1969
DOPO IL CONCILIO: LA CHIESA DI FRONTE ALLA CRISI MORALE CONTEMPORANEA *
* Conferenza pronunziata alla Faculté Autonome d'Économie et de Droit di Parigi. Prima di mons. Lefèbvre aveva parlato il Decano della Facoltà, professor Dauphin-Meunier (N.d.E.). Signor Presidente, la ringrazio di darmi l'occasione di parlare davanti a questa assemblea, anche se mi mancherà l'eloquenza del professore di diritto che mi ha preceduto. Sono un missionario, poco abituato a parlare davanti a un uditorio così distinto, ma spero di farlo con la stessa fede e con lo stesso coraggio: sapete quanto ne occorra oggi per opporsi alle idee correnti. Se dirò cose che potrebbero suscitare la loro meraviglia, avrò cura di farle loro osservare affinché vi riflettano e sappiano fare le necessarie distinzioni. Mi è stato chiesto di parlare della situazione della Chiesa di fronte alla crisi morale contemporanea. Ritengo, e loro lo sanno quanto me, che questa crisi morale abbia radici molto profonde nella nostra storia. Occorre certamente risalire al momento in cui nella cristianità la prima crisi morale divenne pubblica (crisi morali personali ne abbiamo tutti), quella crisi cioè che distrusse la base stessa della morale sostituendo all'autorità di Dio la coscienza personale. Fu la nascita del protestantesimo che sostituì il libero arbitrio all'autorità di Dio, all'autorità della Chiesa. Questa crisi morale si manifestò al mondo per la seconda volta in modo ancora più drammatico, più tragico, quando a coloro che ci comandavano e ci guidavano nella vita civile in nome di Gesù Cristo, in nome di Dio, subentrarono coloro che ci guidavano in nome della dea Ragione. In una parola, il fondamento del diritto e del dovere morale, che è Dio, fu sostituito, si trattasse dell'individuo o della società, dalla coscienza e dagli uomini. Era la fine della società! E siamo ancora, più o meno, a quello stesso punto. Ci furono certamente reazioni. Ma dal momento in cui ci consegnarono nelle mani di uomini che non si riferivano più a Dio, siamo diventati schiavi di quegli uomini. Sa il cielo con quali conseguenze! Loro conoscono la storia di tutte le guerre che ne derivarono, di tutti i drammi vissuti dalla Francia da due secoli in qua, di tutto il sangue versato a causa di quella dimenticanza, di quella sostituzione di coscienza e ragione a Dio. Certo, in alcuni paesi, in alcuni casi particolari, la cristianità reagì. Ma quale fu l'atteggiamento della Chiesa davanti a quella ribellione a Dio e a se stessa? L'opposizione dei Papi, di molti vescovi, della maggior parte dei sacerdoti e dei fedeli fu risoluta. Dopo la Rivoluzione nacquero nuove congregazioni religiose, si potè assistere al ritorno di una certa autorità che si diceva ancora unita a Dio e, in alcuni paesi, al ritorno della monarchia cristiana. Ma non va taciuto che durante tutto il secolo XIX si ebbero cattolici (non parlo dei nemici della Chiesa, di coloro che volevano conservare a tutti i costi le loro conquiste) che credettero possibile raggiungere un compromesso, un'intesa con i princìpi della Rivoluzione, i princìpi del protestantesimo. È la storia del liberalismo cattolico. Esso fu affermato, forse, in buona fede, ma la Chiesa rimase sempre fedele ai suoi princìpi e lo condannò. Successori del liberalismo cattolico furono più tardi il Sillon 8 il modernismo e oggi il neomodernismo. Si deve purtroppo in parte ad essi il fallimento dei tentativi fatti dai Papi, da un buon numero di vescovi, da sacerdoti e fedeli di ricollocare Nostro Signore Gesù Cristo a fondamento della società e della nostra morale. Fino al Santo Padre Pio XII abbiamo udito affermare quelle verità in modo chiaro, solenne. Si può dire che Pio XII illuminò di una luce straordinaria tutti i difficili problemi della nostra epoca. Fu un papa eccezionale. Durante il Concilio avremmo potuto limitarci a consultare i suoi scritti inserendo nei nostri schemi le soluzioni da lui date a quei problemi, e il Concilio sarebbe stato infinitamente superiore a quello che è stato. Ai tempi di Pio XII - questo va detto - la Chiesa si trovava in una situazione relativamente fiorente, almeno in alcuni paesi. Pensiamo all'Olanda, i cui cattolici aumentavano con rapidità tale da diventare maggioranza; alla Svizzera, trasformatasi altrettanto rapidamente, per esempio nel cantone di Ginevra. Il Portogallo ritrovava, dopo la rivoluzione, la fede cristiana; la Spagna ritornava alla fede degli avi. Le conversioni erano numerosissime: centottantamila all'anno negli Stati Uniti, da cinquanta a ottantamila in Inghilterra. È incontestabile che i protestanti si stavano avvicinando alla Chiesa cattolica. Come si spiega che le forze sovversive siano riuscite a penetrare dappertutto, nei nostri seminari in particolare? Già vi circolavano, purtroppo, fogli clandestini; l'insegnamento della dottrina di san Tommaso era osteggiata, i professori cominciavano a tenervi corsi privati che sfuggivano a ogni controllo. La maggior parte dei vescovi non riusciva a sapere che cosa si insegnasse nei loro seminari. Lentamente ma sicuramente l'opera di distruzione cominciò fin dal tempo di Pio XII di venerata memoria. Ed eccoci alla vigilia del Concilio. Concilio che non ha ancora finito di far parlare di sé! Nella mia qualità di membro della commissione centrale preconciliare, di cui facevano parte ottanta cardinali, una ventina di arcivescovi, una decina di vescovi e quattro superiori generali di congregazioni religiose, potei constatare personalmente che il Concilio fu preparato con grande serietà e fedeltà alla Tradizione. Bisognerebbe poter pubblicare adesso tutti quegli schemi preparatori per constatare a che punto si trovasse la dottrina della Chiesa il giorno precedente l'apertura del Concilio. Ma ecco dove è il cuore del dramma (non sono il solo a pensarlo): Fin dai primi giorni il Concilio fu investito dalle forze progressiste. Noi ne avemmo la sensazione, ce ne rendemmo conto. E quando dico «noi» posso dire la maggioranza dei padri conciliari. Ci convincemmo che nel Concilio stava accadendo qualche cosa di anormale. Il modo di agire di coloro che, attaccando la Curia romana, volevano distogliere il Concilio dal suo fine e, attraverso la Curia, colpire Roma e il successore di Pietro, fu scandaloso. Quando il cardinale Ottaviani ci sottopose i nomi di coloro che avevano fatto parte delle commissioni preconciliari allo scopo di comporre le commissioni conciliari (cosa normalissima; infatti, essendo duemilaquattrocento, provenienti da tutte le parti del mondo, non ci conoscevamo), un grido di indignazione si levò da parte di «quelli delle rive del Reno», che insorsero contro la pressione esercitata da Roma per imporre i membri delle commissioni. Stupore generale! Ma il giorno dopo ci furono distribuite liste internazionali già predisposte, composte da nomi che non conoscevamo e che finirono con l'essere accettate. Chi le aveva compilate conosceva perfettamente quei vescovi, tutti (è superfluo dirlo) appartenenti alla stessa tendenza. Fu così che le commissioni furono formate per due terzi da membri progressisti. Ovviamente, i testi degli schemi che ci furono consegnati nel corso delle sessioni conciliari rispecchiavano chiaramente le idee della maggioranza dei membri delle commissioni. Ci trovammo quindi davanti a una situazione assolutamente inestricabile. Come cambiare completamente e in profondità quegli schemi del Concilio? È possibile modificare qualche frase, qualche proposizione, non l'essenziale. Le conseguenze di quella situazione sono pesanti. Ma ci viene affermato: Questo Concilio è infallibile, non avete il diritto di dubitarne; tutto quanto è stato approvato dal Papa e dai vescovi deve essere accettato tal quale senza discussione. Io penso che sia necessario distinguere e, per prima cosa, definire questo Concilio. Questo Concilio, infatti, è stato ripetutamente detto «pastorale», e quando volevamo che fosse precisato qualche termine, ci sentivamo rispondere: È inutile: non si tratta di un Concilio dogmatico, ma di un concilio pastorale. Le persone per cui parliamo non sono specialisti, e nemmeno teologi. Per concludere: si tratta di un testo di predicazione, e non di un testo scientifico. Ne avevamo, purtroppo, prove evidenti. Ammetteranno che non fa molto onore a un'assemblea di duemilaquattrocento vescovi compilare uno schema sulla Chiesa avente per scopo principale la collegialità e dovervi poi aggiungere una nota esplicativa per spiegare il significato di tale collegialità! Penso che se il testo fosse stato studiato a sufficienza e fosse stato a sufficienza esplicito non sarebbero occorse note esplicative. I concili furono sempre dogmatici. Certo, il Concilio Vaticano II è un concilio ecumenico per numero di vescovi partecipanti e perché convocato dal Papa, ma non è un concilio come gli altri. Giovanni XXIII si è espresso chiaramente in proposito. Il suo oggetto fu evidentemente diverso da quello degli altri concili. Per evitare l'ambiguità di un concilio pastorale eravamo intervenuti chiedendo due testi: uno dottrinale e uno di considerazioni pastorali. L'idea del testo dottrinale fu esclusa a favore del solo testo pastorale. Penso però che questo fatto abbia un'importanza capitale in quanto ci farà meglio comprendere la situazione in cui ci troviamo. Non so che cosa loro ne pensino, ma ci parlano continuamente dello «spirito postconciliare», causa di tutti i nostri mali, che provoca la ribellione dei chierici, solleva contestazioni, è all'origine dell'occupazione di cattedrali e di parrocchie e di tutte le stravaganze della liturgia e della nuova teologia. Questo «spirito postconciliare» non avrebbe davvero nulla a che fare con il Concilio? Sarebbe un fenomeno totalmente estraneo al Concilio? L'albero si giudica dai suoi frutti… Che fare allora? Qual è l'atteggiamento del Papa? Il Santo Padre ha reso pubblicamente una professione di fede. Ora, questo atto, dal punto di vista dogmatico, è più importante dell'intero Concilio. Sottolineo: dal punto di vista dogmatico. Quel Credo, compilato dal successore di Pietro per affermare la fede di Pietro, ha rivestito una solennità assolutamente straordinaria. Il Papa ha infatti manifestato la sua intenzione di farlo come successore di Pietro, e da solo, in quanto vicario di Cristo. Quando si è levato in piedi per proclamare il Credo, si sono alzati anche i cardinali, e l'intera folla ha voluto fare lo stesso. Ma il Papa ha fatto sedere tutti, volendo con quel gesto dimostrare che era lui solo a proclamare, in quanto vicario di Cristo, in quanto successore di Pietro, il suo Credo; e lo ha proclamato con le parole più solenni, nel nome della Santissima Trinità, al cospetto degli Angeli, al cospetto di tutta la Chiesa. Ha quindi compiuto un atto che impegna la fede della Chiesa. Consolazione e fiducia per noi: lo Spirito Santo non abbandona la Sua Chiesa! Di conseguenza, dato che gli altri concili sono stati concili dogmatici, e considerato che questa professione di fede è una professione di fede dogmatica, si può dire in verità che l'arca della fede, che già poggiava sul Concilio Vaticano I, trova adesso un nuovo punto di appoggio nella professione di fede di Paolo VI. Il Papa ha recentemente confermato il suo Credo intervenendo a proposito del catechismo olandese. I testi del Concilio, specialmente la costituzione Gaudium et spes e la dichiarazione sulla libertà religiosa, sono stati firmati dal Papa e dai vescovi, per cui non possiamo dubitare del loro contenuto. Equivarrebbe a disprezzare quello che ci è stato ripetuto costantemente sul fine e quindi sulla natura dei Concilio Vaticano II. E tuttavia, come interpretare, per esempio, la dichiarazione sulla libertà religiosa, che racchiude una certa contraddizione interna? All'inizio vi si afferma l'adesione totale alla Tradizione. Ma poi nel testo nulla vi corrisponde! Che cosa ci resta infine da fare? Lasciamo alla provvidenza e alla Chiesa la cura di pronunciarsi a suo tempo sul valore dei testi del Concilio Vaticano II. Ma è sulla Fede cattolica e romana riaffermata dal successore di Pietro che la cristianità dev'essere ricostruita. Occorre ricostruirla con i princìpi usati nel costruirla. Come disse molto giustamente il santo Papa Pio X, una civiltà cristiana è già esistita, per cui non occorre più inventarla. È esistita, basta farla rivivere. Non dobbiamo esitare a ricostruire la società su Nostro Signore Gesù Cristo, unico fondamento della nostra morale, della nostra vita personale, familiare e pubblica. È su questi stessi princìpi che oggi dobbiamo rifare una società cristiana. Non vi è motivo per cui non possano essere ricostruiti la società cristiana, la famiglia cristiana, la scuola cristiana, la corporazione cristiana, la professione e il mestiere cristiani, lo Stato cristiano. Rinunciarvi, significherebbe dubitare della nostra fede. Forse ne beneficieranno soltanto coloro che ci seguiranno. Poco importa! Dobbiamo adoperarci a quel fine. Penso che questa Facoltà Autonoma di Economia e Diritto da poco fondata a Parigi ne sarà un magnifico esempio. Ma, come abbiamo detto, occorre costruire con uno spirito di fede sostenuto dalla preghiera. Non dobbiamo accontentarci di mezze misure, né lasciarci indurre a compromessi. Se non edificheremo sulla roccia della cattolicità, sulla pietra angolare che è Nostro Signore Gesù Cristo, ricominceremo a tergiversare ritrovandoci di nuovo, infine, con il liberalismo e il neomodernismo, alle porte del comunismo. Abbiamo, grazie a Dio, motivi di fiducia perché c'è una gioventù che vuole tali soluzioni e si oppone al disordine. Non tutta la gioventù è corrotta, come vogliono farci credere. Molti hanno un ideale, molti sono alla ricerca di qualcuno che risolva i loro problemi. L'esempio della Cité Catholique, come quello di coloro che attraverso la stampa e le associazioni si sforzano di farne penetrare le idee nella mente dei giovani, è significativo. È degno di nota il fatto che a un congresso come quello tenuto l'anno scorso a Losanna abbiano partecipato ottocento giovani tra i venti e i trent'anni. Non mancano neppure le vocazioni di giovani seminaristi che chiedono di essere formati, ma non nei seminari da cui sono state bandite formazione e disciplina, bensì in istituti in cui sanno di potersi preparare al sacerdozio conforme alle sane tradizioni della Chiesa. Possiamo dunque contare sui giovani; con essi, un magnifico lavoro ci attende. Terminerò dicendo per quale ragione dobbiamo restituire a Nostro Signore Gesù Cristo il posto che gli compete, perché senza di lui non potremo far nulla. Egli è il fondamento del diritto, è il perché dei nostri doveri, è il fine della nostra vita, è il protettore dei deboli, è la misericordia verso i peccatori, è il giusto giudice dei nostri tribunali. Poco tempo fa, durante un processo che si svolgeva alla televisione italiana, osservai dietro il giudice il crocifisso e pensai: Per chi è condannato, la vista del crocifisso alle spalle del giudice significa la possibilità di appello. Egli, infatti, può dire al giudice: Forse ho agito male, ma colui che ci guarda sa di certo che anche lei non è senza peccato; sia indulgente con me! Quando il crocifisso è assente, siamo fra uomini, siamo abbandonati alla mercé dei nostri personali giudizi. La Rivoluzione, nel bandire il Cristo, ci ha, come ho detto, consegnati agli uomini. Oggi, anche certi chierici vorrebbero bandire il Cristo dalle nostre chiese affinché ci ritroviamo soltanto fra uomini. Quando ci ritroveremo soltanto fra uomini, in chiese prive della presenza reale di Gesù Cristo, prive di Dio, le stesse chiese diventeranno superflue! Tutti i martiri sono morti nel nome di Cristo. Nella nostra patria sono legione coloro che, come i martiri della Vandea, sono caduti per ricostruire una Francia cristiana! Seguiamoli, affinché la nostra vita abbia una ragion d'essere!
Marcel Lefèbvre