altra: infatti nella creazione abbiamo l’essere dopo il non essere, in questo sacramento abbiamo il Corpo di Cristo dopo la sostanza del pane, e nella mutazione naturale abbiamo il bianco dopo il nero, o il fuoco dopo l’aria; inoltre è comune la non coincidenza di detti termini.
Tale conversione assomiglia inoltre alla creazione, perché in entrambe è escluso un soggetto comune ai due termini. Il contrario invece si verifica in ogni trasmutazione naturale.
Questa conversione ha poi un’affinità con la trasmutazione naturale sotto due aspetti, però in maniere diverse. Primo, per il fatto che in ambedue uno degli estremi si converte nell’altro: il pane nel Corpo di Cristo, e l’aria (p. es.) nel fuoco, mentre il non ente non si converte nell’ente. Tuttavia nei due casi il trapasso è ben diverso. Infatti in questo sacramento l’intera sostanza del pane si converte in tutto il Corpo di Cristo; mentre nella mutazione naturale la materia di una cosa riceve la forma di un’altra dopo la perdita della forma precedente. – Secondo, si somigliano in questo, che in ambedue i trapassi rimane un dato permanente: il che non può avvenire nella creazione. Però con questa differenza: che mentre nelle trasmutazioni naturali rimane identica la materia o il soggetto, in questo sacramento rimangono identici gli accidenti.
Da ciò si rileva quali siano le differenze di linguaggio da osservarsi in proposito. Poiché infatti in nessuno dei tre processi indicati i termini estremi sono simultanei, in nessuno di essi un estremo si può predicare dell’altro con un verbo di tempo presente che indichi la sostanza: ecco perché non diciamo che “il non ente è ente”, o che “il pane è il Corpo di Cristo”, oppure che “l’aria è il fuoco”, o che “il bianco è nero”.
Tenendo conto invece che gli estremi si succedono, possiamo nei tre casi usare la proposizione “da” [ex] per designare la successione. Possiamo così dire con verità e proprietà di linguaggio che “dal non ente si ha l’ente”, “dal pane si ha il Corpo di Cristo”, “dall’aria il fuoco”, o “dal bianco il nero”.
Ma poiché nella creazione un estremo non si converte nell’altro, parlando della creazione non possiamo usare il termine “conversione”, e quindi non possiamo dire che “il non ente si converte nell’ente”. A codesto termine invece possiamo ricorrere in questo sacramento, come anche nelle trasmutazioni naturali. Ma siccome in questo sacramento si converte tutta una sostanza in tutta un’altra sostanza, tale conversione si chiama propriamente “transustanziazione”.
Ancora, poiché in questa conversione non esiste un soggetto, tutto ciò che si riscontra nelle conversioni naturali a motivo del soggetto non si può applicare a questa conversione. Innanzitutto è chiaro che la potenza all’opposto è dovuta al soggetto; ed è in relazione a esso che valgono le frasi: “il bianco può essere nero”, e “l’aria può essere fuoco”. Sebbene in questo secondo caso l’espressione non sia così appropriata come nel primo: infatti il soggetto del bianco in cui si trova la potenza al nero è tutta la sostanza di codesto soggetto bianco, non essendo il bianco una parte della sostanza; invece il soggetto della forma dell’aria è una parte dell’aria e quindi dire che “l’aria può essere fuoco” è vero in forza della parte, per sineddoche. Al contrario nella transustanziazione, come nella creazione, non essendovi alcun soggetto, non si dice che un estremo può essere l’altro, p. es., che “il non ente possa essere l’ente”, oppure che “il pane possa essere il Corpo di Cristo”. – Per la stessa ragione non si può dire propriamente che “dal non ente si ha l’ente”, o che “dal pane si ha il Corpo di Cristo”; perché questa preposizione “da” [de] indica una causa consustanziale e tale consustanzialità degli estremi nelle trasmutazioni naturali dipende dalla comunanza del soggetto. – Similmente non è consentito dire che “il pane sarà il Corpo di Cristo”, o che “il pane diventa il Corpo di Cristo”; come non è consentito, rispetto alla creazione dire che “il non ente sarà l’ente”, o che “il non ente diventa l’ente”, perché questo modo di dire è vero nelle trasmutazioni naturali a motivo del soggetto: quando diciamo, p. es., che “il bianco diventa nero” e che “il bianco sarà nero”.
Nondimeno, siccome in questo sacramento, a conversione avvenuta, rimane qualche cosa di immutato, cioè gli accidenti del pane, come si è detto sopra, secondo una certa analogia alcune delle proposizioni esaminate possono essere accettate: cioè che “il pane è il Corpo di Cristo”, che “il pane sarà il Corpo di Cristo”, oppure che “dal pane si ottiene il Corpo di Cristo”, intendendo con il termine “pane” non la sostanza del pane, ma indeterminatamente ciò che è contenuto sotto le specie del pane, sotto le quali prima era contenuta la sostanza del pane e poi il Corpo di Cristo»[36].
La conversione del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Salvatore è tanto mirabile, singolare, unica ed eccezionale che, afferma San Tommaso, è più difficile della creazione del mondo: «In questa conversione ci sono delle cose più difficili che nella creazione, nella quale è difficile soltanto questo, che una cosa venga dal nulla: ciò ad aliquid differt ab utroque. Est enim commune his tribus ordo terminorum, scilicet ut post hoc sit hoc, in creatione enim est esse post non esse, in hoc sacramento Corpus Christi post substantiam panis, in transmutatione naturali album post nigrum vel ignis post aerem; et quod praedicti termini non sint simul. Convenit autem conversio de qua nunc loquimur cum creatione, quia in neutra earum est aliquod commune subiectum utrique extremorum. Cuius contrarium apparet in omni transmutatione naturali.
Convenit vero haec conversio cum transmutatione naturali in duobus, licet non similiter. Primo quidem, quia in utraque unum extremorum transit in aliud, sicut panis in Corpus Christi, et aer in ignem, non autem non ens convertitur in ens. Aliter tamen hoc accidit utrobique. Nam in hoc sacramento tota substantia panis transit in totum Corpus Christi, sed in transmutatione naturali materia unius suscipit formam alterius, priori forma deposita. Secundo conveniunt in hoc, quod utrobique remanet aliquid idem, quod non accidit in creatione. Differenter tamen, nam in transmutatione naturali remanet eadem materia vel subiectum; in hoc autem sacramento remanent eadem accidentia.
Et ex his accipi potest qualiter differenter in talibus loqui debeamus. Quia enim in nullo praedictorum trium extrema sunt simul, ideo in nullo eorum potest unum extremum de alio praedicari per verbum substantivum praesentis temporis, non enim dicimus, “non ens est ens”, vel, “panis est Corpus Christi”, vel, “aer est ignis” aut “album nigrum”. Propter ordinem vero extremorum, possumus uti in omnibus hac praepositione “ex”, quae ordinem designat. Possumus enim vere et proprie dicere quod “ex non ente fit ens”, et “ex pane Corpus Christi”, et “ex aere ignis” vel “ex albo nigrum”. Quia vero in creatione unum extremorum non transit in alterum, non possumus in creatione uti verbo “conversionis”, ut dicamus quod “non ens convertitur in ens”. Quo tamen
tuttavia rientra nel modo di operare che è proprio della causa prima, la quale non presuppone nient’altro. Invece nella transustanziazione non solo è difficile il fatto che questo tutto si converte in un altro tutto, cosicché non resti nulla del primo, e ciò non rientra nel modo comune di agire di nessuna
verbo uti possumus in hoc sacramento, sicut et in transmutatione naturali. Sed quia in hoc sacramento tota substantia in totam mutatur, propter hoc haec conversio proprie “transubstantiatio” vocatur. Rursus, quia huius conversionis non est accipere aliquod subiectum, ea quae verificantur in conversione naturali ratione subiecti, non sunt concedenda in hac conversione. Et primo quidem, manifestum est quod potentia ad oppositum consequitur subiectum, ratione cuius dicimus quod “album potest esse nigrum”, vel “aer potest esse ignis”. Licet haec non sit ita propria sicut prima, nam subiectum albi, in quo est potentia ad nigredinem, est tota substantia albi, non enim albedo est pars eius; subiectum autem formae aeris est pars eius; unde, cum dicitur, “aer potest esse ignis”, verificatur ratione partis per synecdochen. Sed in hac conversione et similiter in creatione, quia nullum est subiectum, non dicitur quod unum extremum possit esse aliud, sicut quod “non ens possit esse ens”, vel quod “panis possit esse Corpus Christi”. Et eadem ratione non potest proprie dici quod “de non ente fiat ens”, vel quod “de pane fiat Corpus Christi”, quia haec praepositio “de” designat causam consubstantialem; quae quidem consubstantialitas extremorum in transmutationibus naturalibus attenditur penes convenientiam in subiecto. Et simili ratione non conceditur quod “panis erit Corpus Christi”, vel quod “fiat Corpus Christi”, sicut neque conceditur in creatione quod “non ens erit ens”, vel quod “non ens fiat ens”, quia hic modus loquendi verificatur in transmutationibus naturalibus ratione subiecti, puta cum dicimus quod “album fit nigrum”, vel “album erit nigrum”. Quia tamen in hoc sacramento, facta conversione, aliquid idem manet, scilicet accidentia panis, ut supra dictum est [in c. et a.5], secundum quandam similitudinem aliquae harum locutionum possunt concedi, scilicet quod “panis sit Corpus Christi”, vel, “panis erit Corpus Christi”, vel, “de pane fit Corpus Christi”; ut nomine “panis” non intelligatur substantia panis, sed in universali “hoc quod sub speciebus panis continetur”, sub quibus prius continetur substantia panis, et postea Corpus Christi».
causa, ma c’è di difficile anche la permanenza degli accidenti dopo la conversione della sostanza, e molte altre cose di cui si parlerà in seguito. Ciò nonostante, il termine “conversione” si usa per questo sacramento..., e non per la creazione»[37].
È opera della potenza attiva del Creatore: «La potenza, come si è detto, spetta al soggetto, che manca in questa conversione. Ecco perché non è lecito dire che il pane può essere il Corpo del Cristo, poiché questa conversione non si compie in virtù della potenza passiva della creatura, ma solo in virtù della potenza attiva del Creatore»[38].
È una conversione miracolosa: «…in questo sacramento la consacrazione della materia consiste in una miracolosa conversione della sostanza che Dio solo può compiere. Perciò nel fare questo sacramento il ministro non ha altro ufficio che quello di proferire le parole»[39].
È molto adatta la forma della consacrazione del pane «Questo è il mio Corpo»: «Questa è la forma conveniente della consacrazione del pane. Sopra infatti abbiamo visto che tale consacrazione consiste nella conversione della sostanza del pane nel Corpo di Cristo. Ora, è necessario che la forma del sacramento significhi ciò che il sacramento produce. Quindi anche la forma della consacrazione del pane deve significare la conversione del pane nel Corpo di Cristo, nella quale si riscontrano tre elementi: la conversione, il termine di partenza e il termine di arrivo.
Ebbene, la conversione si può considerare in due modi: nel suo compiersi [in fieri] e nella sua attuazione già avvenuta [in facto esse]. Ora, nella forma della consacrazione del pane la conversione non doveva essere indicata nel suo compiersi, ma come attuata. Primo, perché questa conversione non è successiva ma istantanea, come si è detto sopra, e nelle mutazioni istantanee il compiersi s’identifica con l’essere compiuto. – Secondo, perché le forme sacramentali servono a indicare l’effetto del sacramento, come le forme artificiali servono a indicare l’effetto dell’arte. Ma la forma che guida l’arte è l’immagine del prodotto rifinito a cui l’artista mira con la sua intenzione: la forma dell’arte p. es., nella mente di un architetto è principalmente la forma della casa costruita, e solo secondariamente la forma della sua costruzione. Perciò anche nella forma della consacrazione del pane deve esprimersi la conversione come attuata, perché ad essa mira l’intenzione.
Ora, poiché la conversione stessa viene espressa in questa forma come compiuta, necessariamente gli estremi della conversione vanno indicati come sono al momento in cui la conversione si è già realizzata. Ma allora il termine di arrivo ha la natura propria della sua sostanza, mentre il termine di partenza non conserva la sua sostanza, ma solo i suoi accidenti, con i quali si presenta ai sensi e secondo i quali è determinabile dai sensi. È giusto quindi che il termine di partenza venga indicato con il pronome dimostrativo riferito agli accidenti sensibili che rimangono. Invece il termine di arrivo si esprime con un sostantivo che indica la natura di ciò in cui la cosa si converte: e questo, come abbiamo notato, è il Corpo di Cristo nella sua integrità e non la sola carne. Perciò la forma “questo è il mio Corpo” è convenientissima»[40].
Padre Carlos Miguel Buela,