sabato 2 maggio 2020

IL MITO “Don Milani”



La scuola popolare “a-religiosa e a-politica” come funzionava? Che scopi si poneva e con quali metodi? Lasciamo la parola a don Milani:

«L’esperienza fatta nella Scuola Popolare ci dice che quando un giovane operaio o contadino ha raggiunto un sufficiente livello di istruzione civile, non occorre fargli lezione di religione per assicurargli l’istruzione religiosa»18

I metodi di insegnamento erano:


«Io, a scuola, sputtàno sempre tutto quello che mi passa per il capo, senza badare se c’é presenti vecchi o bambini, DC o PC»19.



In altro luogo ribadisce: «Coi ragazzi, dunque, che da sei anni frequentano ogni sera la nostra scuola popolare, io posso benissimo permettermi di dire le cose più sporche ed eretiche, perché la conoscenza fatta in sei anni della mia fede e ortodossia non si disfa in una sera. Chi mi ha conosciuto cattolico (...) se mi vede eliminare un crocifisso, non mi darà mai dell’eretico, ma si porrà piuttosto la domanda affettuosa del come questo atto debba essere cattolicissimamente interpretato cattolico»20.


Per l’avversione al Crocifisso e al suo dovere di insegnare religione, don Milani era stato punito dal card. Elia Dalla Costa con una “vacanza” in Germania. Don Milani non negava il fatto, ma adduceva i “suoi” risultati: «Il numero dei giovani che frequentano i Sacramenti e il loro venirci da sè, senza organizzazione né invito né occasione festiva o periodica, prova che l’influenza della scuola é stata profondamente religiosa anche senza quel contorno esteriore (cioé il Crocifisso)»21

Per don Milani non ci si deve preoccupare troppo dell’insegnamento religioso, perché é tanto difficile che uno cerchi Dio se non ha sete di conoscere. Egli afferma: 

«In sette anni di scuola popolare, non ho mai giudicato che ci fosse bisogno di farci anche la dottrina. E neanche mi sono preoccupato di far discorsi particolarmente pii o edificanti»22.

Per quanto si riferisce al proprio apostolato, confessa di non fare «Con convinzione altro che la scuola». E ne dice il perché: «Non é che io abbia della cultura una fiducia magica, come se fosse una ricetta infallibile, come se i professori universitari fossero automaticamente tutti più cristiani e avessero il Paradiso assicurato, mentre il paradiso fosse precluso agli indotti pecorai di questi monti. È che, i professori, che vogliono, possono prendere in mano un vangelo o un Catechismo, leggerli e intendere. Dopo, poi, potranno fare il diavolo che vorranno: buttarli dalla finestra o metterseli in cuore; s’arrangino, se sceglieranno male sarà peggio per loro»23.


Per fare scuola, dice don Milani, non ci si deve preoccupare di “come farla” ma di “come bisogna essere” per far-la. A scanso di equivoci specifica: 

«bisogna aver le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. Non bisogna essere interclassisti, ma schierati»24.

Bisogna saper toccare l’amor proprio degli operai, bisogna saper stimare e vedere «Splendere su di loro e sulla loro classe, come tale, una vocazione storica di classe-guida, che proviene direttamente da Dio e che a Dio li condurrà»25.

I nuovi preti dovranno “impegnarsi”, a tempo pieno, “a difesa della conculcata dignità umana” dei lavoratori, per colpire “al cuore le cause e le premesse” che hanno generato la loro schiavitù26. Sopra di loro dovrà pesare «L’imperativo morale di non partecipare alla responsabilità di un sistema sociale che é riuscito ad ammantare d’orpello democratico lo schiavismo di un tempo».

Per don Milani, “la chiave di volta dell’intera lotta sociale” sarebbe “la lotta sindacale”. Secondo don Milani, da un prete che fa dello sciopero l’arma migliore del proprio apostolato e che si libera della cultura sbagliata, che gli ha dato la Chiesa, facendolo allontanare dai poveri; da questo prete, gli operai “son disposti ad accettare di tutto”: a ritornare alla Chiesa e soprattutto arrendersi “nelle mani del loro prete per lasciarsi costruire da lui”27. Questo sarebbe il segreto della scuola a-confessionale che don Milani propone per avvicinare “i lontani” e per convertire i comunisti. In altri termini, il prete per convertire i comunisti dovrebbe convertirsi al comunismo! E guai a non pensarla come lui! In una sua stupefacente dichiarazione, infatti, afferma: 

«Se qualche professore storce il naso, gli diremo che amava i signorini della media di ieri, che hanno la cultura come privilegio di pochi; gli diremo che stia attento, perché quando andremo al Governo, quelli come lui li manderemo in Siberia»28.


Mentre per il card. Elia Dalla Costa, l’azione pastorale del sacerdote doveva essere diretta a smascherare il disegno dei comunisti di far apparire possibile “la conciliazione del comunismo con la fede e la vita cristiana”, per don Milani, invece, l’azione apostolica del prete doveva essere diretta a istruire e guidare i lavoratori alla distruzione dell’attuale ordinamento sociale per crearne un altro, dove sia loro riservato in esclusiva il ruolo di “classe-guida”.

IL NUOVO PRETE

Per don Milani, per recuperare la pecorella smarrita, si dovrebbe sposare la causa di chi l’ha rapita! Ma Cristo non disse ai primi apostoli: “Andate e predicate al mondo le trullagini e le trullerie che vi frullano in mente!”. Risorto, comparve loro, e, dopo aver conferito lo Spirito Santo a ciascuno di essi, disse: 

«Mi é stato dato ogni potere in cielo e in terra. Come il Padre ha mandato Me, così Io mando voi. andate e predicate il vangelo a tutte le genti, insegnando loro ad osservare tutte le cose che Io vi ho comandato di osservare».

Il prete, per essere prete, deve essere un “alter Christus” per continuarne la divina missione. Con tale qualifica é anche operaio, ma purché lavori nella vigna del Signore senza pretendere di fare l’agitatore sociale o il sindacalista rivoluzionario. È, soprattutto, maestro, purché insegni il rispetto e l’osservanza della legge di Dio senza pretendere di seminar tra i poveri l’odio di classe. Il prete ha una sacra consegna che in nessun modo e per nessuna ragione può disattendere: 

quella di render migliore la gente al punto di farla degna del regno dei cieli. 

A lui é affidata una moneta di inestimabile valore, l’unica valida e necessaria all’acquisizione della bontà: che poi é la vera ricchezza del ricco e del povero, l’unica veramente degna di essere custodita come tesoro senza prezzo.

Don Milani, invece, la pensava diversamente! Quel che conta per lui era trovare un’alternativa all’insegnamento religioso, che riteneva di aver trovato nell’insegnamento della cultura civile. In altri termini: per acquisire un sufficiente patrimonio di cultura religiosa non va studiato il catechismo, ma va studiato l’abaco e il sillabario. Sicuro di sè, scrive: «L’abisso d’ignoranza religiosa degli adulti del nostro popolo prova che il molto catechismo che ricevono i ragazzi non lascia nessuna traccia di sè al di là dell’età infantile». Il problema dell’istruzione religiosa agli adulti va affrontato in modo radicale; ecco la sua soluzione: 

«È nostra opinione che la sua soluzione dipenda oggi strettamente dalla soluzione di quello dell’istruzione civile. E il motivo é che, dopo tutto, l’istruzione religiosa che occorre per vivere da buon cristiano é, in fondo, poca cosa. Se la sua diffusione nel nostro popolo é stata finora una chimera non é per la sua intrinseca difficoltà, ma solo per la mancanza del mezzo indispensabile, cioé un minimo di preparazione linguistica e logica». Se ciò fosse vero, si dovrebbe affermare che per gli analfabeti non vi é possibilità di salvezza!


Ma lui conclude che per assicurare una sufficiente istruzione religiosa non occorrono lezioni di religione, ma solo istruzione civile, istruzione profana, istruzione a-religiosa. Al più, occorrerà qualche predicozzo domenicale e un pizzicotto per turbare la coscienza “verso i problemi religiosi”. A suo dire, «Quando poi sia nato questo minimo d’interesse e contemporaneamente sia stato raggiunto quel minimo di livello intellettuale e culturale che occorre per intender la parola, allora bastano e avanzano dei buoni vangeli domenicali in forma catechistica, dei libri e qualche spiegazione che il giovane stesso si darà cura di chiedere al sacerdote»29.

Quindi, non il pastore deve cercare le pecorelle, ma le pecorelle il pastore. Esattamente il contrario di quanto aveva insegnato Cristo!
Neppure le manifestazioni di culto pubblico, verso i sacri riti e particolarmente verso le processioni eucaristiche, trovavano l’approvazione di don Milani.

Con riferimento alla processione del Corpus Domini, scrive: 

«Della Processione il Signore non ha parlato. È un’invenzione d’uomini. una piccolissima cosa. Non é necessaria»30. 

La stessa cosa si potrebbe dire di ogni altra manifestazione pubblica di tutti i contenuti del Rituale della Chiesa. Una fede “che osserva il rito” soltanto, per don Milani non ha nulla di cristiano. Per lui «una famiglia modello, l’unica del popolo in cui si dica ancora ogni sera la Corona (del rosario), dove c’é una vecchietta che va a messa ogni giorno e c’é i Santi a tutte le pareti, dove si sa storie di preti .., dove però la Comunione é ridotta ferreamente alla Pasqua e la Confessione s’intende solo per quella»; una famiglia siffatta é addirittura “diabolica”31. Ora, che in una famiglia come questa vi possano essere cose degne di riprensione, rientra nell’ordine naturale delle cose, ma che debba essere addirittura diabolica perché vi si osservano i precetti della Chiesa, questo é il colmo sulle labbra di un prete!

Don Milani divide i cattolici in “realmente cattolici” e in “cattolici perché solo battezzati”. Anche i doveri li distingue in riservati ai soli “realmente cattolici” e in riservati ai “cattolici perché solo battezzati”. Al riguardo scrive: «L’atteggiamento del cappellano fu caratterizzato da una distinzione tra obblighi dei parrocchiani realmente cattolici e obblighi dei parrocchiani cattolici solo perché battezzati». E ne dà ragione asserendo che: 

«Non si può imporre agli uni e agli altri la stessa legge»32.

Si direbbe meglio se si dicesse che la Chiesa é di tutti, e particolarmente dei peccatori, perché gli strumenti di salvezza che possiede, i Sacramenti, sono soprattutto per i peccatori. Cristo non é venuto a salvare i giusti, ma i peccatori. Dividere il gregge cristiano in buoni e poco buoni, in cristiani autentici e in cristiani perché solo battezzati, come pure immaginare che ci siano per gli uni doveri obbliganti che non obbligano gli altri, é recare grave offesa a quella sublime pastorale che la bontà del redentore ci ha lasciato in eredità!

Quanti, sacerdoti o laici, che non la pensavano come lui, venivano respinti come “rognosi fascisti”; aveva una specie di ossessione che lo portava a considerare quanti, preti o laici, non condividevano le sue idee, un branco di spioni che tramavano la sua rovina; mentre per i Superiori, Arcivescovo compreso, e per la Curia fiorentina, riservava quella considerazione che si usa avere per una combriccola di malandrini che si fa forte con le delazioni e le calunnie delle malelingue!

Racconta mons. Luigi Stefani, testimone di una conferenza tenuta nella sala del Consiglio comunale di Calenzano il 17 novembre 1962, sul tema della “non violenza”: «Finita la conferenza, sulla quale non ebbi niente da eccepire, prese la parola don Milani che disse testualmente: «Il professore ha parlato bene, ma non ha detto altre cose molto importanti. Non ha detto, per esempio, che la Chiesa Cattolica ha le mani insanguinate; che la Chiesa Cattolica fu perseguitata per tre secoli, ma che ha perseguitato per diciassette secoli. Non ha detto che alcuni cardinali e vescovi sono responsabili dei gravi mali che pesano sul mondo operaio; non ha detto che le strutture della Chiesa Cattolica devono essere spazzate per il bene dell’umanità”, e così via! Don Milani parlò per un quarto d’ora, sputando veleno sulla Chiesa cattolica con altre frasi irripetibili. All’iniquo intervento, reagii con forza invitando quel prete, se avesse avuto un minimo di pudore, di dichiararsi fuori della Chiesa e di non ingannare spudoratamente coloro che vedevano in lui ancora un sacerdote. Non mi rispose. Mi risposero i comunisti che gremivano la sala comunale di Calenzano; mi risposero con minacce; ma ci fu anche qualcuno che commentò: 

“Certo, si rimane allibiti a sentir parlare così un prete”»!33

Don Milani non si é mai sentito in obbligo di obbedire: per lui non obbedire era giusto e bello.

Egli proclamava: 

«L’obbedienza non é ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni»34. 

Ma il personale convincimento, quando non é arbitrio, é presunzione. Né l’arbitrio né la presunzione possono giustificare la disobbedienza alle leggi. Ma la spavalda vanteria con la quale don Milani si dichiara “severamente ortodosso e disciplinato” al punto che nessuno lo può accusare “di eresia o di indisciplina”, denuncia la debolezza della sua certezza nella sicurezza dei propri convincimenti. Non si spiegherebbe, altrimenti, la sua ricerca affannosa di un avallo di cattolicità per il suo apostolato. Nel frattempo, questo riconoscimento se lo dava da solo: «Io faccio il parroco e come bene! E poi faccio il maestro e come bene! E amo i miei superiori e confratelli fino al punto di lasciarli cacare sul mio onore a loro piacimento!»35.

Ancora indispettito dal forzato esilio in Germania, don Milani pensava certo al card. Elia Dalla Costa anche quando ricordava «La diabolica usanza moderna di considerare soavemente profumate anche le merde dei geni e dei santi»!36

La malafede di don Milani si deduce dal fatto che il primo a non credere all’onestà e alla rettitudine cattolica della pastorale che propugnava, era proprio don Milani stesso! Non si capisce altrimenti come avrebbe potuto confessare all’amico Meucci che lo scopo del suo discorso era sempre rivolto «Unicamente ai preti e che tutta l’attenzione va concentrata nel trovare il cunicolo segreto sotterraneo sentimentale e psicologico abbastanza da penetrare nella roccaforte del timore dell’eresia, della prudenza ecc; senza che si destino le sentinelle che i preti, in genere, portano dentro di sé». Tanto meno si capirebbe come avrebbe potuto confidare alla madre che sarebbe riuscito a perfezionare il libro (“Esperienze Pastorali”) in modo tale da evitare la condanna», se non avesse avuto netta la persuasione che era cattolicamente condannabile!

DON MILANI E IL COMUNISMO

Dal 1846, epoca in cui Papa Pio IX condannò la dottrina del comunismo come “nefanda e sommamente contraria al diritto naturale”37, alla dichiarazione della Conferenza Episcopale Italiana del 13 dicembre 197538, la Chiesa ha sempre proclamato che “non si può essere simultaneamente cristiani e marxisti”.

Nel maggio 1931, nel cortile di S. Damaso, agli operai convenuti da ogni parte del mondo, Pio XI disse: 

«Proclamiamo che il socialismo, sia considerato come dottrina, sia come fatto storico, sia come azione (...) non può conciliarsi con i dogmi della Chiesa cattolica: propugna, infatti, un concetto di società quanto mai contrario alla verità cristiana»39.

In un’altra enciclica, ove si parla di comunismo, lo stesso Pontefice, con linguaggio veramente profetico, ammonisce: 

«Per la prima volta nella storia del mondo stiamo assistendo ad una lotta freddamente voluta e accuratamente preparata dell’uomo contro tutto ciò che é divino. Il comunismo é per sua natura antireligioso»; e oltre: «Il comunismo é intrinsicamente perverso (...), e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana»40. 

Don Milani, invece, ritiene necessario sposare la causa del marxismo e uniformare la pastorale della Chiesa ai puri canoni suggeriti dall’analisi marxista, e assumere la lotta di classe come sicuro metodo per rimettere le cose a posto. A suo dire, il povero é povero perché spogliato dalla malvagità dei ricchi: é analfabeta, perché la società si é rifiutata di istruirlo. Sempre a suo dire, “l’attuale ordinamento sociale” non avrebbe nulla di cristiano; e tale sarebbe perché i metodi pastorali usati dalla Chiesa avrebbero avuto il risultato di schierare i preti contro i poveri.

del sac. dott. Luigi villa                                                         “Chiesa viva”  Aprile 2020  

CHIAMAMI PADRE



PADRE: UNA PAROLA-CHIAVE TUTTA DA RISCOPRIRE

A fronte di queste contraffazioni, urge riscoprire la figura del Padre celeste.
Abbiamo bisogno di riscoprire il senso di questa parola quasi magica e insopprimibile.
Abbiamo bisogno di accostarci alla fonte di quell'energia vitale che sola può sostenerci, proteggerci, guidarci, farci vivere nel senso più pieno e più fecondo.
Abbiamo bisogno di scoprire l'amore sorgivo da cui sgorga la pienezza della vita.
Abbiamo bisogno di riscoprire la Paternità di Dio per poter cogliere ancora, fra le cose e le persone che ci circondano, l'inconfondibile voce che dall' intimo dolcemente ci sussurra: tu sei il mio figlio diletto: in te mi sono compiaciuto! (Cf. Mt 3, 17).



LA PAROLA "PADRE" NON È SOLO BIBLICA

La parola Padre non è nota solo all'interno dell'antico popolo ebraico e non è fiorita solo dal labbro di Gesù.
Molti popoli antichi l'hanno usata.
Nelle religioni indiane, era usata la parola padre per indicare il cielo, e la parola madre per indicare la terra: due principi che, secondo la concezione di quelle religioni, danno origine all'universo. Nella civiltà greco-romana spesso Zeus, Giove, è chiamato "padre degli dèi e degli uomini".
Platone chiama col nome di padre l'idea del bene, che, a suo dire, è la suprema realtà.
L'uomo, con le sue sole forze naturali, ha sempre intuito, più o meno chiaramente, che l'idea di Dio doveva essere associata a quella di padre, perché alla figura del padre è naturalmente collegata l'idea della fecondità e della bontà.
Sono solo intuizioni, ma tutte convergono nel delineare il volto del Creatore come quello di un Padre buono.

DON NOVELLO PEDERZINI

PIO IX



La nuova vampata rivoluzionaria.

In quell'estate afosa del 1847, incoraggiato da mons. Corboli Bussi e spinto dalla pressione della piazza, Pio IX sembrava inarrestabile sulla via delle riforme. Il cardinal De Angelis, arcivescovo di Fermo, il 25 agosto '47 osservava preoccupato: «Siamo né più né meno alla rivoluzione in nome di Pio IX», facendo eco alle osservazioni di Metternich, per il quale lo Stato della Chiesa era ormai «in balìa di una rivoluzione flagrante» 63. Queste considerazioni spinsero il cancelliere austriaco a una mossa che per quanto in sé legittima si rivelò poi controproducente: l'occupazione cautelativa da parte delle truppe austriache della città di Ferrara 64. Ciò avveniva mentre a Roma si era sparsa la voce di un complotto organizzato dai "gregoriani", i nostalgici di Gregorio XVI, per far strage dei liberali. Per varie settimane sui giornali e nelle cancellerie diplomatiche non si parlò che dell'atto di forza austriaco a Ferrara e della "congiura gregoriana" di cui si attribuiva all'Austria l'istigazione. L'eccitazione non fece che crescere, il prestigio austriaco ne uscì scosso e il mito di Pio IX rafforzato 65. La sera del 7 settembre nel Caffè delle Belle Arti, dopo un'arringa del principe di Canino, fu inaugurato un ritratto di Pio IX e Gioberti. Vi si vedeva una carta geografica d'Italia circondata da una ghirlanda bianco, rosso e verde, col motto: «Viva l'Italia, viva Gioberti!» 66.

Dopo la Guardia Civica, Pio IX con un Motu proprio del 1 ottobre, istituì il Consiglio Municipale ed il Senato di Roma e il 14 ottobre la Consulta di Stato 67, già negata da Gregorio XVI. Il Collegio dei cardinali costituiva il Senato del nuovo regime; venivano istituiti due corpi legislativi elettivi, l'Alto Consiglio e il Consiglio dei Deputati; le leggi per divenire esecutive dovevano avere la sanzione del Papa.

Ne «Il Contemporaneo», Pietro Sterbini presentava la Consulta come «una rivoluzione sociale, che non si arresta alla superficie, ma attacca le fondamenta, e si compie fra le feste e gli evviva, fra le lacrime di gioia e gli abbracciamenti fraterni» 68. L'obiettivo dei rivoluzionari era quello di trasformarla da organo consultivo in un vero e proprio parlamento legislativo. Ancora una volta Metternich ne previde il dinamismo incontrollabile: «La Consulta - egli osservava - racchiude il germe di un sistema rappresentativo che non si adatta né all'autorità sovrana del Capo della cattolicità, né alle Costituzioni della Chiesa» 69.

Il 1847 si concluse con un atto che era l'inevitabile conseguenza della creazione della Consulta: la formazione di un Governo, costituito da nove ministeri, che affiancava la sua autorità a quella del Papa. Il governo era presieduto dal cardinale Gabriele Ferretti, appartenente all'ala più moderata della Curia, che il 16 luglio aveva sostituito il cardinal Gizzi come nuovo segretario di Stato. Ferretti tenne questo ufficio per sei mesi: resosi conto di non riuscire a controllare la situazione pregò di essere sostituito. Il suo successore, il 21 gennaio 1848, fu il cardinale Giuseppe Bofondi.

La tempesta, prevista da osservatori attenti come Metternich e Solaro, era imminente. La scintilla rivoluzionaria partì da Parigi il 23 febbraio 1848, con la caduta della "monarchia di luglio" di Luigi Filippo e di qui si propagò a Vienna, a Berlino, a Francoforte, a Milano, a Parma, a Venezia, mentre negli stessi giorni appariva a Londra il Manifesto del Partito Comunista, commissionato a Marx e ad Engels dalla "Lega dei Giusti" 70.

Le dimissioni del principe di Metternich il 13 marzo 1848 segnano, più che la conclusione di una carriera politica, la fine di un'epoca: l'era della "Restaurazione". «Traccio una riga - scrive Metternich - tra ciò che era e ciò che è: questa linea di demarcazione inizia all'undicesima ora della notte tra il 13 e il 14 marzo 1848. Io sono l'uomo di ciò che era» 71. Nei vari stati italiani si invoca la costituzione liberale. Ferdinando II re delle Due Sicilie la concede a Napoli il 10 febbraio, il granduca Leopoldo II di Toscana il 15 dello stesso mese, il re di Sardegna Carlo Alberto il 4 marzo. Pio IX, dapprima esitante, non è contrario al principio. Il 14 marzo concede lo «Statuto fondamentale pel governo temporale degli Stati della Chiesa», mentre il popolo manifesta nelle strade al gridò: «Viva Pio IX, vivano le costituzioni italiane dalle Alpi al mare!» 72.

Sono giorni di entusiasmo generale 73. Massimo d'Azeglio scrive: «Questa non è una rivoluzione, è un cataclisma politico sociale. Il Papa, il Papa solo può forse, non solo salvarsi, ma diventare il moderatore degli eventi» 74. La piazza reclama ora la guerra contro l'Austria e l'espulsione dei padri della Compagnia di Gesù. Quasi ogni sera turbe di dimostranti si radunano davanti alla chiesa del Gesù gridando «Morte ai Gesuiti» e frantumando a sassate i vetri delle finestre. Quando il Ministro di Polizia Galletti fa sapere al Papa di non potere assicurare l'incolumità dei gesuiti, è lo stesso Pio IX a consigliare ai padri di lasciare Roma finché non si calmi la tempesta 75.

Il 10 febbraio 1848, mentre sembra delinearsi il programma giobertiano di una unione dei principi italiani, il Papa ha pronunciato una allocuzione conclusasi con questa espressione: «Benedite, dunque, o grande Iddio, l'Italia, e conservatele questo dono, il più prezioso di tutti, la fede!» 76. Di queste parole, osserva l'Aubert, una sola cosa colpì gli uditori: Pio IX invocava le benedizioni del cielo sull'Italia, quella nazione della quale il Metternich aveva detto che era solo un'espressione geografica 77.

È questo forse il punto più alto del grande equivoco alimentato per convincere gli italiani che il Papa fosse pronto a prendere la testa della "crociata" contro l'Austria. I "Circoli" romani propagano la benedizione all'Italia di Pio IX come una benedizione alla guerra contro l'Austria e fanno stampare l'effigie del Papa incorniciata da bandiere, spade e cannoni. Molti collaboratori del Papa, come Corboli-Bussi e Rosmini, spingono Pio IX all'intervento militare. Il sacerdote roveretano cerca di dare un fondamento teologico alla guerra, affermando che essa è «obbligatoria» per un sovrano quando è giusta, come in questo caso, poiché ha una grande utilità nazionale 78.

Nelle vie di Milano e di Venezia intanto si alzano le bandiere della Rivoluzione, mentre Carlo Alberto, mosso dalla speranza di cingere la corona d'Italia, sostituita l'antica bandiera azzurra dei Savoia con il tricolore, attacca l'Austria. A Roma il 21 marzo viene assaltata l'ambasciata austriaca e sulla statua di Marco Aurelio in Campidoglio è issato il tricolore. Da un pulpito elevato nel Colosseo, il padre Gavazzi si rivolge alla popolazione romana invocando la "santa crociata" contro l'Austria. «L'austriaco - proclama - cento volte più feroce del musulmano, sta alle nostre porte: novelli crociati, armiamo i nostri petti col segno della croce, ed avanti sul nemico, perché Dio lo vuole! ...» 79. La scena si conclude col suono della Marsigliese e la formazione di un corteo che arriva fino al Quirinale per indurre il Papa a benedire le bandiere della guerra.
Gli avvenimenti travolgono ormai il Pontefice, costretto a permettere la costituzione di un esercito di volontari, sia pure con la sola missione di proteggere lo Stato Pontificio, senza oltrepassare i confini. Il proclama emanato il 5 aprile a Bologna dal generale Giovanni Durando che comanda le truppe pontificie, vuole mettere il Papa di fronte al fatto compiuto. «Soldati! - afferma - Il Sommo Pontefice ha benedetto le vostre spade, che unite a quelle di Carlo Alberto, debbono concordi muovere allo sterminio dei nemici di Dio e dell'Italia. (...) Una tale guerra della Civiltà contro la barbarie è guerra non solo nazionale, ma altamente cristiana!» 80.

Il 27 aprile i rappresentanti dei "Circoli romani" inviano una deputazione al Quirinale, esigendo che il Papa richiami il Nunzio di Vienna, e il giorno successivo formano un "comitato di guerra". Sono le ore più difficili per Pio IX. Il suo animo mosso da contrastanti sentimenti, s'interroga sulla possibilità di conciliare le aspirazioni alla libertà e alla indipendenza d'Italia, in cui ancora crede, con i diritti e la libertà della Chiesa. La drammatica contraddizione viene finalmente sciolta dall'allocuzione Non semel 81, pronunciata nel Concistoro del 29 aprile 1848, in cui egli dichiara solennemente che, in quanto Pastore supremo, non può dichiarare guerra ad una nazione i cui membri sono suoi figli spirituali. In questa celebre allocuzione Pio IX rifiuta il suo appoggio all'intervento piemontese, rigettando «al cospetto di tutte le genti (...) i subdoli consigli manifestati per mezzo di giornali e di vari scritti da coloro i quali vorrebbero fare il romano Pontefice presidente di una certa nuova Repubblica da costituirsi con tutti i popoli d'Italia» 82.
L'8 settembre 1847 Mazzini aveva scritto al Papa invitandolo apertamente all'apostasia: «Io non vi dirò le mie opinioni individuali sullo sviluppo religioso futuro, poco importano. Vi dirò che qualunque sia il destino delle attuali credenze, Voi potete porvene a capo (...). Vi chiamo, dopo tanti secoli di dubbio e di corruttela, ad essere apostolo dell'Eterno Vero (...). Siate credente. Aborrite dall'essere re, politico, uomo di Stato (...). Annunciate un'Era: dichiarate che l'Umanità è sacra e figlia di Dio, che quanti violano i suoi diritti al progresso, all'associazione sono sulla via dell'errore. (...) Unificate l'Italia, la patria Vostra (...). Noi Vi faremo sorgere intorno una Nazione al cui sviluppo libero, popolare, Voi, vivendo, presiederete (...)» 83.

L'allocuzione concistoriale del 29 aprile, con la quale Pio IX rifiuta solennemente di porsi alla testa della Rivoluzione in Italia, rappresenta la solenne ed esplicita risposta all'invito a rinnegare la propria missione avanzato da parte delle società segrete. Qualcuno ha voluto vedere in quest'allocuzione il "tradimento" della Rivoluzione; si tratta in realtà, secondo le parole di Crétineau-Joly, di una «pagina di storia scritta ai piedi del crocifisso» 84. «La Rivoluzione - scrive Louis Veuillot ­esigeva una sanzione alle sue dottrine, un'accettazione della sua bandiera. Egli invece condannò le sue opere, affermò altamente i diritti che lei gli voleva far abdicare, rifiutò di dichiarare guerra all'Austria. Il Non possumus, opposto dopo ad altri avversari, colpì per primo la sedizione che gli parlava faccia a faccia» 85.

Sugli ambienti rivoluzionari l'allocuzione cadde come un fulmine a ciel sereno. Carlo Alberto aveva già aperto le ostilità contro l'Austria nell'entusiasmo generale e il contingente pontificio era appena partito per il fronte. In questo senso, come osserva Pelczar, «l'allocuzione fu in ritardo di un mese» 86. A partire da questo documento tuttavia, tra la Chiesa e il cosiddetto risorgimento si aprì un fossato destinato a divenire presto incolmabile. Il sogno neoguelfo di porre il Papato alla testa della Rivoluzione italiana precipitò in frantumi. A Roma, gli stessi club rivoluzionari che avevano osannato Pio IX organizzarono manifestazioni contro il Pontefice al grido di «Pio IX ci ha traditi! Morte ai cardinali!» mentre sulle chiese comparivano scritte: «Morte a Cristo, viva Barabba» 87. La Guardia Civica intanto, senza ordini superiori, occupò Castel Sant'Angelo e le porte della città perché sin d'allora si era sparsa la voce che Pio IX volesse abbandonare la città. 

Roberto De Mattei

Lo Spirito Santo



Lo Spirito Santo che invoco incessantemente, illumini le nostre menti e riscaldi i cuori di ognuno, perchè sperimentando e contemplando l'amore di Dio incarnatosi in Cristo, diveniamo testimoni e apostoli al cospetto del mondo.


5 gennaio 2020 – È nel tempo e nello spazio che a mia Volontà si rende manifesta



"Nell’ambito del tempo, avrete sempre la guerra e la minaccia delle guerre finché l'uomo non sceglie saggiamente. Quando le scelte di libero arbitrio saranno in favore della Mia Volontà - ci sarà pace."


Ancora una volta, io (Maureen) vedo una Grande Fiamma che ho compreso essere il Cuore di Dio Padre. Egli dice:

“Nel mondo, ho creato tempo e spazio. Questi cedono il posto all’eternità nell’aldilà. La mia Creazione del tempo e dello spazio dà alla grazia alla sua opportunità e al libero arbitrio il suo momento di scelta. È nel tempo e nello spazio che a mia Volontà si rende manifesta.
“Nell’ambito del tempo, avrete sempre la guerra e la minaccia delle guerre finché l’uomo non sceglie saggiamente. Quando le scelte di libero arbitrio saranno in favore della Mia Volontà – ci sarà pace. Grandi istituzioni – del governo, religiose e di altro tipo – fioriscono e cadono a causa delle scelte di libero arbitrio. Non interferisco con le scelte dell’uomo. Devo aspettare ed essere testimone delle conseguenze del libero arbitrio, sia esso buono o cattivo. La mia speranza è sempre quella che l’umanità tragga beneficio dai suoi errori. A volte, veramente intervengo per garantire la continuazione del Mio Regno che sto costruendo sulla terra (per esempio il caso di Noè). La vita deve essere un’esperienza di apprendimento per ogni anima nel suo viaggio verso il Cielo. Oggi invito le vostre preghiere ad aprirsi alle lezioni che offro attraverso il tempo e lo spazio”.
Leggi Efesini 2:8-10
Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo
Leggi Efesini 5:15-17
Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio.
Holy Love

PREGANDO PER I FRATELLI NELLA D. V: PER RIDARE A DIO LA GLORIA



(tratto dagli Scritti sulla Divina Volontà della Serva di Dio Luisa Piccarreta)


Volume 11 Novembre 11, 1915
Le anime che vivono nella Divina Volontà sono altri Cristi che ottengono misericordia per la terra.

Questa mattina sentivo tale compassione per le offese che Gesù riceve e per tante povere creature che hanno la sventura d’offenderlo, che vorrei affrontare qualunque pena per impedire la colpa; e pregavo e riparavo di cuore. In questo mentre, il benedetto Gesù è venuto, e pareva che portava le stesse ferite del mio cuore, ma, oh, quanto più larghe! E mi ha detto: “Figlia mia, la mia Divinità nel mettere fuori la creatura, restò come ferita dallo stesso mio Amore per amore verso di essa, e questa ferita Mi fece scendere dal Cielo in terra e piangere e versare Sangue, e tutto ciò che feci.
Ora, l’anima che vive nella mia Volontà sente al vivo questa mia ferita, come se fosse sua, e piange e prega e vorrebbe soffrire tutto per mettere in salvo la povera creatura e [per]ché questa mia ferita d’amore non fosse inasprita dalle offese delle creature. Ah, figlia mia, queste lacrime, preghiere, pene, riparazioni, raddolciranno la mia ferita, e scendono sul mio petto come fulgide gemme, che Mi glorio di tenerle sul mio petto per mostrarle a mio Padre, per inchinarlo a pietà verso le creature.
Sicché tra loro e Me scende e sale una vena divina, che le va consumando il sangue umano; e quanto più prendono parte alla mia ferita, alla mia stessa Vita, tanto più questa vena divina si allarga, si allarga, tanto, da rendersi essi altrettanti Cristi. Ed Io vo ripetendo al Padre: ‘Io sto nel Cielo, ma ci sono gli altri Cristi sulla terra che sono feriti dalla mia stessa ferita, che piangono come Me, che soffrono, che pregano, ecc., quindi dobbiamo versare sulla terra le nostre misericordie’. Ah, solo questi che vivono nel mio Volere, che prendono parte alla mia ferita, Mi rassomigliano in terra e Mi rassomiglieranno in Cielo col prendere parte alla stessa Gloria della mia Umanità”.

DIO NESSUNO L‘HA MAI VISTO



(Il problema ―dell‘esistenza‖ di Dio in S. Tommaso) 

Tommaso è ritornato un‘ultima volta su questa questione, proprio alla fine della sua vita, nelle sue lezioni su san Giovanni, senza dubbio il più compiuto dei suoi commenti scritturistici 111 . Il Prologo del quarto Vangelo si conclude con l‘affermazione dalla quale siamo partiti in questo capitolo: «Dio nessuno l‘ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1, 18). Non mancano tuttavia testi, osserva il commentatore, che parlano della possibilità di vedere Dio: come bisogna dunque intendere l‘affermazione di san Giovanni? L‘Aquinate si lancia allora in quella che è indubbiamente la sua trattazione più ampia del soggetto. Senza le spiegazioni tecniche, troppo difficili ed ora non più necessarie, ritroveremo qui la maggior parte dei grandi temi incontrati: «Occorre tenere presente che si può ―vedere Dio‖ in tre modi. Primo, attraverso una creatura sostitutiva [di Dio], presentata alla vista corporea; come si pensa che sia stato visto da Abramo, quando vide tre uomini e ne adorò uno solo (cf Gn 18).  Secondo, mediante una visione immaginaria, come Isaia che vide il Signore seduto su un trono alto ed elevato ( Is 6). Nella Scrittura s‘incontrano parecchie visioni di questo tipo.  Terzo, si può anche vedere Dio mediante una specie intelligibile (speciem intelligibilem) astratta dalle realtà sensibili da parte di chi, riflettendo sulla grandezza del creato, intravede la grandezza del Creatore (Cfr. Sap 13, 5; Rm 1,20).  C‘è poi un altro modo di vederlo, mediante una illuminazione infusa da Dio all‘intelligenza durante la contemplazione. Fu in questo modo che Giacobbe vide Dio faccia a faccia ( Gn 28, 10-19), in una visione che egli ebbe, secondo san Gregorio, grazie ad una sublime contemplazione. Tuttavia, con nessuna di queste conoscenze si può raggiungere la visione dell‘essenza divina.., poiché nessuna immagine creata (creata species) può rappresentare l‘essenza divina, dato che niente di finito può rappresentare l‘infinito... Dunque la conoscenza di Dio raggiungibile attraverso le creature non è la visione della sua essenza, ma soltanto una visione da lontano, enigmatica, come in uno specchio (Cfr. 1Cor 13, 12)..., perché nessuna di queste conoscenze ci dice di Dio cosa egli è, ma solamente che cosa non è e che esiste. Ecco perché, secondo Dionigi, la conoscenza più elevata di Dio che un uomo può raggiungere in questa vita esige l‘esclusione di tutte le creature e di ogni nostro concetto.  Alcuni hanno sostenuto che l‘essenza divina non sarà mai vista da nessuna intelligenza creata e che non è vista né dagli angeli né dai beati. [Si riconosce il testo della proposizione condannata nel 1241; Tommaso la dichiara falsa ed eretica per tre ragioni, di cui l‘ultima ha per lui una importanza estrema e che noi ritroveremo.] Togliere agli uomini la possibilità di vedere l‘essenza divina significa privarli della beatitudine stessa. La visione dell‘essenza divina è dunque necessaria alla beatitudine dell‘intelligenza creata: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5, 8).  Quando si tratta della visione dell‘essenza divina, occorre prestare attenzione a tre cose. Primo, mai l‘essenza divina sarà vista da un occhio corporeo, né percepita con i sensi o con immaginazione, giacché con i sensi si possono percepire soltanto le cose sensibili. Dio invece è incorporeo... Secondo, l‘intelligenza umana finché rimane unita al corpo non può vedere Dio, perché appesantita dal corpo corruttibile, e incapace di raggiungere l‘apice della contemplazione. Quanto più l‘anima è libera dalle passioni corporali e liberata dagli affetti terreni, più essa avanza nella contemplazione della verità e gusta come è buono il Signore Sal 33, 91. Ora, il più alto grado della contemplazione consiste nel vedere Dio nella sua essenza, perciò finché l‘uomo vive nel corpo soggetto per necessità a molteplici passioni, non può vedere Dio per essenza: L‘uomo non può vedermi e restare vivo (Es 33, 20). Perché l‘intelletto umano possa vedere l‘essenza divina occorre dunque che abbandoni totalmente il corpo, o con la morte... ( 2 Cor 5, 8), o mediante l‘estasi (cf 2 Cor 12, 3).  E necessario infine ricordarsi che nessun intelletto creato, per quanto sia possibile immaginarlo separato dal suo corpo sia mediante la morte che mediante l‘estasi, può comprendere l‘essenza divina vedendola. Per questo si dice comunemente che, sebbene i beati vedano l‘essenza divina tutta intera (tota), poiché è semplicissima e senza parti, non la vedono tuttavia totalmente (totaliter), perché ciò significherebbe «comprenderla‖. Quando dico «totalmente‖, io indico un certo modo di visione. Ora, in Dio ogni modo si identifica alla sua essenza; perciò chi non lo vede totalmente non lo «comprende‖. Propriamente parlando, si dice che qualcuno ―comprende‖ una realtà quando la conosce nella misura in cui essa è conoscibile in se stessa; in caso contrario, per quanto la conosca, non la ―comprende‖. [Questo tipo di conoscenza esaustiva non è possibile che nei confronti delle realtà create. Quando si tratta di Dio, increato e infinito, è del tutto impossibile che l‘intelletto creato e finito possa acquistarne questa conoscenza comprensiva.] Dio soltanto può comprendere pienamente se stesso, perché la sua potenza conoscitiva è tanto grande quanto la sua entità d‘essere...  Considerando ciò che è stato detto precedentemente, ecco allora che occorre intendere l‘espressione di san Giovanni: Nessuno ha mai visto Dio, in un triplice senso: 1. Nessuno, cioè nessun mortale ha mai visto Dio, vale a dire l‘essenza divina, con una visione corporea o immaginativa. 2. Nessuno durante questa vita mortale ha visto l‘essenza divina così come è. 3. Nessuno, uomo o angelo, ha visto Dio con una visione comprensiva» 112 .   Questo lungo testo avrebbe potuto servire come canovaccio per questo capitolo; terminando con esso abbiamo il vantaggio di raggruppare i punti essenziali in una visione d‘insieme difficilmente riscontra- bile altrove. Non si può che essere sorpresi del permanere della volontà iniziale di salvaguardare l‘approccio della tradizione latina:  l‘uomo non sarebbe mai veramente felice se non giungesse a vedere l‘essenza divina. Ma allo stesso tempo bisogna constatare una volontà altrettanto ferma di non svuotare il mistero di cui la tradizione greca affermava così fortemente i diritti: tale visione dell‘essenza divina non sarà mai una conoscenza completa, perfino in patria. Mai si può cogliere Tommaso in fallo su questo punto:  «La stessa anima beata di Cristo non possedeva la conoscenza comprensiva, soltanto il Figlio unico di Dio che è nel seno del Padre ne godeva. Per questo il Signore diceva (Mt 11, 27): ―Nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare‖. E di questa conoscenza di comprensione che sembra parlare qui l‘evangelista. Infatti nessuno comprende l‘essenza divina se non Dio soltanto, Padre, Figlio e Spirito Santo» 113 .  
Un luogo comune dell‘agiografia rappresenta san Tommaso bambino che pone insistentemente la domanda: «Cos‘è Dio?». Se non fosse autentico, sarebbe tuttavia uno di quei casi in cui la leggenda esprime la verità di un essere più profondamente della veridicità strettamente storica di un dato episodio. Appare ora con evidenza che il teologo esperto ha fatto di questa presunta domanda del bambino il grande impegno della sua vita di adulto. Riutilizzando il suo metodo e l‘approfondimento della sua dottrina, anche il discepolo di Tommaso è sollecitato a situare Dio al di là di tutto.  

di P.Tito S. Centi  e P. Angelo Z.

1 maggio 2020 – Il coronavirus non è una malattia ordinaria



"È stato creato dall'ingegno umano per colpire specificamente gli anziani e quelli fisicamente meno forti. Questo è il piano delle generazioni future per purificare la razza umana in tutto il mondo"


Ancora una volta, vedo una Grande Fiamma che ho conosciuto essere il Cuore di Dio Padre. Egli dice:

“Oggi vi invito a comprendere che questo virus – il coronavirus – non è una malattia ordinaria. È stato creato dall’ingegno umano per colpire specificamente gli anziani e quelli fisicamente meno forti. Questo è il piano delle generazioni future per purificare la razza umana in tutto il mondo. (Il virus) fu immesso nella popolazione generale prima del previsto – accidentalmente. I responsabili attendevano che governanti meno capaci nel vostro paese (USA) fossero in carica. Tuttavia, il danno proposto si sta scatenando sull’intera razza umana.”
“Vi dico queste cose per aiutarvi a comprendere il male che è alla radice, operante e nascosto nei cuori in questi giorni. Voi non potete essere confusi da nessuna svolta degli eventi. Ho Dominio su tutte le situazioni. A nessuno verrà dato potere su di voi che sia più potente di quello del vostro Eterno Padre. Pertanto, siate rincuorati da questa conoscenza. Se perseverate nella Verità, voi avrete caricato le vostre armi contro ciò che è apparente e le avrete scaricate con la Verità*.”
*Metafora di ciò avviene con le armi che sparano tutti i proiettili del caricatore (la Verità come serie di proiettili).
Leggi 2 Timoteo 4:1-5
Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero.
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4 gennaio 2020 – Quanto più l’anima si abbandona a Me, più sarà in pace



"Figli, l'obbedienza ai Miei Comandamenti esige l’auto-abbandono di sé. È impossibile mettere se stessi al primo posto ed essere ancora devoti a Me attraverso i Miei Comandamenti."


Ancora una volta, io (Maureen) vedo una Grande Fiamma che ho compreso essere il Cuore di Dio Padre. Egli dice:

“Figli, l’obbedienza ai Miei Comandamenti esige l’auto-abbandono di sé. È impossibile mettere se stessi al primo posto ed essere ancora devoti a Me attraverso i Miei Comandamenti. Quanto più l’anima si abbandona a Me, tanto più si fida e più sarà in pace”.
“Non troverete la vera pace nel mondo finché vi fidate soltanto di voi stessi e degli sforzi umani. Se avete fiducia in Me, sosterrete la Verità che vi porta la pace del cuore. Tutte le politiche dell’uomo che non si basano sulla Verità dei Miei Comandamenti porteranno sconfitta e poi crolleranno. Non c’è sicurezza nella menzogna.
“Abbandonatevi a Me. Io sono il vostro Creatore – il Creatore di tutto il bene. Io sono la Verità.”
Leggi 2 Timoteo 4:1-5
Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero.
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Ghiaie di Bonate, festa del Castissimo Cuore di S. Giuseppe - 11 giugno 1997



La Madonna:

La Pace sia con voi! Cari figlioli, Io sono La Regina di tutte le famiglie del mondo intero. In questo bellissimo giorno vengo accompagnata del Bambino Gesù e da S. Giuseppe per benedirvi tutti. Cari figlioli, abbiate un grande amore per la recita del Santo Rosario, perché con la recita del Santo Rosario distruggeremo satana e i suoi piani malefici. Cari figlioli, satana tenta in tutti i modi di distruggere l’opera che Io ho cominciato qui a Ghiaie di Bonate con le mie apparizioni, ma Io, la vostra Mamma Celeste, vi dico che uscirò vittoriosa e Bonate sarà riconosciuta dalla Chiesa. Sperate, abbiate fiducia, pregate con molti Rosari e fate sacrifici perché è vicino il giorno in cui il mio Cuore Immacolato splenderà sempre più intensamente sul mondo intero. Tutte le famiglie si consacrino ogni giorno al mio Cuore Immacolato, al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Castissimo di S.Giuseppe! Chiedete l’intercessione di S. Giuseppe in questo giorno speciale, perché è la festa del Suo Cuore Castissimo e tutti coloro che pregano con fede e con amore riceveranno moltissime grazie. Cari figlioli, quando sono apparsa a Ghiaie di Bonate con Gesù e S. Giuseppe, volevo mostravi che di lì a poco tutto il mondo avrebbe dovuto nutrire un amore molto grande per il Cuore Castissimo di S.Giuseppe e per la Sacra Famiglia, perché satana avrebbe attaccato molto profondamente le famiglie in questo finale dei tempi, distruggendole . Io vengo di nuovo portando le grazie del Signore nostro per concederle a tutte le famiglie più bisognose della protezione Divina. Gesù: Amate, amate, amate il Cuore Castissimo del Mio Papà verginale S. Giuseppe. Consegnatevi totalmente a questo cuore puro, castissimo e verginale perché il mio Sacro Cuore l’ha formato a essere il mio vaso di grazie per tutta l’umanità peccatrice, come il Cuore Immacolato di Mia Mamma Maria Santissima. Chi avrà una devozione profonda al Cuore Castissimo di S.Giuseppe non si perderà eternamente. Questa è la mia grande promessa che faccio in questo santo luogo.

 S. Giuseppe: Il Divino Salvatore e la mia Sposa Santissima Maria mi permettono di concedervi  tutte le grazie. Chiederò molto per voi a Gesù e a Maria.  Noi, la Sacra Famiglia, vi benediciamo nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.  A presto.  

Madonna: Cari figlioli: dal giorno 1 al 13 luglio recitate qui, in questo luogo, il Rosario completo meditando i quindici misteri e partecipando con amore alla Santa Messa, chiedendo al Signore l’intercessione del Cuore Castissimo di S.Giuseppe affinché possano essere approvate dalla Chiesa le mie apparizioni a Ghiaie di Bonate affinchè S. Giuseppe difenda questa causa e questa intenzione, proteggendola con le grazie del Suo Cuore Castissimo. Io starò qui ad aspettarvi per a preghiera con il mio Bambino Gesù e S. Giuseppe e spargerò molte grazie su tutti coloro che ascoltano il mio appello materno. 

Regina della Famiglia



Apparizioni a Ghiaie


La deposizione di don Italo Duci 

"So che durante i 10 giorni in cui l'Adelaide è rimasta a  casa, nel luglio 1946, ha scritto una dichiarazione per ritrattare la  negazione di prima, dicendo che era vero che aveva visto la  Madonna. Io fino al 1945 non mi ero interessato dei fatti; dopo  mons. Bramini mi ha incaricato di occuparmi e in quel tempo mi  ha spedito la fotografia della prima lettera in cui la bambina  diceva di non avere visto la Madonna. L'aveva scritta a Bergamo.  Mons. Bramini disse che poteva scegliersi dei collaboratori e a  ciò sceglieva me che ero sul posto, non sceglieva il parroco  perché la cosa era più delicata. 
Quando la bambina doveva venire a casa mons. Bramini  mi disse di verificare se persisteva o no nella negazione, mandandomi la fotografia della lettera. 
Al tribunale consegnerò la corrispondenza di mons. Bramini. 
Deve essere venuta a casa alla fine di giugno o in principio di luglio 1946. Io ero qui fuori e vidi che la bambina si presentò subito al parroco. C'era mons. Bramini, don Piccardi,  padre Molteni barnabita. La bambina avrebbe confermato di  aver visto la Madonna. Io non ero presente, né so chi l'abbia  interrogata. Credo don Piccardi e il parroco. Mons. Bramini  rimase fuori. La bambina è rimasta qui in casa del parroco fin  che venne il babbo a prenderla. 
Ricordo che i sacerdoti presenti rimasero bene impressionati perché la bambina aveva confermato di aver visto la  Madonna. 
Don Cortesi passò qui e disse che non era vero nulla. E io  dicevo a tutti questa cosa. Ma nessuno credeva all'ipotesi che la  bambina avesse inventato tutto. 
Della lettera di negazione, leggendo i volumi di don Cortesi, ho pensato che bisognava crederci perché lui aveva avuto  in mano la bambina. Certo però sono rimasto un po' impressionato dagli interrogatori di don Cortesi quasi abbia influenzato la  bambina, l'abbia suggestionata. So poi che mons. Bramini ha  fatto periziare la scrittura. Non so l'impressione degli altri sulla  lettera ed anche la gente venne a sapere della negazione, anche  perché io lo dicevo a tutti i forestieri che chiedevano. 
Il fatto avvenne così: una sera la bambina venne nella mia  casa con l'Annunziata. Dopo qualche parola le dissi: "È poi vero  che hai visto la Madonna o no?" E mi rispose di sì. E allora le  mostrai la lettera di negazione. La bambina si meravigliò. Dall'Annunziata seppi che la meraviglia sarebbe stata originata dal  fatto che mentre don Cortesi avrebbe promesso di non far vedere  a nessuno la lettera, invece la vedeva nelle mie mani e anche perché don Cortesi le aveva fatto scrivere che non era vero che  aveva visto la Madonna, mentre l'aveva vista. Allora io insistetti  che dicesse la verità ed essa confermò: "Sì l'ho vista". E allora  come facciamo? Se è vero, bisogna che tu torni a scrivere che  l'hai vista, anche perché il vescovo vorrà sapere qualche cosa, e  non ho aggiunto altro. La bambina andò poi a casa sua. 
Mons. Patelli chiede se il teste non abbia riscontrato nella  meraviglia della bambina un senso di vergogna di essere colta in  contraddizione. Il teste pensa di sì. E continua: 
In quei giorni stava dalle Suore e Annunziata un'altra sera  è venuta da casa con la bambina. Io ero all'asilo verso le 19,20.  In quel momento seppi dalle suore che l'Adelaide era giunta con  I 'Annunziata e stava scrivendo da sola. Le suore sapevano che  cosa voleva scrivere. È rimasta sola un momento; poi è uscita ed  è venuta da me contenta a mostrarmi il foglio scritto che portava  nome e cognome in principio, poi ancora Bergamo e la data.  C'era scritto soltanto: "È vero che ho visto la Madonna". Allora  io ho detto: "Bisogna dire anche perché prima hai detto che non  era vero". Allora voleva che entrasse anche l'Annunziata, ma  nessuno entrò. Scrisse ancora da sola e uscendo mostrò il foglio  sul quale aveva aggiunto: "Ho scritto che non era vero perché me  lo ha dettato don Cortesi; ed io per ubbidire avevo scritto così".  La lettera la consegnò a me ed allora io ho pensato a far fare  delle firme a tutti i presenti e l'ho firmata anch'io. 
Io ho parlato col parroco di questa lettera, così mi sembra,  però non ricordo di preciso e non ricordo di avergli mostrata la  lettera. La lettera è stata consegnata a mons. Bramini. 
Con l'Annunziata ne parlava, e l'Annunziata mi disse che  una delle prime sere la bambina era inquieta e le disse che non  era vero che aveva vista la Madonna. Dopo invece quando venne  da me e riconfermò la verità delle apparizioni la bambina era più  contenta. 
Non mi consta che qualcuno l'abbia influenzata con  minacce, manifestandole le conseguenze che sarebbero avvenute  se diceva il falso. 
Io sono andato qualche volta dalle Suore della Sagesse, ed  era contenta. La condussi io là con l'Annunziata. Ricordo che nel  viaggio le dissi che avremmo data la seconda lettera al vescovo  ed essa era contenta, confermando la verità delle apparizioni. E  le ha confermate anche circa due mesi fa. 
 Io rarissime volte; qualche volta per verificare le cose.  La sera del 13 maggio sono andato là con alcuni giovani e c'era  moltissima gente. 
Mons. Merati domanda: 
 Che impressione ne avrebbe lei se la bambina continuasse a negare? Il teste risponde: 
 Sarebbe una cosa un po' sbalorditiva e non riuscirei a  spiegarla. Io la bambina prima dei fatti non la conoscevo. Io non  credo che l'abbiano montata. Quanto alla seconda lettera, certo  l'Annunziata deve averle detto: "Se è vero che l'hai vista,  scrivi". Ma al momento si è decisa da sola a scrivere. Mons.  Merati aggiunge: 
 Dal decreto del vescovo è proibito ogni manifestazione 
di culto collettiva. Ce n'è stata qualcuna? Il teste risponde: 
Oltre il rosario no. So che sono venuti da fuori dei pellegrinaggi. Di solito vengono senza preannunziarsi. Di solito  fanno la Comunione e sentono la Messa. 
La deposizione di don Italo Duci appare incerta, stentata,  in qualche punto ambigua. Pare che si senta in difficoltà dinanzi  a quei giudici che accettano solo ciò che è conforme alla loro  "verità". Tuttavia, sostanzialmente nel complesso, conferma  quanto in modo più lineare e sicuro hanno detto il parroco don  Cesare Vitali e altre persone degne di fede. Non è vero che egli  fino al 1945 non si è interessato alle apparizioni, basta leggere il  suo diario per averne la smentita. 
Don Italo Duci è un testimone eccezionale delle apparizioni e della storia che ne è seguita. I suoi stessi superiori ecclesiastici, in più occasioni, non mancarono di dargli ampi riconoscimenti per quello che ha fatto in 47 anni di ininterrotto e  fedele servizio pastorale nella parrocchia di Ghiaie. 
Certo, il Don Duci della deposizione non è quello che  appare dal suo diario e da altri scritti, come vedremo più avanti,  e in particolare dalla lettera inviata a mons. Bramini I' 11 giugno 1946. In essa egli scrive: "Rev.mo monsignore, dietro suo invito  mi sono deciso a stendere qualche osservazione personale sull'opera di don Cortesi alle Ghiaie. 
Avrei evitato volentieri di fare osservazioni su persone  specie su don Cortesi, ma lo faccio per l'amore della Madonna e  il trionfo della verità... 
La prima cosa che non mi è piaciuta in don Cortesi, sin da  principio, è stato il modo di raccogliere le testimonianze: nulla  in casa parrocchiale. 
Di suo arbitrio andava e veniva, interrogava Tizio, Caio  senza la presenza di testimoni qualificati che potessero garantire  dare valore alle deposizioni... 
Per le ragioni su esposte considero il lavoro di don Cortesi  un semplice studio personale. Per queste ragioni anche gli interrogatori fatti ad Adelaide temo manchino di forza per mancanza  di controllo e di serietà. Solo lui difatti aveva il monopolio della  bambina... E senza alcun controllo giunse al termine del suo  studio con la pubblicazione del dispendioso e lussuoso volume: 
Il problema delle apparizioni di Ghiaie. Le conclusioni in esso  contenute mi sembrarono paradossali e tragiche così da farmi  passare alcune notti insonni. 
A proposito di questo libro sul mio diario dell'8 ottobre  1945,  trovo segnate queste osservazioni: "...È giunto il libro di  don Cortesi, libro che nega tutto. L'ho letto e sono stato  male...Nausea la maniera naturalistica di spiegare tutto: conversioni, bene spirituale, fatti prodigiosi... 
Si potrebbe aggiungere nausea fino a fare ribrezzo il fatto  di baciare la bambina sui capelli quando gli dice che non ha  visto la Madonna. 
Anche semplici laici mostrarono il loro dissenso circa l'opera di don Cortesi... 
Inoltre il metodo usato su Adelaide lo trovo contrario al  buon senso stesso, perciò i risultati ottenuti lasciano dubitare  molto...". 

1 gennaio 2020 – Sarà un decennio di eventi tumultuosi



"Questo è il decennio in cui è molto importante discernere correttamente il bene dal male, poiché gli strumenti di Satana saliranno al potere vestiti di apparente bontà."


La Beata Vergine Maria dice:

“Sia lodato Gesù”.
“Cari figli, il Signore mi permette di venire a voi, oggi, nella Festa della Mia Santa Maternità. Oggi, segna l’inizio non soltanto di un Nuovo Anno, ma di una nuova decade. Sarà un decennio di eventi tumultuosi, sia a livello nazionale che internazionale. La Volontà Santa e Divina di Dio si manifesterà in molti modi. La distanza tra liberalismo e conservatorismo aumenterà e continuerà a dividere il bene dal male.
“In questa nazione*, ci saranno nuove minacce alla sicurezza nazionale. Il bene sarà tradito. Trame sinistre saranno rivelate giusto in tempo, mentre il decennio scorre. Questa nazione, tuttavia, non soccomberà al male dell’Unico Ordine Mondiale e quindi al controllo dell’Anticristo. Il cambiamento porterà ad una convinzione delle coscienze.”
“Questo è il decennio in cui è molto importante discernere correttamente il bene dal male, poiché gli strumenti di Satana saliranno al potere vestiti di apparente bontà. La preghiera, specialmente la preghiera del Santo Rosario, vi proteggerà dagli errori nelle vostre scelte.”
“Come sempre, sono la vostra Materna protezione. Ho avvolto nel Mio Manto questa nazione e la condurrò lontana dal precipizio della distruzione. Rimanete a Me vicini, affinché io possa guidarvi in ogni decisione. Pregate il Rosario ogni giorno, poiché è l’arma contro ogni male. Benedirò i vostri sforzi di preghiera con il potere che Dio mi ha dato”.
U.S.A.
Leggi 1 Timoteo 4:1-2, 7-8
Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, sedotti dall’ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza. Rifiuta invece le favole profane, roba da vecchierelle. Esèrcitati nella pietà, perché l’esercizio fisico è utile a poco, mentre la pietà è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente come di quella futura.
Leggi Romani 16:17-18
Mi raccomando poi, fratelli, di ben guardarvi da coloro che provocano divisioni e ostacoli contro la dottrina che avete appreso: tenetevi lontani da loro. Costoro, infatti, non servono Cristo nostro Signore, ma il proprio ventre e con un parlare solenne e lusinghiero ingannano il cuore dei semplici.
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venerdì 1 maggio 2020

Autorità e Magistero.



Ogni autorità che gli uomini hanno, viene da Dio. L’autorità dei genitori sui figli, quella dello sposo “capo della sposa” (1 a Cor 11,3) rispetto ad essa, quella dei governanti sui loro concittadini, quella dei vari pastori nella Chiesa (parroco, Vescovo, Papa). 
 Sia chiaro, l’autorità non viene dal basso, dal popolo. Dal popolo –dal corpo sociale– può venire una delega per rappresentarlo, ma l’autorità che rappresenta quella di Dio viene da Dio. “Tu non avresti nessun potere [o autorità] su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto”, disse Gesù a Pilato (Gv 19,11). “Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce” (Gc 1,17). 
Ma qual è la loro finalità, qual è lo scopo dell’autorità delegata da Dio? Quello di aiutare i subordinati a compiere la Volontà di Dio. Perciò mai potrà contraddire la Verità: “Non abbiamo infatti alcun potere [o autorità] contro la verità, ma per la verità” (2 a Cor 13,8). 
Quindi non sono da confondere queste due cose, “autorità” e “magistero”, che tuttavia devono camminare unite. 
E servirsi dell’autorità (servirsi della Vo lontà di Dio) per voler imporre la volontà dell’uomo quando si discosta dalla Volontà di Dio o quando contraddice la Verità (che viene da Dio) è diabolico. Per questo “Pietro e Giovanni replicarono: «Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a Lui, giudicatelo voi stessi; noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato»” (Atti, 4,19-20). 
Per tanto, chi ha l’autorità deve stare molto attento per non sostituirsi a Dio: “Ascoltate, o re, e cercate di comprendere; imparate, governanti di tutta la terra. Porgete l'orecchio, voi che dominate le moltitudini e siete orgogliosi per il gran numero dei vostri popoli. La vostra sovranità proviene dal Signore; la vostra potenza dall’Altissimo, il quale esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri propositi; poiché, pur essendo ministri del suo regno, non avete governato rettamente, né avete osservato la legge né vi siete comportati secondo il volere di Dio. Con terrore e rapidamente  Egli si ergerà contro di voi poiché un giudizio severo si compie contro coloro che stanno in alto. 
L’inferiore è meritevole di pietà, ma i potenti saranno esaminati con rigore. Il Signore di tutti non si ritira davanti a nessuno, non ha soggezione della grandezza, perché Egli ha creato il piccolo e il grande e si cura ugualmente di tutti. Ma sui potenti sovrasta un’indagine rigorosa. Pertanto a voi, o sovrani, sono dirette le mie parole, perché impariate la Sapienza e non abbiate a cadere. Chi custodisce santamente le cose sante sarà santificato e chi si è istruito in esse vi troverà una difesa. Desiderate, pertanto, le mie parole; bramatele e ne riceverete istruzione.” (Sapienza 2,1-11) 
Un secondo compito dell’autorità è provvedere al bene dei dipendenti. Provvedere è prendersi cura, procurare i mezzi che servono –sia per il corpo, che a maggior ragione per lo spirito– per raggiungere lo scopo dell’esistenza che Dio ci dà. In altre parole, l’assistenza e provvidenza di Dio passano anche attraverso l’autorità che Egli concede per il bene comune. 
Da tutto questo deriva una conseguenza: che Dio, avendo creato l’uomo a Sua immagine, ha voluto condividere con lui in diverso grado le Sue prerogative. Non soltanto partecipare alla condizione propria del Figlio di Dio in quanto figli (“adottivi”, dice San Paolo), ma anche a quella del Padre, nel dare vita ad altri (vocazione alla paternità e maternità, sia fisica, sia a maggior ragione spirituale), nell’avere cura e provvidenza di altri, e nel guidare mediante l’autorità gli altri affinché raggiungano      il fine per il quale Dio li ha creato e li ha affidato a chi ha l’autorità. 
Questo è un tipo di comunione meravigliosa di vita e di amore alla quale Dio   chiama l’uomo. 

P. Pablo Martin Sanguiao

Preghiera per l'ammalato



"O mio Dio, questo ammalato qui davanti a te, è venuto a chiederti ciò che lui desidera, e che ritiene essere la cosa più importante per lui. Tu, Dio, fai entrare nel suo cuore queste parole: "È importante essere sani nell'anima!".
Signore, sia fatta su di lui la tua santa volontà in tutto! Se tu vuoi che guarisca, che gli sia donata la salute. Ma se la tua volontà è diversa, che continui a portare la sua croce. Ti prego anche per noi che intercediamo per lui; purifica i nostri cuori per renderci degni di donare, attraverso noi, la tua santa misericordia.
Proteggilo e allevia le sue pene, sia fatta in lui la tua santa volontà. Attraverso lui venga rivelato il tuo Santo Nome, aiutalo a portare con coraggio la sua croce. Tre Gloria al Padre."