Un altro fatto assai impressionante si legge nelle cronache domenicane a proposito del fuoco del Purgatorio (v. Ferdinando di Castiglia, Storia di S. Domenico, 2a parte, libro I, cap. a3). A Zamora, città del regno di Leon in Spagna, viveva in un convento di Domenicani un buon religioso, legato in santa amicizia ad un Francescano, uomo anch'egli di esimia virtù. Un giorno in cui i due frati s'intrattenevano fra loro di cose spirituali, si promisero scambievolmente che il primo che fosse morto sarebbe apparso all'altro, se cosa Dio fosse piaciuto, per informarlo della sarte toccatagli nell'altro mondo. Morì per primo il Francescano e, fedele alla sua promessa, apparve un giorno al religioso Domenicano mentre stava preparando il refettorio, e dopo averlo salutato con straordinaria benevolenza, gli disse di essere bensì salvo, ma che gli rimaneva ancora molto da soffrire per una infinità di piccoli falli, dei quali non si era emendato durante la vita. Poi soggiunse: - Niente v'è sulla terra che possa dare un'idea delle mie pene. - E perché l'amico ne avesse una prova, il defunto stese la destra sulla tavola del refettorio, dove l'impronta rimase così profonda, quasi vi avessero applicato sopra un ferro rovente. Quella tavola si conservò a Zamora fino al termine del ‘700, epoca nella quale le rivoluzioni politiche la fecero sparire insieme con tanti altri ricordi di pietà dei quali abbondava l'Europa.
«Usque ad novissimum quadrantem!»
Ma forse, dirà qualcuno, supplizi così atroci saranno riservati ai grandi peccatori o a coloro che avendo accumulato quaggiù in terra colpe su colpe, si convertono solo in punto di morte senza far penitenza dei loro falli. Purtroppo non è così: i fatti sopra narrati e quelli che stiamo per raccontare dimostrano proprio il contrario, che saranno cioè puniti anche i falli leggeri, anche le mancanze che crediamo trascurabili e nelle quali cadiamo tanto spesso e tanto volentieri, illudendoci di non doverne pagare poi pena alcuna nell'altra vita.
Sac. Luigi Carnino,
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