lunedì 2 dicembre 2019

VITA DI CRISTO



 LA SOLA PERSONA CHE SIA MAI STATA PREANNUNZIATA  

La storia è piena di uomini che hanno asserito di venire da Dio, o di essere Dio, o di recare il messaggio di Dio: Budda, Maometto, Confucio, Cristo, Lao-Tse, e tanti e tanti altri, fino a colui che oggi stesso magari ha fondato una nuova religione. E, di essi, ciascuno ha il diritto di essere ascoltato e valutato. Ma, come per ogni cosa che si debba misurare occorre un metro esterno e ad essa affatto estraneo, così occorrono talune prove permanenti, che siano valide per tutti gli uomini, tutte le civiltà, tutte le epoche, onde si possa stabilire se alcuno di coloro o tutti coloro che hanno fatto simili affermazioni siano, o non, nel giusto. A due categorie appartengono tali prove: alla ragione e alla storia. Alla ragione, perché tutti ne sono dotati, anche quelli che mancano di fede; alla storia, perché tutti, vivendo, ne partecipano, ed è lecito presumere che abbiano a conoscerne alcunché.  

La ragione ci suggerisce che, ove questo o quello di tali uomini venisse realmente da Dio, Dio ne avrebbe perlomeno preannunziato l'avvento al fine di convalidarne l'affermazione. I fabbricanti di automobili avvertono la clientela circa l'epoca in cui ha da aspettarsi un nuovo modello. Orbene, se Dio ci mandasse un messaggero o se Egli stesso venisse su questa terra per diffondere un messaggio d'importanza vitale per gli uomini tutti, sembrerebbe logico che anzitutto Egli mettesse gli uomini in grado di sapere quando il Suo messaggero apparirebbe in mezzo a loro, e dove nascerebbe, dove vivrebbe, quale dottrina predicherebbe, quali nemici susciterebbe, quale programma adotterebbe per il futuro, quale morte farebbe. Di modo che, nella misura in cui il messaggero si conformasse a tali annunzi, sarebbe possibile giudicare la validità delle sue asserzioni.  

La ragione, inoltre, ci induce a credere che se Dio non agisse a questo modo, nulla potrebbe impedire un qualunque impostore d'introdursi nella storia dicendo: «Provengo da Dio», oppure: «Un angelo mi è apparso nel deserto e mi ha consegnato questo messaggio». In simili casi, verrebbe a mancare un mezzo oggettivo, storico, per constatare la veridicità del messaggero, ché altro non avremmo che la sua parola, e, pertanto, egli potrebbe essere nel torto.  

Se un visitatore venisse da un paese straniero a Washington e asserisse di essere un diplomatico, il governo gli chiederebbe il passaporto e altri documenti comprovanti la sua qualità di rappresentante di questo o quel governo; e s'intende che codesti documenti dovrebbero recare una data anteriore al suo arrivo. Se dunque ai delegati dei nostri paesi vengono richieste simili prove d'identità, la ragione deve per certo agire allo stesso modo con i messaggeri che affermano di essere stati inviati da Dio. 
A ciascuno di costoro la ragione domanda: «Che cosa, prima che tu nascessi, stava ad attestare che tu saresti venuto?»  

Un simile criterio consente di giudicare il merito degli assertori. (E, in questo stadio preliminare, Cristo non è più grande degli altri.) Nessuno predisse la nascita di Socrate; nessuno preannunziò Budda e il di lui messaggio, né svelò il giorno in cui egli si sarebbe seduto sotto l'albero; di Confucio non ci sono stati tramandati né il nome della madre né il luogo di nascita, e neppure è a dire che questi dati fossero stati rivelati agli umani alcuni secoli prima del suo avvento così che quando egli venne al mondo gli uomini potessero riconoscere in lui un messaggero di Dio. 
Quanto a Cristo, il discorso è diverso: date le profezie dell’Antico Testamento, la Sua venuta non era inaspettata. Perché, se mancò qualsiasi predizione relativa a Budda, a Confucio, a Lao-Tse, a Maometto, o a chiunque altro, non mancarono per contro le predizioni relative a Cristo. Gli altri vennero e dissero: «Eccomi, credete in me». 
Erano, quindi, solo uomini fra gli uomini, non erano divini fra gli umani. Unica eccezione fu Cristo, in quanto disse: «Ricercate gli scritti del popolo ebraico e i riferimenti storici dei Babilonesi, dei Persiani, dei Greci e dei Romani». (Per il momento, gli scritti del mondo pagano, e perfino l'Antico Testamento, possono considerarsi solo documenti storici e non già parole ispirate.)  

Sta di fatto che le profezie dell’Antico Testamento possono venir comprese nella loro pienezza alla luce del loro compimento. Perché il linguaggio profetico non ha la precisione delle scienze matematiche; ma ove nell' Antico Testamento si ricerchino i ricorsi messianici, e ove si paragoni l'immagine che ne risulta con la vita e le opere di Cristo, si può mai dubitare che le predizioni antiche si riferiscano a Cristo e al Regno da Lui istituito? La promessa che Dio fece ai patriarchi che per il loro tramite tutti i popoli della terra sarebbero stati benedetti; la predizione che la tribù di Giuda avrebbe avuto su tutte le altre tribù ebraiche la supremazia fino all'avvento di Colui al quale tutte le genti avrebbero obbedito; il fatto, certamente strano, ma innegabile, che nella Bibbia dei Giudei di Alessandria, cioè nella Versione detta dei Settanta, si trovi chiaramente predetta la nascita verginale del Messia; la profezia di Isaia (53) relativa all'Uomo dei Dolori, al Servo del Signore, il quale darà la vita in espiazione delle colpe del Suo popolo; le prospettive del glorioso ed eterno regno della Stirpe di Davide: in chi, se non in Cristo, queste profezie han trovato il loro compimento? Da un punto di vista meramente storico, si verifica qui una unicità che distingue Cristo da tutti gli altri fondatori di religioni terrene; e giacché il compimento di tali profezie si verificò, storicamente, nella persona di Cristo, non soltanto cessarono in Israele tutte le profezie ma si produsse anche la cessazione dei sacrifici dopo il sacrificio del vero Agnello pasquale.  

E si guardi alla testimonianza del mondo pagano. Tacito, parlando degli antichi Romani, dice: «La gente, per la maggior parte, credeva nelle antiche profezie, secondo le quali l'Oriente avrebbe prevalso e dalla Giudea sarebbe venuto il Padrone e Reggitore del mondo». E Svetonio, là dove narra la vita di Vespasiano, così riferisce circa la tradizione romana: «Era vecchia e perpetua credenza, in tutto l'Oriente, che, in base a profezie d'indubbia veridicità, i Giudei avrebbero raggiunto l'apice della potenza».  

La Cina nutriva la medesima attesa, ma, poiché si trovava dall'altra parte della terra, credeva che il Gran Savio sarebbe nato in Occidente. Gli Annali del Celeste Impero contengono la seguente relazione:  

«Nell'anno ventiquattresimo di Ciao- Wang della dinastia dei Cieu, nel giorno ottavo della quarta luna, una luce apparve a sud-ovest, che illuminò il palazzo del re. Colpito da tanto splendore, il monarca interrogò i savi, che gli mostrarono alcuni libri dai quali risultava che quel prodigio doveva venire interpretato come l'apparizione del Gran Santo d'Occidente, la cui religione sarebbe stata introdotta anche nel loro paese».  

E Lo aspettavano i Greci, perché nel Prometeo, composto sei secoli prima ch'Egli nascesse, Eschilo scriveva: «E, inoltre, non aspettarti che questa maledizione abbia fine sino a quando Iddio non si manifesti, per addossarsi, in vece tua, tutte le pene conseguenti dai peccati da te commessi».  

Come fecero i Re Magi a sapere della Sua venuta? Probabilmente in base alle tante profezie diffuse per il mondo dagli Ebrei, nonché in base alla profezia che Daniele alcuni secoli prima della nascita di Cristo aveva fatta ai Gentili.  

Quanto a Cicerone, dopo aver riportato le parole degli antichi oracoli e delle Sibille relativamente a un «Re che dovremo riconoscere se vorremo essere salvati», si domanda ansioso: «A quale uomo e a quale periodo di tempo alludono codeste predizioni?» La Quarta Egloga di Virgilio testimonia della medesima antica tradizione e parla di «una donna casta, sorridente al suo bambino, con il quale avrebbe fine l'età del ferro».  

Svetonio cita un autore contemporaneo per rilevare che tanta paura avevano i Romani di un Re che avrebbe governato il mondo da ordinare che tutti i bambini nati in quell'anno venissero uccisi: ordine che poi non fu emanato se non da Erode.  

Non soltanto gli Ebrei aspettavano la nascita di un Gran Re, di un Savio, di un Salvatore, ma anche Platone e Socrate parlarono del Logos e del Savio Universale «che doveva ancora venire». Confucio parlò del «Santo»; le Sibille, di un «Re Universale»; i tragici greci, di un salvatore e redentore che avrebbe liberato l'uomo dalla «primaria remota maledizione». Tutti costoro aspettavano nel senso dei Gentili. Ciò che anzitutto distingue Cristo da tutti gli uomini è che era atteso: perfino i Gentili bramavano un liberatore o redentore che fosse. Il che è di per sé sufficiente a differenziarLo da tutti i condottieri religiosi.  

La seconda distinzione consiste nel fatto che, una volta apparso, con tanta violenza Egli percosse la storia da fenderla in due, dividendola in due periodi: anteriore alla Sua venuta il primo, posteriore il secondo.  

Il che Budda non fece, né alcun altro dei grandi filosofi indiani. Perfino coloro che negano l'esistenza di Dio devono così datare gli attacchi che conducono contro di Lui: l'anno tale d. C., oppure l'anno tal altro a. C. La terza realtà che Lo differenzia da tutti gli altri è questa: chiunque altro sia mai venuto al mondo è venuto per vivere; Egli è venuto per morire. Per Socrate, la morte fu una pietra d'inciampo, in quanto ne troncò l'insegnamento; mentre per Cristo fu la meta e il compimento della vita, la ricchezza ch’Egli ambiva. Delle Sue parole ed azioni, poche sono intelligibili ove non si stabilisca un riferimento con la Sua Croce, giacché Egli si manifestò come un Salvatore invece che come un semplice Maestro. A nulla infatti sarebbe valso ch'Egli avesse insegnato agli uomini il modo d'esser buoni se non gli avesse anche concesso la facoltà d'esser buoni, dopo averli riscattati dalla amarezza della colpa.  

La Storia d'ogni vita umana comincia con la nascita e finisce con la morte; nella Persona di Cristo, invece, venne prima la morte poi la vita. La Scrittura Lo descrive come «l'Agnello sgozzato fin dalla fondazione del mondo», ché, nell'intenzione, Egli fu sgozzato dal primo peccato e dalla prima ribellione contro Dio. Non fu la Sua nascita a proiettare un'ombra sulla Sua vita e a trarLo quindi a morte; prima in ordine di tempo venne bensì la Croce, rimandò la propria ombra sopra la Sua nascita.  

La Sua è stata l'unica vita che sia mai stata vissuta a ritroso. Come il fiore nel muro screpolato rivela il poeta della natura, e come l'atomo è la miniatura del sistema solare, così la Sua nascita rivela il mistero del patibolo. La Sua esistenza si svolse tra i poli di due realtà conosciute, dalla ragione della Sua venuta resa palese dal nome di Gesù», ossia «Salvatore», al compimento della Sua venuta, cioè alla Sua morte sulla Croce.  

Di Lui, Giovanni ci dà la preistoria eterna; Matteo, la preistoria temporale, attraverso la genealogia; è significativo che la Sua stirpe umana sia tanto legata a peccatori e stranieri! Codeste macchie sullo scudo del Suo lignaggio umano Gli ispirano pietà per i peccatori e per quanti siano estranei all'Alleanza; ed entrambi questi aspetti della Sua compassione Gli saranno, in séguito, addebitati a mo' di accuse: «È amico dei peccatori»; «un Samaritano». Ma l'ombra di un passato contaminato predice il Suo futuro amore per i contaminati. Nato da una donna, Egli fu un uomo e, al tempo stesso, poté essere tutt'uno con l'umanità intera; nato da una Vergine adombrata dallo Spirito e «piena di grazia», sarebbe stato altresì fuori da quella corrente di peccato che corrompeva tutti gli uomini.  

Venerabile Mons. FULTON J. SHEEN 

LO SPIRITO SANTO È FORZA DEI DEBOLI



Lo Spirito Santo conforta, sostiene e rianima coloro che a Lui si affidano. - Felice dunque chi ripone in Lui ogni fiducia, e chi, con vivo desiderio invocandolo, può dire col Profeta: Os meum aperui, et attraxi Spiritum.
Ma rifletti, o cristiano, che non meritano i conforti del Divin Paracleto, nè lo attraggono a sè quelle anime infingarde, che non vogliono sapere di sacrifizi, nè quelle anime eccessivamente delicate, che pretendono di non sentire il peso della croce. Saresti mai di queste? Guai a te! che soffrirai inolto e meriterai poco. Lévati dunque generosamente sopra te stessa, disponiti con amore e con pace ad ogni sacrifizio che da te voglia il Signore, ed ecco che sarà teco lo Spirito Santo col dono della Fortezza e colle consolazioni della sua grazia: anzi verrà Ei medesimo in te, e sarà tuo sostegno, tuo conforto, tua consolazione, tua vita.

Cari figli, due templi e un'unione; La Città dei Sette Colli e la Terra della Santa Croce (Brasile).




Cari figli, due templi e un'unione; La Città dei Sette Colli e la Terra della Santa Croce (Brasile). La sofferenza verrà per gli uomini e le donne di fede. Quello che vi dico non potete comprenderlo ancora, ma vi chiedo di intensificare le vostre preghiere in favore della Chiesa del Mio Gesù. Abbiate coraggio, fede e speranza. Voi siete importanti per la realizzazione dei Miei Piani. Date il meglio di voi nella missione che il Signore vi ha affidato. Dite a tutti che Dio ha fretta. L'umanità cammina verso l'abisso della distruzione spirituale. Amate e difendete la verità. Pentitevi e ritornate. Quello che dovete fare, non lasciatelo per il domani. In questi tempi difficili, cercate forze nella preghiera e nell'Eucaristia. Accogliete il Vangelo del Mio Gesù e ovunque testimoniate la vostra fede. Non tiratevi indietro. Io vi amo e sarò sempre vicino a voi. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per averMi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Io vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.

IL MISTERO DEL SANGUE DI CRISTO



Ch'io non veda che la Croce insanguinata

O misericordia del mio Dio! O carità di Gesù! O misteri di grazia! O tesori dell'anima attinti con la confidenza e con l'amore!
Tutto questo è il dono magnifico del Sangue del mio Gesù, di Cristo Crocifisso.
«Sanguis Christi inebria me».
O Sangue di Cristo, sorgente prodigiosa dei divini tesori, da cui fluiscono come raggi luminosi le eterne verità, la forza che produce l'amore e la grazia che si chiama ascensione, o Sangue del mio Cristo, «inebria me et omnia».
lo ti adoro fluente dal petto adorato di Gesù, da tutte le sue membra straziate. Ti raccolgo nei calici della adorazione, della riparazione, della impetrazione e dell'amore e Ti offro alla augustissima Trinità come pegno della mia salvezza, come prezzo della mia santità, come caparra della mia beatitudine.
O Sangue di Cristo, io mi unisco a Te per ritemprare la mia vita e intendere quella del mio Gesù, per sentire in me gli strazi della sua Passione e per compiere quanto mi manca nella conquista della perfezione e dell'amore.
O Sangue di Cristo, io intendo di invocarTi ad ogni istante, ad ogni respiro, ad ogni palpito del cuore e di riceverTi insieme al Corpo, all'Anima, alla Divinità del mio Gesù; intendo di raccoglierTi sugli altari del Tempio e in quelli delle anime per adorarTi perpetuamente per me e per tutte le creature e per vivere la perfetta vita di Gesù.
«Sanguis Christi, age pro me!».
Con questa invocazione chiedo a te l'ispirazione, lo slancio della vita soprannaturale, la sanzione delle comunicazioni con Dio, l'aiuto, la forza, la grazia per la corrispondenza, per la santa perseveranza, per l'accrescimento nel bene, nella virtù, nel sacrificio della pietà e dell'amore.
«Sanguis Christi, age pro me!».
O Sangue di Cristo, chiedo, desidero, e supplico che tu mi unisca a Gesù, così strettamente alla sua vita di dolori, così intensamente al martirio della Croce, così realmente alla sua immolazione nel Tabernacolo, ch'io senta straziarmi il cuore, le membra, la vita; ch'io non desideri se non pene e dolori, che io non pensi che al Mistero della Passione e non veda che la Croce insanguinata.
O Croce squallida e triste, che ti sei presentata alla mia anima il primo giorno dei Santi Esercizi, forse per scuotere il mio torpore, fissare la mia compassione ed avvincere il mio cuore, ti comprendo ora in cui il soffio dello Spirito divino mi porta a te con palpiti inenarrabili. Ti comprendo, o vita di unione con Cristo Crocifisso; ti comprendo, o voto di unione, che mi stringi a Lui ineffabilmente.
L'obbedienza verrà a sanzionarti.
lo ti depongo con la vita, povero, piccolo voto, a' piedi del mio adorato Maestro, ripetendo con tutto lo slancio dell'anima: «Sanguis Christi, age pro me!».
Il mio povero cuore è trapassato come da una freccia acuminata, scosso, palpitante per una forza occulta.
Sei Tu, mio Signore, che lo pervadi, che lo trafiggi, che lo commuovi così?
O è illusione della mia povera mente?
O forse è inganno del demonio per rapirmi il timore della tua Maestà e la paura della mia abiezione?
O mio Dio, che adoro nell'alto dei cieli; o mio Gesù, o Cristo, mio Redentore, o Spirito Santo, che invoco ed a cui consegno la mia povera anima, o Trinità Augusta, abbi pietà di me!
Se questo affanno che mi opprime è il peso formidabile della tua gloria, se il palpito violento che mi porta fuori di me stessa è l'effetto della tua attrazione; se la vita è sconcertata, annientata, scossa perché sia poi orientata alle influenze della tua grazia, abbi pietà di me!
Io non cerco che Te, mio Dio, e sono pronta a morire per Te! Fammi dunque morire così, di amore, per amore, sulla croce del mio Gesù.
Gesù stacca dalla sua Croce le braccia divine, le avvolge intorno alla poverissima anima e le fa gustare le gioie più alte dell'unione divina.
- Ho simboleggiato l'unione con i miei santi avvincendoli a me con anelli e catene preziose; il tuo anello è formato dalle stesse mie braccia che ti portano e ti stringono al mio Cuore. - Perché, o Signore, tanta degnazione?
- Perché ti ho veduto pronta al sacrificio. Ricordati che il godimento spirituale nutre l'anima tua, ma il sacrificio di questo godimento, compiuto per obbedienza e per dovere, nutre l'anima mia.

Tu temi ed hai ragione. Il pulviscolo portato sulla cima più alta è più facilmente soggetto alla furia dei venti e può discendere più in basso del luogo da cui fu elevato, ma se è strettamente unito alla montagna della umiltà, non temere, continuerà a contemplare il sole, a rivestirsi di luce, di un manto immacolato che perpetuerà la sua unione e la sua fecondità. -
O labbra del mio Dio aperte per me! O braccia tese verso la mia povertà!
O Cuore Santissimo, schiuso a ricevere la mia vita! q. 12: 22 agosto 

SR. M. ANTONIETTA PREVEDELLO

IL MISTERO DEL PURGATORIO



II
QUALI ANIME SOFFRONO DI PIÙ NEL PURGATORIO E QUALI DI MENO?

Le anime nel Purgatorio sono avviluppate come da un velo, da una dura corteccia. È la corteccia che le ha racchiuse nella vita terrena: il proprio io, l'eccessivo preoccuparsi di sé, il mondo, il pensiero di sé e della propria reputazione e tutte le cose che erano apparse così importanti... Di queste cose è fatta la corteccia e la luce di Dio quasi non riesce a penetrarla.
Ci sono anime che non si chiedono seriamente se la loro vita piace a Dio, e che, senza timore, credono che tutto proceda bene.
Persone che vanno in chiesa, e pregano anche, e compiono opere buone, eppure si forma una «crosta» attorno all'anima.
Pensano che ciò che fanno vada tutto bene. Non si pongono interrogativi sui desideri di Dio, fanno tutto senza amore, senza timor di Dio e ottundono la coscienza con l'adempimento dei doveri esteriori. Se uno fa loro osservare le loro mancanze, esse trovano una giustificazione per tutto.
Ci sono molte di queste anime nel Purgatorio; ed anche laggiù esse sono così insensibili alla conoscenza. La conoscenza giunge dapprima per gradi: a poco a poco la luce divina trapassa l'involucro e ridesta l'anima dal suo sonno.
Ci sono uomini che in vita avevano grande saggezza, e che hanno anche fatto del gran bene all'umanità, che hanno speso la loro parola per tutto ciò che era buono e giusto: ma, poiché ciò avveniva solo per la loro propria ambiziosa saggezza, essi si sono completamente ingolfati nello spirito del mondo, vivendo in una eccessiva indipendenza, senza intrattenersi col Maestro divino. 
Queste anime giungono nell'eternità con la più grande ignoranza.
Sulla terra erano state mature in tutto, ed ora si trovano nel più profondo imbarazzo. Sapevano tanto, ed ora non sanno nulla. Perché solo ai piccoli viene rivelata la grandezza... Questi uomini saggi hanno spesso un'anima ottusa... Spesso devono rimanere a lungo nel Purgatorio: fino a quando si sono sciolti da se stessi, fino a quando si sono destati dal loro sonno, fino a quando non sono più storditi dal proprio «io». Giacciono come morti nel loro involucro: fino a quando l'eterna luce non lo ha infranto aprendolo. Queste sono le anime più impacciate. Portano tanto «mondo» e tanto «io» su di sé. Appena cominciano a ridestarsi, la luce penetra purificandole sempre di più; allora le anime diventano più sensibili a tutte le preghiere che si fanno alla loro intenzione, a tutte le S. Messe, a tutte le opere buone. Cominciano ad accorgersi, dapprima a poco a poco, che hanno bisogno di Dio: in vita, hanno sentito poco il bisogno di Lui. Appena si destano, alla conoscenza e al pentimento, diventano felici, ma fino al quel risveglio soffrono in modo particolarmente grave, soffocano nel loro involucro, non hanno né luce, né aria.
Ci sono nel Purgatorio dei saggi che sulla terra erano in grande onore ed ora si trovano in profondo imbarazzo... Qui spesso il più misero fanciullo è il più saggio. Lo vedo: solo ai piccoli vengono rivelate le cose grandi.
II Buon Dio è infinitamente delicato nel suo giudizio. II vero bene che l'anima possedeva, Egli lo purifica e lo mantiene splendente, per ricompensare con esso l'anima, eternamente. Anche se tante e tante colpe si sono accumulate, Egli non permette che quel bene vada perduto. Presso di Lui tutto viene riconosciuto, anche il più piccolo sacrificio. Oh, se noi volessimo riconoscere tutto il bene che Dio ci fa, e come Egli riconosce il nostro bene!
Come dobbiamo vergognarci della nostra sconoscenza davanti a Dio! Nel Purgatorio dobbiamo riconoscere tutto il bene che ci viene da Lui e ringraziare. Qui tutto passa ancora una volta davanti all'anima e tutto deve essere soddisfatto.
Soffrono un lungo Purgatorio anche le anime che sulla terra furono devote a causa degli uomini. Io vedo nel Purgatorio molte anime che vollero diventare sante per amor proprio e per ostinazione, ovvero si proposero una vita santa per piacere al direttore spirituale.
Ci sono laggiù anime che hanno ingannato i loro confessori e direttori; il movente delle loro azioni non era Dio solo, ma il loro proprio onore, il desiderio di apparire belle. Ci sono anime che coltivarono tutte le opere di pietà, ma non erano umili; che non vollero riconoscere nessun errore, che, comprese di sé, pensarono di essere sulla via migliore. Anime che si sottoponevano a penitenze per orgogliosa imitazione dei santi e non per umiltà e pentimento. C'è tanta imitazione che non si può quasi distinguere da ciò che è autentico! Ma Dio non Lo si può ingannare... Ci sono anime che ebbero un orgoglioso desiderio di diventare sante, che si rimiravano nel numero dei loro sacrifici e delle loro penitenze: che erano capaci di fare tutte le grandi cose e trascuravano i piccoli, essenziali doveri.
Anime tali sono nelle più profonde fiamme del Purgatorio: la loro vita è stata una bugia. Oh, come deve bruciare qui la verità eterna! Dio non è contento di queste anime, ed esse lo sentono in un grande tormento. Ma ci vuole tanto fino a che esse siano contrite, come Dio vuole; fino a che il duro «io» riesca a piegarsi. Appena spuntano questa contrizione e questa conoscenza, l'anima viene indicibilmente annientata dalla luce divina, fino a quando sarà dilatata nell'amore misericordioso, e non più lei vivrà, ma Gesù in lei.
Fui stupefatta da questa esperienza, ed ho imparato ad essere prudente. Non cerco più nulla di grande nelle anime, ma solo cose piccole e semplici. Ed ho imparato sempre di più ad essere piccola e semplice. Ci sono dunque nel Purgatorio anche anime che hanno ingannato e per queste non prega nessuno, perché la gente le riteneva pie. Oh, infelici! Gesù me le ha mostrate, perché io preghi per esse, dal momento che gli altri le credono in cielo. Queste anime, che vissero così rigidamente chiuse in se stesse, hanno tanto bisogno del fuoco dell'umiliazione.
Se un'anima, per quanto devota, e capace di tutte le opere dei santi, non è contrita ed umile, persino le sue virtù diventano difetti. Questo è stato per me un altro grande insegnamento: che nel Purgatorio le stesse virtù vengono purificate.
Quanto spesso ci sono virtù che non sono pure! Specie se alle virtù manca la luce dello Spirito Santo, se sono virtù semplicemente naturali. Le virtù sono pure solo quando sono insieme sapienti, e hanno una misura e non sono unilaterali e quando vengono dall'umiltà del cuore e sono amore. 
Insomma, quando non manca ad esse la guida dello Spirito Santo. Anche nelle virtù non si può vivere per se stessi. Ci sono virtù che racchiudono in sé molti piccoli vizi.
Perciò anche le virtù devono essere purificate. Spesso noi contaminiamo le grazie e le virtù con il nostro proprio io. Appena le virtù sono adornate dal timor di Dio, allora diventano pure.
Continuamente dobbiamo innalzare lo sguardo a Dio e dire: Oh, Salvatore, aiutami anche qui, perché io agisca rettamente. Nessuno è tanto sicuro dell'aiuto e della misericordia divina, come l'anima che diffida di se stessa. Nessuno può starsene così tranquillo come l'anima che è contrita e insieme piena di fiducioso timore di non agire rettamente in tutto davanti a Dio. L’apprensione fiduciosa di non fare ogni cosa così come Gesù vuole rende l'anima pura. Essere sicuri e quieti solo in Gesù, solo nella fiducia in Lui: questo ho imparato nel Purgatorio e questa è la mia consolazione. 
Attraverso le mie esperienze sono diventata così timorosa per la mia anima; ma ora Gesù mi ha mostrato il cammino: verso la buona volontà, ed il pentimento e l'abbandono. Meglio qui sulla terra trascinarsi con difficoltà a causa del nostro io, che laggiù nell'eternità.

***

Geremia


1Abitanti di Gerusalemme,
percorrete le vie della città,
guardatevi attorno, informatevi,
cercate nelle sue piazze:
se riuscite a trovare un uomo,
anche uno solo,
che si comporta in modo onesto
e si mantiene fedele al Signore,
allora Dio perdonerà la vostra città.
2 Voi giurate il falso anche quando dite:
'Com'è vero che esiste Dio...!'.
3Certamente il Signore
vuole che siate fedeli.
Egli vi ha colpiti,
ma voi non ci avete fatto caso,
vi ha schiacciati,
ma voi avete rifiutato la lezione.
Avete reso la vostra faccia
più dura della pietra,
non volete staccarvi
dai vostri peccati.
4Allora ho pensato:
'È gente ignorante, si comportano
da sciocchi
perché non seguono il Signore,
non accettano la legge del loro Dio.
5Me ne andrò a parlare
con quelli che stanno al potere.
Essi certamente seguono il Signore
e accettano la sua legge'.
Ma anche questi, come gli altri,
hanno rigettato l'autorità del Signore
e rifiutano di ubbidirgli.
6 Per questo:
usciranno i leoni dalla foresta
per sbranarli,
dalla steppa verranno i lupi per sgozzarli,
i leopardi staranno in agguato
vicino alle loro città.
Se usciranno, saranno dilaniati
perché hanno aumentato i loro peccati
e si allontanano sempre più da Dio.


7Il Signore domanda:
'In queste condizioni,
come posso perdonare i peccati
del mio popolo?
Hanno abbandonato
me per servire falsi dèi.
Io li avevo saziati, ma essi
hanno commesso adulterio
e tutti corrono a prostituirsi.
8 Sono come stalloni ben pasciuti e focosi,
ognuno nitrisce alla moglie del suo vicino.
9 Io, il Signore,
non dovrei forse punirli per questi delitti,
non dovrei vendicarmi di gente
come questa?
10Dirò ai nemici d'Israele:
'Calpestate i suoi filari di viti, saccheggiate,
ma non distruggeteli completamente.
Strappatene i tralci, perché
non sono più miei'.
11Il popolo d'Israele e di Giuda
mi ha tradito continuamente'.
Così dice il Signore.

12Gli Israeliti hanno rinnegato il Signore e dicono: 'Non vogliamo saperne di Dio! Non ci capiterà alcun male, non avremo né guerra né carestia. 13I profeti non valgono nulla, non annunziano la parola del Signore. Accada ad essi quel che minacciano a noi!'. 14Il Signore Dio dell'universo mi disse: 'Geremia, poiché il popolo ha detto queste cose, le mie parole sulla tua bocca saranno come un fuoco e il popolo come la legna consumata dal fuoco'.

I Dieci Comandamenti



Il Quinto Comandamento: “Non uccidere”. 


5.3 “Il suicidio” alla luce delle rivelazioni a Maria Valtorta.   
 
Sicuramente abbiamo ormai tutti ben capito che “uccidere” è peccato gravissimo e non soltanto in riferimento al corpo altrui ma anche al nostro. Come bene ci spiegherà Gesù, nel testo che vi riporterò qui sotto, anche uccidere il nostro corpo è un peccato che può portare alla dannazione eterna. Ovviamente sempre che la persona sia in perfetta capacità di comprendere. Come ogni peccato d’altronde, anche questo, è tale solo se chi compie l’azione è IN PIENA AVVERTENZA e dà il suo deliberato consenso. 
E notate che Gesù questa lezione la dà proprio a Giuda.70 Lui che sapeva che il suo Apostolo lo avrebbe non solo tradito, ma che avrebbe anche commesso proprio il peccato di disperazione contro la Misericordia infinita di Dio (e quindi contro lo Spirito Santo), ciò nonostante lo istruisce minuziosamente, proprio perché al Giudizio Finale non possa dire che se Lui l’avesse avvertito non si sarebbe suicidato. 
 
 5.3.1 Gesù istruisce Giuda Iscariota sul suicidio. 
 
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3 gennaio 1945.  
 
Ancora Gesù e Giuda che, dopo aver pregato nel luogo più vicino al Santo, concesso agli israeliti maschi, escono dal Tempio.  
Giuda vorrebbe rimanere con Gesù. Ma questo desiderio 
trova l'opposizione del Maestro.  
«Giuda, Io desidero di rimanere solo nelle ore notturne. 
Nella notte il mio spirito trae il suo nutrimento dal Padre. 
Orazione, meditazione e solitudine mi sono più necessarie del nutrimento materiale. Colui che vuole vivere per lo spirito e portare altri a vivere la stessa vita, deve posporre la carne, direi quasi ucciderla nelle sue prepotenze, per dare tutte le sue cure allo spirito. Tutti, sai, Giuda. Anche tu, se vuoi veramente essere di Dio, ossia del soprannaturale».  
«Ma noi siamo ancora della terra, Maestro. Come possiamo trascurare la carne dando tutte le cure allo spirito? 
Non è, ciò che dici, in antitesi con il comando di Dio: "Non ucciderai"? In questo non è anche compreso il non uccidersi? 
Se la vita è dono di Dio, dobbiamo amarla o meno?».  
«Risponderò a te come non risponderei ad un semplice, al quale basta fare alzare lo sguardo dell'anima, o della mente, a sfere soprannaturali, per portarselo seco noi in volo nei regni dello spirito. Tu non sei un semplice. Ti sei formato in ambienti che ti hanno affinato... ma che anche ti hanno inquinato con le loro sottigliezze e colle loro dottrine. Ricordi Salomone, Giuda? Era sapiente, il più sapiente di quei tempi. Ricordi che disse, dopo aver conosciuto tutto il sapere? "Vanità delle vanità, tutto è vanità. Temere Dio e osservare i suoi comandamenti, questo è tutto l'uomo". Or Io ti dico che occorre saper prendere dai cibi nutrimento, ma non veleno. E se un cibo lo si comprende a noi nocivo, perché vi sono in noi reazioni per cui quel cibo è nefasto, essendo più forte dei nostri umori buoni che lo potrebbero neutralizzare, occorre non prendere più di quel cibo, anche se è appetitoso al gusto. Meglio semplice pane e acqua di fonte ai piatti complicati della mensa del re, in cui sono droghe che turbano e avvelenano».  
«Che devo lasciare, Maestro?».  
«Tutto quello che sai che ti turba. Perché Dio è Pace e, se ti vuoi mettere sul sentiero di Dio, devi sgombrare la tua mente, il tuo cuore e la tua carne da tutto ciò che pace non è e porta seco turbamento. So che è difficile riformare se stesso. Ma Io sono qui per aiutarti a farlo. Sono qui per aiutare l'uomo a tornare figlio di Dio, a ricrearsi come per una seconda creazione, un'autogenesi voluta dallo stesso. Ma lascia che Io ti risponda a quanto chiedevi, acciò tu non dica che sei rimasto in errore per mia colpa. È vero che l'uccidersi è uguale all'uccidere. Sia la propria o l'altrui, la vita è dono di Dio, e solo a Dio che l'ha data è deferito il potere di toglierla. Chi si uccide confessa la sua superbia, e la superbia è odiata da Dio».  
«La superbia confessa? Io direi la disperazione».  
«E che è la disperazione se non superbia? Considera, Giuda. Perché uno dispera? O perché le sventure si accaniscono su di lui, e lui vuole da sé vincerle e non riesce a tanto. Oppure perché è colpevole e si giudica non perdonabile da Dio.71 Nel primo e nel secondo caso non è forse la superbia che è regina? Quell'uomo che vuole fare da sé non ha più l'umiltà di tendere la mano al Padre e dirgli: "Io non posso, ma Tu puoi. Aiutami, ché da Te io tutto spero e attendo". Quell'altro uomo che dice: "Dio non mi può perdonare", lo dice perché, misurando Dio su se stesso, sa che uno, offeso come egli ha offeso, non potrebbe perdonarlo. Ossia è superbia anche qui. L'umile compatisce e perdona, anche se soffre dell'offesa ricevuta. Il superbo non perdona. È superbo anche perché non sa chinare la fronte e dire: "Padre, ho peccato, perdona al tuo povero figlio colpevole". Ma non sai, Giuda, che tutto sarà perdonato dal Padre, se sarà chiesto perdono con cuore sincero e contrito, umile e volonteroso di risurrezione nel bene?».  
«Ma certi delitti non vanno perdonati. Non possono essere perdonati».  
«Tu lo dici. E vero sarà perché così l'uomo vorrà. Ma in verità, oh! in verità ti dico che anche dopo il delitto dei delitti, se il colpevole corresse ai piedi del Padre - si chiama Padre per questo, o Giuda, ed è Padre di perfezione infinita - e piangendo lo supplicasse di perdonarlo, offrendosi all'espiazione, ma senza disperazione, il Padre gli darebbe modo di espiare per meritarsi il perdono e salvarsi lo spirito».  
«Allora Tu dici che gli uomini che la Scrittura cita, e che si uccisero, fecero male».  
«Non è lecito fare violenza ad alcuno, e neppure a se stesso. Fecero male. Nella loro relativa conoscenza del bene avranno, in certi casi, avuto ancor misericordia da Dio. Ma da quando il Verbo avrà chiarito ogni verità e dato forza agli spiriti col suo Spirito, da allora non sarà più perdonato a chi muore in disperazione. Né nell'attimo del particolare giudizio, né, dopo secoli di Geenna, nel Giudizio finale, né mai. Durezza di Dio questa? No: giustizia. Dio dirà: “Tu hai giudicato, tu, creatura dotata di ragione e di soprannaturale scienza, creata libera, da Me, di seguire il sentiero da te scelto, e hai detto: 'Dio non mi perdona. Sono separato per sempre da Lui. Giudico che devo di mio applicarmi giustizia per il mio delitto. Esco dalla vita per fuggire dai rimorsi”, senza pensare che i rimorsi non ti avrebbero più raggiunto se tu fossi venuto sul mio paterno seno. E, come hai giudicato, abbiti. Io non violento la libertà che ti ho data.’
Questo dirà l'Eterno al suicida. Pensalo, Giuda. La vita è un dono e va amata. Ma che dono è? Dono santo. E allora la si ami santamente. La vita dura finché la carne regge. Poi comincia la grande Vita, l'eterna Vita. Di beatitudine per i giusti, di maledizione per i non giusti. La vita è scopo o è mezzo? È mezzo. Serve per il fine che è l'eternità. E allora diamo alla vita quel tanto che le serva per durare e servire lo spirito nella sua conquista. Continenza della carne in tutti i suoi appetiti, in tutti. Continenza della mente in tutti i suoi desideri, in tutti. Continenza del cuore in tutte le passioni che sanno di umano. Illimitato, invece, sia lo slancio verso le passioni che sono del Cielo: amore di Dio e di prossimo, volontà di servire Dio e prossimo, ubbidienza alla Parola divina, eroismo nel bene e nella virtù. Io ti ho risposto, Giuda. Ne sei persuaso? Ti basta la spiegazione? Sii sempre sincero e chiedi, se non sai ancora abbastanza: sono qui per esser Maestro».  
«Ho compreso e mi basta. Ma... è molto difficile fare ciò che ho compreso. Tu lo puoi perché sei santo. Ma io... Sono un uomo, giovane, pieno di vitalità...».  
«Sono venuto per gli uomini, Giuda. Non per gli angeli. 
Quelli non hanno bisogno di maestro. Vedono Dio. Vivono nel suo Paradiso. Non ignorano le passioni degli uomini, perché l'Intelligenza, che è loro Vita, li fa cogniti di tutto, anche quelli che non sono custodi di un uomo. Ma, spirituali come sono, non possono avere che un peccato, come uno lo ebbe di loro, e seco trascinò i meno forti nella carità: la superbia, freccia che deturpò Lucifero, il più bello degli arcangeli, e ne fece il mostro orripellente dell'Abisso. Non sono venuto per gli angeli, i quali, dopo la caduta di Lucifero, inorridiscono anche solo alla larva di un pensiero d'orgoglio. Ma sono venuto per gli uomini. Per fare, degli uomini, degli angeli.  
L'uomo era la perfezione del creato. Aveva dell'angelo lo spirito e dell'animale la completa bellezza in tutte le sue parti animali e morali. Non vi era creatura che l'eguagliasse. Era il re della terra, come Dio è il Re del Cielo, e un giorno, quel giorno in cui si sarebbe addormentato l'ultima volta sulla terra, sarebbe divenuto re col Padre nel Cielo. Satana ha strappato le ali all'angelo-uomo e vi ha messo artigli di fiera e brame di immondezza e ne ha fatto un che ha più nome di uomo-demone che di uomo soltanto. Io voglio cancellare la deturpazione di Satana, annullare la fame corrotta della carne inquinata, rendere le ali all'uomo, riportarlo ad essere re, coerede del Padre e del celeste Regno. So che l'uomo, se vuole volerlo, può fare quanto Io dico per tornare re e angelo. Non vi direi cose che non poteste fare.  
Non sono uno dei retori che predicano dottrine impossibili. Ho preso vera carne per poter sapere, per esperienza di carne, quali sono le tentazioni dell'uomo».  
«E i peccati?».  
«Tentati, tutti lo possono essere. Peccatori, solo chi vuole 
esserlo».  
«Non hai mai peccato, Gesù?»   
«Non ho mai voluto peccare. E questo non perché sono il Figlio del Padre. Ma questo ho voluto e vorrò per mostrare all'uomo che il Figlio dell'uomo non peccò perché non volle peccare e che l'uomo, se non vuole, può non peccare». 
«Sei stato mai in tentazione?».  
«Ho trent'anni, Giuda. E non sono vissuto in una spelonca su un monte. Ma fra gli uomini. E, anche fossi stato nel più solitario luogo della terra, credi tu che le tentazioni non sarebbero venute? Tutto abbiamo in noi: il bene e il male. 
Tutto portiamo con noi. E sul bene ventila il soffio di Dio e lo avviva come turibolo di graditi e sacri incensi. E sul male soffia Satana e lo accende in rogo di feroce vampa. Ma la volontà attenta e la preghiera costante sono umida rena sulla vampa d'inferno: la soffoca e doma».  
«Ma se non hai mai peccato, come puoi giudicare i peccatori?».  
«Sono uomo e sono il Figlio di Dio. Quanto potrei ignorare come uomo, e mal giudicare, conosco e giudico come Figlio di Dio. E del resto!... Giuda, rispondi a questa mia domanda: uno che ha fame, soffre più nel dire "ora mi siedo al desco", o nel dire  “non vi è cibo per me"?». 
«Soffre di più nel secondo caso, perché solo il sapere che ne è privo gli riporta l'odore delle vivande, e le viscere si torcono nella voglia».  
«Ecco, la tentazione è mordente come questa voglia, Giuda. Satana la rende più acuta, esatta, seducente di ogni atto compiuto. Inoltre l'atto soddisfa e talora nausea, mentre la tentazione non cade ma, come albero potato, getta più robusta fronda».  
«E non hai mai ceduto?».  
«Non ho mai ceduto».  
«Come hai potuto?».  
«Ho detto: "Padre, non mi indurre in tentazione"».  
«Come? Tu, Messia, Tu che operi miracoli, hai chiesto l'aiuto del Padre?».  
«Non solo l'aiuto, gli ho chiesto di non indurmi in tentazione. Credi tu che, perché Io sono Io, possa fare a meno del Padre? Oh! no! In verità ti dico che tutto il Padre concede al Figlio, ma che anche tutto il Figlio riceve dal Padre. E ti dico che tutto quanto sarà chiesto in mio nome al Padre verrà concesso. Ma eccoci al Get-Sammi, dove Io abito. Già sono i primi ulivi oltre le mura. Tu stai oltre Tofet. Già scende la sera. Non ti conviene salire sin là. Ci rivedremo domani allo stesso posto.  
Addio. La pace sia con te».  
«La pace a Te pure, Maestro... Ma vorrei dirti ancora una cosa. Ti accompagnerò sino al Cedron, poi tornerò indietro. 
Perché stai in quel luogo così umile? Sai, la gente guarda a tante cose. Non conosci nessuno in città che abbia una bella casa? Io, se vuoi, posso portarti da amici. Ti ospiteranno per amicizia a me; e sarebbero dimore di Te più degne».  
«Lo credi? Io non lo credo. Il degno e l'indegno sono in tutti i ceti. E senza mancare di carità, ma per non offendere giustizia, ti dico che l'indegno, e maliziosamente indegno, è sovente fra i grandi. Non occorre e non serve esser potenti per esser buoni o per nascondere il peccare agli occhi di Dio. 
Tutto deve capovolgersi sotto il mio segno. E grande non sarà chi è potente, ma chi è umile e santo».  
«Ma per essere rispettato, per imporsi...»  
«E' rispettato Erode? E Cesare è rispettato? No. Sono subìti e maledetti dalle labbra e dai cuori. Sui buoni, o anche solamente nei volonterosi di bontà, credi, Giuda, che saprò impormi più con la modestia che con l'imponenza».  
«Ma allora... spregerai sempre i potenti? Te ne farai dei nemici! Io pensavo parlare di Te a molti che conosco e che hanno un nome...»  
«Io non spregerò nessuno. Andrò ai poveri come ai ricchi, agli schiavi come ai re, ai puri come ai peccatori. Ma se sarò grato a chi darà pane e tetto alle mie fatiche, quale che sia il tetto e il cibo, darò sempre preferenza a ciò che è umile. I grandi hanno già tante gioie. I poveri non hanno che la retta coscienza, un amore fedele, dei figli, e il vedersi ascoltati dai più di loro. Io sarò curvo sempre sui poveri, gli afflitti e i peccatori. Io ti ringrazio del tuo buon volere. Ma lasciami a questo luogo di pace e preghiera. Va'. E Dio ti ispiri ciò che è bene».  
Gesù lascia il discepolo e si interna fra gli ulivi, e ogni cosa finisce.  

a cura del Team Neval

Riflessioni di Giovanna Busolini 

domenica 1 dicembre 2019

TUTTO, MA NON OFFENDERLO



Ho ancora un grande sacrificio da compiere. Devo bere il calice che il Signore mi darà, prima di morire. Che cosa contiene? Non lo so. Ma lo accetto in anticipo.
Non voglio, in ogni caso, offendere Gesù. Preferirei più volentieri morire, e rimanere cento e mille anni in Purgatorio, piuttosto che offenderlo anche solo un poco.

Beata Mirjam di Gesù Crocifisso