martedì 24 maggio 2022

TEMPO ED ETERNITÀ

 


Che cosa sia l’eternità secondo San Bernardo. 

In un altro modo illustra San Bernardo (Sermo I in fest. omnium Sanctorum) l'eternità dicendo: È la durata che abbraccia ogni tempo, il passato, il presente ed il futuro. Non v'è né giorno, né anno, né secolo che eguaglino  l'eternità. Questa sola assorbe tutti i tempi possibili ed immaginabili e il suo seno sarà mai ricolmo. 

  

L'eternità è un istante immobile. 

Oltre questo, essa abbraccia tutto il tempo, perché gode in ogni istante ciò che ha da godere in tutto il tempo; per cui Ficino chiamò l'eternità momento eterno, ed il nostro Lessio dice che essa è insieme lunghissima e brevissima: lunghissima, perché eccede tutto il tempo e durerà per spazi infiniti di tempo; brevissima, perché in un istante di tempo ha tutto quello che può avere per un tempo infinito. Come il tempo è un istante che vola e passa, giacché non c'è nel tempo che il momento presente che sta sempre correndo e mutandosi ad ogni istante da uno all'altro, così l'eternità non è più che un istante che rimane, che sta sempre fisso e stabile, perché in essa tutte le cose sono insieme e consistenti sempre nel medesimo stato. Per essa passano tutti i tempi succedentisi gli uni agli altri, essa invece è sempre presente e perseverante in tutti. 

Il tempo e tutte le cose temporali sono come un fiume precipitoso, nel quale furiosamente le onde si rincorrono le une le altre, senza smettere mai il loro mutarsi perpetuo. L'eternità, invece, è come una roccia fermissima, donde scaturisce il medesimo fiume, le cui onde le passano davanti le une dopo le altre, senza più ritornare a farsi vedere, mentre essa rimane sempre nello stesso luogo. Così sono tutte le cose temporali: senza permanenza e senza costanza alcuna vanno, senza ritornare mai più, passando leste dinanzi all'eternità. Come la roccia della sorgiva, pur standosene ferma, contiene tutte le acque del fiume, così l'eternità abbraccia tutti i tempi. 

L'eternità è altresì come il punto centrale di un circolo, il quale punto corrisponde a tutta la circonferenza e ha uguale distanza da ogni punto di  essa; così l'eternità corrisponde a tutto il tempo ed a tutti gli istanti del tempo e tiene presente in modo meraviglioso ciò che avrà presente per tutti i secoli. È così un istante solo che equivale a tempi infiniti, perché non v'è un prima ed un poi, ma bensì tutta l'estensione del tempo sta raccolta in un istante, di modo che in ogni momento di tempo vi è tutto insieme ciò che potrebbe estendersi per distanze infinite di tempo. 

Come la immensità di Dio ha in un punto solo tutta la grandezza divina che senza termine e senza limite si estende per ogni parte, sì da non aver meno in un punto che in milioni di leghe, così l'eternità raccoglie in un istante tutta la durata divina, benché questa s'estenda per tempi infiniti. A questa eternità partecipano le creature ragionevoli nell'altra vita in quel modo che sono capaci quanto all'essenza della loro gloria o pena. 

  

Solo l'eternità dà il vero valore alle cose . 

Da ciò segue una cosa da ben ponderarsi, ed è che quel bene col quale si congiunga l'eternità, si rende infinitamente migliore, sia perché bene infinito, sia per la durata eterna. Così per il contrario quel male che si rende eterno si fa pure infinitamente peggiore e ciò per due motivi: per la sua durata eterna che è infinita, e perché un male è tanto più penoso quanto maggiore si stima la sua durata. Il contento di un giorno non è così grande come quello di una settimana; però molto maggiore è quello di un mese; più grande ancora quello di un anno; più grande ancora quello di centomila anni; più ancora crescerà la sua stima, se dura di più. Perciò quel che dura infinitamente è infinitamente più stimabile; nella stessa guisa che il dolore che dura  di più è un male maggiore e, se dura infinitamente, sarà un male infinito. Questo eccederà qualsiasi altro male, anche se un tal male per sé sia più grande; cosicché, se ad uno dessero da  scegliere tra lo starsi a bruciare vivo in un forno di calce, soffrendo nello stesso tempo tutte le malattie ed i dolori che conosce la medicina e quanti generi di tormenti hanno patito i Martiri e quanti sono i supplizi atroci che hanno subito i malfattori, e tutto questo per un tempo lunghissimo, come sono duecento miliardi di anni; o d'altra parte patire un'emicrania od un dolore di denti per tutta l'eternità senza aver mai fine; questi dovrebbe scegliere tutti quei tormenti riuniti piuttosto che questo dolore solo, perché, sebbene quei tormenti siano più grandi, questo unico dolore li eccede per la sua durata. Insomma, quelli, benché tanto eccessivi, sarebbero temporali; questo, sebbene tanto minore, sarebbe eterno. L'eternità aumenta il male infinitamente. In quei tormenti v'è la speranza che finiscano, in questo dolore non v'è rimedio. 

Io voglio immaginare che, se ai dannati, per il vivo concetto che hanno dell'eternità, si concedesse di scegliere, o di alleviare i loro tormenti rimanendosi con un sol mal di testa eternamente o di patire tutti i tormenti dei sensi riuniti in tutti i dannati per lo spazio determinato di tanti miliardi di anni, preferirebbero questo secondo caso, perché, pur essendo le pene tanto maggiori, avrebbero però fine, mentre il mal di testa, benché tanto minore, sarebbe eterno. 

Ci pensino un po' gli stimatori delle cose temporali. Se i tormenti dell'inferno, pur tanto eccessivi, sono sopportabili per il solo supporli temporali, tanto che si sceglierebbero questi piuttosto che un solo dolore eterno, benché leggero, come non soffriranno con pazienza un solo male leggero per un tempo così breve, quale è quello della vita presente, pur di non soffrire poi eternamente i tormenti dell'inferno? Come non ci muove un inferno eterno, mentre temiamo un dolore temporale? Come non facciamo penitenza? Come non abbiamo pazienza nei nostri mali? Come non soffriamo quanto c'è da soffrire in questa vita, per non soffrire un solo tormento nell'eternità? Non si devono temere le pene di questa valle di lagrime, perché avranno fine, mentre sono da temersi quelle che non avranno mai fine. Siamo dunque contenti di patire qui, dove si patisce poco e per poco tempo, per non patire là, dove si patisce molto e per sempre. 

La stessa considerazione reale, per i beni. Se uno, dopo aver goduto di tutti i tesori della terra e tutti i piaceri dei sensi per miliardi di anni, sarebbe felice, alla fine, di poterli tutti cambiare anche con un solo piacere eterno, come non cambieremmo noi tutti i gusti passeggeri della terra coi beni immensi che possederemo eternamente nel cielo? Tutti i beni temporali del mondo si possono spendere per un solo godimento eterno; perché allora talvolta non rinunziamo ad un solo piacere temporale per assicurarci tutti i diletti eterni? Tutti i beni temporali si dovrebbero dare in cambio di uno solo, del quale ci si assicuri che sia eterno. Perché allora non ci assicuriamo tutti i beni eterni in cambio di un solo bene temporale? Uno che fosse padrone di una casa per tutta l'eternità eccederebbe infinitamente colui che per quanto tempo si voglia, possieda tutto il mondo. 

Non v'è paragone fra il tempo e l'eternità. Ogni cosa temporale, per grande che sia, si deve stimare bassamente; ogni cosa eterna, per piccola che possa sembrare, si deve stimare grandemente. Perciò quello che è temporale, né per la sua grandezza, né per la sua durata ha confronto con una cosa eterna, anche piccola. E per esagerare fino all'impossibile, lo stesso essere di Dio, se fosse temporale, si potrebbe posporre ad un altro che fosse eterno. 

Potrà l'avaro sembrare molto contento del suo piccolo tesoro che domani la morte, e forse già oggi un ladro gli potrà togliere. E per questo bene  egli disprezza i beni eterni del cielo. È certo che quantunque Dio non ci promettesse nell'altra vita che un solo bene sensibile, ma eterno, dovremmo per meritarlo sacrificare tutti i piaceri della terra: quale dunque è la nostra pazzia se, avendoci Dio promesso per tutta l'eternità gli immensi gaudi del cielo, non abbiamo il coraggio, per meritarli, di abbandonare qualche piacere terreno? 

La seconda ragione per cui l'eternità rende il bene infinitamente migliore e il male infinitamente peggiore, è perché essa raccoglie in un solo istante se stessa; di maniera che in ogni istante possiede ciò che dura sempre. Come dura l'infinito, essa lo raccoglie in ogni istante, sentendo di possedere in ogni istante ciò che possiede nel presente e possiederà nel futuro. Dice un Dottore (LESSIO, De Perfectionibus divinis, lib. IV, cap. 3): Con l'eternità il bene, che si può possedere in questa vita successivamente in tempo indefinito, si raccoglie in un istante e si gode tutto unitamente, come se (tutto) il piacere che uno splendido pranzo può offrire successivamente per parte, di tempo infinito, si godesse tutto simultaneamente, e tutto si potesse godere per un tempo eterno, ciò che lo farebbe infinitamente migliore e di maggior valore. 

La medesima cosa fa l'eternità dei mali e delle pene, che riunisce in certo qual modo in uno e fa sì che si sentano simultaneamente. Pur non essendo essi mali attualmente uniti, succede però che si apprendano tutti riuniti e così causano nell'anima dolore senza confronto e senza fine. Questi sono i veri mali, perché sono mali sotto ogni aspetto per la loro estensione e per la loro intensità, per la loro durata e per la loro natura. In quanto alla durata non hanno fine e la loro natura non ha limiti. 

Chi è quel sofferente il quale, ben considerando questo, non avrà pazienza, mentre il suo  dolore è limitato ed avrà termine? I maggiori mali temporali sono punture di mosche rispetto al minimo male eterno, e così per sfuggire tutti i mali eterni è ben poca cosa il sopportarne uno temporale. Tremiamo dinanzi a queste lance dell'eternità, queste due infinità con cui aumenta i suoi mali, essendo due lance mortali che attraversano da parte a parte i dannati. Tutto quaggiù è burla e bagatella rispetto all'eternità, la quale abbraccia tutti i tempi e con i mali di tutti i tempi cade sopra i dannati ad ogni istante. 

  

L'eternità abbraccia anche il passato. 

Un'altra proprietà dei beni e dei mali eterni è che non solo li consolida ed aumenta il futuro, ma anche il passato quantunque temporaneo. I beati del cielo non solo stanno godendo in quest'ora della gloria che hanno e che avranno, ma anche di quella che ebbero in questa vita, come sono le virtù e le opere buone delle quali ora si ricreano e si congratulano per tutta l'eternità. In tal modo tutto il bene passato, presente e futuro concorre unitamente alla perfezione del loro gaudio e si accoglie nella loro felicità il bene di tutti i tempi. Quanto differenti sono i beni temporali, giacché neppur i presenti si lasciano godere! 

Non c'è cosa temporale a cui non aderisca o qualche difetto o qualche preoccupazione o qualche pericolo. Molto meno si lasciano godere nel futuro, poiché non essendone sicuro l'acquisto, ed essendo tanto lontani dal comunicare il loro godimento futuro, gli uomini si danno al piacere del presente per timore di perderlo. Questo stesso timore non lascia che il passato porga alla memoria conforto, anzi dal timore della perdita suole derivare tanto più pena, quanto prima il godimento si sperimentò maggiore. 

Da qualunque lato insomma si considerino, i beni eterni sono i migliori. Ad essi dunque ci  conviene aspirare e studiarci di conseguirli, quando anche ci costasse tutto quanto il temporale. 

  

Possiamo imitare l'eternità . 

In questa vita si può imitare l'eternità esercitando le tre virtù segnalate da San Bernardo: Povertà, mansuetudine e dolore [Paupertate, mansuetudine et fletu renovatur in anima similitudo quaedam et imago aeternitatis, omnia tempora complectentis, dum paupertate futura meretur, mansuetudine sibi praesentia vindicat, iuctu poenitentìa quoque recuperat (Ibidem)]. E veramente chiunque ha stima dell'eterno, a nessuna cosa con più studio dovrebbe applicarsi che all'esercizio di queste tre virtù. In primo luogo: lasciando, nella povertà di spirito, ogni cosa temporale e cambiandola con ciò ch'è eterno; non cercando nulla in questa vita per trovare tutto migliorato nell'altra, perché, mentre l'eternità accresce il bene o il male che si lascia, il tempo diminuisce grandemente tutto ciò che ha termine e lo trascina dietro di se. Non ci verrà molto ad abbandonare ciò che pur dovrà finire, ed un nulla deve ritenersi ciò che nel nulla dovrà pur ritornare. 

In secondo luogo, con la mansuetudine e la pazienza nell'operare il bene e vincere le difficoltà delle virtù, poiché sarà rimunerata eternamente la sua leggera fatica. Tutto ciò che si patisce in questa vita è un dono in confronto a quello che si patisce nell'altra. Chi, vedendo l'inferno aperto, anche se i suoi mali sono un abisso senza fondo, non sopporterà con pazienza il rigore della penitenza e con mansuetudine un'immeritata ingiuria, senza turbare la pace interna dell'anima, sforzandosi unicamente ad operare il bene e piacere al Divin Redentore? Chi, vedendo il cielo che l'aspetta, non si animerà a grande raccoglimento e a patire molto per Dio con  molto fervore e lena? Scrive Rufino (Rufinus, num. 107; Pelag. libell. 7, n. 28.) che una volta andò dall'Abate Aquilio un certo monaco, per raccontargli come nel custodire la cella sentiva molto tedio e tristezza. Il prudente Abate gli rispose: “Ciò deriva da questo, figlio mio, che tu non pensi ai tormenti eterni che temiamo, né al riposo e gaudio che speriamo, poiché, se tu vi pensassi, anche se la tua cella fosse piena e pullulasse di vermi e ti arrivassero fino alla gola, con tutto ciò tu rimarresti in mezzo ad essi e persevereresti nel tuo raccoglimento senza tedio e noia”. 

Il terzo si è che con lacrime e dolore dell'anima si deve procurare di risarcire per i peccati passati e di soddisfare per essi con contrizione dolorosa e amarezza di cuore, perché l'eternità dei beni che per causa di essi si è perduta si ricupera con la penitenza, essendo questa una virtù tanto efficace da riparare il passato. Benché si dica che il fatto non ha rimedio e sul passato non vi è potere alcuno, questa virtù ha tanto potere da disfare il fatto e da prevalere sul passato, togliendo i peccati del passato, come se non fossero stati commessi. 

P. Gian Eusebio NIEREMBERG S. J.

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