0gni profitto, propriamente detto, di questa società è per noi. –Ma non bisogna perder di vista una ragione che dee far crescere in noi la riconoscenza verso il nostro socio divino, e la stima per la società che a lui ci unisce. Il profitto è comune, come abbiamo spiegato; ma non può acquistarsi ad un modo da lui e da noi. Chè i vantaggi indi provenienti per noi sono tutto, e formano ogni nostra ricchezza, ogni nostra perfezione, ogni nostro bene; laddove per lui, quanto alla ricchezza, alla perfezione, al bene, sono niente. Tutto e niente, qui sta la differenza, nè può dubitarsene.
Infatti questa gloria esteriore che noi possiamo rendere a Dio, benchè a lui dovuta, benchè da esigersi da lui, benchè d'un valore senza pari, non aggiunge niente, assolutamente niente, al bene e alla gloria posseduta da Dio essenzialmente in se medesimo. Egli, come abbiamo notato, è infinitamente perfetto, e all'infinita perfezione non si può aggiunger niente: egli esiste per sè, nè deve che a sè il proprio bene, come il proprio essere, nè si darebbe maggiore assurdità del supporlo dipendente dalle sue creature: che noi lo amiamo o non lo amiamo, che noi meritiamo l' eterno bene cui ci offre o ci gittiamo da stolti ed ingrati nell' eterno male, egli non cesserà di essere quegli che è da tutta la eternità, infinitamente perfetto e in finitamente beato ; egli è nostro Dio e non abbisogna dei nostri beni, Deus meus estu, quo niam bonorum meorum non eges (Ps. XV,2). Quando però egli ci fa invito di amarlo, quando ci ordina di glorificarlo, quando c'impone di aver lui per nostro ultimo fine, i suoi inviti e comandi sono al tutto disinteressati : potendo egli nella sua eternità passarsi della gloria che ci domanda così dopo, come potè prima del nostro nascimento, senza risentirne la minima privazione. Tanto più che se noi resistiamo, egli saprà ottenere mal nostro grado quella gloria medesima cui attende dal nostro libero amore e dal bene che ne deve a noi provenire: chè se gliela toglie la nostra ribellione, il castigo onde questa sarà punita gliela renderà, e noi glorificheremo la sua giustizia in proporzione del nostro aver ricusato di glorificarne l' amore, per quel sentire che fa il dannato nell' inferno la perdita di Dio a misura del godimento che avrebbe gustato nel possesso del sommo Bene, e col dolore della perdita egli ne esalta l'amabilità infinita nè più nè meno di quello che avrebbe fatto colla gioia del possederlo. Ha potuto perdere se stesso, ma vincere il suo Creatore non mai.
Dunque Iddio opera doppiamente senza interesse nella società formata con noi e nel comando fattoci di unire i nostri interessi coi suoi. O società veramente ammirabile! O ad mirabile commercium/ Il capitale tutto quanto è del nostro socio celeste, i guadagni sono tutti quanti per noi! Sì,per noi, formando essi una ricchezza tutto nostra. Quando le ombre del tempo si dissiperanno, e scomparranno le vane apparenze di ciò che appellasi mondo, non ci resterà in mano se non l'acquistato da noi nel nostro commercio con Gesù Cristo, e i meriti colti per la virtù del suo Cuore di vino saranno misura della nostra perfezione e della nostra eterna felicità. Se avrem trascurato di far valere questa divina società, avessimo pure goduto ogni bene del mondo, posseduta la stima universale, operato prodigi, ci troveremo a mani vuote, e durante la eternità sarà nostra porzione la sola spaventosa indigenza dell' inferno, la fame del bene infinito. Anzi fin d' ora non abbiamo meriti veri e vere ricchezze se non negli acquisti di tale società, in virtù de' quali noi siamo padroni dell'eternità, coeredi degli angeli e di Gesù Cristo, possessori di Dio!
Quanto adunque somiglianti vantaggi non sono necessari a Dio, altrettanto sono indispensabili a noi: senza di essi egli rimarrebbe l' infinita perfezione che è per essenza; ma noi non saremmo più altro che niente e peccato: senza di essi egli possederebbe del pari la pienezza della eterna felicità, ma noi non avremmo in eredità che la eterna dannazione.
ENRICO RAMIÈRE S. J.
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