domenica 22 maggio 2022

Un Vescovo parla - I. UN PO' DI LUCE SULLA CRISI ATTUALE DELLA CHIESA

 


I. UN PO' DI LUCE SULLA CRISI ATTUALE DELLA CHIESA

Mi si chiede di definire e descrivere in maniera più esplicita il male che si va introducendo nella Chiesa ai tempi nostri. Capisco benissimo questo desiderio di numerosi cattolici o non cattolici che rimangono stupefatti, sdegnati o costernati nel veder diffondersi nell'interno della Chiesa - e per opera dei suoi ministri - dottrine che mettono in dubbio le verità fin qui considerate fondamenti immutabili della fede cattolica. Mentre l'intelligenza di questi pastori indegni si ribella all'autorità del magistero infallibile della Chiesa, la loro volontà si ribella contro coloro che nella Chiesa detengono l'autorità. 

Se è vero che ogni autorità quale che sia è una partecipazione all'autorità di Dio, ciò è ancora più evidente quando si tratta dell'autorità che è stata conferita a Pietro e agli Apostoli. Il Signore lo ha detto: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv. 16, 15). E così è sempre stato nella Chiesa. Sebbene la designazione del successore di Pietro si faccia per via di elezione, non per questo la sua autorità dipende dai suoi elettori. 

Ogni autorità ha, in certa misura, i tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. I vescovi posseggono questi tre poteri in funzione della loro carica o del loro servizio, vale a dire per predicare, santificare e governare. 

La struttura della Chiesa è un'istituzione mirabile, veramente divina, tanto risponde al tempo stesso all'accentramento, all'unità necessaria, e al decentramento con una grande possibilità e libertà d'azione. Inoltre, con tutti gli organismi di consultazione, di reciproco aiuto fraterno fra i vescovi - e fra i vescovi e il Papa - previsti dal diritto canonico, la divina istituzione della Chiesa ha traversato i secoli rimanendo la stessa, adattandosi a tutti i luoghi e a tutte le circostanze con un realismo e un'unità notevoli. È questa unità nella molteplicità che permette al suo magistero, alla sua parola, di estendersi a tutti i tempi e a tutti i luoghi con una continuità dottrinale stupefacente. Rami interi si sono separati dal tronco ma senza ledere né la struttura né la sostanza dottrinale. È parso a volte che gravi errori ed eresie mettessero la Chiesa in pericolo, ma, con il soccorso dello Spirito Santo, l'istituzione e la parola non sono mutate. 

È precisamente quanto dispiace sommamente non soltanto ai nemici tradizionali della Chiesa ispirati dal Principe di questo mondo, ma, diciamolo, alla natura umana decaduta, che ritrova sempre in sé un sobbalzo miserabile di ribellione contro l'autorità, cioè contro Dio. Il Non serviam è ancora in tutte le nostre anime, anche dopo il battesimo. Quando gli assalti degli avversari di Nostro Signore e dell'obbedienza a lui trovano eco nelle file dei fedeli e dei pastori della Chiesa, allora si prepara nella Chiesa una nuova lacerazione, una nuova eresia, un nuovo scisma.

Garaudy l'ha pur detto, qualche anno fa, a Lovanio, parlando agli studenti universitari: «Potremo veramente collaborare solo quando la Chiesa avrà modificato il suo magistero e il suo genere di autorità». Non poteva esprimersi meglio. E quando si sa che agli occhi di coloro che cercano di dominare il mondo, i comunisti e i tecnocrati della finanza internazionale, il solo vero ostacolo all'asservimento dell'umanità è la Chiesa cattolica e romana, non sorprenderanno gli sforzi congiunti dei comunisti e dei frammassoni per modificare e il magistero e la struttura gerarchica della Chiesa. 

Conquistare una vittoria nel Medio o nell'Estremo Oriente è cosa apprezzabile, ma paralizzare il magistero della Chiesa e modificare la sua costituzione rappresenterebbe una vittoria senza precedenti, perché non basta conquistare i popoli per sradicare la loro religione; a volte, anzi, essa mette più profonde radici. Ma rovinare la fede corrompendo il magistero della Chiesa, soffocare l'autorità personale rendendola dipendente da organismi pluralistici nei quali è molto più agevole infiltrarsi influenzandoli, questo farà apparire possibile la fine della religione cattolica. Attraverso questo magistero assembleare si potranno introdurre dubbi su tutti i problemi della fede e il magistero decentrato paralizzerà il magistero romano. 

È facile vedere che questi attacchi sapienti, sostenuti da una stampa mondiale anche cattolica, permetteranno di diffondere in tutto il mondo campagne di opinione che turberanno gli spiriti; tutte le verità del Credo saranno scosse, tutti i comandamenti di Dio, i sacramenti… cioè tutto il catechismo, sconvolti. Ne abbiamo esempi clamorosi. Il magistero decentrato perde il controllo immediato della fede; le multiple commissioni teologiche delle assemblee episcopali tardano a pronunciarsi, perché i loro membri sono divisi nelle opinioni e nei metodi.

 Dieci anni fa - e a più forte ragione vent'anni fa - il magistero personale del Papa e dei vescovi avrebbe reagito immediatamente, anche se, tra i vescovi e i teologi, alcuni non fossero stati consenzienti. Oggi il magistero si trova sottomesso a delle maggioranze. È la paralisi che impedisce l'intervento immediato o lo rende debole e inefficace per voler contentare tutti i membri delle commissioni o delle assemblee. 

Questo spirito di democratizzazione del magistero della Chiesa è un pericolo mortale, se non per la Chiesa, che Dio proteggerà sempre, per milioni di anime smarrite e intossicate, alle quali i medici non vengono in aiuto. 

Basta leggere i resoconti delle assemblee a tutti i livelli per riconoscere che quella che si può chiamare la «collegialità del magistero» equivale alla paralisi del magistero stesso. Nostro Signore ha chiesto di pascere il suo gregge a singole persone, non a una collettività; gli Apostoli hanno obbedito agli ordini del Maestro e così è stato fino al secolo ventesimo. Si è dovuti arrivare al nostro tempo per sentir parlare della Chiesa in stato di concilio permanente, della Chiesa in continua collegialità. I risultati non si sono fatti attendere a lungo. Tutto è sottosopra: la fede, i costumi, la disciplina. Si potrebbero moltiplicare gli esempi all'infinito. 

Paralisi del magistero e insipidimento del magistero: quest'ultimo aspetto si manifesta nell'assenza di definizione delle nozioni e dei termini impiegati, nell'assenza delle precisazioni, delle distinzioni necessarie, in tal misura che non si sa più quel che si dice: si pensi alle parole dignità umana, libertà, giustizia sociale, pace, coscienza… Si può ormai, nella stessa Chiesa, dare a queste parole un senso marxista o un senso cristiano con la stessa convinzione. 

Alla democratizzazione del magistero segue naturalmente la democratizzazione del governo. Le idee moderne su questo punto sono tali che è stato ancora più agevole giungere a questo risultato. Esse si sono tradotte nella Chiesa con il famoso slogan della «collegialità». Bisognava rendere collegiale il governo: quello del Papa o quello dei vescovi con un collegio presbiteriale, quello del parroco con un collegio pastorale di laici, il tutto fiancheggiato da commissioni, consigli, sessioni, eccetera, prima che le autorità potessero risolversi a dare ordini e direttive. 

La lotta per la collegialità, appoggiata da tutta la stampa comunista, protestante, progressista, resterà famosa negli annali del Concilio. Si può dire che è fallita? Sarebbe esagerato affermarlo. È riuscita pienamente, secondo i desideri dei suoi autori? Non si oserebbe dire nemmeno questo quando si sia constatato lo scontento che essi hanno manifestato in occasione della famosa «Nota esplicativa» aggiunta alla costituzione dogmatica sulla Chiesa, e ultimamente all'epoca del sinodo episcopale che essi volevano deliberativo e non consultivo. 

Ma se il Papa personalmente ha conservato una certa libertà di governo, come non constatare che le conferenze episcopali la limitano singolarmente? Si possono citare in questi ultimi anni svariati casi ben precisi nei quali il Santo Padre è ritornato su una decisione perché sollecitato dalle pressioni di una conferenza episcopale. Ora, il suo governo si estende non solamente ai pastori ma ai fedeli. Solo il Papa ha un potere di giurisdizione che si estende a tutto il mondo. 

Conseguenza molto più evidente del governo collegiale è la paralisi del governo di ciascun vescovo nella sua diocesi. Quante riflessioni istruttive fatte dai vescovi stessi a questo proposito! Teoricamente il vescovo può, in numerosi casi, agire contro un desiderio dell'assemblea, talvolta persino contro una maggioranza se il voto non è stato sottoposto alla Santa Sede; ma in pratica ciò si rivela impossibile. Subito dopo la fine dell'assemblea, i vescovi pubblicano le decisioni, che sono così conosciute da tutti i sacerdoti e i fedeli. Quale vescovo potrà opporsi di fatto a tali decisioni senza mostrare il suo disaccordo con l'assemblea e trovarsi immediatamente di fronte alcuni spiriti rivoluzionari che si appelleranno all'assemblea contro di lui? Il vescovo è prigioniero di questa collegialità che avrebbe dovuto limitarsi a essere un organismo di consultazione, di vicendevole consiglio, non un organismo deliberativo.5 

Certo, san Pio X aveva già approvato alcune conferenze episcopali ma aveva dato di esse una definizione precisa che giustificava perfettamente tali assemblee: «Siamo persuasi che queste assemblee di vescovi hanno grandissima importanza al fine di mantenere e sviluppare il regno di Dio in tutte le regioni e province. Quando i vescovi, custodi delle cose sante, mettono così le loro ispirazioni in comune, ne risulta non solo una visione migliore dei bisogni delle loro popolazioni ai fini della scelta dei rimedi più opportuni, ma anche un rafforzamento dei legami che già fra di loro li univano».6 

Il nuovo collegialismo si applica anche all'interno delle diocesi, delle parrocchie, delle congregazioni religiose, di tutte le comunità della Chiesa così che l'esercizio del governo diviene impossibile: l'autorità è continuamente sconfitta. 

Chi dice elezioni dice partiti e, di conseguenza, divisioni. Quando il governo abituale, nel suo esercizio normale, è sottoposto a voti consultivi, è reso inefficace. E allora chi ne soffre è la collettività, perché il bene comune non può più essere perseguito con efficacia ed energia. 

L'introduzione del collegialismo nella Chiesa è un indebolimento notevole della sua efficacia, tanto più che lo Spirito Santo è meno facilmente contristato e contrariato in una persona che in un'assemblea. Quando le persone sono responsabili, agiscono, parlano, anche se talune tacciono. Nell'assemblea è il numero che decide, mentre nel concilio è il Papa che decide, anche contro la maggioranza se lo ritiene prudente. Il numero non fa la verità. 

Così, tramite il collegialismo o la democratizzazione, si introduce nella Chiesa la dialettica e, di conseguenza, la divisione, il disagio, la mancanza di unità e di carità. Gli avversari della Chiesa possono ben rallegrarsi di questo indebolimento del magistero e del governo resi collegiali. È una vittoria parziale. Certamente la auspicavano più completa, ma già gli effetti a loro favore si fanno sentire: la potenza di resistenza della Chiesa al comunismo, all'eresia, all'immoralità, è notevolmente diminuita. 

Tali sono i fatti che possiamo constatare e che provocano nella Chiesa una crisi gravissima. 

Ma già gli effetti funesti di questa situazione provocano sane reazioni. La conferenza episcopale spagnola ha appena restituito la responsabilità dell'Azione cattolica ai vescovi delle diocesi, sopprimendo i poteri direttivi dell'organismo nazionale che è così ricondotto alla sua giusta funzione, cioè quella di collegamento e di punto d'incontro. 

Il realismo, il buonsenso e soprattutto la grazia dello Spirito Santo aiuteranno a restituire alla Chiesa ciò che ha sempre costituito il suo vigore e la sua capacità di adattamento: apostoli con magistero e governo personali, che agiscono secondo le norme della santa prudenza e del dono del consiglio. È così che hanno potuto salvare la Chiesa Agostino, Atanasio, Ilario e tanti altri. 

7 marzo 1968

 Marcel Lefèbvre

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