I Santi e la provvidenza
Nella vita dei santi vediamo molti fatti provvidenziali dei quali Dio si servì per chiamarli ad una vita più santa.
San Giovanni da Capistrano (1384-1456) era governatore della città di Perugia. Quando scoppiò la guerra con quelli di Rimini, fu incarcerato. Tentando di evadere, si fratturò un piede, dovette rimanere in carcere, ed ebbe molto tempo per riflettere. Quando fu rimesso in libertà non volle più dedicarsi alle cose del mondo, poiché quel periodo in carcere fu per lui un tempo di grazia, che lo convinse della fugacità della vita. Per questo decise di dedicare la sua vita a Dio, si fece religioso francescano e diventò un grande santo.
Qualcosa di simile possiamo dire di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), che durante il tempo in cui dovette restare inattivo, per essere stato ferito a Pamplona, si dedicò a leggere libri spirituali, che gli fecero lasciare la vita militare per dedicarsi completamente e per sempre a Dio.
Nella vita di san Giovanni della Croce (1542-1591), il tempo che trascorse in carcere fu per lui il tempo di maggior sofferenza, ma anche il tempo in cui Dio lo portò alle più elevate vette dello spirito e fu allora che scrisse le sue migliori poesie mistiche.
Considerato che ogni santo è un caso particolare e Dio lo guida in modo personale, comunque possiamo dire che, in tutti loro si manifesta in modo evidente la presenza e l’amore di Dio fino al punto di prendersi il gusto di farli santi, secondo il progetto che lui aveva per ognuno da tutta l’eternità. Dio non improvvisa, ha tutto programmato dall’eternità e lo realizza nella misura in cui noi, liberamente e coscientemente, collaboriamo con la sua provvidenza.
Per San Francesco di Borja († 1572), la vista del cadavere dell’imperatrice di Spagna, decomposto e maleodorante, fu il motivo determinante per rinunciare alla vita mondana e dedicarsi ad un re che non sarebbe mai morto.
Santa Teresa di Gesù (1515-1582) ci racconta come nella sua vita fu gravemente inferma, rimase anche tre giorni come morta e per tre anni, dal 1539 al 1542, paralitica. Ma tutto questo fu una provvidenza divina per convertirla totalmente al suo amore. Dice: “Ero all’estremo della debolezza, solo le ossa resistevano. Questo durò più di otto mesi, ma rimasi paralizzata per quasi tre anni, anche se con migliramenti. Quando cominciai a muovermi a gattoni, ringraziai Dio. Tutto sopportai con grande rassegnazione, anche se all’inizio non con molta gioia, per i grandi dolori e tormenti. Aderivo profondamente alla volontà di Dio, anche se mi avesse lasciata così per sempre” (Vita, 6, 1).
ángel Peña
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