Vedere che un Tizio, senz'accorgersene, è minacciato da un pericolo gravissimo e imminente, e non avvertirlo, è cosa affatto disumana. Ora, la stessa qualifica meriterebbero coloro che sono attorno a un infermo colpito da malattia mortale, a rapido decorso, e volutamente si astengono dal rivelarglielo, anzi fanno di tutto, mediante la sciagurata "bugia pietosa", per illuderlo. "Per non impressionarlo", dicono. E intanto non temono d'impressionarlo convocando attorno a lui altri medici, oltre l'ordinario, e specialisti per tenere consulti urgenti, seguiti forse da immediati interventi.
In una circostanza così tremendamente seria, quando il tempo sta per sciogliersi nell'eternità, non si pensa al torto che s'infligge a un tale ammalato. Si dimentica che egli è soggetto di diritto, e se si affida ad esperti per conoscere la diagnosi esatta del suo male, ha un diritto inalienabile di sapere, nel modo più conveniente, si capisce, il suo vero stato di salute. La formula sistematica della simulazione e dell'inganno viola interessi maggiori dell'infermo, mette in pericolo beni radicali, definitivi ed eterni del paziente. Egli può aver assoluto bisogno di mettersi in regola con Dio, di regolare situazioni che implicano ingiustizie e peccati.
E' dovere quindi dei parenti, dei sanitari, del sacerdote, a cui si può affidare l'incarico, di dirgli con graduale delicatezza la verità, profittando del tempo ancora disponibile, ma prima che non sia troppo tardi. Se tale rivelazione può esser dolorosa, ha pure in sé un contenuto di ricchezze incalcolabili per chi muore e per chi resta: per quello la serenità di un preparato incontro con Dio, per questi la pace della coscienza. Farsi cooperatori di una condanna eterna non è certo pietà e benevolenza, ma crudele tradimento! E dicasi lo stesso di quelli che impediscono a un malato, per lasciarlo tranquillo... gli ultimi sacramenti.
RICORDA: "Se c'è un momento in cui l'uomo ha bisogno di conoscere quel che succede, per quanto amaro sia, è proprio quello che precede la morte. Potrebbe avere qualcosa di decisivo da dire e da fare per sé o per gli altri che, una volta spirato, non potrebbe più né dire ne fare. E forse, da quel qualcosa di decisivo potrebbe acquistare un significato un'intera esistenza apparentemente insignificante" (G. K. Chesterton, La sfera e la Croce).
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