domenica 1 marzo 2020

SE STARAI CON ME TI PARLERO’ DI ME



(Gesù racconta dalla Croce)


E il venerdì sette aprile, ore dodici, dell'anno trenta e mi ritrovo appeso come un cencio su una croce, trattato come un brigante, anzi condannato a morte al posto di un brigante.
M'è davanti la mia tenerissima madre, ritta, ai piedi di questo palo al quale m'hanno inchiodato. Sembra un soldato valoroso che, al termine di una grande battaglia vinta, mostra fiero le ferite sanguinanti del corpo al comandante per dirgli: "Sono ridotto così, ma non preoccuparti, abbiamo vinto".
"Sì madre, puo dirlo forte, abbiamo vinto. Io torno al Padre e nel Padre troverò la sua compiacenza per te e continuerò ad amarti ed attenderti fintanto che gli Angeli santi ti ricondurranno a me nella santa Dimora".
Nel suo cuore rivedo la piccola casa di Nazareth. Il mio caro Giuseppe che non dimenticò mai, quando mi teneva fra le braccia, che sotto quella tenera carne di bimbo palpitava l'essenza del Dio dei suoi Padri. L'espressione si riferisce al verbo incarnato. Adorò in me il Dio creato e celato, fu il primo adoratore dell'Eucarestia. Guardò e custodì mia madre come un tempio santo, lasciandosi inebriare dal suo profumo verginale e consacrante.

I primi tempi

Mi rivedo adulto a trent'anni, quando per l'ultima volta lasciai quella casa che, come il seno di mia madre, mi aveva custodito, per andare incontro agli uomini.
In un solo attimo mi si ripresentano tutte le tappe degli ultimi tre anni della mia vita. L'incontro con Giovanni il Battista... il suo cuore sincero, la sua umiltà profonda mi fecero un gran bene dopo il distacco dalla casa di Nazareth.
I quaranta giorni nel deserto della valle del Giordano in una lunga estasi all'ascolto intimo e divino del progetto del Padre per la rappacificazione del suo amore con il cuore degli uomini. E poi l'incontro con i primi due apostoli: Giovanni ed Andrea, che con semplicità credettero che ero il Messia. E la faccia corrucciata di Pietro che non seppe resistere suo malgrado al mio sguardo e mi seguì. E tutti gli altri.
Rividi il pozzo di Giacobbe sul monte Garizim, dove incontrai un'umile peccatrice samaritana, che pur non comprendendo il mio discorso lo accolse e cambiò vita, solo perchè le diedi fiducia, chiamandola col titolo onorifico di donna, pieno di stima ed affetto riverente.
Mi tornano alla mente tutti i miracoli che ho fatto e tutti i miracolati ai quali ho ridato vita e salute pur sapendo che oggi li avrei rivisti nel vigore delle loro forze ai piedi di questo monte a gridare "Crocifiggilo".
E Maria, la prostituta che entra a casa di Simone confondendosi con i servi per cospargere i miei piedi con prezioso profumo misto alle sue calde lacrime e la mia gioia nell'amministrarle il perdono: "Donna ti sono perdonati i tuoi peccati, va' in pace''.
E gli Scribi e i Farisei, sempre pronti lì a volermi far fuori per non scomodarsi a rivedere il proprio interiore. Li rivedo adesso in mezzo a questa enorme folla che compiaciuta si gode uno spettacolo gratuito in questo giorno, grazie proprio alla pervicacia di quei governatori e conservatori della legge di Mosè, legge interpretata e non amata.
Rivedo Pietro, la sua fede, il suo "ascoltare" i miei discorsi senza tanti ragionamenti. Mi aveva seguito perchè gli ero simpatico e mi voleva bene con l'affetto di un padre. Per me aveva lasciato moglie e figlia, con grande dolore, ma senza mai pentirsi. Mi amava più di ogni cosa al mondo, più di se stesso. Fu lui che con grande impeto mi gridò: "Sei tu il Messia, il figlio del Dio vivente". Verità rivelatagli, per il suo cuore libero e sincero, dal Padre mio. E fu in quel momento, che con profonda riconoscenza sentii che potevo fidarmi di lui, gli diedi il potere di sciogliere e di legare qualsiasi cosa in terra confermandogli che così sarebbe stato anche nei cieli, insomma gli diedi le chiavi del Regno.
Esattamente otto giorno dopo aver annunciato di essere il Messia, invitai Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte Tabor. Arrivammo lì molto stanchi verso sera. Il sole radente illuminava l'orizzonte. Sentii un gran bisogno di allontanarmi da loro per unirmi intimamente al Padre mio, sotto la volta di un cielo intessuto di stelle e volli dare loro un segno della beatitudine Trinitaria. Con un gran bagliore, meglio che se fosse stato mezzogiorno, il mio corpo apparve loro condensato di una luce vivissima, riflessa dalla presenza del Padre mio. Con me erano Mosè ed Elia, rappresentanti della legge e della profezia. E Pietro, sempre lui così irruento e spontaneo, mi fece la proposta di voler fare tre tende!
E poi la festa dei Tabernacoli, quella che ricordava la dimora degli antichi Ebrei sotto le tende nel deserto. Ero lì anch'io ed era l'anno ventinove. Seduto insieme con i miei apostoli assistevo alla grandiosa fiaccolata che concludeva gli otto giorni di celeIrazioni. Ammiravo le danze che facevano gareggiando nel saltellare il più a lungo possibile con in mano la fiaccola accesa. Ero affascinato da quella allegria popolare e guardando le grandi lampade appese agli altissimi candelabri pensavo, e confidai il mio pensiero agli Apostoli: "Io sono la vera luce del mondo. Chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà sempre la luce della vita eterna".
Ad un tratto si sentì un gran chiasso, alcuni Farisei trascinavano una donna che avevano sorpresa mentre giaceva con un uomo che non era suo marito. Volevano lapidarla. Ma ciò che più mi fece male fu il ragionamento dei Farisei. Non erano lì per osservare con zelo la legge, come poteva apparire, ma l'avevano portata apposta per mettere me in difficoltà. Loro facevano presa sul fatto che io avevo predicato l'amore ed il perdono cercando di spiegare alla gente che il Padre mio mi aveva mandato solo per dare speranza ed amore... "Amatevi a vicenda, perdonate settanta volte sette, perché il Padre ha questi sentimenti nei vostri confronti e voi dovete averli nei confronti degli altri". Loro davano per scontato che io avrei perdonato e amato quella donna e quindi avrebbero potuto condannarmi a morte per non aver osservato la legge di Mosè. D'altronde se anch'io fossi stato dalla loro parte mi avrebbero presentato al popolo come un bugiardo che dopo aver predicato l'amore ed il perdono, presente l'occasione di praticarlo, mi tiravo indietro per paura, comportandomi diversamente da come avevo predicato. Tutto questo lessi nei loro cuori e nelle loro menti, mentre seduto per terra col dito tracciavo dei segni nella sabbia. Insistevano nel chiedermi un parere e così al di là di ogni legge deliberai che chi non avesse peccato poteva cominciare a tirare la prima pietra. Con questo mio dire desiderai rendere chiaro che nessun uomo può appellarsi a nessuna legge per giudicare un altro uomo, poichè ci sono peccati che possono essere scoperti, come questo, ma ci sono molti altri peccati avvolti dalle tenebre della furbizia che l'uomo riesce perfettamente a nascondere. Se ne andarono lasciandomi quella donna raggomitolata per terra, piena di paura e stupore. In quel momento mi alzai e fui pienamente felice di poterle dare una mano rassicurante e con tutto l'affetto del cuore le dissi: "Donna va' in pace. E d'ora in poi non peccare più". Ella mi guardò con gli occhi pieni di lacrime e di gratitudine e nel suo sguardo lessi: "Grazie, maestro buono, il tuo amore mi ha guarita".


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Mi congratulo con Rosalba per queste intense e profonde meditazioni e La ringrazio di averci resi partecipi di questo prezioso dono Frate Cornelio M. Del Zotto ofm

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