venerdì 16 agosto 2019

Il Sacro Cuore



La vera devozione al Sacro Cuore


Obiezioni e difese

Come altre devozioni, quella al Sacro Cuore è stata vittima di incomprensioni, avversioni e perfino calunnie Spesso essa viene avversata in quanto esempio di pietà popolare, verso la quale molti, che si ritengono «adulti» e «moderni», provano un senso di ripulsa. Ma la Chiesa ha sempre difeso la sana pietà popolare, ribadendone la validità teologica e liturgica, anche recentemente, come attesta il Direttorio su Pietà Popolare e Liturgia appositamente diffuso dalla Santa Sede
123. Giovanni Paolo II ha ribadito che «la pietà popolare non può essere né ignorata né trattata con indifferenza o disprezzo, perché è ricca di valori, e già di per sé esprime l’atteggiamento religioso di fronte a Dio»
Una obiezione spesso rivolta alla devozione al Sacro Cuore è quella di essere una manifestazione di sentimentalismo, inteso come «sensualità spirituale». Un’altra è quella di alimentare una spiritualità «doloristica», riducendo la pietà cristiana all’ aspirazione a soffrire per Gesù. In questo modo, trascurando l’aspetto «pasquale» e gioioso dell’ annuncio di salvezza, il fedele verrebbe spinto ad un atteggiamento quasi fatalistico di rassegnazione al male e al peccato. Il sentimentalismo e il «dolorismo» provocherebbero infine nel fedele la tendenza a ripiegare nel «privato», rifuggendo dall’ impegno terreno e solidale verso l’umanità.
In realtà, se bene intesa, la nostra devozione non c’entra proprio nulla con queste deformazioni. 
Secondo la dottrina spirituale cristiana, il sentimentalismo è quella tendenza erronea che pone il criterio dell’ autenticità della fede nell’ intensità emotiva sperimentata nelle pratiche di pietà, per cui il sentimento viene considerato come il criterio della validità dell’ esperienza religiosa, elevandolo da mezzo a fine. Si ha «dolorismo» quando il dolore viene elevato da strumento di santificazione e purificazione a criterio dell’ ascesi spirituale, magari provando un masochistico gusto di auto-punizione. Questi atteggiamenti derivano da una mancanza di discernimento spirituale. Ma non trovano giustificazioni nella devozione al Cuore di Gesù, che esorta invece all’ardore, all’impegno e alla speranza soprannaturale nella vittoria finale. 
Certo, questa devozione è stata spesso mal servita dall’ uso d’immagini, frasi e musiche che esprimono un sentimentalismo
zuccheroso. Almeno implicitamente, queste manifestazioni rivelano una concezione errata sia dell’ Amore divino, ridotto ad un «buonismo» da Babbo Natale, sia dell’ amore umano, ridotto ad uno smidollato permissivismo. Così si orientano le anime verso la mediocrità e l’arrendevolezza, favorendo quindi un disordine nelle tendenze psicologiche e spirituali dei fedeli 125. Il menzionato Direttorio della Santa Sede ha ammonito che «certe immagini di tipo oleografico, talvolta sdolcinate, inadeguate ad esprimere il robusto contenuto teologico, non favoriscono l’approccio dei fedeli al mistero del Cuore del Salvatore» 126. Infatti, queste manifestazioni degradate contrastano col vigoroso messaggio lasciatoci dal Redentore a Paray-le-Monial, che ci rivela un «Cuore d’infinita maestà» e una «fornace ardente di carità», come proclamano le Litanie del Sacro Cuore.
Tuttavia l’abuso non può abolire l’uso, la caricatura non può cancellare l’originale. Le sane manifestazioni affettive – come l’amore, la compassione, la commozione, il dolore, il pentimento, la gioia, l’entusiasmo – sono buone in sé, anzi sono necessarie e comunque inevitabili nella vita spirituale. E’ nel cuore che la persona pronuncia la parola più intima e profonda. Nell’ uomo la santità dipende anche dalla sua capacità affettiva; l’accettazione e la realizzazione della Verità rivelata presuppongono un cuore forte, capace di accoglierla e di viverla.
Se l’uomo non sviluppa un’affettività sana e ordinata alla propria santità, rischia di soccombere ad un’affettività morbosa e disordinata. 
Per questo il Cristianesimo non condanna l’affettività, tantomeno pretende di abolirla. Anzi vuole trasfigurarla nella vita soprannaturale, allo scopo di metterla al servizio della gloria di Dio e della salvezza della persona. «“Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e che altro voglio se non ch’esso arda?”
(Lc.,12,49). La devozione al Sacro Cuore manifesta il mistero della santa affettività della Santissima Umanità di Cristo, e lo fa col realismo così tipico della Rivelazione cristiana. (...) La trasformazione in Cristo implica che il cuore umano diventi incomparabilmente più sensibile e ardente e venga dotato di un’affettività inaudita e, allo stesso tempo, che venga purificato da
ogni affettività illegittima» 127.
La devozione al Sacro Cuore è dunque affettiva ma non sentimentale; la riprova sta nel fatto che presuppone non solo un’amorosa familiarità ma anche un riverente rispetto per l’augusta Persona del Redentore: «Teniamo presente che potremo udire la voce del Cuore di Gesù, percepirne le manifestazioni e coglierne l’ ineffabile santità, solo se ci saremo avvicinati con profondo rispetto e raccoglimento alla Santa Umanità. (...)
Dovremo guardarci dal tornare alla nostra abituale affettività e dall’interpretare la vita del Sacro Cuore con categorie meramente naturali o addirittura volgari. Solo elevando i nostri cuori potremo sperare di captare una scintilla della santa vita del Cuore dell’Uomo-Dio» 128.
Quanto all’accusa di spingere il fedele a rinchiudersi nella vita privata, rifiutando l’impegno sociale, questa tendenza non ha nulla a che fare con l’autentico spirito della nostra devozione. Il fedele al Sacro Cuore è zelante della gloria di Dio e questa, come abbiamo visto, ha un suo aspetto pubblico che lo spinge ad impegnarsi nella lotta per il Regno sociale di Cristo.
Tuttavia, bisogna ammettere che nel secolo XX si è imposta una tendenza a ignorare o a negare questo aspetto sociale, col pretesto di «spiritualizzare» le devozioni. Secondo questa tendenza, Cristo dovrebbe essere omaggiato solo come Re di umiltà, come Re di un regno solamente spirituale e ultraterreno: un sovrano che «regna ma non governa», insomma, lasciando che l’uomo si gestisca autonomamente nella vita civile. Ma questa riduzione non ha giustificazioni nella originaria devozione proposta a santa Margherita Maria ed anzi contrasta con l’ampia portata delle rivelazioni di Paray-le-Monial, che ha fomentato la lotta per una società cristiana.

Guido Vignelli

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