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È importante, però, fornire subito, e in via preliminare, qualche chiarimento su alcuni punti dottrinali e disciplinari, per eliminare ogni perplessità riguardo al ruolo e alle responsabilità dei Papi “conciliari” - Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - nella crisi attuale, dato che è fuor di dubbio, come dimostreremo in seguito, che questi Papi abbiano pesantemente favorito la presa di potere nella Chiesa dei Vescovi e dei teologi neomodernisti, a partire dal Concilio Vaticano II, quando addirittura non li hanno elogiati e premiati.
Normalmente, infatti, quando si tenta di far aprire gli occhi a sacerdoti, suore, laici, sulla tragica realtà attuale della Chiesa e sul grave pericolo di perdita della fede, li si vede spesso restare dapprima interdetti, poi increduli, e trincerarsi dietro espressioni del tipo:
“il Papa non può sbagliare”, “è assistito dallo Spirito Santo”, oppure: “bisogna comunque e anzitutto obbedire” perché “l’obbedienza è la prima virtù” e “chi obbedisce non sbaglia mai”, per finire con quelle del tipo: “ma lo Spirito Santo nel Concilio (il Vaticano II, ovviamente) ha stabilito che ... ecc. ecc.”.
Alla fine, spesso, se ne vanno indignati, schedandoti, magari lì per lì solo mentalmente, come un ribelle o, in alternativa, come un ottuso tradizionalista incapace di comprendere l’evolversi dei tempi. Di qui la necessità di esaminare, una volta per tutte, questi argomenti alla luce della dottrina cattolica per verificarne la consistenza. Ed è quello che faremo subito.
Le principali obiezioni che, come abbiamo appena accennato, molti degli allineati al “nuovo corso” ecclesiale rivolgono, in buona o cattiva fede, a coloro che hanno preso posizione contro le “novità” del Vaticano II e del Magistero postconciliare, si possono ridurre sostanzialmente a tre:
1) l’infallibilità papale;
2) l’obbedienza dovuta al Vicario di Cristo;
3) l’autorità dei decreti del Vaticano II che, si sottolinea, essendo stati emanati da un Concilio Ecumenico, sono vincolanti per ogni cattolico.
Si tratta, però, di obiezioni totalmente prive di fondamento. Infatti:
1) Secondo la dottrina cattolica, i casi in cui il Magistero del Papa è infallibile si riducono a due:
a) Quando egli definisce solennemente ex cathedra una verità di fede o di morale17 (Magistero straordinario sempre infallibile). b) Quando egli enuncia una verità che è stata “sempre creduta e ammessa nella Chiesa”18 anche se questa non è esplicitamente e solennemente definita (Magistero ordinario infallibile). L’infallibilità gli deriva, in questo caso, da quella di cui gode la Chiesa stessa.
Ora, a questo proposito:
a) Né Giovanni XXIII, né Paolo VI, né Giovanni Paolo II, né, a tutt’oggi, Benedetto XVI, hanno mai definito alcun dogma di Fede nel corso dei loro Pontificati, e meno che mai riguardo alle “nuove idee” del Vaticano II.
b) Le nuove idee promosse dal loro Magistero - ecumenismo, liberalismo, collegialità democratica - non fanno parte del Magistero costante ed universale della Chiesa, non sono, cioè, dottrine “sempre credute e ammesse nella Chiesa” (si parla, per l’appunto, di novità del Vaticano II): si tratta dunque, in questo caso, di Magistero ordinario solo autentico, cioè non garantito dall’infallibilità.
Ne deriva che non ci si può appellare in nessun modo, se non abusivamente, al dogma dell’infallibilità del Papa per reclamare un’adesione cieca ed incondizionata dei fedeli alle nuove dottrine del Magistero papale postconciliare.
2) Ancor meno ci si può appellare al dovere dell’obbedienza. Le suddette novità del Magistero dei Papi “conciliari”, infatti, non solo mancano di ogni garanzia d’infallibilità, ma soprattutto sono dottrine già esplicitamente e ripetutamente condannate - come vedremo in seguito - dal precedente e costante Magistero della Chiesa.
E neppure il Papa, o un Concilio ecumenico, possono lecitamente esigere obbedienza, né esplicita né tacita, ad un corso ecclesiale come quello attuale che propaganda idee e prassi già condannate dalla Chiesa stessa, per il semplice fatto che essi non possono legittimamente ordinare ai fedeli di accettare, neppure in maniera passiva, ciò che la Chiesa stessa, per bocca di una lunga serie di Papi e di Concili, ha già giudicato e condannato ufficialmente come errore e male.
Ecco come riassume la dottrina cattolica in materia, un classico e noto Dizionario di Teologia Morale:
«Essendo l’autorità dei Superiori limitata, anche il dovere di obbedire ad essi ha dei limiti. È chiaro che non è mai lecito obbedire a un Superiore, che comandi una cosa contraria alle leggi divine o ecclesiastiche; si dovrebbe allora ripetere la parola di San Pietro: “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (Atti 5, 29) (...) Si pecca contro l’obbedienza per eccesso, obbedendo in cose contrarie a una legge o a un precetto superiore: in questo caso si ha il servilismo».19
Qualora poi, per di più, fossero in pericolo la conservazione della Fede, la salvezza delle anime e la sussistenza stessa della Chiesa, bisognerebbe anche reagire apertamente, come insegna San Tommaso d’Aquino, il quale riporta proprio l’esempio, che si attaglia perfettamente al nostro caso, del momentaneo cedimento del primo Papa:
“Si deve tuttavia sapere - scrive il Dottore Angelico - che qualora ci fosse imminente pericolo per la fede, i prelati dovrebbero essere rimproverati dai sudditi anche pubblicamente. Per cui anche Paolo, che era suddito di Pietro, rimproverò pubblicamente Pietro a causa dell’imminente pericolo di scandalo riguardo alla fede; e, come dice il Commento di Agostino (Gal.2), “lo stesso Pietro offrì un esempio ai superiori, affinché se avessero per caso in qualche occasione abbandonato la retta via, non disdegnassero di essere rimproverati dagli inferiori”.20
E, nel suo Commento alla Lettera ai Galati, lo stesso San Tommaso ribadisce:
“… il rimprovero era giusto ed utile e il suo motivo grave, ossia un pericolo per la preservazione della verità evangelica (...).
Il modo fu appropriato perché pubblico e manifesto (...). Nella prima Lettera a Timoteo leggiamo: “Chi sbaglia, rimproveralo davanti a tutti”. Questo deve intendersi delle colpe manifeste, e non di quelle occulte.”.21
3) Riguardo infine al Concilio Vaticano II, fonte ufficiale dell’attuale disastro ecclesiale, è assolutamente necessario ricordare quanto dichiarato dallo stesso Paolo VI che lo portò a termine. Il Concilio Vaticano II, precisò infatti quel Papa, “ha evitato di dare definizioni dogmatiche solenni, impegnanti l’infallibilità del magistero ecclesiastico”.22
Realtà che anche l’allora card. Ratzinger è stato costretto ad ammettere:
“La verità è che lo stesso Concilio (Vaticano II) non ha definito nessun dogma ed ha voluto in modo cosciente esprimersi ad un livello più modesto, meramente come Concilio pastorale”.23
Riassumendo:
a) non è assolutamente in questione il dogma dell’infallibilità papale, ma si contestano alcuni punti del magistero ordinario non infallibile, del Papa (nel quale non è escluso, almeno in linea di principio, che egli possa sbagliare), contestazione che può farsi in presenza di gravi e documentati motivi;
b) questi motivi esistono, perché non si può obbedire, e neppure adeguarsi passivamente, a direttive che vogliono farci approvare ciò che il Magistero della Chiesa ha sempre condannato, ossia a direttive che ci chiedono di rinnegare, anche solo tacitamente, la verità dottrinale e di tacere di fronte al sabotaggio della fede e alla rovina delle anime;
c) non ci si può appellare in alcun modo all’autorità del Vaticano II, il quale non ha definito nessun dogma, e meno che mai lo ha fatto a riguardo delle novità oggetto di contestazione (principalmente l’ecumenismo, la collegialità episcopale e la democrazia nella Chiesa, la libertà religiosa e la laicità degli Stati), e riguardo al quale valgono, a maggior ragione, le stesse considerazioni fatte circa l’autorità del Papa.
Tutto questo è sufficiente anche per dissolvere, come nebbia al sole, il solito sofisma che viene regolarmente riproposto ai critici del Vaticano II, in base al quale se la Chiesa sbagliasse oggi, potrebbe aver sbagliato anche in passato, e dunque non sarebbe più credibile né infallibile. È facile rispondere, infatti, che il magistero del Vaticano II e quello postconciliare, per quanto riguarda le già citate “novità”, è un magistero non infallibile, che si contrappone al precedente magistero infallibile della Chiesa, sia ordinario che straordinario, dunque il paragone non regge.
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sac. Andrea Mancinella