Cristiani, atei ed ebrei convertiti alla fede cattolica
Il Papa
Alcuni cristiani rifiutano l’infallibilità papale, ma accettano senza batter ciglio, ad esempio, l’infallibiità del concilio di Nicea. Tutti credono che Dio usi uomini limitati e peccatori per comunicare la sua verità infallibile nella Parola di Dio. Orbene, l’infallibilità non vuol dire che: il Papa è infallibile in tutto ciò che dice, ma solamente quando parla di cose di fede e di morale, con tutta la sua autorità, come rappresentante di Cristo e vuole imporre una verità affinché sia creduta da tutta la Chiesa. In altro contesto non è infallibile e ancor meno lo è quando parla di cose di astronomia o di scienza.
Un re, ad esempio, può scrivere molte lettere, ma solamente quelle che promulga ufficialmente con carattere di legge sono quelle che debbono esser rispettate da tutti. Così il Papa può parlare o scrivere privatamente o pubblicamente, ma quando non vuole imporre una verità con tutta la sua autorità alla Chiesa, non è infallibile. Ancor più, infallibilità non significa esser esente da peccato. Ci sono stati e ci potranno essere dei papi peccatori, come lo fu Pietro, ma questo non intacca la loro autorità.
D’altra parte il fatto che la Parola di Dio non si interpreti da se stessa, rende necessaria un’autorità per poter determinare un’interpretazione infallibile di alcuni punti particolari. E così come la Costituzione di un paese ha bisogno di essere interpretata dal suo Governo o dalle autorità competenti, così la Parola di Dio deve esser interpretata con garanzia di verità e, senza dubbi, da un’autorità esterna ad essa. Questa autorità è quella che Cristo diede a Pietro, dandogli le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che avrai legato sulla terra resterà legato nei cieli e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra resterà sciolto nei cieli (Mt 16, 19). Pasci i miei agnelli (Gv 21, 15-16). Io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede. E tu, quando sarai tornato, conferma i tuoi fratelli. (Lc 22, 32).
Sant’Agostino disse: Roma locuta, causa finita est (se Roma - - il Papa - ha parlato, la questione è conclusa). Mostrando che è il Papa a detenere l’ultima parola.
E questo può essere storicamente provato; poiché quando nell’anno 95 sorsero alcune difficoltà tra il clero e il popolo di Corinto, per risolverle non chiesero l’intervento di nessun apostolo, benché vivesse l’apostolo san Giovanni a Efeso. Ricorsero al Papa di Roma e papa Clemente scrisse loro due lettere al fine di risolvere definitivamente la questione.
Vi è un argomento che si suole presentare, quando qualcuno sostiene tesi contro l’infallibilità papale. è la questione chiamata questione del Papa Onorio. Un caso unico nalla storia del papato.
Nel VII secolo, ci si pose la domanda se Gesù Cristo avesse o meno due volontà. Se cioè quando agiva attuasse una volontà umana, o agisse con due volontà, relative alla sua doppia natura. Papa Onorio (625-638) ricevette un giorno una lettera del patriarca di Costantinopoli Sergio I, nella quale lo pregava di prender posizione nella polemica tra il patriarca Ciro di Alessandria, sostenitore dell’unica natura, e il monaco Sofronio di Gerusalemme, che sosteneva che Gesù, persona divina, agisse con le sue due nature in una unità morale.
Onorio scrisse affermando che un solo Gesù Cristo attuava nelle due nature le opere divine ed umane. La cosa peggiore fu che mandò a chiamare il monaco Sofronio, che sosteneva la vera dottrina delle due nature. Allora Sergio di Costantinopoli ritenne che appoggiasse la dottrina che egli sosteneva di una sola natura (da qui il nome di monofisita, che si diede a questa eresia). E l’eresia si estese e molti vescovi ne furono irretiti.
La questione giunse al III concilio di Costantinopoli (680-680) dove Onorio fu condannato come eretico. E lo stesso fecero i due seguenti concili ecumenici. Ma anzitutto nessun concilio ha l’autorità di condannare nessuno senza l’autorizzazione del Papa in carica. In secondo luogo il Papa non affermò mai la dottrina eretica dell’unica natura di Cristo. Nelle sue due lettere a Sergio di Costantinopoli, espone la retta dottrina; ma in modo ambiguo e equivocabile, il che permette di credere che fosse eretico. Ancor più, queste due lettere furono lettere private e non di solenne dottrina, non avevano tutta l’autorità per poter esser ritenute infallibili.
Per questo papa Leone II (681-683) durante il III concilio di Costantinopoli disse: Onorio non estinse la fiamma dell’eresia come competeva alla sua autorità, ma a causa della sua negligenza la fomentò. Così riconosce che non fu eretico, bensì imprudente. Poteva esser peccatore, irresponsabile e incapace, ma non eretico. Per alcuni anni dopo il papato di Onorio, i papi dovettero giurare di rifiutare l’eresia, i cui germi erano stati introdotti da Onorio.
Nel 1870 nel concilio Vaticano I quando si volle definire l’infallibilità papale, di nuovo sorse questa questione. Ma venne chiaramente determinato che il Papa è infallibile solamente, quando parla ex cathedra, vale a dire, dalla cattedra, con tutta la sua autorità, con l’intenzione di stabilire una verità che sia creduta in quanto tale da tutto il popolo dei fedeli. Questo non era il caso delle lettere scritte da Onorio a Sergio di Costantinopoli. Oggi tutti concordano sul fatto che Onorio non fu eretico, poiché quanto afferma nelle sue lettere è perfettamente ortodosso. Egli parla dell’unità delle due nature di Cristo, riferendosi ad una unità morale delle due nature esistenti in Gesù. Per questo in tutta tranquillità si può definire l’infallibilità papale come un dogma di fede. E possiamo affermare, senza il minimo dubbio, che nessun Papa nel corso della storia si è mai sbagliato nel parlare solennemente, in piena autorità, riguardo a questioni di fede e riguardo ai costumi. E che tutti i Papi, pure peccatori, illuminarono la Chiesa con la luce della verità rivelata da Dio. Forse Dio permise che accadesse l’evento di Onorio per rendere più tangibile la sua provvidenza sulla Chiesa e così riaffermare l’autorità del Papa.
Padre ángel Peña