domenica 27 aprile 2025

IL CUORE DEL PADRE

 


Il perdono ai peccatori

Nel perdono concesso ai peccatori si rivela: la generosità senza limiti del cuore del Padre. Considerando la sua reazione al peccato di Adamo ed Eva, abbiamo già constatato ciò che essa aveva di sublime 'e di incomprensibile: a coloro che hanno voluto quasi misurarsi con lui, disprezzando i suoi ordini e aspirando a diventare simili a lui, il Padre non esita a promettere una dignità più alta, dando loro il Figlio suo per stabilirli in lui come suoi figli. Il Padre ama maggiormente quelli che lo hanno ferito col loro peccato e dona loro in più gran copia; e tanta magnanimità, manifestata là dove non ci si attenderebbe che punizione e rivalsa, testimonia di una bontà che supera tutte le norme della bontà umana, una benevolenza dalle profondità insondabili. Perché Dio ha amato con affetto paterno più intenso coloro che si erano drizzati contro di lui? Non bisogna cercare giustificazioni, ma adorare il mistero.

E questo medesimo mistero, così confortante, si ripresenta nelle relazioni del Padre con ogni peccatore in particolare. Di fronte alle colpe individuali si ripete il dramma di redenzione avvenuto in risposta al peccato di Adamo. Incrollabilmente fedele nel suo amore e deciso a mai revocare il dono del suo cuore, il Padre adotta nei riguardi di ogni uomo l'atteggiamento adottato verso l'umanità intera al momento in cui decise di salvarla dal peccato. È dunque ancora una volta un più grande amore quello che il Padre celeste testimonia ad ogni peccatore. Lungi dal rispondere alle offese attuali degli uomini con la vendetta, egli non domanda che di aprire più largamente il suo cuore per accogliervi i peccatori pentiti.

Questo atteggiamento del Padre è descritto in una delle parabole più belle del Vangelo: quella del figliol prodigo. Con parole semplici, ma estremamente suggestive, Gesù vi esprime la verità più misteriosa e commovente: l'amore paterno offerto con tanto calore al peccatore pentito.

L'inizio della parabola pone in rilievo il significato esatto del peccato, peccato che, non ci viene descritto come la ribellione di un servo contro il padrone, ma come l'oltraggio di un figlio che vuol lasciare il padre per sottrarsi alla sua tutela. È un'indicazione preziosa questa che Gesù ci offre: il peccato deve sempre essere considerato come una colpa commessa nell'ambito delle relazioni di un figlio col padre. In ciò consiste la sua gravità, il suo carattere tragico; perché un'offesa fatta a un padre è più grave di un oltraggio rivolto a un padrone. Solo nel contesto di un amore filiale che viene tradito appare chiaro il vero senso del peccato.

La domanda del figlio minore esprime chiaramente questo rinnegamento dell'amor filiale: « Padre, dammi la parte dei beni che mi spetta ». È come se gli dicesse: « Ciò che 'mi interessa non è il tuo affetto paterno né la tua compagnia, ma sono i tuoi beni. Dammi la mia parte, e me ne vado ». Tale è precisamente l'intenzione che il peccato presuppone il diritto conclamato di diventare padrone assoluto dei beni che Dio dispensa, di possederli e di utilizzarli a modo proprio, in piena indipendenza. Il peccato viene sempre commesso per mezzo di certi beni che il Padre ci ha elargito e di cui il peccatore si impadronisce per usarli non conformemente alla volontà del Padre e nella sua casa, ma secondo il proprio capriccio e lontano dalla casa paterna. Egli rivolgendosi contro il Creatore, contro il Padre, ciò che ha ricevuto da lui: i beni di questo mondo, di cui fa cattivo uso con la sua avidità; il suo corpo, di cui abusa con la sensualità; la sua anima, che sottrae col suo egoismo o col suo orgoglio. Il peccato comporta dunque la triste ingratitudine di opporsi al proprio benefattore per mezzo dei benefici da lui avuti.

Alla domanda del figlio minore il padre non dà risposta. Egli tace, ma questo silenzio non esclude che egli abbia risentito in modo pungente l'ingiuria fatta al suo amore. Nessun padre, infatti, potrebbe ascoltare senza fremere il proprio figlio chiedergli una parte della sua fortuna per staccarsi definitivamente dal suo affetto. Ma il padre della parabola evangelica vuol essere generoso, e nasconde la sua pena nel segreto del cuore.

Il padre, dice Gesù nella parabola, procedette alla divisione richiesta dal figlio minore. Dovremmo stupirci di una generosità che permette a un giovane sventato di dilapidare tutto il suo patrimonio. Essendo sollecito del bene reale del figlio, il padre avrebbe avuto il dovere di rifiutare, proteggendolo contro se stesso e risparmiandogli tutte le mortificazioni di un'avventura, il cui insuccesso era prevedibile. La condotta del padre si giustifica, invece, con l'intenzione di non forzare la libertà del figlio. Ciò che egli desidera é il suo affetto, e l'affetto non si attiene con la forza. Egli vuole presso di sé un figlio, non uno schiavo; e se attualmente il figlio non vuol più dargli liberamente il suo amore, egli si rifiuta di estorcerlo con la forza e preferisce lasciargli la sua libertà, nella speranza che questa un giorno lo ricondurrà a lui.

Tale è pure la condotta del Padre celeste, che non rifiuta agli uomini i beni della terra, quando essi vogliono abusarne, e che non li costringe a rimanere presso di sé, nella sua amicizia, quando vogliono separarsene. Egli riconosce agli uomini la libertà, e la rispetta profondamente, perché desidera da parte loro un affetto che non sia comandato. Lasciando loro la possibilità di optare tra l'amicizia e la separazione, egli spera che, pur scegliendo, al momento, di andarsene, alla fine ritorneranno e gli tributeranno un amore spontaneo. Questo rispetto della libertà umana non é che una testimonianza di più del vero amore del Padre, il quale, per il nostro bene, si espone volentieri al rischio di essere abbandonato, disprezzato nel suo amore, e di vedere i suoi figli preferire a lui i miseri piaceri della terra.

Il figlio minore non esita un istante ad approfittare della libertà e della fortuna che gli sono state concesse. Se ne va con la borsa piena, ripromettendosi ogni sorta di piaceri. Ma la realtà gli infligge ben presto una crudele delusione. Egli e condannato a fare proprio quel mestiere che tra gli ebrei era giudicato il più abbietto: il guardiano di porci; e cade in un tale abisso di miseria da desiderar di condividere il pasto di quegli animali. Ciò dimostra che il peccato non mantiene le sue allettanti promesse; invece di soddisfare i desideri che ha acceso, ne inganna l'appetito, accentuandolo, spoglia dei suoi beni colui che si è lasciato sedurre, lo trascina in una profonda miseria, genera vergogna e disgusto. Chi aveva creduto di godere l'ebrezza della libertà, cade invece in una degradante schiavitù.

Il figliol prodigo, che ne ha fatto l'amara esperienza, confronta la sua situazione con quella di cui godono i servi di suo padre, e incomincia a capire quali fossero la felicità, la libertà e l'abbondanza di cui egli godeva nella casa paterna e che non aveva saputo apprezzare nel loro giusto valore. « Quanti sono i servi al soldo di mio padre che hanno pane in abbondanza, mentre io, qui, muoio di fame! ». Vi è in questa constatazione l'elogio del benessere spirituale che il Padre prodiga a chi resta vicino a lui, vivendo nella sua amicizia. Solo i santi possono testimoniare di tale abbondanza di grazie e di favori che mantiene l'anima in una disposizione di pace e di gioia piena; dei cristiani dalla vita apparentemente comune possono far fede che tale abbondanza è autentica e che in nessun luogo si sta meglio che nell'amicizia del Padre celeste. Una volta perduta, il peccatore ne valuta appieno il prezzo.

Qui ha inizio un dramma interiore che è il dramma di tanti uomini in questo mondo: il dramma di coloro ai quali l'esperienza ha dimostrato che il peccato e triste, arido, degradante, e che solo una vita di buona intesa col Padre celeste può soddisfare e colmare un cuore umano. Ma bisogna avere il coraggio di ritornare, bisogna compiere quell'ultimo sforzo, di cui si esagera spesso la difficoltà. Il figlio di cui ci parla la parabola si decide a questo passo. Avendo tutto perduto, egli capisce che non gli rimane che la sua mortificazione da offrire; ed è questa che egli si propone di presentare al padre, domandandogli di poter ritornare nella sua casa in veste di servitore: « Io non son più degno d'esser chiamato figlio tuo: trattami come l'ultimo dei tuoi servi ».

Avviandosi verso casa, doveva provare un senso di apprensione: quale accoglienza vi avrebbe ricevuto. Se avessimo dovuto terminare noi il racconto iniziato da Cristo, forse gli avremmo dato una conclusione diversa: avremmo rappresentato Dio in veste di giudice, che concede i suoi lumi divini al colpevole affinché riconosca i suoi peccati, e che pronuncia la condanna. E, attenendoci a quella che sarebbe stata la reazione di un padre umano al ritorno del figlio traviato, avremmo equilibrato la bontà con una saggia prudenza. Il padre, infatti, avrebbe potuto ricevere il figliol prodigo con benevolenza, facendogli tuttavia comprendere il dolore che aveva causato con la sua condotta; e, affinché la lezione non andasse perduta e il giovane non fosse tentato di ricominciare, avrebbe potuto differire il perdono definitivo, tenendo per qualche tempo il figlio in casa, al suo servizio, prima di restituirgli tutti l suoi privilegi di figlio. Il giovane avrebbe così dovuto provare la sincerità del suo pentimento e della sua risoluzione di mutar vita, meritandosi il perdono con la dimostrazione di una condotta buona e onesta.

Ma la conclusionè che Gesù ci prēsenta supera tutto ciò che avremmo potuto immaginare. Invece di attendere che il figlio giunga a lui per implorare perdono, il padre gli corre incontro, impietosito del suo stato di miseria. Il giovane inizia la frase preparata in anticipo per questo difficile istante, ma egli lo interrompe, e non per fargli dei rimproveri, bensì perché la conversazione non insista su un passato di cui il figlio prova vergogna; e quando questi si dice indegno del nome di figlio, egli ordina che gli si portino gli abiti migliori, l'anello e le calzature che distinguono i padroni di casa, e fa sparire immediatamente i cenci e le altre tracce della ,sua miseria, restituendogli così i privilegi e la dignità di figlio. Ma non basta: egli organizza un banchetto, e un banchetto solenne, per il quale ordina di immolare non un capretto o un agnello come per i banchetti comuni, ma il vitello grasso. Il padre è raggiante di una gioia che vorrebbe comunicare a tutti; non ha che un'idea: « Il figlio mio che credevo morto è ritornato alla vita; era perduto e si é ritrovato ». Che altro possiamo trovare nella descrizione di questa meravigliosa accoglienza se non la bontà, tutta la bontà di un cuore paterno? Noi avremmo posto a quella generosità molte restrizioni, molti limiti di giustizia e di prudenza Gesù ci mostra, invece, che il padre supera ogni nostra meschina considerazione e offre tutto il suo amore al figlio prodigo che ritorna.

Ora, quest'accoglienza di pura bontà paterna si ripete di continuo nelle relazioni di Dio con gli uomini. Ogni volta che un peccatore si pente delle sue colpe e che il Padre, il quale attendeva con impazienza quell'istante, accorre a lui, si ripete la parabola del figliol prodigo. Dio non vuol assolutamente forzare la porta di un cuore; ma se quel cuore si apre liberamente a lui con buone disposizioni, egli si affretta ad entrarvi, spinto dal suo immenso affetto, senza alcun indugio cancella la disperazione e l'onta del peccato, reintegra colui che si é perduto in tutti i suoi privilegi di figlio e lo fa godere dell'amicizia divina più completa. Non impone un tempo di prova in cui debba essere fornita la dimostrazione della buona condotta e della fedeltà alle risoluzioni prese; ma concede intero il suo perdono non appena il peccatore manifesta la sua volontà di rinunciare al peccato e di mutar vita.

Il perdono é definitivo; come c'insegna la parabola, il Padre celeste non ha alcun desiderio di ritornare sui fatti del passato, di gravarvi la mano o di richiamarne il ricordo per far rivivere l'onta che li accompagna. Egli è il primo a voler cancellare per sempre il ricordo delle colpe che ha perdonato. È un errore, quindi, raffigurarci il Padre celeste che tiene in serbo tutti i peccati che abbiamo commesso durante la nostra vita, per ripresentarceli nella loro bruttura quando compariremo dinanzi a lui nell'ora della morte. Se così fosse, il suo perdono non sarebbe completo. Egli ha voluto esattamente sopprimere tutta la miseria e tutto il disonore dei nostri peccati; non sarà, quindi, lui a richiamarli in vita. E se un ricordo dovesse sussistere, esso non può essere che un'azione di grazie per la riconciliazione ottenuta; non dunque un ricordo di vergogna e di disgusto, ma di gioia e di liberazione.

Restituendo innocenza e purezza autentiche a un'anima che si era insozzata, il Padre rende al figlio sull'istante tutto il suo affetto paterno e si propone di agire in avvenire come se nulla fosse avvenuto. Lungi dal conservare per lui del rancore, egli è tutto preso dalla gioia paterna di aver rivisto vivo colui che credeva morto. Ed è un gaudio grande, come dimostra il banchetto del vitello grasso e come Gesù afferma « Io vi dico che ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si pente, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza ». La gioia che manifesta il padre del figliol prodigo, come quella del pastore che ritrova la pecorella smarrita, ha qualcosa di meraviglioso, più ancora della restituzione della innocenza al colpevole di ieri. L'avventura che avrebbe dovuto avere conseguenze amare e irreparabili termina in generale letizia, per il Padre e per tutto il cielo, letizia che si comunica al figlio perdonato. Ed é per il peccatore pentito un privilegio stupendo quello di poter procurare al Padre celeste un gaudio tosi intenso. Più la sua offesa era stata grave, più profonda è la gioia che accompagna il suo ritorno. Il penitente, una volta ricevuta l'assoluzione del sacerdote, sa che non ha da temere il volto severo di Dio; sa che sarà accolto in gaudio da un amore paterno. Egli lo sente, del resto, anche in se stesso; e la gioia che prova non è che il riflesso nella sua anima del gaudio di tutto il cielo e del cuore del Padre.

Di Jean Galot s. j.


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