(Il problema ―dell‘esistenza‖ di Dio in S. Tommaso)
Tommaso è ritornato un‘ultima volta su questa questione, proprio alla fine della sua vita, nelle sue lezioni su san Giovanni, senza dubbio il più compiuto dei suoi commenti scritturistici 111 . Il Prologo del quarto Vangelo si conclude con l‘affermazione dalla quale siamo partiti in questo capitolo: «Dio nessuno l‘ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1, 18). Non mancano tuttavia testi, osserva il commentatore, che parlano della possibilità di vedere Dio: come bisogna dunque intendere l‘affermazione di san Giovanni? L‘Aquinate si lancia allora in quella che è indubbiamente la sua trattazione più ampia del soggetto. Senza le spiegazioni tecniche, troppo difficili ed ora non più necessarie, ritroveremo qui la maggior parte dei grandi temi incontrati: «Occorre tenere presente che si può ―vedere Dio‖ in tre modi. Primo, attraverso una creatura sostitutiva [di Dio], presentata alla vista corporea; come si pensa che sia stato visto da Abramo, quando vide tre uomini e ne adorò uno solo (cf Gn 18). Secondo, mediante una visione immaginaria, come Isaia che vide il Signore seduto su un trono alto ed elevato ( Is 6). Nella Scrittura s‘incontrano parecchie visioni di questo tipo. Terzo, si può anche vedere Dio mediante una specie intelligibile (speciem intelligibilem) astratta dalle realtà sensibili da parte di chi, riflettendo sulla grandezza del creato, intravede la grandezza del Creatore (Cfr. Sap 13, 5; Rm 1,20). C‘è poi un altro modo di vederlo, mediante una illuminazione infusa da Dio all‘intelligenza durante la contemplazione. Fu in questo modo che Giacobbe vide Dio faccia a faccia ( Gn 28, 10-19), in una visione che egli ebbe, secondo san Gregorio, grazie ad una sublime contemplazione. Tuttavia, con nessuna di queste conoscenze si può raggiungere la visione dell‘essenza divina.., poiché nessuna immagine creata (creata species) può rappresentare l‘essenza divina, dato che niente di finito può rappresentare l‘infinito... Dunque la conoscenza di Dio raggiungibile attraverso le creature non è la visione della sua essenza, ma soltanto una visione da lontano, enigmatica, come in uno specchio (Cfr. 1Cor 13, 12)..., perché nessuna di queste conoscenze ci dice di Dio cosa egli è, ma solamente che cosa non è e che esiste. Ecco perché, secondo Dionigi, la conoscenza più elevata di Dio che un uomo può raggiungere in questa vita esige l‘esclusione di tutte le creature e di ogni nostro concetto. Alcuni hanno sostenuto che l‘essenza divina non sarà mai vista da nessuna intelligenza creata e che non è vista né dagli angeli né dai beati. [Si riconosce il testo della proposizione condannata nel 1241; Tommaso la dichiara falsa ed eretica per tre ragioni, di cui l‘ultima ha per lui una importanza estrema e che noi ritroveremo.] Togliere agli uomini la possibilità di vedere l‘essenza divina significa privarli della beatitudine stessa. La visione dell‘essenza divina è dunque necessaria alla beatitudine dell‘intelligenza creata: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5, 8). Quando si tratta della visione dell‘essenza divina, occorre prestare attenzione a tre cose. Primo, mai l‘essenza divina sarà vista da un occhio corporeo, né percepita con i sensi o con immaginazione, giacché con i sensi si possono percepire soltanto le cose sensibili. Dio invece è incorporeo... Secondo, l‘intelligenza umana finché rimane unita al corpo non può vedere Dio, perché appesantita dal corpo corruttibile, e incapace di raggiungere l‘apice della contemplazione. Quanto più l‘anima è libera dalle passioni corporali e liberata dagli affetti terreni, più essa avanza nella contemplazione della verità e gusta come è buono il Signore Sal 33, 91. Ora, il più alto grado della contemplazione consiste nel vedere Dio nella sua essenza, perciò finché l‘uomo vive nel corpo soggetto per necessità a molteplici passioni, non può vedere Dio per essenza: L‘uomo non può vedermi e restare vivo (Es 33, 20). Perché l‘intelletto umano possa vedere l‘essenza divina occorre dunque che abbandoni totalmente il corpo, o con la morte... ( 2 Cor 5, 8), o mediante l‘estasi (cf 2 Cor 12, 3). E necessario infine ricordarsi che nessun intelletto creato, per quanto sia possibile immaginarlo separato dal suo corpo sia mediante la morte che mediante l‘estasi, può comprendere l‘essenza divina vedendola. Per questo si dice comunemente che, sebbene i beati vedano l‘essenza divina tutta intera (tota), poiché è semplicissima e senza parti, non la vedono tuttavia totalmente (totaliter), perché ciò significherebbe «comprenderla‖. Quando dico «totalmente‖, io indico un certo modo di visione. Ora, in Dio ogni modo si identifica alla sua essenza; perciò chi non lo vede totalmente non lo «comprende‖. Propriamente parlando, si dice che qualcuno ―comprende‖ una realtà quando la conosce nella misura in cui essa è conoscibile in se stessa; in caso contrario, per quanto la conosca, non la ―comprende‖. [Questo tipo di conoscenza esaustiva non è possibile che nei confronti delle realtà create. Quando si tratta di Dio, increato e infinito, è del tutto impossibile che l‘intelletto creato e finito possa acquistarne questa conoscenza comprensiva.] Dio soltanto può comprendere pienamente se stesso, perché la sua potenza conoscitiva è tanto grande quanto la sua entità d‘essere... Considerando ciò che è stato detto precedentemente, ecco allora che occorre intendere l‘espressione di san Giovanni: Nessuno ha mai visto Dio, in un triplice senso: 1. Nessuno, cioè nessun mortale ha mai visto Dio, vale a dire l‘essenza divina, con una visione corporea o immaginativa. 2. Nessuno durante questa vita mortale ha visto l‘essenza divina così come è. 3. Nessuno, uomo o angelo, ha visto Dio con una visione comprensiva» 112 . Questo lungo testo avrebbe potuto servire come canovaccio per questo capitolo; terminando con esso abbiamo il vantaggio di raggruppare i punti essenziali in una visione d‘insieme difficilmente riscontra- bile altrove. Non si può che essere sorpresi del permanere della volontà iniziale di salvaguardare l‘approccio della tradizione latina: l‘uomo non sarebbe mai veramente felice se non giungesse a vedere l‘essenza divina. Ma allo stesso tempo bisogna constatare una volontà altrettanto ferma di non svuotare il mistero di cui la tradizione greca affermava così fortemente i diritti: tale visione dell‘essenza divina non sarà mai una conoscenza completa, perfino in patria. Mai si può cogliere Tommaso in fallo su questo punto: «La stessa anima beata di Cristo non possedeva la conoscenza comprensiva, soltanto il Figlio unico di Dio che è nel seno del Padre ne godeva. Per questo il Signore diceva (Mt 11, 27): ―Nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare‖. E di questa conoscenza di comprensione che sembra parlare qui l‘evangelista. Infatti nessuno comprende l‘essenza divina se non Dio soltanto, Padre, Figlio e Spirito Santo» 113 .
Un luogo comune dell‘agiografia rappresenta san Tommaso bambino che pone insistentemente la domanda: «Cos‘è Dio?». Se non fosse autentico, sarebbe tuttavia uno di quei casi in cui la leggenda esprime la verità di un essere più profondamente della veridicità strettamente storica di un dato episodio. Appare ora con evidenza che il teologo esperto ha fatto di questa presunta domanda del bambino il grande impegno della sua vita di adulto. Riutilizzando il suo metodo e l‘approfondimento della sua dottrina, anche il discepolo di Tommaso è sollecitato a situare Dio al di là di tutto.
di P.Tito S. Centi e P. Angelo Z.
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