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martedì 21 dicembre 2021

1962 Rivoluzione nella Chiesa cronaca dell’occupazione neomodernista della Chiesa Cattolica

 


Mons. Giovanni Battista Montini

Data l’indole del presente lavoro, non entreremo nell’esame dettagliato di altre sortite “montiniane”, effettuate alle spalle del Papa e contro ogni sua direttiva: come ad esempio la lettera di elogio al modernista Maurice Blondel, spedita dalla Segreteria di Stato con firma del Sostituto Montini ma a nome di Pio XII, e con tanto di auguri, sempre a nome del Papa, per un buon prosieguo della sua opera filosofico-apologetica, definita per l’occasione addirittura come “un prezioso contributo alla migliore intelligenza (...) del messaggio cristiano”.27

Oppure, l’altra sortita del Montini che, ad insaputa e contro la proibizione di Pio XII era stato scoperto ad intrattenere, sempre a nome della Santa Sede, rapporti diplomatici col Governo sovietico di Stalin a Mosca.28

Dopo quest’ultimo tradimento, Pio XII, amareggiato, allontanò mons. Montini dalla Segreteria di Stato spedendolo a Milano come Arcivescovo, ma senza nominarlo Cardinale, nonostante quella fosse, da secoli, sede cardinalizia.

Che si fosse trattato di un promoveatur ut amoveatur, ossia di una sorta di promozione-rimozione, è un fatto ormai ammesso anche da studiosi neomodernisti, come ad esempio p. Giacomo Martina, gesuita e docente all’Università Gregoriana di Roma, il quale è costretto ad ammettere che si trattò di un «allontanamento del sostituto Montini, “promosso” arcivescovo di Milano, mai nominato cardinale e mai una sola volta ricevuto dal papa (con cui per anni aveva avuto contatti giornalieri) in udienza privata».29

E il p. Martina annota:

“Il significativo episodio non è ancora del tutto chiarito.

Influirono sulla rimozione vari fattori, la scarsa simpatia di cui Mons. Montini godeva in Segreteria di Stato, l’irritazione di Pio XII per una certa indipendenza di giudizio del suo collaboratore, il ritardo del Montini nel comunicare alcuni fatti, per la speranza che nel frattempo le cose si fossero appianate”.30

Tuttavia, anche da Arcivescovo di Milano e nonostante il chiaro monito del Papa, Mons. Montini continuava imperterrito a disobbedire appoggiando i “nuovi teologi” ed il progressismo in genere. Come abbiamo già visto, «dall’“Arcivescovo Montini” - riferiva il von Balthasar - vennero parole di adesione e di incoraggiamento” al de Lubac e ai suoi “amici”.

Con tanti saluti a Pio XII.

La subdola diffusione della “nouvelle théologie” alle spalle del Papa

Gli ultimi anni del Pontificato di Pio XII si chiusero in un singolare isolamento, sottolineato da tutti gli storici e interpretato in vario modo.

Ma il fatto è che il Papa non poteva più fidarsi di nessuno.

La Chiesa era ormai piena di troppi Montini e di troppi de Lubac di vario calibro e a tutti i livelli, mentre nonostante i suoi interventi Pio XII vedeva crescere sempre più la marea del neomodernismo, ipocritamente propagato alle sue spalle.

Di questi maneggi sleali e sotterranei degli adepti della nouvelle théologie ha dato un’eloquente testimonianza, in tempi recenti, il già citato e autorevole p. Henrici S.J. con un articolo pubblicato sulla rivista “Communio” organo di stampa ufficiale dell’ala “moderata” della nuova teologia (confondatori: Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar e... Joseph Ratzinger). 

Ed ecco come egli descriveva la tattica subdola adoperata, in quegli anni, dai “nuovi teologi” che insegnavano negli Studentati dei Gesuiti di alcuni Paesi dell’Europa del centro-nord, nei quali egli aveva studiato (cioè in Svizzera, Germania, Francia e Belgio):

“Nelle esercitazioni seminariali si leggevano Kant, Hegel, Heidegger e Blondel; Kant e Heidegger, in particolare, costituivano i punti di riferimento costanti, onnipresenti. “Geist in Welt” di Karl Rahner (...) e tutte le opere della cosiddetta scuola di Maréchal venivano lette come bestsellers”.31

“A Lovanio, per esempio, l’Henrici studiò “una teologia fortemente appoggiata agli autori della cosiddetta “théologie nouvelle”, più storica che sistematica, e arricchita dagli apporti della teologia biblica ed ecumenica”.32

E ancora:

«A coloro che avevano interessi teologici particolarmente spiccati, il prefetto degli studi consigliava, come prima lettura, i primi due capitoli del “Surnaturel” di Henri de Lubac - il più proibito dei libri proibiti! - e poi il suo “Corpus Mysticum” e questo al fine di arrivare ad acquisire una sensibilità per il fatto che enunciati teologici uguali in tempi diversi e in contesti diversi possono avere un significato diverso»,33 ossia al fine di instillare negli animi degli studenti il più sfacciato relativismo ed evoluzionismo dogmatico.

Certo, tanto per salvare le apparenze, dai professori “per ogni trattato era proposto un manuale vecchio stile (scolastico) che, tut tavia, al massimo veniva solo sfogliato”.34

Dopo di che, però, i medesimi docenti si dedicavano anima e corpo alla diffusione tra i loro studenti del neomodernismo più sfrontato in campo biblico e teologico:

“Nuovo, anzi sorprendente - continuava infatti a ricordare il p. Henrici - per chi iniziava gli studi di teologia, era soprattutto il modo di accostarsi alla Sacra Scrittura.

Era necessario abituarsi a non prendere più del tutto alla lettera non solo l’Antico Testamento ma anche i Vangeli (ad esempio i Vangeli dell’Infanzia)”.35

E ancora:

“Anche nello studio della Bibbia, ci si rivolgeva in continuazione, e del tutto naturalmente, ad autori non cattolici” mentre, neanche a dirlo, la teologia che si studiava (...) era interamente ecumenica”.36

***

Pio XII moriva a Castelgandolfo il 9 ottobre 1958, lasciando una Chiesa che, ad occhi inesperti, poteva sembrare ancora salda e tranquilla nella sua Tradizione apostolica. Ma era la calma che precede la tempesta.

sac. Andrea Mancinella

lunedì 1 novembre 2021

1962 Rivoluzione nella Chiesa cronaca dell’occupazione neomodernista della Chiesa Cattolica

 


Mons. Giovanni Battista Montini

Nato nel 1897 e ordinato sacerdote nel 1920, il futuro “arcivescovo Montini”, ancora all’inizio della sua carriera ecclesiastica, era impiegato come minutante in Segreteria di Stato, ricoprendo nel contempo anche la carica di Assistente Ecclesiastico della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana).

Ma da quest’ultimo incarico, primo sintomo allarmante delle sue idee filomoderniste, il Montini fu obbligato a dimettersi dal Cardinale Vicario di Roma, S.Em. Marchetti- Selvaggiani, nel 1933. Cos’era successo? Ecco come il giovane Montini spiegava l’accaduto in una lettera al suo Vescovo di Brescia, il 19 marzo di quell’anno:

“Il motivo delle mie dimissioni é stato piuttosto un’avversità, che mi sembra tuttora inesplicabile (...). Così che vi fu chi dipinse me all’Em.mo Cardinal Vicario come antigesuita e, perciò, come persona da sorvegliarsi in ogni atteggiamento, sia pratico che dottrinale, alla quale non é far torto attribuire inquietanti intenzioni”.22

Il giovane Montini tuttavia, grazie alla poco preveggente benevolenza del peraltro ottimo e benemerito Mons. Ottaviani, futuro Cardinale Prefetto del S. Uffizio,23 riuscì a riciclarsi negli ambienti vaticani arrivando addirittura, col tempo, a ricoprire la carica di Sostituto alla Segreteria di Stato, in tandem con Mons. Tardini, sotto il Pontificato di Pio XII.

Che però Mons. Montini fosse realmente “persona da sorvegliarsi in ogni atteggiamento, sia pratico che dottrinale, alla quale non é far torto attribuire inquietanti intenzioni” e che il Card. Marchetti-Selvaggiani avesse visto giusto, apparve sempre più chiaro in seguito, soprattutto in occasione della pubblicazione della “Humani generis” di Pio XII.

Il Papa era intervenuto, come abbiamo visto, per condannare la “nuova teologia” che minacciava l’esistenza stessa della Chiesa. Ma ecco come Mons. Montini, ormai Sostituto alla Segreteria di Stato, nel rispondere agli interrogativi preoccupati del filosofo Jean Guitton, venuto a trovarlo l’8 settembre 1950, si permetteva di contrastare l’intervento del Papa e “rassicurava” l’amico neomodernista:

«Avrà certamente osservato anche lei le sfumature di questo testo pontificio. Per esempio, l’enciclica non parla mai di errori (errores). Parla soltanto di opinioni (opiniones). Questo sta a indicare che la Santa Sede non mira a condannare errori veri e propri, ma dei modi di pensiero suscettibili di produrre errore, ancorché rispettabili in sé. D’altra parte, esistono tre ragioni perché l’enciclica non sia deformata: 

la prima, voglio confidargliela: è l’espressa volontà del Santo Padre.

La seconda, è la mentalità dell’episcopato francese, di vedute ampie, aperto alle correnti contemporanee. Certo un episcopato, ogni episcopato (e perché ha un contatto immediato con le anime, e perché deve rimanere fedele al suo ministero pastorale, come si suol dire...), è sempre portato ad allargare le vie della dottrina e della fede. E senza dubbio ha ragione. A Roma noi abbiamo il dovere di vegliare anche sul lato dottrinale. Noi siamo particolarmente sensibili a tutto quello che potrebbe alterare la purezza della dottrina che è verità. Il Sommo Pontefice deve custodire il deposito, come dice san Paolo. 

E arrivo alla terza ragione. Essa si riassume in due parole: i francesi sono intelligenti».24

E così, mentre il Papa condannava radicalmente e senza possibilità di appello il nuovo modernismo del de Lubac e compagni, uno dei suoi più stretti collaboratori, mons. Montini, ne tradiva la fiducia e ne minava il Magistero presentando le eresie dei nuovi teologi come “rispettabili in sé”, cercando per giunta di dar a credere che questa interpretazione della “Humani generis” fosse quella autentica, da propagarsi “per espressa volontà del Santo Padre” per evitare che l’Enciclica fosse “deformata”.

Le “rassicurazioni” date dal Montini all’amico Guitton ne tradivano purtroppo la mentalità filomodernista. 

Impressionante, poi, quel suo approvare, con la solita scusa della “pastorale”, la tendenza ad “allargare le vie della dottrina e della fede”, tendenza propria di vescovi che, evidentemente, la fede non l’avevano più. Si tratta del resto della stessa identica tendenza, tipica dei nuovi modernisti, che ritroveremo alla base dei documenti del Vaticano II e della “pastorale postconciliare” che sta devastando la Chiesa.

Evidentissimo anche il concetto modernista di Mons. Montini circa l’autorità della Gerarchia, vista come l’elemento frenante nel processo evolutivo della dottrina (mentre l’elemento progressista sarebbe stato invece l’élite modernista, immersa nella vita e nella “pastorale”), esattamente come aveva già denunciato San Pio X nella Pascendi: 

“Studiando più a fondo il pensiero dei modernisti - aveva scritto il Papa - deve dirsi che l’evoluzione (per i modernisti) é come il risultato di due forze che si combattono, delle quali l’una è progressiva, l’altra conservatrice.

La forza conservatrice sta nella Chiesa e consiste nella tradizione. L’esercizio di questa è proprio dell’autorità religiosa; e ciò sia per diritto, poiché sta nella natura di qualsiasi autorità il tenersi ferma il più possibile alla tradizione; sia per fatto, perché sollevata al di sopra delle contingenze della vita, poco o nulla sente gli stimoli che spingono al progresso. 

Al contrario, la forza che, rispondendo ai bisogni, spinge a progredire, si trova e lavora nelle coscienze individuali, in quelle soprattutto che sono, come dico no, più a contatto della vita (...).

Da una specie di compromesso fra le due forze di conservazione e di progresso, fra l’autorità, cioè, e le coscienze individuali, nascono le trasformazioni e i progressi”.25

Tesi, antitesi e sintesi: Hegel allo stato puro, insomma, per un’indefinita evoluzione verso il teilhardiano “Punto Omega”...

Con questi presupposti era perfettamente logica - nella logica dell’errore - la “rassicurazione” del Sostituto Montini all’amico filosofo, con tanto di messaggio in codice riservato agli iniziati: i Vescovi francesi erano comunque “intelligenti” e senz’altro in grado di ben arrangiarsi per lasciar cadere l’Humani generis nel dimenticatoio.

Sempre nel suo libro di ricordi sull’amico Paolo VI, il Guitton aggiunge:

«Parlo a monsignor Montini di padre de Lubac, dell’emozione che ha causato in Francia un provvedimento preso nei suoi confronti (in seguito appunto all’Humani generis: n.d.r.).

“Lo sappiamo - risponde - ma non si preoccupi: padre de Lubac renderà ancora eminenti servizi alla Chiesa. Conosciamo la sua dottrina, la sua influenza, i suoi meriti”.26

Nessuna preoccupazione, dunque, per il p. de Lubac e gli altri nuovi teologi: mons. Montini e i suoi “amici” stavano lavorando a tessere le trame del loro futuro colpo di Stato che li avrebbe “riabilitati”.

***

sac. Andrea Mancinella

giovedì 23 settembre 2021

1962 Rivoluzione nella Chiesa

 


Cronaca dell’occupazione neomodernista della Chiesa Cattolica


La messa al bando dei “nuovi teologi”

«Ricordo - riferirà molti anni dopo il p. Spiazzi O.P., docente all’Angelicum in Roma - che qualche mese dopo la “Humani generis”, accennandovi in un’udienza con Pio XII, sentii dirgli:

“Se non si interveniva per tempo, si poteva arrivare al punto che non rimaneva in piedi quasi più nulla”».20

La pubblicazione dell’Enciclica, pur avendo una certa risonanza, non riuscì ad arrestare l’avanzata dei “nuovi teologi”. Il suo valore fondamentale però consistette, e consiste tuttora, nell’essere il documento ufficiale della condanna definitiva, da parte del Magistero della Chiesa, della nouvelle théologie e dei suoi seguaci, e quindi anche la condanna anticipata, ed altrettanto definitiva, dell’attuale nuovo corso ecclesiale.

Vennero comunque presi alcuni provvedimenti e compiute alcune “epurazioni”, che, in seguito, il von Balthasar avrebbe così ricordato:

«Si erano nutriti sospetti su di lui (il p. de Lubac) già prima del “Surnaturel” (1946)... P. Garrigou-Lagrange lanciava contro de Lubac e i suoi amici la parola d’ordine di “Nouvelle Théologie” (“Nuova Teologia”), il papa attaccò adirato, “L’Osservatore Romano” riportava il discorso; il padre generale Janssens, dapprima si comportò in modo leale verso de Lubac, ma poi più aumentavano gli attacchi da tutti i paesi e più diplomatico diventava il suo comportamento. Si va intanto a scavare ciò che può apparire sospetto anche in altre opere (“Sulla conoscenza di Dio”, “Corpus Mysticum”, come pure il libro su Origene). Con l’“Humani generis” il fulmine si abbatté sullo scolasticato lionese e de Lubac venne indicato come il principale capro espiatorio. I dieci anni successivi divennero un calvario per il de Lubac, che fu esonerato dall’insegnamento, espulso da Lione e sospinto da un luogo all’altro. I suoi libri diffamati vennero tolti via dalle biblioteche della Compagnia di Gesù e furono sottratti al commercio (...). Il cambiamento si ebbe molto lentamente (...). Dall’arcivescovo Montini vennero parole di adesione e di incoraggiamento (fu egli che più tardi, diventato papa Paolo VI, insistette perché de Lubac, alla chiusura del congresso tomista, nella grande sala della cancelleria, parlasse su Teilhard de Chardin). Ma ancora per anni rimasero delle nubi impenetrabili intorno alla vetta, nubi che non venero dissipate neppure mediante l’elezione all’Istituto di Francia, finché da ultimo venne la nomina di de Lubac da parte di Giovanni XXIII a consultore dei lavori preparatori (del Concilio Vaticano II: n.d.r.) della commissione teologica, insieme con P. Congar. Questo fatto fece cambiare rotta agli avvenimenti».21

La cosa non può mancare di sorprendere. I “nuovi teologi”, Marie-Dominique Chenu e Yves Congar, infatti, erano stati allontanati dall’insegnamento già quattro anni prima della “Humani generis”, ed ora era stato il turno del de Lubac. Ma ecco che incredibilmente, ci informa il von Balthasar, e con totale noncuranza delle condanne della Santa Sede, “in seguito (...) dall’arcivescovo Montini vennero parole di adesione e di incoraggiamento” per gli gnostici nuovi teologi. L’“arcivescovo Montini” però, sottolineava il von Balthasar, sarebbe in seguito “diventato Papa Paolo VI”.

Un fatto che contribuisce a spiegare molte cose, e che ci obbliga ad esaminarne più da vicino la persona e le idee.

sac. Andrea Mancinella

mercoledì 11 agosto 2021

1962 Rivoluzione nella Chiesa

 


Cronaca dell’occupazione  neomodernista  della Chiesa Cattolica


LA CONDANNA UFFICIALE DELLA “NUOVA TEOLOGIA”


c) Il “soprannaturale naturalizzato” del de Lubac

“Altri - scriveva il Santo Padre - snaturano il concetto della gratuità dell’ordine soprannaturale, quando sostengono che Dio non può creare esseri intelligenti senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica”.15

d) Il falso ecumenismo e il conseguente dissolvimento della Chiesa Cattolica Romana

Prima ancora, Pio XII aveva individuato e condannato l’ecumenismo irenico sotteso alla “nuova teologia” - e oggi ovviamente imperante nella Chiesa - in quanto gravissimo errore, causa di rovina della fede cattolica:

“... alcuni, infuocati da un imprudente irenismo - scriveva infatti il Papa - sembrano ritenere un ostacolo al ristabilimento dell’unità fraterna, quanto si fonda sulle leggi e sui princìpi stessi dati da Cristo e sulle istituzioni da Lui fondate, o quanto costituisce la difesa e il sostegno dell’integrità della Fede, crollate le quali, tutto viene sì unificato, ma soltanto nella comune rovina”.16

E a questo proposito precisava:

“Certuni non si ritengono legati alla dottrina che Noi abbiamo esposta in una Nostra Enciclica e che è fondata sulle fonti della Rivelazione, secondo cui il corpo mistico di Cristo e la Chiesa Cattolica Romana sono una sola identica cosa. Alcuni riducono ad una vana formula la necessità di appartenere alla vera Chiesa, per ottenere l’eterna salvezza”.17

Tutti errori da sempre condannati, ma oggi propagati dalla “Gerarchia conciliare”, come documenteremo in seguito.

Dopo aver elencato altri gravissimi errori (circa l’inerranza biblica, la SS.ma Eucaristia, l’evoluzionismo, il poligenismo ed altri argomenti, per i quali rimandiamo il lettore al testo integrale dell’Enciclica) il Sommo Pontefice concludeva con queste severissime parole:

“Sappiamo... che queste nuove opinioni possono far presa tra le persone imprudenti; quindi preferiamo porvi rimedio sugli inizi, piuttosto che somministrare la medicina quando la malattia é ormai invecchiata. 

Per questo motivo, dopo matura riflessione e considerazione, per non venir meno al Nostro sacro dovere, ordiniamo ai Vescovi e ai Superiori Generali degli Ordini e Congregazioni religiose, onerata in maniera gravissima la loro coscienza, di curare con ogni diligenza che opinioni di tal genere non siano sostenute nelle scuole o nelle adunanze e conferenze, né con scritti di qualsiasi genere e nemmeno siano insegnate, in qualsivoglia maniera, ai chierici o ai fedeli”.18 Quanto agli insegnanti negli Istituti ecclesiastici, terminava il Papa, “sappiano che essi non possono esercitare con tranquilla coscienza l’ufficio di insegnare che é stato loro affidato, se non accettano religiosamente le norme che abbiamo stabilite e non le osservano esattamente nell’insegnamento delle loro materie ... Cerchino con ogni sforzo e con passione di concorrere al progresso delle scienze che insegnano; ma si guardino anche dall’oltrepassare i confini da Noi stabiliti per la difesa della fede e della dottrina cattolica”.19

Sac. Andrea Mancinella

martedì 6 luglio 2021

1962 Rivoluzione nella Chiesa

 


 Cronaca dell’occupazione  neomodernista  della Chiesa Cattolica


LA CONDANNA UFFICIALE DELLA “NUOVA TEOLOGIA”


b) Relativismo dogmatico

Seguiva la condanna dei “nuovi teologi” in blocco:

“Per quanto riguarda la teologia, certuni intendono ridurre al massimo il significato dei dogmi; liberare lo stesso dogma dal modo di esprimersi, già da tempo usato nella Chiesa, e dai concetti filosofici in vigore presso i dotti cattolici, per ritornare nell’esporre la dottrina cattolica, alle espressioni usate dalla Sacra Scrittura e dai Santi Padri. Essi così sperano che il dogma, spogliato degli elementi estrinseci, come essi dicono, alla divina Rivelazione, possa venire con frutto paragonato alle opinioni dogmatiche di coloro che sono separati dalla Chiesa e in questo modo si possa pian piano arrivare all’assimilazione del dogma con le opinioni dei dissidenti. Inoltre, ridotta in tali condizioni la dottrina cattolica, pensano di aprire così la via attraverso la quale arrivare, dando soddisfazione alle odierne necessità, a poter esprimere i dogmi con le categorie della filosofia odierna, sia dell’immanentismo, sia dell’idealismo, sia dell’esistenzialismo o di qualsiasi altro sistema”.11

“E perciò - proseguiva il Papa - taluni, più audaci, sostengono che ciò possa, anzi debba farsi, perché i misteri della fede, essi affermano, non possono mai esprimersi con concetti adeguatamente veri, ma solo con concetti approssimativi e sempre mutevoli, con i quali la verità viene in un certo qual modo manifestata, ma necessariamente anche deformata”; secondo costoro sarebbe necessario che la teologia “sostituisca nuovi concetti agli antichi; cosicché in modi diversi, e sotto certi aspetti anche opposti, ma, come essi dicono, equivalenti, esponga al mondo umano le medesime verità divine”.12

“Da quanto abbiamo detto - concludeva il Sommo Pontefice - é chiaro che queste tendenze non solo conducono al relativismo dogmatico, ma di fatto già lo contengono; questo relativismo é poi fin troppo favorito dal disprezzo verso la dottrina tradizionale e verso i termini con cui essa si esprime”.13

Cosa proponevano, infatti, i “nuovi teologi” in sostituzione della teologia scolastica? Nient’altro che delle “nozioni ipotetiche ed espressioni fluttuanti e vaghe della nuova filosofia, le quali, a somiglianza dell’erba dei campi, oggi vi sono e domani seccano; a questo modo si rende lo stesso dogma simile ad una canna agitata dal vento”.14

Sac. Andrea Mancinella

giovedì 6 maggio 2021

1962 Rivoluzione nella Chiesa

 


Cronaca dell’occupazione neomodernista della Chiesa Cattolica


LA CONDANNA UFFICIALE DELLA “NUOVA TEOLOGIA”


Papa Pio XII condanna la “nouvelle théologie”

Il Cardinale Eugenio Pacelli, eletto Sommo Pontefice nel 1939 col nome di Pio XII, perfettamente consapevole delle conseguenze letali di una presa del potere nella Chiesa da parte dei nuovi teologi, dopo la sua elezione a Sommo Pontefice intervenne decisamente per condannare in nome della Chiesa la nouvelle théologie e i suoi propagatori.

Già in un discorso tenuto il 17 settembre 1946 al Capitolo Generale dei pp. Gesuiti, il Papa aveva messo in guardia i Padri capitolari contro una “nuova teologia, che si evolve insieme con l’evolversi continuo di tutte le cose, semper itura, numquam perventura”, “sempre in cammino (verso la verità) senza mai raggiungerla”, aggiungendo queste parole profetiche:

“Se una tale opinione dovesse essere abbracciata, che ne sarebbe mai dell’immutabilità dei dogmi, che ne sarebbe dell’unità e della stabilità della fede?”.1

Più o meno, lo stesso discorso rivolgerà poi anche ai Padri Domenicani, riuniti anch’essi in Capitolo Generale, riconfermando, come antidoto contro il nuovo modernismo, l’obbligo di non discostarsi dalla dottrina di San Tommaso d’Aquino, così come prescritto dal canone 1366 § 2 del Codice di Diritto Canonico.2

Gli effetti di questa denuncia furono però praticamente nulli, a riprova della profondità dell’infezione neomodernista nel mondo dell’intellighenzia cattolica, per cui il Papa decise di intervenire in maniera ufficiale e definitiva con la pubblicazione dell’Humani generis.3

In questa grande Enciclica, che può essere considerata il terzo Sillabo contro gli errori dell’epoca moderna (dopo il Sillabo con l’enciclica “Quanta cura” del Beato Pio IX, e dopo il Decreto “Lamentabili” con la “Pascendi” di San Pio X) il Papa condannava severamente “alcune false opinioni che minacciano di sovvertire le fondamenta della dottrina cattolica”,4 pur senza nominare esplicitamente e singolarmente i loro sostenitori.

La nouvelle théologie veniva condannata particolarmente nei seguenti errori:

a) Spirito antiscolastico e soggettivista

Contro gli attacchi verso la filosofia scolastica, mossi dal Blondel e dal De Lubac e compagni, che volevano sostituirla con le correnti filosofiche moderne e specialmente con la “nuova filosofia” immanentista e soggettivista blondeliana, il Sommo Pontefice ribadiva che la filosofia scolastica:

“é come un patrimonio ereditato dalle precedenti età cristiane e... possiede una più alta autorità, perché lo stesso Magistero della Chiesa ha messo al confronto con la verità rivelata i suoi princìpi e le sue principali asserzioni, messe in luce e fissate lentamente attraverso i tempi da uomini di grande ingegno”. 

E continuava:

“Questa stessa filosofia, confermata e comunemente ammessa dalla Chiesa, difende il genuino valore della cognizione umana, gli incrollabili principi della metafisica... ed infine sostiene che si può raggiungere la verità certa ed immutabile”.5

Perciò, proseguiva:

“si può rafforzare la stessa filosofia con espressioni più efficaci, spogliarla di certi mezzi scolastici meno adatti, arricchirla anche... però, non si deve mai sovvertirla o contaminarla con falsi principi, né stimarla solo come un grande monumento, si, ma archeologico. La verità in ogni sua manifestazione filosofica non può essere soggetta a quotidiani mutamenti...”.6

E allora, aggiungeva il Papa, 

“se si considera bene quanto sopra é stato esposto, facilmente apparirà chiaro il motivo per cui la Chiesa esige che i futuri sacerdoti siano istruiti nelle scienze filosofiche “secondo il metodo, la dottrina e i princìpi del Dottore Angelico (C.J.C. 1917, can.1366, 2) (...) La sua dottrina, poi, é molto efficace per mettere al sicuro i fondamenti della fede, come pure per cogliere con utilità e sicurezza i frutti di un sano progresso”.7

“Perciò, é quanto mai da deplorarsi che oggi la filosofia confermata ed ammessa dalla Chiesa sia oggetto di disprezzo da parte di certuni, talché essi con imprudenza la dichiarano antiquata per la forma e razionalistica per il processo di pensiero”.8

E concludeva:

“Sarebbe veramente inutile deplorare queste aberrazioni, se tutti, anche nel campo filosofico, fossero ossequienti con la debita venerazione verso il Magistero della Chiesa, che per istituzione divina ha la missione non solo di custodire e interpretare il deposito della Rivelazione, ma anche di vigilare sulle stesse scienze filosofiche, perché i dogmi cattolici non abbiano a ricevere alcun danno da opinioni non rette”.9 

Purtroppo invece, sottolineava ancora,

 “non mancano nemmeno oggi, come ai tempi apostolici, coloro che, amanti più del conveniente delle novità e timorosi di essere ritenuti ignoranti delle scoperte fatte dalla scienza in quest’epoca di progresso, cercano di sottrarsi alla direzione del Magistero e perciò sono nel pericolo di allontanarsi insensibilmente dalle verità rivelate e di trarre in errore anche gli altri”.10 

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Sac. Andrea Mancinella

martedì 16 marzo 2021

1962 Rivoluzione nella Chiesa

 


Cronaca dell’occupazione neomodernista della Chiesa Cattolica


L’influsso dei nuovi teologi sulla “Chiesa del Vaticano II”

Come si sarà notato, questa rapida panoramica ha voluto mettere in evidenza, sia pure affondando solo brevi colpi di sonda qua e là nelle sabbie mobili della “nuova teologia”, soprattutto il naturalismo, il relativismo e l’evoluzionismo dogmatico dei “nuovi teologi”, fonte di ogni altra loro deviazione dottrinale, ma soprattutto della tragedia del Vaticano II e del disastro postconciliare.

Non pochi dei già citati esponenti della nouvelle théologie, unitamente ad altri che menzioneremo in seguito, divennero infatti i teologi-guida dei Padri conciliari durante i lavori del Concilio Vaticano II, che, per questo motivo, è stato chiamato, a ragione, il “Concilio dei teologi”.24

La conseguenza è che oggi i cattolici stanno morendo, senza neppure accorgersene, di nuova teologia (cioè, in ultima analisi, di blondelismo e di teilhardismo accortamente filtrati) il cui spirito, passato nei documenti conciliari e nel magistero postconciliare, impregna oggi buona parte della Gerarchia, e viene diffuso a piene mani nei corsi teologici di formazione per il clero e per i cosiddetti “laici impegnati”.

Le prove? Eccone intanto alcune:

1) “Blondel è a casa sua nelle Università e nelle Facoltà cattoliche”, sottolineava il p. Xavier Tilliette S.J., “nuovo teologo”, in un articolo celebrativo del Blondel su La Civiltà Cattolica del 4/9/‘93, e precisava:

“l’Università Gregoriana sotto l’impulso, in un recente passato, di mons. Peter Henrici, non è la meno dedita al filosofo di Aix” (ivi, p. 389).

Lo stesso Papa Giovanni Paolo II, poi, in occasione del centenario dell’opera principale del Blondel (“L’Action”), inviò una lettera di elogio, a firma propria, in cui così lo esaltava: 

“ricordando l’opera, intendiamo innanzitutto rendere onore al suo autore, che nel suo pensiero e nella sua vita, ha saputo far coesistere la critica più rigorosa... con il cattolicesimo più autentico...”.25

3) Quanto al p. Teilhard de Chardin, lo stesso “Osservatore Romano” pubblicava, in prima pagina, una lettera inviata dalla Segreteria di Stato, a firma del Card. Casaroli e a nome di Giovanni Paolo II, con la data del 12 maggio 1981 (il giorno precedente l’attentato in Piazza San Pietro), inviata all’allora Rettore dell’Institut Catholique di Parigi, mons. Poupard (oggi ovviamente anche lui Cardinale) in occasione dei festeggiamenti per il centenario della nascita di quel gesuita apostata, lettera nella quale si esaltavano “la stupenda risonanza delle sue (di Teilhard de Chardin) ricerche, insieme con l’irraggiamento della sua personalità e la ricchezza del suo pensiero”, definendolo come “un uomo afferrato da Cristo nel profondo del suo essere, premuroso di onorare allo stesso tempo la fede e la ragione”, rispondendo in questo, quasi in anticipo, all’appello di Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura, aprite, spalancate a Cristo le porte, gli immensi spazi della cultura, della civiltà, dello sviluppo”».26

E nonostante che la reazione di un gruppo di Cardinali abbia costretto il medesimo quotidiano ufficioso della Santa Sede ad un successivo ridimensionamento di questa lettera incredibile, il fatto rimane altamente significativo.

4) Come se non bastasse, il loro amico e discepolo p. Henri de Lubac S.J. è stato in seguito addirittura nominato Cardinale, e, insieme a lui, hanno ricevuto la porpora cardinalizia altri esponenti di punta della “nouvelle théologie”: Jean Daniélou, Hans Urs von Balthasar, Yves Congar, con altri loro “amici”, mentre per l’appunto la loro gnostica nouvelle théologie, condannata da Papa Pio XII, è diventata, come ci informa autorevolmente il solito p. Henrici S.J. (cugino del von Balthasar, già docente alla Gregoriana e oggi naturalmente Vescovo) nientemeno che “la teologia ufficiale del Vaticano II”.27

5) E, di conseguenza, anche la teologia dell’attuale “Gerarchia conciliare”...

Sac. Andrea Mancinella

mercoledì 13 gennaio 2021

1962 Rivoluzione nella Chiesa cronaca dell’occupazione neomodernista della Chiesa Cattolica

 


I NUOVI MODERNISTI DELLA “NOUVELLE THÉOLOGIE”


Il marchio infallibile dell’eresia

Al pari dei vecchi modernisti, insomma, i nuovi teologi - de Lubac in testa - col loro naturalismo ed il loro relativismo non si limitavano a negare l’una o l’altra verità di fede, ma attaccavano le stesse radici soprannaturali della Chiesa, finendo per distruggerla

per via di inflazione, tramite la sua progressiva identificazione con tutta l’umanità.

Ciò che però colpisce di più in questo ribollire di fermenti malsani negli ambienti del nuovo modernismo è senz’altro la superbia di questi sedicenti “riformatori”, fondata sulla pretesa di aver nientemeno che riscoperto il “cristianesimo autentico” (perduto per strada, a quanto pare, dalla “vecchia” Chiesa nel corso dei secoli…):

“Saluto anzitutto in anticipo - scriveva infatti, nel 1945, il Blondel al de Lubac - la vostra grande opera sul soprannaturale, perché se è utile e anche necessario distruggere gli errori, è ancor più importante esporre a fondo la verità del cristianesimo autentico”.21 Gli faceva eco l’amico de Lubac che il 16 marzo 1946, mentre era in stampa il suo libro “Surnaturel”, scriveva al Blondel che l’opera, anche se giunta in ritardo, avrebbe comunque registrato “una vittoria, che non è tanto la vostra, quanto quella del Cristianesimo autentico”22 (e, guarda caso, che cos’altro pretendono, oggi, i sostenitori del Concilio Vaticano II se non appunto di aver finalmente scoperto, dopo duemila anni, il “cristianesimo autentico”?).

È, questa, una pretesa che si ripete come una sorta di costante nella storia delle eresie, un infallibile marchio di riconoscimento di ogni eretico: a partire dagli gnostici del II-III secolo fino ai Catari medioevali, da Ario di Alessandria fino a Martin Lutero, da Nestorio ai modernisti e ai “nuovi teologi”, tutti puntualmente spacciatisi, appunto, come i riscopritori e i restauratori del “vero cristianesimo”.

“Il Signore... ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore”23: neppure la successiva condanna ufficiale della “nouvelle théologie” da parte del Sommo Pontefice Pio XII servirà, infatti, a piegare l’orgogliosa presunzione dei nuovi teologi, né a farli desistere dai loro piani di pretesa riforma della Chiesa.

sac. Andrea Mancinella

domenica 8 novembre 2020

1962 Rivoluzione nella Chiesa cronaca dell’occupazione neomodernista della Chiesa Cattolica

 


I NUOVI MODERNISTI DELLA

“NOUVELLE THÉOLOGIE”

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Altro noto esponente della “nuova teologia” era il p. Karl Rahner, teologo gesuita e, in seguito, uno dei più influenti periti del Vaticano II.

Per comprenderne la persona e le idee, dovrebbero essere sufficienti le seguenti citazioni tratte da alcune sue pubblicazioni che, sebbene di poco posteriori al Vaticano II, svelano ad abundantiam ciò che egli covava nell’animo già in antecedenza:

«La natura effettiva - scriveva infatti il Rahner sulle orme del de Lubac - non è mai una “pura natura”, bensì una natura nell’ordine soprannaturale, dal quale l’uomo (anche come incredulo e peccatore) non può uscire».17

È la base della tesi rahneriana dei “cristiani anonimi” (per cui tutti gli uomini sarebbero cristiani, anche senza saperlo né volerlo) e quindi della dottrina della salvezza universale: un modo elegante, insomma, per eliminare en souplesse la Santa Chiesa cattolica per via di eutanasia.

Si senta ancora il Rahner:

“Si può addirittura tentare di vedere la “unio hypostatica” nella linea di questo perfezionamento assoluto di ciò che è l’uomo”.18

Secondo il teologo più acclamato del Concilio Vaticano II, dunque, la “Unio hypostatica”, vale a dire l’Incarnazione del Verbo Divino, sarebbe stata solo una favola, e Nostro Signore Gesù Cristo solo un uomo qualunque, giunto però ad una perfezione tale da diventare Dio...

E ancora:

“Il dogma (dell’Immacolata Concezione) non significa in nessun modo che la nascita di un essere umano sia accompagnata da qualche cosa di contaminante, da una macchia, e che per evitarla, (Maria SS.ma) abbia perciò dovuto avere un privilegio”19, dove Rahner negava sia il dogma del peccato originale (e quindi la necessità della Redenzione, della Chiesa e del Battesimo), sia il senso autentico del dogma dell’Immacolata, col quale il Beato Pio IX definì appunto la Santa Madre di Dio essere stata, per grazia speciale, “nel primo istante della sua concezione (...) preservata immune da ogni macchia di peccato originale”.20

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Sac. Andrea Mancinella

giovedì 24 settembre 2020

I NUOVI MODERNISTI DELLA I NUOVI MODERNISTI DELLA “NOUVELLE THÉOLOGIE” “NOUVELLE THÉOLOGIE”

 


1962 RIVOLUZIONE NELLA CHIESA

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Tutti gli “amici” del de Lubac

Il gesuita p. Pierre Teilhard de Chardin (il vero “padre” occulto del Vaticano II), l’altro amico e “maestro” del de Lubac, era invece autore di un nuovo sistema filosofico-religioso panevoluzionista, una specie di ibrido darwin-hegeliano che egli considerava nientemeno che “la religione del futuro”, un “metacristianesimo”11 destinato a distruggere la Chiesa Cattolica tramite la sistematica reinterpretazione dei suoi dogmi in chiave gnostica. Secondo il sistema del p. Teilhard, che nasceva da una sua personale infatuazione per la mitica (perché di un mito si tratta)

teoria evoluzionistica darwiniana, la materia inorganica si sarebbe evoluta verso quella organica, mentre quest’ultima avrebbe raggiunto lo stadio più alto con l’uomo, la cui anima spirituale non sarebbe stata altro che il frutto spontaneo di un’ulteriore evoluzione della materia.

Ma il processo evolutivo doveva continuare inesorabile, nella saga fantascientifica del Teilhard, mediante la cooperazione dell’uomo al progresso scientifico e tecnico, finché l’umanità non avesse raggiunto il livello di “superumanità” in modo tale da divenire “cristificata” in quello che egli chiamava “punto Omega”, un

“Cristo Cosmico” inteso in senso panteistico:

“Io credo - sintetizzava il de Chardin - che l’Universo

è una Evoluzione. Credo che l’Evoluzione va verso lo Spirito. Credo che lo Spirito termina in qualcosa di Personale. Credo che il Personale supremo è il Cristo Universale”.12

E ancora: 

“Ciò che va dominando il mio interesse e le mie preoccupazioni interiori (...) è lo sforzo per stabilire in me, e per diffondere intorno a me, una nuova religione (chiamiamola un Cristianesimo migliore, se volete) in cui il Dio personale cessa d’essere il grande proprietario “neolitico” di un tempo, per diventare l’anima del Mondo

che il nostro stadio culturale e religioso richiede”.13

“Non vi è, in concreto, Materia e Spirito: ma esiste soltanto Materia che diventa Spirito. Non vi é, al Mondo, né Spirito né Materia; la “Stoffa dell’Universo” è lo Spirito-Materia. So benissimo che questa

idea (...) è vista come un mostro ibrido (...) ma resto convinto che le obiezioni sollevate contro di essa dipendono dal fatto che pochi si decidono ad abbandonare

un punto di vista antico per arrischiarsi su una nozione nuova”.14

Tutto ciò non poteva che sfociare in un’aperta apostasia dalla Fede:

“Se, in seguito a qualche crisi interiore - aveva scritto infatti il p. Teilhard già nel 1934 - io venissi, successivamente, a perdere la mia fede in Cristo, la mia fede in un Dio personale, la mia fede nello Spirito, mi sembra che continuerei invincibilmente a credere al Mondo. Il Mondo (il valore, l’infallibilità e la bontà del Mondo), tale é in ultima analisi, la prima, l’ultima e

la sola cosa alla quale io credo. È per questa fede che vivo. Ed é a questa fede, lo sento, che al momento di morire, al di sopra di ogni dubbio, io mi abbandonerò. (...) Alla fede confusa in un Mondo Unico ed Infallibile, io mi abbandonerò, dovunque abbia a condurmi”.15

Come per gli altri neomodernisti della nouvelle théologie, l’aspirazione del p. Teilhard era quella di riuscire a rimanere annidato come un virus mortale nel seno della “vecchia” Chiesa cattolica, con uno scopo ben preciso: quello di svuotarla dall’interno per trasformarla poi in una “superchiesa” ecumenica nel senso più ampio del termine. 

A ragione il filosofo Etienne Gilson, che aveva anche conosciuto di persona il p. Teilhard, denunciava senza mezzi termini: 

“... Questo mi riconduce al dubbio che mi assilla: (Teilhard de Chardin) é stato semplicemente un incoerente, o invece é stato il più subdolo, il più sornione degli eresiarchi, lucidamente cosciente di quanto stava facendo e risoluto a far incancrenire la Chiesa dall’interno, continuando ad appartenervi? Naturalmente, quel che io chiamo far marcire la Chiesa significava per lui rinnovarla; significava, forse procedere a una riforma a paragone della quale, come dice

egli stesso, quella operata dalla dottrina del Verbo, nel II secolo della nostra era, apparirebbe superficiale? C’è un orgoglio luciferino in questo progetto. È il trionfo del naturalismo e del secolarismo che prosperano nel nostro tempo”.16

Inutile dire che questa accusa si sarebbe potuta tranquillamente estendere anche agli altri esponenti della nouvelle théologie, dallo spirito certo meno fantascientifico, ma comunque tutti sistematicamente imbevuti, come abbiamo visto, di immanentismo, di soggettivismo e di evoluzionismo dogmatico.

Sarà anche interessante sapere che il p. Henri de Lubac, il “padre” più visibile del Vaticano II, è stato anche il propagandista più accanito ed entusiasta del “pensiero”, debitamente filtrato, del suo amico Teilhard in ambito cattolico. Specialmente dall’ultimo dopoguerra fino all’inizio del Concilio Vaticano II, una propaganda martellante ad opera degli ambienti della “nuova teologia” a favore delle idee del p. Teilhard de Chardin è stata portata avanti tra

l’intellighenzia cattolica con effetti devastanti, resisi poi ben visibili e palpabili, durante e dopo il Vaticano II, nell’atteggiamento di molti teologi e di molti membri influenti della Gerarchia, già di per sé inclini a cedere al mito del progresso, della modernità e all’apertura al mondo.

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Sac. Andrea Mancinella

sabato 22 agosto 2020

I NUOVI MODERNISTI DELLA DELLA “NOUVELLE THÉOLOGIE”



1962 RIVOLUZIONE NELLA CHIESA

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Tutti gli “amici” del de Lubac

Da sottolineare, infine, il ruolo assolutamente fondamentale per lo sviluppo della nouvelle théologie svolto da due dei principali amici del de Lubac e, a loro volta, suoi “maestri di pensiero”: il filosofo Maurice Blondel e il gesuita Pierre Teilhard de Chardin. 

Per inquadrare la persona e le idee di Maurice Blondel, modernista pertinace e collaboratore della rivista modernista del p. Laberthonnière, basterà riportare qui quanto vi scriveva già nel lontano 1906:

«All’astratta e chimerica “adaequatio rei et intellectus” (l’adeguamento della mente con l’oggetto conosciuto) si sostituisce la ricerca metodica di questo diritto, “l’adaequatio realis mentis et vitae” (l’adeguamento reale dell’intelletto con la vita)»7.

Il che, tradotto nel linguaggio dei comuni mortali, stava a significare che la verità, e dunque anche la verità religiosa, non sarebbe stata un qualcosa di esterno all’uomo da comprendersi con l’intelletto - cosa definita chimerica dal Blondel - bensì un qualcosa che si poteva solo modernisticamente sentire riflettendo sugli intimi moti vitali della coscienza umana, ovviamente in perpetua evoluzione. Si era dunque in pieno immanentismo, nell’àmbito del quale il
Blondel aveva sviluppato una sua apologetica, basata appunto sul metodo d’immanenza e nella quale l’intero Cristianesimo finiva per essere fondato su esperienze puramente interiori, mentre le prove esterne di credibilità della Rivelazione, i miracoli, ad esempio, venivano dissolte nelle nebbie del soggettivismo:
“Volendo andare a fondo - scriveva infatti il Blondel - non c’è dubbio che nel miracolo non c’è niente di più che nel più insignificante dei fatti ordinari, ma altresì nel più ordinario dei fatti non c’è niente di meno che nel miracolo”8, con la conseguenza che se tutto è miracolo, nulla lo è più in realtà. E infatti per il Blondel i miracoli sarebbero stati così ‘invisibili’ da poter essere percepiti solo da chi... fosse già credente:
“I miracoli, quindi, sono miracolosi soltanto allo sguardo di coloro che sono già disposti a riconoscere l’azione divina negli avvenimenti e negli atti più consueti”. (ibidem)
Tanto basti per capire a quale “fede” conducesse una simile “apologetica”, peraltro poi condannata dall’Enciclica Pascendi.9 D’altra parte il Blondel non si sentiva propriamente la coscienza a posto, e temeva di essere scoperto, cadendo così sotto le censure della Chiesa. 
Alcuni anni dopo, infatti, in una lettera all’amico de Lubac, il
Blondel svelerà la sua tattica ipocrita, tipica dei modernisti, messa in atto per sfuggire alla vigilanza delle Autorità ecclesiastiche:

“Quando più di 40 anni fa ho affrontato problemi per i quali non ero sufficientemente armato, regnava un estrinsecismo (= realismo della filosofia di San Tommaso, sostenuta dal Magistero della Chiesa: n.d.r.) intransigente e se io avessi detto allora ciò che Lei si augura,
avrei creduto di essere temerario e avrei compromesso tutto lo sforzo da fare, tutta la causa da difendere, affrontando censure che sarebbero state quasi inevitabili e certamente ritardanti. Bisognava trovare il tempo di maturare il mio pensiero e di ammansire gli spiriti ribelli (cioè il Papa, il Sant’Uffizio, i teologi fedeli alla Santa Sede: n.d.r.). (...) Lei sa le difficoltà, i rischi, ancora presenti, in mezzo ai quali ho perseguito
un piano che le prove di salute e gli impegni professionali o gli stessi consigli di prudenza e di attesa, che mi venivano prodigati, rendevano ancora più gravoso”.10

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sac. Andrea Mancinella

domenica 28 giugno 2020

I NUOVI MODERNISTI DELLA DELLA “NOUVELLE THÉOLOGIE”



1962 Rivoluzione nella Chiesa


Henri de Lubac e i “nuovi teologi”

Intorno agli anni ‘30 e ‘40, una nuova generazione di modernisti si presentava alla ribalta: erano nomi che sarebbero diventati in seguito fin troppo noti, come ad esempio quelli dei domenicani Marie-Dominique Chenu ed Yves Congar, nonché dei gesuiti Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar e, in seguito, Karl Rahner,
elaboratori di una “nouvelle théologie” (“nuova teologia”) che affondava le sue radici nel vecchio modernismo.
E difatti, esattamente come i “vecchi” modernisti, anche i nuovi teologi erano largamente infetti di immanentismo, di soggettivismo e di relativismo, con tutte le conseguenze immaginabili in campo dogmatico e morale.

* Il p. Henri de Lubac ad esempio, che era il caposcuola della nuova teologia, e che perciò è considerato un po’ come il “padre” del Concilio Vaticano II e della nuova Chiesa conciliare, aveva anch’egli come i suoi maestri modernisti un concetto assai elastico della verità.
Certo, negli scritti ufficiali il de Lubac era abbastanza cauto e attento a non lasciar troppo trapelare il suo relativismo di fondo, ma negli scritti privati, ovviamente, manifestava con più libertà il suo reale pensiero, senza i soliti fumogeni intellettuali. 

In una lettera all’amico filosofo Maurice Blondel, per esempio, egli scriveva:

«(...) Il fascicolo delle “Recherches de science religieuse” che é pubblicato in questi giorni, contiene un articolo del P. Bouillard (esponente della “nuova teologia”) che discute assai fortemente le idee del P. Garrigou-Lagrange (avversario del de Lubac) sulle nozioni conciliari e le sue vedute sempliciste circa l’assoluto della verità. Quest’articolo, posso confidarvelo, è stato non solo approvato, ma desiderato dall’alto».1

Siamo certi che il de Lubac non avrebbe esitato ad accusare di “vedute sempliciste circa l’assoluto della verità” anche Nostro Signore Gesù Cristo, notoriamente alquanto intransigente a questo riguardo…
E allora, con queste premesse, nessuna meraviglia che il de Lubac ritenesse i dogmi di Fede anch’essi tutt’altro che assoluti:

“La sua (del de Lubac) affermazione principale”, avrebbe poi riassunto, infatti, il suo confratello p. M. Flick S.J. “sembra essere questa: non necessariamente le credenze ulteriori della Chiesa devono collegarsi con un legame logico a ciò che essa ha creduto sempre esplicitamente fin dai primi secoli”.2

Secondo il de Lubac, dunque, il Magistero della Chiesa avrebbe potuto tranquillamente insegnare oggi anche l’opposto di quanto insegnato ieri, e mutare periodicamente idea seguendo modernisticamente l’ispirazione della famosa coscienza umana, ossia le fantasie dei vari de Lubac di turno.
Per completare l’opera, in un suo libro (“Surnaturel”, pubblicato nel 1946) e che innescò la reazione dei teologi cattolici fino al-la condanna ufficiale con l’Enciclica Humani Generis, il de Lubac aveva presentato il suo pensiero sul rapporto tra grazia soprannaturale e natura umana: nonostante le solite ambiguità e i suoi atteggiamenti da vittima incompresa, la grazia soprannaturale vi era considerata come necessariamente dovuta da Dio all’uomo, in quanto parte costitutiva della stessa natura umana.
A chi non avesse afferrato la gravità della questione, ricordiamo che da quest’affermazione, che postulava un’umanità rimasta di fat-to nello stato di grazia, e quindi anche “autosufficiente” in ordine alla conoscenza di Dio e alla salvezza eterna, conseguiva necessariamente la demolizione del dogma del peccato originale, nel sen-so inteso dalla Chiesa, e la completa vanificazione della Rivelazione, della Redenzione e della missione della Chiesa stessa, che passavano ad essere delle realtà puramente accessorie, del tutto relative.
Infine, fatto significativo e rivelatore del fondo gnostico della nouvelle théologie, il p. de Lubac non nascondeva la sua simpatia per quella vera e propria gnosi che è il Buddismo, e pur sostenendo la “straordinaria unicità del fatto cristiano”, confessava:

“Ero sempre stato attratto dallo studio del Buddismo, che considero il più grande fatto umano, sia per la sua originalità, sia per la sua multiforme diffusione attraverso lo spazio ed il tempo, sia per la sua profondità spirituale”.3

(E a proposito: qual è l’immagine più emblematica e più riproposta del famoso “incontro interreligioso di preghiera” ad Assisi nel 1986? Sarà un caso, ma è proprio quella dell’abbraccio di Giovanni Paolo II, seguace entusiasta della nouvelle théologie, col... Dalai Lama, posto per l’occasione addirittura alla sinistra del Papa...).

Tutti gli “amici” del de Lubac

In quanto a relativismo evoluzionista, comunque, gli amici e discepoli del de Lubac non erano certo da meno del loro “maestro”.

* Il p. Hans Urs von Balthasar ad esempio, fin dal 1953, nel suo libretto “Abbattere i bastioni” (già il titolo era tutto un programma) anticipava buona parte degli errori del Concilio Vaticano II e sosteneva che la Tradizione dogmatica della Chiesa dovesse intendersi in senso vitalista-modernista:

“La tradizione - scriveva infatti il von Balthasar - (...) non può essere altro: lasciarsi portare dalla forza spirituale della generazione anteriore per avvicinarsi al mistero in maniera vitale (una verità che non fosse vitale o che non potesse ridiventare tale, non sarebbe verità)”.

E tanto per evitare fraintendimenti precisava:

“La verità della vita cristiana è in questo come la manna del deserto: non la si può mettere da parte e conservare; oggi è fresca, domani è marcia”.4

Da questo relativismo filosofico e dogmatico di fondo derivavano poi necessariamente, di necessità logica, tutti gli altri errori ed eresie del von Balthasar che egli proponeva nell’opera citata e che oggi imperano nella “Chiesa conciliare”: l’ecumenismo, l’apertura al mondo, il progettato annientamento del Primato giurisdizionale del Papa in quella che egli chiamava la futura “Chiesa petrina-mariana-giovannea”, la dissoluzione della Chiesa Cattolica Romana nella sospirata prossima ventura Chiesa “Catholica” mondialista, ecc..
Nel postconcilio, infine, il von Balthasar sosterrà anche la tesi di un Inferno “vuoto”. Nessuna meraviglia!

* Stessa musica anche per il gesuita p. Henri Bouillard, anch’egli della covata del de Lubac, che, serissimo, sentenziava:

“Quando lo spirito si evolve, una verità immutabile non si mantiene che grazie ad una evoluzione simultanea e correlativa di tutte le nozioni (...). Una teologia che non fosse attuale, sarebbe una teologia falsa”5;

mentre il suo confratello p. Gaston Fessard, dal canto suo, ironizzando su un presunto “beato assopimento” che protegge il tomismo canonizzato, ma anche, come diceva Péguy, “sotterrato”6attaccava frontalmente la filosofia e la teologia di San Tommaso, da sempre promosse dal Magistero della Chiesa come baluardo contro ogni eresia (cfr. can. 1366, § 2 del C.I.C. 1917).

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sac. Andrea Mancinella

sabato 6 giugno 2020

1962 Rivoluzione nella Chiesa



cronaca dell’occupazione neomodernista della Chiesa Cattolica

’INIZIO DELLA CRISI


La reazione dei modernisti

Di fronte alle condanne della Santa Sede i modernisti, com’era ampiamente prevedibile, si atteggiarono a vittime innocenti e incomprese del solito presunto “oscurantismo papale”; ma San Pio X aveva visto giusto.
Prendiamo, ad esempio, l’abbé Loisy, l’esponente forse più emblematico del modernismo. Ebbene, dopo la sua aperta apostasia egli rivelava cinicamente nelle sue “Memorie”14 le sue reali intenzioni, a lungo e abilmente dissimulate:
“Ho coscienza” - confessava il Loisy - d’aver usato le più grandi accortezze per far penetrare un po’ di verità nel cattolicesimo... Infatti, mi sono sempre astenuto dal dimostrare “ex professo” la non verità del cattolicesimo”. (v. II, p. 455).
“Logomachia metafisica a parte, io credo alla divinità di Gesù meno di Harnack (...) e considero l’incarnazione personale di Dio come un mito filosofico. (...) Se io sono qualcosa in religione, sono piuttosto panteo-positivo-umanitario che cristiano” (v . II, p. 397).
“Storicamente parlando - rivelava ancora il Loisy - io non ammettevo che il Cristo avesse fondato la Chiesa e i Sacramenti; professavo che i dogmi sono sorti gradualmente e che perciò non sono immutabili; lo stesso ammettevo per l’autorità ecclesiastica, di cui facevo un ministero di educazione umana”. (v. II, p. 168)
Quanto ai modernisti nostrani, essi reagirono subito alle condanne della “Pascendi” ammettendo, non pubblicamente, è ovvio, che essa aveva colpito nel segno.

Don Enrico Buonaiuti, forse il più noto e anche il più estremista dei modernisti italiani, riconosceva, ad esempio, in una lettera ad un amico: “Questa sera esce l’enciclica (la “Pascendi”) ed è terribile. Non ne ho potuto vedere tutto il testo, ma quanto ne ho sapu
to basta per capire che è la condanna definitiva di quel che noi riteniamo con maggior fermezza nel campo filosofico e critico”.15

Anche il Gallarati-Scotti, sentendosi evidentemente colpito nelle sue idee più intime, lanciava il suo grido di guerra contro l’Enciclica: “Per me, questa è un’ora di tempesta (...). lo mi sento disposto a tutto sof frire per la verità (la “verità” modernista, ovviamente: n d.r.), e in fondo non mi dispiace se l’Enciclica ci obbligherà a dimostrare come siamo pronti a confessare con l’azione le nostre convinzioni”.16
Pubblicamente, però, nessuno dei modernisti volle riconoscersi assertore delle dottrine condannate dalla Pascendi, e molti affermarono che il Papa aveva, in sostanza, esagerato le accuse inventandosi una “dottrina modernista” che nessuno dei novatori avrebbe mai professato come tale nel suo complesso.
In realtà, tralasciando quei modernisti che, ipocritamente e per motivi tattici, con “artificio astutissimo” esponevano “le loro dottrine non già coordinate e raccolte quasi in un tutto, ma sparse invece e disgiunte l’una dall’altra, allo scopo di passare essi per dubbiosi e come incerti, mentre di fatto” erano “fermi e determinati”,17 ve n’erano ef fettivamente anche altri più “moderati”.
Questi però, a differenza dei più logici “estremisti”, non riuscivano a vedere e a trarre tutte le conseguenze necessariamente implicate nei loro errori di principio, cosicché la loro pretesa di fermarsi a metà strada, proprio perché illogica, non sarebbe bastata ad arrestare il processo di disintegrazione della Chiesa e della dottrina cattolica che il modernismo aveva ormai innescato.
I principali esponenti del modernismo, sordi ad ogni richiamo, furono colpiti dalle censure canoniche uno dopo l’altro.
Il p. Tyrrel, ad esempio, fu scomunicato nell’ottobre 1907, dopo essere stato espulso dalla Compagnia di Gesù; il 7 3 1908 fu il turno dell’ abbé Loisy, che apostatò apertamente; don Salvatore Minocchi fu sospeso a divinis nel gennaio 1908 e lasciò in seguito l’abito ecclesiastico; nel marzo 1909 fu scomunicato don Romolo Murri; le opere del p. Laberthonnière, compreso il periodico modernista da lui diretto (Annales de philosophie chrétienne), furono messe all’Indice nel maggio 1913 (lui sfuggì alla scomunica con una ritrattazione evidentemente falsa, dato che altre sue opere moderniste furono pubblicate postume); don Enrico Buonaiuti fu scomunicato più tardi, nel 1921, e poi, dopo un’apparente sottomissione, definitivamente nel 1924.
Il movimento modernista accusò il colpo e subì un momentaneo arresto, ma le energiche condanne di San Pio X non ebbero tutti gli effetti sperati: un certo malcontento e una sorda resistenza si erano diffusi nei confronti delle direttive del Papa un po’ ovunque, anche in alcuni membri dell’episcopato che non volevano comprendere la gravità della situazione e, come al solito, cercavano di uscire dall’isolamento culturale, sociale e politico, scendendo a compromessi con lo spirito del mondo.
Questa sorta di muro di gomma opposto all’azione del Papa, permise ai modernisti di sopravvivere e di continuare la loro attività, anche se in modo più cauto e clandestino, fino al trionfo dei loro discepoli nel Concilio Vaticano II!

sac. Andrea Mancinella