Il Sacro Cuore,
«segno di contraddizione»
Come abbiamo visto, Gesù aveva promesso a santa Margherita Maria: «Io regnerò, nonostante tutti i miei nemici». Esistono dunque nemici del Sacro Cuore? E quali sono?
Sebbene si presenti con caratteristiche amorose e pacifiche, sollecitando i sentimenti più dolci e teneri dell’ uomo, questa devozione ha sempre avuto un autentico carattere militante, cioè si è posta in lotta contro «la carne, il mondo e il demonio».
Quindi, non sorprende che sia stata quasi sempre avversata dai loro seguaci. Di conseguenza, essa è divenuta lungo i secoli un «segno di contraddizione» (Lc.,12,51). Possiamo dire che le rivelazioni di Paray-le-Monial suscitarono storicamente due specie di odii, distinti ma legati tra loro: l’odio teologico e quello politico.
Avversione teologica
Fin dalle origini, la devozione al Cuore divino venne avversata dalle eresie. All’epoca di santa Margherita Maria, essa era combattuta da alcuni movimenti religiosi e culturali: il Protestantesimo, il Giansenismo, il Quietismo e il Gallicanesimo.
Il Protestantesimo, in quell’ epoca, aveva già esaurito la propria spinta ed era entrato in una fase di declino; ma dominava pur sempre quella mezza Europa sottratta alla Chiesa Romana, continuando la sua offensiva contro il Papato e i regni cattolici. In Francia, dopo aver provocato un lungo periodo di guerre civili, il Protestantesimo era stato dapprima tollerato e poi nuovamente vietato; ma esercitava comunque una influenza culturale e politica, costituendo un pericolo sia per la fede religiosa che per la pace sociale 106.
Rifiutando la «superstizione papista», ovviamente i protestanti erano nemici della devozione al Sacro Cuore, che combattevano con la controversia, con la satira e con la calunnia.
Santa Margherita Maria espresse più volte la sua preoccupazione per questa influenza protestante, dalla quale nemmeno certi ambienti cattolici restavano immuni 107.
Il Giansenismo fu una eresia derivata dall’ influenza esercitata negli ambienti cattolici dal Protestantesimo, soprattutto dal Calvinismo. Nacque dopo il 1640 con la pubblicazione del libro Augustinus, scritto dal belga Cornelio Jansen (Giansenio), docente di teologia a Lovanio e poi vescovo di Ypres. In questo libro, Giansenio esagerava la corruzione operata dal Peccato originale, ritenendo l’uomo completamente incapace di qualsiasi atto buono; quindi negava la libertà morale dell’ anima (libero arbitrio). Insegnava che Cristo non è morto per tutti, ma solo per pochi eletti arbitrariamente scelti; inoltre minimizzava l’autorità pontificia e del Magistero ecclesiastico.
Il Giansenismo provocava gravi conseguenze anche sulla spiritualità e sulla morale. Negando la credibilità della fede e il valore delle opere, riduceva la fede ad un «sentimento» della presenza divina; predicava un rigorismo e un fatalismo che soffocava la virtù della speranza; riduceva l’amore fraterno alla carità fra i presunti eletti; sconsigliava i fedeli dal ricorrere ai Sacramenti, in nome di un falso rispetto della maestà di Dio e di un falso senso d’indegnità umana; disprezzava le devozioni e i culti popolari; praticava la separazione della vita interiore e privata da quella esterna e pubblica, abbandonando quindi la società alle influenze anticristiane.
Esso rappresentava un gran secolo – il Seicento – nel suo aspetto peggiore: lo spirito di superbia e di manìa di grandezza, che chiudeva il cuore ad ogni influenza della divina misericordia. Pretendeva di reagire alla decadenza dei costumi – rappresentata in quell’ epoca soprattutto dal movimento libertino
– ricuperando il senso della maestà divina, i sentimenti di austerità e rigore, la fierezza di appartenere alla Chiesa separandosi dal mondo. In realtà, il Giansenismo riduceva i misteri divini alla loro comprensibilità umana. Diffidando dal ricorrere ai mezzi soprannaturali di santificazione, i giansenisti finivano con l’ostentare una serietà e una santità farisaiche, per essere stimati come «uomini spirituali» dall’ opinione pubblica, compresa quella anticristiana, che li contrapponeva ai comuni devoti 108.
Per tutto ciò, venne condannato più volte dal magistero dei Papi, da Alessandro VII (1656) a Pio VI (1794).
Nonostante queste ripetute condanne, il Giansenismo resistette ed anzi sembrò prendere piede nella Chiesa. Evitando di contestare apertamente la Santa Sede, rinunciò a diffondere la teologia per riciclarsi come metodo spirituale e stile ecclesiale. Divenne una corrente interna, invisibile e indefinibile. Così poté sedurre grandi anime, come Pascal. Si diffuse nel clero e anche fra i vescovi. Oggi si direbbe che essere giansenisti era diventato «politicamente corretto» o, meglio, «religiosamente corretto». Una moda gratificante; si era elogiati perfino da quei libertini che si pretendeva di convertire. Le università, le magistrature, le corti trovavano nel giansenismo una «spiritualità ragionevole», che permetteva di conciliare aspirazioni alla santità con desiderio di potenza e di lusso.
Con questo spirito superbo e settario, era ovvio che i giansenisti non comprendessero le grandezze dell’ Amore divino, particolarmente quella celeste misericordia sulla quale si basa la devozione al Sacro Cuore. Essi la consideravano una pratica carnale che fomentava la fiacchezza spirituale, che pretendeva di mettere a disposizione di tutti quello che era riservato a pochissimi eletti. Mentre il messaggio di Paray-le-Monial esortava all’umiltà, alla carità, alla misericordia, la mentalità giansenista finiva con l’alimentare l’ipocrisia, la diffidenza e l’amarezza. Perciò questi settari deridevano i devoti al Sacro Cuore bollandoli col nome spregiativo di «cordicoli». Non pochi vescovi giansenisti vietarono ufficialmente ogni forma di culto al Sacro Cuore. Giuseppe II, sovrano del Sacro Romano Impero, subì la loro influenza ostacolando questa «carnale» devozione; lo stesso fece il Re di Napoli 109.
Non c’è quindi da meravigliarsi se una certa aristocrazia e un certo alto clero francese, influenzati dalla mentalità giansenista, non apprezzarono il messaggio partito da Paray-leMonial, ritenendolo incompatibile con quella illuministica riforma del culto che doveva abolire gli «eccessi» e le «superstizioni», e ricondurre la vita spirituale ad una regulata devotio. Pio XI affermerà molto più tardi che la devozione al Sacro Cuore venne rilanciata dalla Provvidenza anche allo scopo di sconfiggere questa eresia: «Nei tempestosi tempi moderni, mentre serpeggiava il Giansenismo, la più astuta delle eresie, che si opponeva all’ amore e alla pietà verso Dio, rappresentandocelo non tanto come amorevole Padre quanto come temibile e implacabile Giudice, il dolcissimo Gesù mostrò ai popoli il suo Sacro Cuore, come spiegato vessillo di pace e di carità, indicandoci la sicura via della vittoria nella battaglia» 110.
E difatti, dopo oltre un secolo di lotte in nome del Cuore divino, la Chiesa riuscì a sconfiggere il Giansenismo.
Il Quietismo era l’errore opposto a quello giansenista. Esso misconosceva l’importanza dello sforzo spirituale per tendere alla perfezione cristiana lottando contro le cattive tendenze.
Secondo i quietisti, la santità consisterebbe non nel conformare la volontà umana a quella divina, ma semplicemente nell’estinguerla, negando la propria responsabilità per «annullarsi» in Dio, senza pretendere di correggere i propri difetti ed emendare le proprie colpe, perché Dio ci ama «così come siamo».
Mentre il Giansenismo proponeva un’ascetica senza mistica e negava il libero arbitrio ritenendolo impossibile, il Quietismo proponeva una mistica senza ascetica e rifiutava il libero arbitrio ritenendolo dannoso. Il risultato finale era lo stesso: l’estinzione dell’autentica vita spirituale. I quietisti avversavano la devozione al Sacro Cuore, giudicandola troppo passionale e «carnale»; secondo loro, l’uomo non doveva santificare le proprie passioni, ma doveva semplicemente annientarle.
Il Quietismo, promosso soprattutto dallo spagnolo Miguel de Molinos, fu condannato da Innocenzo XI nel 1687. Come il Giansenismo, anch’esso, dopo la condanna, tentò di riciclarsi in una forma mitigata; ma questo semi-quietismo venne condannato da Innocenzo XII nel 1699. Anche il Quietismo si era diffuso negli ambienti altolocati, diventando moda «spirituale» perfino nella corte francese. Madame de Maintenon, influente sposa di Luigi XIV, era stata seguace della celebre quietista madame Guyon 111.
Il Gallicanesimo fu una dottrina e pratica erronea diffusa nella Chiesa francese (detta appunto «gallicana») specialmente tra il XVI e il XVIII secolo. Esso cercò di ridurre l’autorità del Papa, proclamando una piena autonomia dell’episcopato da Roma. A questo scopo, fomentò il nazionalismo religioso e si appoggiò all’autorità del Re. Così lo Stato francese diventava il supremo giudice e acquisiva il diritto di controllo su tutti gli atti pubblici delle diocesi del regno. Diversi Papi condannarono poi questa eresia, a partire da Alessandro VIII (1682)
La diffusione del Gallicanesimo venne però favorita da Luigi XIV, anche per rivendicare una certa indipendenza ecclesiastica nazionale dal Papato 113. Questo è uno dei motivi che spiegano la mancata adesione di molti ambienti del clero e soprattutto della Corte al messaggio di Paray-le-Monial, che presupponeva docilità e fedeltà verso la Santa Sede.
Avversione politica
L’altro tipo di avversione suscitata dalla devozione al Sacro Cuore fu quella politica. Essa esplose con la Rivoluzione francese del 1789, che volle abolire i diritti di Dio sostituendoli con quelli dell’ Uomo «adulto, libero ed emancipato» e sottomettere la Chiesa al nascente potere «democratico» (in realtà totalitario).
In quella terribile epoca, i cattolici più ferventi si rifugiarono nella devozione al Sacro Cuore, supplicandolo di risparmiare alla Chiesa e alla Francia la tragedia religiosa e sociale.
L’immagine del Cuore divino era il segno di riconoscimento fra i «refrattarii», ossia fra quei sacerdoti e religiosi che si erano rifiutati di giurare la scismatica Costituzione Civile del clero, costretti alla clandestinità o all’esilio. Fra i laici, Esso era l’insegna dei contro-rivoluzionari, ossia di coloro che si opponevano anche militarmente alla Rivoluzione, sperando di restaurare la società cristiana. Essi la indossavano sul petto e la facevano campeggiare sulle bandiere. Nella stessa Corte, minacciata di sterminio, «l’immagine del Cuore divino era l’emblema del gruppo, una specie di parola d’ordine» 114.
Nel fronte opposto, i rivoluzionari più consapevoli percepivano quest’ anima cattolica della resistenza e odiavano quello che definivano come «segno della superstizione», «emblema del fanatismo», «cuore della ribellione»; pertanto si accanivano nel proibirne il culto e nell’ imprigionarne i devoti. «Migliaia di persone, di tutte le condizioni sociali e di entrambi i sessi, vennero arrestate, trascinate davanti ai tribunali rivoluzionari e poi gettate nelle prigioni, per il solo fatto di aver confezionato o di tenere con sé il più espressivo simbolo dell’ amore di Dio per gli uomini» 115.
Numerosi furono i màrtiri del Sacro Cuore. Fra costoro ricordiamo i 191 sacerdoti uccisi il 2 settembre 1792 nel convento carmelitano di Parigi, molti dei quali portavano con sé l’effigie proibita; inoltre le celebri carmelitane di Compiègne, ghigliottinate il 17 luglio 1794 anche per aver diffuso il culto condannato. Alcuni di questi màrtiri sono stati recentemente beatificati o canonizzati come testimoni della Fede perseguitata.
Non furono solo i cattolici francesi ad affidarsi al Sacro Cuore per difendere la loro patria e religione. Tra il 1796 e il 1809, anche il Tirolo, invaso dalle armate napoleoniche, insorse sotto la guida di Andreas Hofer, inalberando questa insegna di fedeltà a Cristo col sostegno dei vescovi della regione.
Analoghe insurrezioni avvennero nella Spagna invasa dalle armate che portavano l’empietà rivoluzionaria: il Re Ferdinando VII, prigioniero di Napoleone, fece voto di promuovere la devozione al Sacro Cuore se la sua patria fosse stata liberata; e così avvenne
116. Infine, il Re di Sardegna, anch’egli invaso dalla Francia, affidò il regno alla protezione del Sacro Cuore, rendendone di precetto la festa 117.
Lungo l’intero XIX secolo, i cattolici promossero la devozione al Sacro Cuore in espiazione dei crimini commessi dalla Rivoluzione in molte nazioni europee 118. Fra queste iniziative, ricordiamo come tipico esempio quella promossa in Francia dai padri sulpiziani per il centenario della Rivoluzione (1889).
Quest’avversione politica proseguì ed anzi aumentò lungo il XX secolo, come dimostrano la persecuzione del governo massonico messicano contro i Cristeros e le numerose persecuzioni dei governi comunisti euro-asiatici contro i fedeli che inalberavano il vessillo del Cuore divino.
Guido Vignelli
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