domenica 15 gennaio 2023

Un vescovo parla

 


L'AUTORITÀ NELLA FAMIGLIA E NELLA SOCIETÀ AL SERVIZIO DELLA NOSTRA SALVEZZA


In una recente allocuzione pubblica di questo mese di ottobre il Santo Padre Paolo VI metteva in guardia i fedeli contro l'interpretazione erronea di certe affermazioni del Concilio riguardanti la dignità della persona umana, interpretazione che condurrebbe al rifiuto dell'autorità e al disprezzo dell'obbedienza. I fatti così numerosi dei quali siamo testimoni in questa epoca post-conciliare e che rivelano le conseguenze di questa falsa interpretazione, giustificano i timori del Santo Padre. Non siamo forse sconvolti da queste aperte rivolte di certi gruppi di azione cattolica contro i vescovi, di seminaristi contro i loro superiori, di sacerdoti, di religiosi, di suore che manifestano un atteggiamento negativo nei confronti dell'autorità rendendone l'esercizio impossibile? La dignità umana, l'esaltazione della coscienza personale divenuta regola fondamentale della moralità, i carismi personali, sono i pretesti per ridurre l'autorità a un principio di unità senza alcun potere. Come non accostare questo fermento, preludio di ribellione, al libero esame che fu la fonte delle grandi calamità degli ultimi secoli? Ci sembra più opportuno che mai ristabilire la vera nozione dell'autorità, e a questo scopo mostrarne i benefici voluti dalla provvidenza nelle due società naturali di diritto divino che hanno quaggiù su ciascun individuo un influsso primordiale: la famiglia e la società civile. È bene qui ricordare che l'autorità è la causa formale della società. Essa ha dunque il fine di reggere, di dirigere tutto quello che è orientato verso la causa finale della società, che è un bene comune a tutti i suoi membri. Poiché i membri di una società sono esseri intelligenti, l'autorità dirigerà necessariamente la loro attività verso il fine comune mediante direttive o leggi, veglierà alla loro applicazione e detterà sanzioni contro coloro che si oppongono al bene comune. Il soggetto dell'autorità può essere designato in molteplici modi, ma il potere dell'autorità, vale a dire la facoltà di dirigere altri esseri umani, è una partecipazione all'autorità di Dio. Poiché esistono molti tipi di società, i regolamenti riguardanti l'autorità possono essere molto diversi ma non impediranno mai all'autorità di essere di origine divina: «Non esiste autorità che non venga da Dio» (Rom. 13, 1). «Non avresti alcun potere su di me se non ti fosse stato dato dall'alto», disse Nostro Signore a Pilato (Gv. 19, 11). Nel suo Traité de philosophie (t. IV, n. 384) Jolivet ci descrive così la fonte prima dell'autorità: «Dio solo ha il diritto assoluto di comandare, perché tale diritto, che consiste nel vincolare le volontà, può appartenere solamente a colui che dona l'essere e la vita. Per questo dicevamo che Dio è il "Diritto vivente" perché è il principio primo di tutto ciò che è. Ne consegue che qualsiasi autorità, in qualunque società, può esercitarsi esclusivamente a titolo di una delega di Dio, qualsiasi capo investito di un potere legittimo è il rappresentante di Dio». Poiché l'autorità ha come fine il bene comune dei membri, e i membri stessi desiderano il conseguimento di questo bene per propria determinazione, non vi dovrebbe mai essere conflitto tra l'autorità e i membri che perseguono lo stesso fine. Non dovrebbe esservi in sé opposizione tra il capo e il suddito, tra autorità e libertà. È quando l'autorità non ricerca più il vero bene comune o il suddito antepone il proprio bene personale al vero bene comune che vi è urto e disaccordo. Salvo evidenza contraria, l'autorità legittima e prudente è giudice del bene comune e i membri devono sottomettersi a priori a tale giudizio. L'anteporre il giudizio personale a quello dell'autorità legittima implica la distruzione della società. Sottomettersi alle direttive dell'autorità legittima significa esercitare la virtù dell'obbedienza, di cui Nostro Signore ci ha dato un esempio commovente, sacrificando la sua stessa vita per obbedienza: «…obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Fil. 2, 8). San Pio X scrive nella sua lettera La nostra missione apostolica del 25 agosto 1910: «Ogni società di creature indipendenti e ineguali per natura non ha forse bisogno di un'autorità che diriga la loro attività verso il bene comune e imponga la sua legge?… Si può forse dire con un'ombra di ragione che vi è incompatibilità tra l'autorità e la libertà, senza ingannarsi gravemente circa il concetto di libertà? Si può insegnare che l'obbedienza è contraria alla dignità umana e che l'ideale sarebbe di sostituirla con "l'autorità consentita"? L'apostolo Paolo non pensava forse a tutte le possibili fasi della società umana quando prescriveva ai fedeli di essere sottomessi a ogni autorità? Lo stato religioso fondato sull'obbedienza sarebbe contrario all'ideale della natura umana? I santi, che sono stati i più obbedienti degli uomini, erano forse schiavi e degenerati?…». L'autorità è la chiave di volta di ogni società.


VANTAGGI DELL'AUTORITÀ NELLA SOCIETÀ FAMILIARE 

Se esiste un periodo della vita umana nel corso del quale l'autorità svolge una parte notevole, tale è certamente il periodo che va dalla nascita alla maggiore età. È veramente una meravigliosa istituzione divina quella della famiglia, nel cui seno l'uomo riceve l'esistenza, un'esistenza talmente limitata che gli occorrerà un lungo periodo di educazione, dispensata in primo luogo dai genitori, poi da coloro che concorreranno a tale educazione, generalmente in base alla scelta dei genitori. Il bambino riceve tutto dal padre e dalla madre: nutrimento corporeo, intellettuale, religioso, educazione morale, sociale. I genitori si fanno aiutare da maestri che nello spirito dei giovani condivideranno l'autorità dei genitori stessi. Sia comunicata per il tramite dei maestri o dei genitori, la quasi totalità della conoscenza acquisita nel corso dell'adolescenza è più una scienza appresa, ricevuta, accettata, che non una conoscenza acquistata attraverso l'intelligenza e l'evidenza dei giudizi, dei ragionamenti. Il giovane studente crede nei suoi genitori, nei suoi maestri e nei suoi libri, e così le sue conoscenze si estendono, si moltiplicano. La sua scienza propriamente detta, quella che può render conto delle sue conoscenze, è assai limitata. Se si pensa all'insieme dell'infanzia e della giovinezza nell'umanità e nella storia, si constata che la trasmissione delle conoscenze proviene per una parte notevole più dall'autorità che trasmette che dall'evidenza della scienza acquisita. Certamente, se si tratta di studi superiori, la gioventù acquisisce conoscenze più personali e si sforza di conoscere le discipline studiate nella maniera in cui le conoscono i suoi stessi maestri. Ma la mole delle conoscenze richieste permette oggi allo studente di approfondire esaurientemente le prove e gli esperimenti? D'altronde molte scienze come la storia, la geografia, l'archeologia, le arti, possono effettivamente riposare solamente sulla fede nei maestri e nei libri. Questo è tanto più vero quando si tratta di conoscenze religiose, della pratica della religione, dell'esercizio della morale conforme alla religione, alle tradizioni, ai costumi. Generalmente gli uomini vivono secondo la religione trasmessa loro dai genitori. La conversione a un'altra religione trova un enorme ostacolo nella rottura con la religione ancestrale. Un essere umano resta sempre sensibile al richiamo della religione materna. E diciamo subito quanto questa educazione che porta il segno della famiglia, dell'ambiente, dei maestri che completano l'educazione familiare, sia importante nella vita umana. In nulla persevera l'individuo quanto nelle sue tradizioni familiari. Questo è vero su tutta la superficie del globo. Questo straordinario influsso della famiglia e dell'ambiente educativo è provvidenziale. È voluto da Dio. È normale che i figli conservino la religione dei genitori, com'è normale che qualora si converta il capofamiglia si converta tutta la famiglia. Ne troviamo frequenti esempi nel Vangelo e negli Atti degli Apostoli. Dio ha voluto che i suoi benefici si trasmettessero agli uomini anzitutto tramite la famiglia. A tale scopo ha accordato al padre un'autorità che gli conferisce un immenso potere sulla società familiare, sulla moglie, sui figli. Più i beni da trasmettere sono grandi, più grande è l'autorità. Il bambino nasce in una tale debolezza, è così imperfetto, si potrebbe dire così incompleto, che da ciò si può valutare la necessità assoluta della stabilità del focolare, della sua indissolubilità. Voler esaltare la personalità e la coscienza personale del bambino a detrimento dell'autorità familiare significa fare l'infelicità dei figli, spingerli alla rivolta, al disprezzo dei genitori, mentre la longevità è promessa a coloro che li onorano. Certo san Paolo chiede ai padri di non provocare la collera dei loro figli, ma, aggiunge, educateli nella disciplina e nel timor di Dio (Ef. 6, 4). Ci si allontana dalla via segnata da Dio sostenendo che solo la verità per sua propria forza e luce deve indicare agli uomini la vera religione, mentre in realtà Dio ha previsto la trasmissione della religione attraverso i genitori e attraverso testimoni degni della fiducia di quelli che li ascoltano. Se bisognasse aspettare di avere l'intelligenza della verità religiosa per credere e convertirsi, ci sarebbero oggi ben pochi cristiani. Si crede alle verità religiose perché i testimoni sono degni di credito per la loro santità, il loro disinteresse, la loro carità. Si crede alla vera religione perché essa appaga i desideri profondi di un animo umano retto, in particolare dandogli una madre divina, Maria, un padre visibile, il Papa, un nutrimento celeste, l'Eucarestia. Nostro Signore non ha domandato a quelli che ha convertito se capivano, ma se credevano. In seguito la fede viva dà l'intelligenza, come dice sant'Agostino. È evidente, nel caso della società familiare, del primo periodo di ogni vita umana, che i benefici dell'autorità sono immensi, indispensabili, e rappresentano la via più sicura per una educazione completa che prepari alla vita nella società civile e nella Chiesa. Già la Chiesa concorre in maniera notevole nell'aiutare la famiglia e nel fornirle i mezzi indispensabili alla vita cristiana e sociale dei fedeli. Ma viene il momento in cui le due società, quella ecclesiastica e quella civile, devono succedere alla famiglia perché, seppure educato, l'essere umano è evidentemente incapace di vivere e di perseguire la sua vocazione sulla terra senza l'aiuto di queste due società. 


VANTAGGI DELL'AUTORITÀ NELLA SOCIETÀ CIVILE 

Si può infatti affermare che l'uomo arrivato alla maggiore età non abbia più bisogno di aiuto per continuare a progredire nelle sue conoscenze, mantenersi nella virtù e svolgere la sua funzione nella società? Se la società familiare ha terminato il suo compito essenziale, è chiaro che la società civile e la Chiesa restano i mezzi normali per dare all'uomo, questa i mezzi spirituali, quella l'ambiente sociale favorevole a una vita virtuosa e orientata verso il fine ultimo al quale tutto quaggiù è ordinato dalla provvidenza divina. A questo proposito conviene ripetere con l'insegnamento tradizionale della Chiesa e con tutti i Papi del secolo scorso: allo Stato, alla società civile compete una parte notevole nell'aiutare e incoraggiare i cittadini nella fede e nella virtù. Non si tratta per nulla di costrizione nell'atto di fede, non si tratta cioè di forzare la coscienza della persona nei suoi atti interni e privati. Si tratta della funzione naturale della società civile, voluta da Dio affinché gli uomini siano aiutati a conseguire il loro fine supremo. «Non si può mettere in dubbio», dice il Papa Leone XIII nell'enciclica Libertas, «che la riunione degli uomini in società sia opera della volontà di Dio, e ciò sia che la si consideri nei suoi membri sia nella sua forma che è l'autorità, nella sua causa o nel numero e nell'importanza dei vantaggi che procura all'uomo…». Pio XI afferma a sua volta nell'enciclica Divini Redemptoris: «Dio destinò l'uomo a vivere in società come la natura lo richiede. Nel piano del Creatore la società è il mezzo naturale di cui l'uomo può e deve servirsi per raggiungere il suo fine». E nell'enciclica Ad salutem: «I prìncipi e i governanti, avendo ricevuto il potere da Dio affinché ciascuno, nei limiti della propria autorità, si sforzi di realizzare i disegni della divina provvidenza di cui diventa collaboratore… non solamente non devono far nulla che possa andare a detrimento delle leggi della giustizia e della carità cristiana, ma sono tenuti a facilitare ai loro sudditi la conoscenza e l'acquisizione dei beni imperituri». Pio XII nel discorso dell'11 giugno 1941 dice anch'egli: «Dalla conformità o difformità della società alle leggi divine dipende e deriva il bene o il male delle anime, vale a dire il fatto che gli uomini, chiamati tutti a essere vivificati dalla grazia del Cristo, respirino, nelle contingenze terrestri del corso della vita, l'aria sana e vivificante della verità e delle virtù morali o, al contrario, il microbo morboso e spesso mortale dell'errore e della depravazione». Jolivet nel Traité de philosophie (t. IV, n. 435) conchiude in maniera molto chiara il suo studio sull'origine del potere nella società civile: «Qualunque sia il punto di vista adottato circa la causa efficiente della realtà sociale, la dottrina dell'origine naturale della società implica il principio essenziale che la società politica, riunendo in modo permanente i raggruppamenti particolari di famiglie e di individui in vista del bene comune temporale, è un'istituzione voluta da Dio, autore della natura; in altri termini, che essa è di diritto divino naturale. Ne consegue immediatamente che il potere di governare è anch'esso di diritto divino naturale». L'autore completa questo studio esponendo il fine della società civile o dello Stato: «Farsi della felicità temporale un'idea del tutto materialista significa diminuire grandemente la funzione generale dello Stato. La felicità temporale dipende in grande parte dalle virtù intellettuali e morali dei cittadini, dalla moralità pubblica, cioè dal felice sbocciare di tutte le attività morali e spirituali dell'uomo e in primo luogo della vita religiosa della nazione». «Quindi fa parte del dovere dello Stato, senza che trascuri, beninteso, la sua funzione economica, sforzarsi di creare le condizioni più favorevoli alla prosperità morale e spirituale della nazione». «Questo compito ha un aspetto negativo e uno positivo…». Dobbiamo insistere su questo legame intimo della religione con la funzione temporale dello Stato. Qui, infatti, si trova la chiave di numerosi problemi che preoccupano oggi i governanti e la stessa Chiesa: problemi di giustizia sociale, problemi della fame, problemi della pace, problemi della regolazione delle nascite, eccetera. Trattare questi problemi al di fuori di una concezione cattolica della convivenza civile è illusorio: ci si dedicherà a rimediare temporaneamente a certi disordini, si risolveranno taluni problemi locali, ma non si attaccherà mai la radice delle piaghe dell'umanità. Bisogna dire e ripetere quanto la Chiesa ha sempre proclamato: la soluzione dei problemi sociali viene dal regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, secondo la concezione e l'insegnamento della Chiesa cattolica. Nell'enumerare le piaghe attuali delle società ci si accorgerà immediatamente che le loro origini risalgono al disordine e all'errore dei governanti e spesso di numerosi membri della società. Voler instaurare una giustizia sociale tra i dipendenti e i datori di lavoro al di fuori dei princìpi della giustizia cristiana significa andare o verso il capitalismo totalitario, l'egemonia finanziaria e tecnocratica mondiale, o verso il totalitarismo comunista. Fare del benessere materiale il solo scopo della società civile e dell'attività sociale significa andare rapidamente verso la decadenza, conseguenza dell'immoralità, dell'edonismo. In merito al matrimonio e a tutto quello che lo riguarda, solo la dottrina cattolica preserva realmente questa istituzione che è il fondamento stesso della società civile e che di conseguenza l'interessa in grado estremo: divorzio, limitazione delle nascite, contraccezione, omosessualità, aborto, poligamia, sono piaghe mortali per lo Stato. Solo la Chiesa vi porta i veri rimedi. Le relazioni sociali tra funzionari e amministrati, tra lo Stato e i cittadini, l'autentico amor di patria, le relazioni internazionali, sono intimamente e profondamente legati alla religione e solo la religione cattolica porta in questi campi i princìpi di giustizia, di equità, di coscienza professionale, di dignità umana, conformi alla vita sociale quale Dio l'ha voluta e sempre la vuole. L'educazione e i mezzi di comunicazione sociale, che oggi completano e continuano l'educazione, hanno legami molto intimi con l'onestà dei costumi, con la virtù e il vizio, e di conseguenza con la religione, quella cattolica in particolare. Non voler constatare che tutte le religioni eccetto la vera, la religione cattolica, trascinano con sé un corteo di tare sociali che sono la vergogna dell'umanità significa dar prova di grande ignoranza, vera o simulata; basti pensare al divorzio, alla poligamia, alla contraccezione, alla libera unione, per quanto riguarda la famiglia; basti pensare, anche nel campo della stessa esistenza della società, alle due tendenze che la rovinano: una tendenza rivoluzionaria, distruttiva dell'autorità, demagogica, fermento di continui disordini, frutto del libero esame, o una tendenza totalitaria e tirannica dovuta all'identificazione della religione con lo Stato o di un'ideologia con lo Stato. La storia degli ultimi secoli è un'illustrazione impressionante di questa realtà. È dunque inconcepibile che i governi cattolici si disinteressino della religione o che ammettano per principio la libertà religiosa nella sfera pubblica. Significherebbe disconoscere e il fine della società e l'estrema importanza della religione in campo sociale e la differenza fondamentale tra la vera religione e le altre nel campo della moralità, elemento fondamentale per il conseguimento del fine temporale dello Stato. Tale è la dottrina insegnata da sempre dalla Chiesa. Essa assegna alla società una parte fondamentale nell'esercizio della virtù dei cittadini, dunque, indirettamente, nel conseguimento della loro salvezza eterna. Ora, la fede è la virtù basilare che condiziona le altre. Rientra dunque nel dovere dei governanti cattolici proteggere e mantenere la fede, favorendola soprattutto nel campo dell'educazione. Non si insisterà mai troppo sulla funzione provvidenziale dell'autorità dello Stato nell'aiutare e sostenere i cittadini nel conseguimento della loro salvezza eterna. Ogni creatura è stata e rimane ordinata a tale fine, quaggiù. Le società: famiglia, Stato, Chiesa, ciascuna al suo posto, sono state create da Dio a questo scopo. Non si può negare che, difatti, l'esperienza della storia delle nazioni cattoliche, la storia della Chiesa, la storia della conversione alla fede cattolica, manifestino la funzione provvidenziale dello Stato a un punto tale da dover legittimamente affermare che la sua parte nel conseguimento della salvezza eterna dell'umanità è capitale se non preponderante. L'uomo è debole, il cristiano vacillante. Se tutto l'apparato e il condizionamento sociale dello Stato sono laici, atei, areligiosi, ancor più se perseguitano la Chiesa, chi oserà dire che sarà agevole per i non cattolici convertirsi e per i cattolici rimanere fedeli? I mezzi moderni di comunicazione sociale, le relazioni sociali che si moltiplicano, assegnano allo Stato un influsso sempre maggiore sul comportamento dei cittadini e sulla loro vita interiore ed esteriore, di conseguenza sul loro atteggiamento morale e in ultima analisi sul loro destino eterno. Sarebbe criminale incoraggiare gli stati cattolici a laicizzarsi, a disinteressarsi della religione, a permettere che l'errore e l'immoralità si diffondano indiscriminatamente e, sotto il falso pretesto della dignità umana introdurre un fermento dissolvente della società concedendo una libertà religiosa esagerata, esaltando la coscienza individuale a spese del bene comune come nella legittimità dell'obiezione di coscienza. Il papa Pio XII diceva nell'enciclica Summi Pontificatus: «La sovranità civile fu voluta dal Creatore… al fine di rendere più agevole alla persona umana, nell'ordine temporale, il conseguimento della perfezione fisica, intellettuale e morale, nonché di aiutarla a raggiungere il suo fine soprannaturale». Così, si tratti dell'autorità nella famiglia, dell'autorità dello Stato o di quella della Chiesa, si può soltanto ammirare il disegno della provvidenza, della paternità divina che ci dona l'esistenza, la vita soprannaturale, l'esercizio della virtù e in definitiva la perfezione o la santità eterna per mezzo di queste autorità. L'autorità è in ultima analisi una partecipazione all'Amore divino che si espande e si diffonde. L'autorità ha come unica ragion d'essere quella di espandere questa carità divina che è vita e salvezza. Ma, al pari dell'amore di Dio, essa è, per sua stessa natura, esigente. In effetti, l'Amore divino può volere soltanto il bene, e il bene supremo che è Dio. Dio, dandoci la vita che è una partecipazione al suo amore, ce la orienta inflessibilmente, la punta verso il bene che egli ci indica sia attraverso la nostra natura sia, e soprattutto, attraverso i suoi portavoce e i suoi intermediari nelle leggi positive. Egli ci obbliga, ci lega, mediante il suo amore, al bene e alla virtù. Ci dà l'orientamento del suo amore attraverso le sue leggi, ce ne ordina il compimento e ci minaccia se rifiutiamo il suo amore che è il nostro bene. La stessa cosa vale per le autorità. Ogni legislazione legittima è veicolo dell'amore divino, ogni applicazione della legislazione altro non è che l'espressione dell'amore di Dio nei fatti, negli atti, e dunque un'acquisizione di virtù. Queste leggi si rivolgono alla nostra intelligenza e alla nostra volontà che, purtroppo, possono rifiutare di essere veicoli dell'amore di Dio. Le sanzioni ricadranno su coloro che oppongono in tal modo ostacoli all'amore, alla vita, al bene, e in definitiva a Dio. Non si può infatti concepire l'autorità senza i poteri di legislazione, di governo e di giustizia. Queste tre manifestazioni si riassumono e trovano la loro sintesi nell'Amore divino che in se stesso porta la propria manifestazione, il proprio esercizio e la propria sanzione. Facciamo nostri, a conclusione di questo colpo d'occhio molto incompleto sulla grandezza dell'autorità nei disegni di Dio, i sentimenti di san Paolo, dicendo con lui (Ef. 3, 14 s.): «Piego le ginocchia al Padre di Nostro Signore Gesù Cristo, dal quale procede ogni paternità in cielo e sulla terra». 4 ottobre 1968.

Marcel Lefèbvre


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