lunedì 1 novembre 2021

1962 Rivoluzione nella Chiesa cronaca dell’occupazione neomodernista della Chiesa Cattolica

 


Mons. Giovanni Battista Montini

Nato nel 1897 e ordinato sacerdote nel 1920, il futuro “arcivescovo Montini”, ancora all’inizio della sua carriera ecclesiastica, era impiegato come minutante in Segreteria di Stato, ricoprendo nel contempo anche la carica di Assistente Ecclesiastico della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana).

Ma da quest’ultimo incarico, primo sintomo allarmante delle sue idee filomoderniste, il Montini fu obbligato a dimettersi dal Cardinale Vicario di Roma, S.Em. Marchetti- Selvaggiani, nel 1933. Cos’era successo? Ecco come il giovane Montini spiegava l’accaduto in una lettera al suo Vescovo di Brescia, il 19 marzo di quell’anno:

“Il motivo delle mie dimissioni é stato piuttosto un’avversità, che mi sembra tuttora inesplicabile (...). Così che vi fu chi dipinse me all’Em.mo Cardinal Vicario come antigesuita e, perciò, come persona da sorvegliarsi in ogni atteggiamento, sia pratico che dottrinale, alla quale non é far torto attribuire inquietanti intenzioni”.22

Il giovane Montini tuttavia, grazie alla poco preveggente benevolenza del peraltro ottimo e benemerito Mons. Ottaviani, futuro Cardinale Prefetto del S. Uffizio,23 riuscì a riciclarsi negli ambienti vaticani arrivando addirittura, col tempo, a ricoprire la carica di Sostituto alla Segreteria di Stato, in tandem con Mons. Tardini, sotto il Pontificato di Pio XII.

Che però Mons. Montini fosse realmente “persona da sorvegliarsi in ogni atteggiamento, sia pratico che dottrinale, alla quale non é far torto attribuire inquietanti intenzioni” e che il Card. Marchetti-Selvaggiani avesse visto giusto, apparve sempre più chiaro in seguito, soprattutto in occasione della pubblicazione della “Humani generis” di Pio XII.

Il Papa era intervenuto, come abbiamo visto, per condannare la “nuova teologia” che minacciava l’esistenza stessa della Chiesa. Ma ecco come Mons. Montini, ormai Sostituto alla Segreteria di Stato, nel rispondere agli interrogativi preoccupati del filosofo Jean Guitton, venuto a trovarlo l’8 settembre 1950, si permetteva di contrastare l’intervento del Papa e “rassicurava” l’amico neomodernista:

«Avrà certamente osservato anche lei le sfumature di questo testo pontificio. Per esempio, l’enciclica non parla mai di errori (errores). Parla soltanto di opinioni (opiniones). Questo sta a indicare che la Santa Sede non mira a condannare errori veri e propri, ma dei modi di pensiero suscettibili di produrre errore, ancorché rispettabili in sé. D’altra parte, esistono tre ragioni perché l’enciclica non sia deformata: 

la prima, voglio confidargliela: è l’espressa volontà del Santo Padre.

La seconda, è la mentalità dell’episcopato francese, di vedute ampie, aperto alle correnti contemporanee. Certo un episcopato, ogni episcopato (e perché ha un contatto immediato con le anime, e perché deve rimanere fedele al suo ministero pastorale, come si suol dire...), è sempre portato ad allargare le vie della dottrina e della fede. E senza dubbio ha ragione. A Roma noi abbiamo il dovere di vegliare anche sul lato dottrinale. Noi siamo particolarmente sensibili a tutto quello che potrebbe alterare la purezza della dottrina che è verità. Il Sommo Pontefice deve custodire il deposito, come dice san Paolo. 

E arrivo alla terza ragione. Essa si riassume in due parole: i francesi sono intelligenti».24

E così, mentre il Papa condannava radicalmente e senza possibilità di appello il nuovo modernismo del de Lubac e compagni, uno dei suoi più stretti collaboratori, mons. Montini, ne tradiva la fiducia e ne minava il Magistero presentando le eresie dei nuovi teologi come “rispettabili in sé”, cercando per giunta di dar a credere che questa interpretazione della “Humani generis” fosse quella autentica, da propagarsi “per espressa volontà del Santo Padre” per evitare che l’Enciclica fosse “deformata”.

Le “rassicurazioni” date dal Montini all’amico Guitton ne tradivano purtroppo la mentalità filomodernista. 

Impressionante, poi, quel suo approvare, con la solita scusa della “pastorale”, la tendenza ad “allargare le vie della dottrina e della fede”, tendenza propria di vescovi che, evidentemente, la fede non l’avevano più. Si tratta del resto della stessa identica tendenza, tipica dei nuovi modernisti, che ritroveremo alla base dei documenti del Vaticano II e della “pastorale postconciliare” che sta devastando la Chiesa.

Evidentissimo anche il concetto modernista di Mons. Montini circa l’autorità della Gerarchia, vista come l’elemento frenante nel processo evolutivo della dottrina (mentre l’elemento progressista sarebbe stato invece l’élite modernista, immersa nella vita e nella “pastorale”), esattamente come aveva già denunciato San Pio X nella Pascendi: 

“Studiando più a fondo il pensiero dei modernisti - aveva scritto il Papa - deve dirsi che l’evoluzione (per i modernisti) é come il risultato di due forze che si combattono, delle quali l’una è progressiva, l’altra conservatrice.

La forza conservatrice sta nella Chiesa e consiste nella tradizione. L’esercizio di questa è proprio dell’autorità religiosa; e ciò sia per diritto, poiché sta nella natura di qualsiasi autorità il tenersi ferma il più possibile alla tradizione; sia per fatto, perché sollevata al di sopra delle contingenze della vita, poco o nulla sente gli stimoli che spingono al progresso. 

Al contrario, la forza che, rispondendo ai bisogni, spinge a progredire, si trova e lavora nelle coscienze individuali, in quelle soprattutto che sono, come dico no, più a contatto della vita (...).

Da una specie di compromesso fra le due forze di conservazione e di progresso, fra l’autorità, cioè, e le coscienze individuali, nascono le trasformazioni e i progressi”.25

Tesi, antitesi e sintesi: Hegel allo stato puro, insomma, per un’indefinita evoluzione verso il teilhardiano “Punto Omega”...

Con questi presupposti era perfettamente logica - nella logica dell’errore - la “rassicurazione” del Sostituto Montini all’amico filosofo, con tanto di messaggio in codice riservato agli iniziati: i Vescovi francesi erano comunque “intelligenti” e senz’altro in grado di ben arrangiarsi per lasciar cadere l’Humani generis nel dimenticatoio.

Sempre nel suo libro di ricordi sull’amico Paolo VI, il Guitton aggiunge:

«Parlo a monsignor Montini di padre de Lubac, dell’emozione che ha causato in Francia un provvedimento preso nei suoi confronti (in seguito appunto all’Humani generis: n.d.r.).

“Lo sappiamo - risponde - ma non si preoccupi: padre de Lubac renderà ancora eminenti servizi alla Chiesa. Conosciamo la sua dottrina, la sua influenza, i suoi meriti”.26

Nessuna preoccupazione, dunque, per il p. de Lubac e gli altri nuovi teologi: mons. Montini e i suoi “amici” stavano lavorando a tessere le trame del loro futuro colpo di Stato che li avrebbe “riabilitati”.

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sac. Andrea Mancinella

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