lunedì 20 settembre 2021

I SEGNI DEI TEMPI -

 


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(2) Non ci sono miracoli, né Gesù ha fatto miracoli. (3) La teoria dell'evoluzione è vera. (4) I sacramenti non sono necessari, (5) Gesù è ancora lontano. 

(6) Gesù non tornerà... e questo, se tornerà? e molti altri, di cui parleremo più avanti. 

Fortunatamente Dio ha permesso che così come ci sono molti del clero che sbagliano, ce ne sono altri ispirati da Dio e assistiti dalla Madonna che lottano per avvertire l'umanità e la Chiesa della vicinanza di nostro Signore Gesù e della necessità di prepararsi a riceverlo. Tra i più noti portavoce di questa crociata c'è padre Stefano Gobbi, un amico molto speciale di Sua Santità Giovanni Paolo II, che da diversi decenni forma i Cenacoli di Preghiera, soprattutto con sacerdoti e suore devoti alla Beata Madre del nostro Redentore. E molti altri preti e suore che passano quasi inosservati, perché Satana e il mondo da lui dominato non vogliono che queste cose siano rese pubbliche, ed è per questo che coloro che parlano di questi argomenti escatologici non sono così popolari e riconosciuti come quelli che hanno distorto il Santo Vangelo, ma il mondo li riconosce come grandi pensatori e sono continuamente oggetto di incentivi e premi intellettuali. 

Quest'opera: "Profezie bibliche, capire i segni della fine dei tempi" si basa anche sull'analisi degli eventi storici e politici, passati e presenti, così come le profezie e i pronostici di altri uomini santi e soprattutto i messaggi della Vergine Maria che ci appare continuamente. 

Tutto questo ci porta alle conclusioni logiche che stiamo per dare, ma soprattutto abbiamo chiesto la luce dello Spirito Santo per guidarci alla verità. 

Noi crediamo che sia la Volontà del Signore Gesù di ricordare all'umanità che è tempo per loro di cambiare rotta, perché la notte avanza, il giorno è vicino (Rom. 13, 11-14) e che dopo tutto, queste sofferenze e catastrofi purificheranno l'umanità, per il bene dell'umanità e per l'istituzione di un nuovo ordine sociale, politico ed economico, sotto il regno di Cristo Gesù, nostro Re e Signore, dove l'uomo sarà riportato alla sua condizione originale di figlio di Dio e dove non ci sarà più ingiustizia, miseria e sofferenza come è attualmente. 

È anche importante notare che molte persone non credono nemmeno nella Seconda Venuta di Cristo e nel tempo della fine di questo sistema malvagio, perché da molto tempo questa notizia è stata propagata in modo falso e irresponsabile. Così, per esempio, per citare i fatti più recenti: fin dalla nascita del movimento religioso avventista nel XIX secolo, gli avventisti hanno detto che la fine del mondo era imminente. Lo stesso hanno fatto i Testimoni di Geova che sono apparsi poco dopo i primi; sono andati in giro a vociferare che la fine stava arrivando in una data tale e quale, instillando la paura tra le persone che li ascoltavano, e quel che è peggio, contraddicendo le parole stesse di Gesù, hanno osato dare date precise di questo evento. Allo stesso modo hanno agito i mormoni e altre sette, falsi profeti e visionari che non hanno fatto altro che servire gli interessi di Satana, confondendo e dividendo i cristiani. 

Se analizziamo questo atteggiamento irresponsabile delle sette, arriveremo alla conclusione che è l'opera dello stesso nemico di Dio, con lo scopo di seminare il dubbio e la totale indifferenza verso questo importantissimo evento che deve avvenire; perché c'è un Piano di Redenzione per l'umanità concepito ed eseguito da Dio. 

D'altra parte, quest'opera discute e specula anche su quei segni misteriosi ma chiari come la luce del giorno che molti non vogliono vedere; segni e avvertimenti che la Vergine Maria ha dato all'umanità come precursore di Cristo nella sua seconda venuta, e naturalmente, le predizioni dei profeti del Vecchio e Nuovo Testamento, le promesse di Gesù, e di alcuni santi e veggenti cristiani.  

Ci sono anche segni già predetti che si verificheranno prima della fine, segni così evidenti che è impossibile nasconderli, come l'avanzata del male su tutti i fronti e in tutti gli aspetti della vita umana. L'attacco frontale all'istituzionalità della famiglia, alla vera Chiesa, ai valori morali ed etici; la difesa delle peggiori aberrazioni e crimini come l'aborto, l'omosessualità, il terrorismo, il materialismo, il satanismo, la stregoneria e altri mali. Tutti questi costituiscono alcuni degli aspetti e dei segni dei tempi recenti che vedremo nello sviluppo di questo trattato. 

Allo stesso modo, non possiamo tralasciare gli eventi in Palestina, perché sono di vitale importanza per la comprensione delle profezie riguardanti il futuro di questo pianeta. 

La prima parte di questo libro è una breve spiegazione del perché viviamo in un mondo pieno di male, sofferenza, ingiustizia, malattia e morte, seguita dal piano di redenzione che Dio ha preparato, al fine di comprendere meglio la seconda, terza e quarta parte, i cui temi hanno più a che fare con gli eventi attuali e futuri predetti da Gesù e dai suoi profeti. 

Dio conceda che questo umile lavoro possa risvegliare molti dal letargo, dall'indifferenza e dall'illusione in cui si trovano, e infondere loro coraggio e gioia; poiché, sebbene stiano per accadere eventi molto terribili che causeranno paura e terrore, il Signore Gesù sarà presto qui sulla terra per cambiare questo opprimente e doloroso modo di vivere, pieno di miseria e sofferenza; liberandoci da ogni influenza malefica. Perché solo quando Lui sarà qui, le Beatitudini si realizzeranno, i poveri in spirito erediteranno il Regno dei Cieli, i miti possederanno la Terra, gli afflitti saranno consolati, coloro che hanno fame e sete di giustizia saranno soddisfatti, i puri di cuore vedranno Dio... (Mt. 5, 1-12). 

Spero nel nome di Gesù, nostro Signore, che questo libro adempia il suo scopo e apra i vostri occhi ai grandi eventi della fine dei tempi; ma soprattutto che adempia la sua missione primaria di portare una sincera conversione e un totale abbandono a Gesù e di lavorare per propagare il Suo Santo Vangelo per la salvezza delle anime. 

Scritto da padre Ernest Ben Odevecq 

LA CITTÀ DI DIO

 


...la perdita delle ricchezze... 

10. 2. Torniamo a quelli che hanno perduto le ricchezze nel  saccheggio di Roma. Se le consideravano come hanno udito da  questo uomo povero nel corpo ma ricco nella coscienza, cioè se  usavano del mondo come se non ne usassero 33, han potuto dire  come Giobbe gravemente tentato ma non vinto: Sono uscito nudo  dal grembo di mia madre e nudo tornerò alla terra. Il Signore ha  dato, il Signore ha tolto, è avvenuto come è piaciuto al Signore; sia  benedetto il nome del Signore 34. Da buon servo dovette  considerare come grande ricchezza lo stesso volere del suo Signore,  obbedendogli si arricchì nello spirito, non si addolorò perché da vivo  fu abbandonato da quelle cose che, morendo, in breve avrebbe  abbandonato. I più deboli poi che con una certa avidità si erano  attaccati ai beni terreni, sebbene non li preponessero a Cristo, hanno esperimentato perdendoli fino a qual punto peccavano  amandoli. Infatti sono stati tanto addolorati quanto si erano  impigliati in dolori, secondo il detto dell'Apostolo che dianzi ho  citato. Era infatti necessario che intervenisse l'insegnamento delle  prove per individui, da cui a lungo era stato trascurato quello delle  parole. Infatti quando l'Apostolo dice: Coloro che vogliono diventar  ricchi incorrono nella tentazione, eccetera, certamente riprova nelle  ricchezze l'amore disordinato, non la facoltà di averle perché in un  altro passo ha ordinato: Comanda ai ricchi di questo mondo di non  atteggiarsi a superbia e di non sperare nelle ricchezze fallibili, ma  nel Dio vivo che generosamente ci dà a godere tutte le cose;  agiscano bene, siano ricchi nelle opere buone, diano con facilità,  condividano, mettano a frutto un buon stanziamento per il futuro  allo scopo di raggiungere la vera vita 35. Coloro che trattavano così  le proprie ricchezze hanno compensato lievi danni con grandi  guadagni e si sono più rallegrati delle ricchezze che dando con  facilità hanno conservato più sicuramente che contristati di quelle  che tenendo strette per timore hanno perduto con tanta facilità. È  avvenuto che è stato perduto sulla terra ciò che rincresceva  trasferire altrove. Vi sono alcuni che hanno accolto il consiglio del  loro Signore che dice: Non accumulatevi tesori sulla terra perché in  essa la tignola e la ruggine distruggono e i ladri scassano e rubano,  ma mettete a frutto per voi un tesoro nel cielo perché in esso il  ladro non arriva e la tignola non distrugge. Dove infatti è il tuo  tesoro, lì sarà anche il tuo cuore 36. Costoro nel tempo della  sventura hanno provato quanto furono saggi nel non disprezzare il  maestro più veritiero e il custode più fedele e insuperabile del  proprio tesoro. Perché se molti si son rallegrati di avere le proprie  ricchezze dove per puro caso il nemico non giunse, quanto più  tranquillamente e sicuramente poterono rallegrarsi coloro che per  consiglio del proprio Dio le hanno trasferite là dove non poteva  assolutamente giungere. Per questo il nostro Paolino, vescovo di  Nola, da uomo straordinariamente ricco divenuto volontariamente  poverissimo e santo di grande ricchezza, quando i barbari  saccheggiarono anche Nola, fatto prigioniero, così pregava in cuor  suo, come abbiamo appreso da lui personalmente: O Signore, fa'  che non mi affligga per l'oro e l'argento; tu sai dove sono tutte le  mie cose. Aveva tutte le sue cose in quel luogo, in cui gli aveva  insegnato ad accumularle e metterle a frutto colui il quale aveva  preannunciato che simili mali sarebbero avvenuti nel mondo. E per  questo coloro che avevano obbedito al consiglio del proprio Signore sul luogo e il modo con cui dovevano riporre il tesoro, nelle  incursioni dei barbari non perdettero neanche le ricchezze della  terra. Ma quelli che han dovuto pentirsi di non avere ascoltato che  cosa si doveva fare dei beni terreni, hanno imparato se non in base  alla saggezza che doveva precorrere, certamente in base  all'esperienza che ne seguì. 

Sant'Agostino

TEMPO ED ETERNITÀ

 


Che cosa sia l'eternità secondo l'insegnamento di San Gregorio Nazianzeno e San Dionigi. 


Cominciamo dunque a dare una qualche spiegazione di ciò che è inesplicabile, per formarci un qualche concetto di ciò che è incomprensibile, affinché i cristiani, conoscendo meglio o ignorando meno ciò che è eterno, temano di commettere una colpa o di lasciare un'opera di virtù, tremando al pensiero che in cambio di beni tanto da poco, come sono quelli della terra, si sperperino beni tanto grandi, come sono quelli del cielo. 

Vedendo Agrippina Romana lo sperpero di suo figlio, che profondeva oro e argento come se fosse acqua volle correggere la sua prodigalità. Una volta che il figlio aveva ordinato di preparargli la quarta parte circa di un milione, la madre fece mettere insieme altrettanto danaro, lo fece stendere su vari tavoli, per mostrarlo tutto insieme al figlio,  perché questi, vedendo coi suoi occhi la somma che così temerariamente aveva sprecato, si moderasse nella sua prodigalità. 

Lo spreco e la pazzia degli uomini non trovano altri rimedi; bisogna mettere dinanzi ai loro occhi ciò che perdono per un piacere contro la legge di Dio. 

Infatti per una cosa molto piccola perdono ciò che è senza fine, ciò che deve durare sempre, insomma ciò che è eterno. Però chi potrà spiegare questo? L'eternità è un oceano immenso di cui non si può trovare il fondo; è un abisso oscurissimo nel quale si perde ogni intelletto umano; è un labirinto intricato donde nessuno può uscire; è uno stato perpetuo senza passato e senza futuro; è un circolo continuo il cui centro sta in tutte le parti e la circonferenza in nessuna; è un anno grande che sempre incomincia e mai tocca la fine; e ciò che non si può comprendere e sempre si deve conoscere e pensare. Ma perché possiamo dirne qualcosa ed apprendiamo ciò che è incomprensibile, sentiamo come la definiscono i santi. 

  

L'eternità secondo San Gregorio Nazianzeno . 

San Gregorio Nazianzeno non sa dire cosa sia l'eternità, ma solo ciò che non è, e scrive: L'eternità non è tempo, né parte del tempo, (Oratio in Christi Nativitate, 38) perché il tempo e le sue frazioni passano, mentre l'eternità non passa. Tutti i tormenti che un'anima condannata all'inferno patisce in principio, tanto terribili e vivi la tormentano dopo milioni di anni, e di tutti i piaceri che un'anima giusta prova quando entra nel cielo non ne verrà meno poi uno solo. Il tempo ha questo di proprio che ci assuefà alle cose e le diminuisce, perché di ciò che in  principio ci pareva nuovo perdiamo poi la sensazione. L'eternità invece è sempre intera, è sempre la stessa, nulla si cambia. I dolori con i quali comincia il dannato, dopo mille secoli sono ancora fiammanti e nuovi, la gloria che nel primo istante riceve chi si salva gli sembra sempre recente. L'eternità non ha parti, è tutta d'un pezzo, non si dà in essa né diminuzione, né difetto. Benché i piaceri di questa vita, che vanno col tempo, siano di tale natura da diminuire col tempo, sì da non avervi in questo mondo piacere che col lungo andare non si cangi in pena, così per il contrario, le pene col tempo diminuiscono e si curano. L'eternità ha una tela ben differente; tutto è uniforme, non vi è gioia che stanchi, né pena che scemi. 

  

L’eternità secondo San Dionigi. 

Secondo San Dionigi Areopagita ( De divinis nominibus, cap. 10) l'eternità è immutabilità, immortalità, incorruttibilità di una cosa che tutta esiste in un istante che non apparisce, ma che sempre è nello stesso modo. Dice il Savio: Dove cadrà il tronco ivi resterà (Eccle, 11, 3). Se cadrai come tizzone infernale nel profondo dell'abisso, ivi starai ardendo come sei caduto e nessuno verrà a levarti finché Dio sarà Dio; là starai senza poterti voltare da un lato all'altro. 

L'eternità è immutabile, perché con essa non è compatibile mutazione alcuna; è immortalità, perché non ha fine; è incorruttibilità, perché non avrà mai diminuzione. I mali di questa vita, per quanto possa essere disperato il trovarne rimedio, non difettano però della possibilità di trovarlo. Con il loro mutarsi sì alleviano, con la morte finiscono, con la corruzione diminuiscono. Tutto questo manca  ai mali eterni, i quali non avranno mai il sollievo del loro mutarsi, né il rimedio del loro finire, né la consolazione del loro diminuire. Mutare il lavoro suole essere un riposo. Un malato per quanto sia angosciato, si solleva col voltarsi da un Iato all'altro. I mali eterni invece in un medesimo punto e con la medesima intensità dureranno, finché Dio sarà Dio, senza modo alcuno di mutarsi. Se il cibo più gustoso e salutare del mondo, che fu la manna, solo perché fu continuo, causò nausea e vomito, quale tormento causeranno le pene che continueranno sempre e rimarranno sempre le medesime? 

Il mare ha il suo flusso e riflusso, i fiumi hanno le loro piene, i pianeti le loro posizioni diverse, l'anno ha le sue stagioni, le febbri maggiori hanno la loro decrescenza, ed anche i dolori, arrivati al sommo dell'acutezza, diminuiscono. Solo le pene eterne non avranno decrescimento e non vedranno mutazione. 

L'andar per una strada tutta piana, che sembra la meno faticosa, suole stancare, perché manca la varietà; quanto stancheranno il cammino dell'eternità quei dolori perpetui che non possono mutarsi né arrivare alla fine, né subire diminuzioni? Quelli che furono i tormenti di Caino tanti mila anni fa, lo sono ancora oggi, e ciò che sono oggi, lo saranno per altrettanti anni. Le frazioni del tempo si computano coll'eternità di Dio, e la durata della infelicità con quella della gloria di Dio. E finché Dio vive, essi lotteranno con la morte e moriranno in tutti gl'istanti. Quella morte dura eternamente e quella vita miserabile uccide, perché ha tutto il peggiore della vita e della morte. Vivono questi miserabili per patire e muoiono per non godere; non hanno il riposo della vita, né il termine della morte, ma per maggior tormento proprio hanno il tormento della morte e la durata della vita. 

Guarda invece quanto felice è la sorte di coloro che muoiono in grazia di Dio. La loro gloria sarà  immortale, senza timore che abbia a terminare. La loro fortuna sarà immutabile e non potrà invecchiare; la loro corona sarà incorruttibile e non potrà marcire. Non passerà giorno senza godere, e sempre la contentezza sarà nuova e la loro gloria rinverdirà sempre per tutta l'eternità. Perciò la felicità sarà sempre nuova; onde la gloria che San Michele aveva tante migliaia d'anni fa, è oggi ancora la stessa, e quella che oggi ha, sarà ancora nuova, dopo sei milioni di anni, come oggi. 

P. Gian Eusebio NIEREMBERG S. J.

GENESI BIBLICA EVOLUZIONE O CREAZIONE? CAINO E’ LA CHIAVE DEL MISTERO

 


Vita di Don Guido Bortoluzzi  


La visione dell’apparizione della Madonna ai tre pastorelli a Fatima, il 13 ottobre  1917,  avuta da don Guido a 10 anni  

Di lì a poco ci fu un altro episodio che vagamente si ricollega a quello precedente per  via di quel famoso berretto e che ricorderà da adulto con molta commozione in un altro  brano autobiografico.  

C’è un rapporto misterioso tra una visione che ho avuto il 13 ottobre 1917 all’età di  dieci anni e il fatto straordinario accaduto lo stesso giorno a Fatima in Portogallo.  

Quel giorno mi trovavo a giocare a nascondino con un amico in una stalla vuota di  animali, presso casa mia. Egli mi tolse il berretto, lo gettò sul selciato e vi buttò sopra  una bracciata di foglie secche tolte da un grande mucchio addossato alla parete,  sfidandomi di trovarlo entro lo spazio di un’Ave Maria.  

– Adesso trova il tuo berretto – disse.  

– Lo troverò – risposi – a costo di passare le foglie ad una manciata alla volta. –  

Trovato il berretto, toccò a me nasconderlo. A turno egli si voltò dalla parte opposta,  mentre nascondevo il berretto sotto un mucchio più grande di foglie. Il gioco continuò  con sfida alterna. Ad un nuovo turno mio, il berretto si trovò sotto un mucchio di foglie  alto quanto la mia statura.  

La campana suonò l’Ave Maria di mezzodì e l’amico scappò via.  

Introducendo il braccio tra il fogliame, non riuscivo più a pescare nel fondo il  berretto come le altre volte. Non si trovava più al centro della base del cumulo. Dovetti  adattarmi a prendere una bracciata alla volta di quelle foglie e riportarle nel mucchio grande. Quel berretto, comprato qualche mese prima per me, mi aveva recato una  grande gioia quando mi venne regalato da mamma. Portava sul davanti, sopra il  frontino, un’aquila di metallo dorato con le ali aperte, ma era stato ridotto ad un cencio  durante il furioso temporale di qualche giorno prima, quando lo perdetti in montagna e  rischiai di perdere insieme anche la vita.  

Faticai quel mezzodì del 13 ottobre a trovare il berretto nascosto per gioco e intanto  meditavo sul terrore di quella sera, delle mie grida di aiuto alla Madonna, sul miracolo  dei lampi che mi salvarono, e sulla mia promessa...  

Quando ritrovai il berretto, ebbi d’improvviso la visione che la Madonna stava  apparendo a dei bambini grandi più o meno come me e vidi che stava compiendo un  miracolo2.  

Temendo d’esser creduto un visionario, tenni il segreto per me. In casa chiesi a  mamma se era successo qualcosa di importante nel mondo. Andò a prendere il giornale.  Nulla. Il dì seguente mi disse che tutti i giornali parlavano di Fatima e dei tre fanciulli.  

Molte volte, guardando quel berretto che ancora conservo, penso a quella visione... .   


Nel frattempo era venuta la guerra e con essa la fame.  

Dopo che l’affezionatissima nonna era morta, i due figli più piccoli, Guido e Giulio,  vennero mandati a Tambre d’Alpago, paese di origine dei genitori, da uno zio che faceva  il contadino, perché lo aiutassero in campagna e nella stalla in cambio di un piatto sicuro.  Giulio fu riportato a casa dopo poco tempo perché era sempre in lacrime per la nostalgia.  Guido invece rimase lì, salvo brevi intervalli, per quasi tre anni, ben voluto e ben nutrito.  Tornò a casa più forte e più sano.  


2 La visione fu solo visiva, non uditiva. Ciò che il piccolo Guido vide fu l’apparizione della Madonna ai tre  pastorelli e il miracolo del sole che in quello stesso giorno a Fatima prese a girare davanti a migliaia di  persone. Una curiosità: don Guido è nato nel 1907, lo stesso anno di Sr. Lucia di Fatima.  

3 Il ricordo della visione del 13 ottobre del 1917 fece pensare a don Guido, una volta concluse le rivelazioni,  che ci fosse una relazione fra queste e il terzo segreto di Fatima, visto che la Madonna li aveva in qualche  modo associati.  

 

Nemmeno questa lunga assenza fu sufficiente a fargli recuperare l’affetto della madre  che in quel periodo aveva visto solo tre volte nonostante la sua casa distasse appena 8 km  da quella dello zio: forse assomigliava troppo a sua nonna Caterina che lei non  sopportava.  

Il Cappellano di Farra lo notò per la sua bontà e correttezza e, benché appena  dodicenne, gli affidò l’incarico di catechista ad una trentina di compagni in vista della  Prima Comunione. Gli impartì anche i primi elementi di latino.  

Di lì “...l’invito del parroco ad entrare in Seminario, poi la Cresima, l’abbraccio del  Vescovo Cattarossi, gli studi...”.  

Nel 1920 partì per Feltre, dove il Seminario aveva solo le classi inferiori.  

Furono anni duri, in cui patì il freddo e la fame. Vi furono reclami da parte di  seminaristi e genitori e, dopo successivi controlli della Curia Vescovile di Belluno, le cose  andarono meglio.  

Nel Seminario di Feltre ebbe le prime due predizioni riguardanti le future “rivelazioni  che avrebbe ricevuto da anziano dal Signore sulla Genesi Biblica”.  

La terza la ebbe nel Seminario di Belluno e l’ultima quando già era Cappellano a Dont,  piccolo paesino della Val Zoldana.  

Prima però accadde un fatto strano che lasciò perplesso don Guido:  

“Padre Anselmo e Padre Emidio, francescani venuti da lontano, dopo aver predicato  una grande missione al mio paese nel 1921, vennero a cercarmi al Santuario di San  Vittore, vicino a Feltre, dove mi trovavo a passeggio con i miei compagni di Seminario, e  insistettero perché andassi con loro per farmi frate”.  

Proposero al giovane Guido una borsa di studio che comprendeva l’intera retta per  tutti gli anni del Seminario: vitto, alloggio, libri, tasse scolastiche e la promessa della  consacrazione anticipata di un anno rispetto alla data prevista dai corsi regolari e quindi la  possibilità di celebrare la Messa dodici mesi prima. Insistettero a lungo e con tanta  benevolenza. Guido, allora quattordicenne, ne fu entusiasta perché provava una grande  fiducia per questi Padri. Tornato in Seminario, andò di filata nello studio del Rettore per  comunicargli la notizia. Ma questi gli disse in modo perentorio che, se anche fosse uscito  solo per prova, non avrebbe più rimesso piede nel Seminario di Feltre. Gli ricordò i grandi  sforzi economici fatti dalla sua famiglia e la riconoscenza che egli doveva ai suoi parenti e  ai Superiori e si fece promettere che avrebbe declinato l’invito.  

Guido passò un giorno e una notte in grande angoscia, combattuto dal desiderio di  seguire i padri francescani e la promessa fatta al Rettore e finì per rinunciare. “Dissi ai  Frati che la loro divisa non mi piaceva e che la decisione era troppo impegnativa”.   Ripensando a quest’episodio non riusciva a capire come mai fossero venuti da così  lontano per fare solo a lui questa proposta, dal momento che nel Seminario e nella sua  stessa classe c’erano alunni molto più intelligenti e preparati di lui. Infatti nei suoi studi  non brillava per profitto. Per questo non si spiegava come qualcuno potesse aver interesse  a lui. Più tardi pensò che il motivo di tanta insistenza dei due Frati fosse dovuto alla loro  conoscenza di cose future che prudentemente non avevano voluto rivelare. Con l’età gli  rimase il rimpianto e il dubbio che quell’opportunità gliel’avesse mandata il Signore.  

L’anno seguente accadde un fatto ancor più singolare: da alcune parole profetiche di un  santo Sacerdote venne a sapere che Dio lo aveva scelto come strumento per spiegare  all’umanità alcuni passi oscuri della Bibbia.

Dagli scritti di  Don Guido Bortoluzzi  


“Il Nuovo Popolo della Nuova Gerusalemme”

 


Avola, 22 marzo 2008, ore 12:15
Sabato Santo - Messaggio della Madonna del Pino


Giuseppe Auricchia: “Sono a letto con insopportabili dolori, in questa Quaresima non ho avuto pace. Vedo la Madre di Dio, così mi dice:

"Ascoltami, Io conosco la tua sofferenza, le tue pene, i tuoi dolori.
Scrivi ciò che ti rivelo oggi. Gesù Cristo con un atto grande della Sua Misericordia per i giusti, comanderà ai Suoi Angeli che tutti i Suoi nemici siano messi a morte. Improvvisamente i persecutori della Chiesa di Gesù Cristo e tutti gli uomini devoti al peccato moriranno e la Terra diventerà come un deserto.

Allora si farà la pace, la riconciliazione di Dio con gli uomini. Gesù Cristo sarà servito, adorato, glorificato, dappertutto fiorirà la carità.
Del nuovo Re, sarà il braccio destro la Santa Chiesa che sarà forte, umile, pia, povera, zelante, imitatrice delle virtù di Gesù Cristo.

Scrivi ancora, non temere, il deserto diverrà un paese fertile, l’integrità porterà la pace, una pace che il mondo non ha mai conosciuto prima. Il suo popolo vivrà in una dimora piena di pace.
Essi vivranno nel Suo Sacro Cuore perché li conservi fuori da ogni pericolo.

Ma prima questo deserto deve diventare un paese fertile ed una vigna meravigliosa.
Il Suo alito verrà a soffiare su questo mondo tenebroso come un flusso di zolfo che accenderà il fuoco ovunque per purificare questa era e rinnovarla interamente, riunendola in un unico Popolo Santo.
La sua città sarà riedificata sulle sue rovine. La luce tornerà a splendere ma solo dopo l’espiazione, quando gli uomini canteranno la Sua potenza, verrà la pace.

Così la benedizione abbia ad accendere in voi la fiamma ardente e vibrante nei Suoi tempi che stanno preparando il futuro, il vostro futuro che vi metterà nella nuova Gerusalemme coi martiri e santi che, per valore e santità, saranno additati al mondo come esempi preclari di nuova vita.

La nuova Gerusalemme sarà purificata e santa, una grande luce irradierà il mondo, e la Mamma Celeste sarà Sovrana e Regina delle vie del mondo.
Lei è continuamente con voi per preparare i tempi nuovi. Tutto sarà rinnovato ad opera dello Spirito Santo.

Sarà la nuova generazione che rinnoverà la faccia della Terra, il nuovo popolo della nuova Gerusalemme, della Chiesa di Dio rinnovata e purificata.

Benedicendoti, la Santissima Trinità".

Gli stessi religiosi e capi della Chiesa, per primi, la faranno soffrire

 


LA PASSIONE DELLA CHIESA NEGLI SCRITTI DI LUISA PICCARRETA


Gli stessi religiosi e capi della Chiesa, per primi, la faranno soffrire: 

Trovandomi nel solito mio stato, mi sono trovata circondata da angeli e santi, i quali  mi hanno detto: “È necessario che tu soffra di più per le cose imminenti che stanno per  succedere contro la Chiesa, che se non saranno imminenti, il tempo le farà succedere  più miti e di minore offesa a Dio”.  Ed io ho detto: “Sta forse in mio potere il patire?  Se il Signore me lo dà, volentieri soffrirò”.  

In questo mentre mi hanno preso e mi hanno condotto innanzi al trono di Nostro  Signore e pregavamo insieme che mi facesse soffrire, e Gesù benedetto, venendoci  incontro in forma di crocifisso, mi ha partecipato le sue pene, e non solo una volta, ma  quasi tutta la mattinata l’ho passata in continue rinnovazioni della crocifissione.  

E dopo mi ha detto: “Figlia mia, le sofferenze distornano il mio giusto sdegno e si  rinnova la luce della grazia nelle menti umane. Ah, figlia, credi tu che saranno i  secolari i primi a perseguitare la mia Chiesa? Ah, no, saranno i religiosi, gli stessi  capi, che fingendosi per ora figli, pastori, ma [che] in fondo sono serpi velenosi che  avvelenano se stessi e gli altri, daranno principio a lacerare tra loro questa buona  madre, poi continueranno i secolari”.  (Vol. 6°, 07.08.1904) 

LA GIUSTIZIA E L’IRA DI DIO

 


L'IRA DI DIO

Prendiamo ora in esame quest’altro attributo di Dio, la sua “ira”: nel Vecchio e Nuovo Testamento, Padre Nostro ed episodio del Tempio inclusi. Chiedo scusa se citerò spesso il Dizionario per mettere a punto il significato dei termini, ma lo ritengo indispensabile. Prendiamo lo spunto da una lettera che un Sacerdote ci ha inviato: 

“Rev.do Padre Andrea, seguo con attenzione quanto va scrivendo su “Dio è Padre” e, pur ammirando le argomentazioni con cui si sforza di dimostrare che Dio è unicamente amore e misericordia, credo che questa visione sia parziale e quindi incompleta. E potrebbe anche essere pericolosa perché un’idea di Dio tutta “vogliamoci bene” in ultima analisi potrebbe mettere in crisi varie Verità di fede, tra cui il peccato, il giudizio, l’inferno ecc. con grande confusione dei fedeli. E con grave nostra colpa. Lei non ha mai trovato nella Scrittura espressioni che ribadiscono il concetto di un Dio che punisce, che addirittura “si vendica”, che si manifesta - oltre con l’amore - anche con la Sua santa ira?

Non ha mai meditato, nel Nuovo Testamento, sull’episodio di Gesù che, pur autodefinendosi “mite ed umile di cuore”, esplode in tutta la sua ira contro i mercanti e i cambiavalute a suon di frustate? Vuol forse dire che Gesù non era arrabbiato con quei profanatori? Dio è anche misericordia, ma non è solo misericordia. Credo perciò che farebbe bene, quando parla di Lui, a tenere presenti tutti i suoi attributi, tra cui la sua giustizia e la sua ira. Certo, è un Dio “mite e umile”, ma è anche “giusto” e “terribile”. Mi risparmio le citazioni, che lei è ben in grado di confrontare, ma fraternamente la invito ed esorto, in nome del sacerdozio che insieme dobbiamo testimoniare nella verità, a non dare un’idea incompleta e quindi falsa di Dio. Creda nella mia volontà di bene nei suoi confronti, e prego perché il Signore le dia luce piena. Fraternamente Sac. ........ (lettera firmata)

 Caro confratello nel Sacerdozio, la ringrazio per quanto mi scrive che sento come sofferta esigenza del suo spirito. La ringrazio ancora perché mi stimola a farmi un esame di coscienza e ad approfondire la lettura della Scrittura per poter meglio conoscere e far conoscere il nostro Dio. Comprendo le sue preoccupazioni pastorali e il Signore le renderà merito per quello che mi dice: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti e ammonire i peccatori rientra nelle opere di misericordia spirituale.

Mi permetto però di farle notare che non ho mai messo in dubbio la realtà del peccato, del giudizio e dell’inferno: ho solo cercato di far comprendere che all’inferno ci va chi vuole e che non è Dio che ci scaraventa in esso gridandoci dietro “maledetto...”. 

Dio poi non può “arrabbiarsi” (che orribile questa parola, che il dizionario Palazzi definisce “esser preso da rabbia” cioè da una “malattia infettiva acuta, specialmente dei cani, dai quali si propaga all’uomo o agli altri animali con la morsicatura”; figurativo: “accesso d’ira, furore”). Per piacere, non la usi più, neanche riferendosi all’uomo. Ho meditato a lungo sui temi che lei mi ha suggerito, e mi sono accorto che - rispondendole - ne stava venendo fuori un articolo. Lo invio a lei e a tutti gli Amici con i migliori auguri di Pace e Gioia per la Pasqua. La ringrazio ancora. Preghi per me e mi benedica. P.Andrea 


“IRA”: COSA È?

 Secondo il dizionario Palazzi è: “Movimento disordinato dell’animo onde siamo violentemente eccitati contro qualcuno”. Non è quindi una cosa bella. D’altronde, tenendo conto che l’ira - assieme alla superbia, avarizia, lussuria, gola, invidia e accidia - è un peccato capitale, è difficile dirne bene.

Parlare perciò dell’ira come di uno degli attributi di Dio equivale ad “attribuire” a Dio stesso dei “movimenti disordinati dell’animo che Lo eccitano violentemente contro qualcuno”. E questo, francamente, ci suona bestemmia, dal momento che Dio è perfezione infinita e che l’ira è un vizio, anzi uno dei vizi capitali. 

Aggiungere poi l’aggettivo “santo” alla parola “ira” non migliora la situazione, che al contrario la peggiora rendendola ancor più contorta ed ambigua: neanche con la migliore buona intenzione un vizio capitale può essere definito “santo”. E su questo credo che non ci sia molto da obiettare. Quindi, parlare di “santa ira di Dio”, è per lo meno improprio. Vediamo ora come è intesa l’ “ira di Dio” nel Vecchio Testamento. 


L’ “IRA DI DIO” NEL VECCHIO TESTAMENTO 

Tutti ci aspetteremmo dalla Sacra Scrittura una solenne smentita su questa concezione dell’“ira di Dio” che suona bestemmia e che è effettivamente tale. E’ traumatico invece constatare come la definizione data dal Palazzi della parola “ira” è quasi identica a quella che i Dizionari Biblici danno dell’”ira di Dio” nel Vecchio Testamento:

“L’ira di Dio è la reazione del Dio santo a tutto ciò che attenta alla sua maestà o alla sua perfezione morale”. (Dizionario Teologico SEI) 

L’ira divina è comunque considerata in genere il castigo dei peccati, non l’esplosione del cattivo umore o della gelosia di un Dio arbitrario o capriccioso, ma di un Dio giusto. Lo sfogo della sua ira è presentato come la vendetta della punizione arrecata alla sua maestà.

 Alle volte però l’ira di Jahvè è descritta come una violenta passione che deve scaricarsi per calmarsi: «Io voglio calmare la mia ira in te... per aver riposo e non più inquietarmi» (Ez 16,42). 

Altre volte nella Scrittura serpeggia l’essenza misteriosa dell’ira di Dio che si sfoga sui giusti e sui peccatori, come nel libro di Giobbe: 

“Dio non ritira la sua collera ...Egli con una tempesta mi schiaccia, moltiplica le mie piaghe senza ragione, non mi lascia riprendere il fiato, anzi mi sazia di amarezze ...se fossi innocente, egli proverebbe che io sono reo. Sono innocente? Non lo so neppure io, detesto la mia vita! Per questo io dico: «E’ la stessa cosa»: egli fa perire l’innocente e il reo! Se un flagello uccide all’improvviso, della sciagura degli innocenti egli ride”. (Gb 9,1 ss.) 


Dio ci salvi da questo Dio. Come giustificare questa terribile concezione di Dio e della sua “ira”? 

La risposta a questo interrogativo richiederebbe lunghe riflessioni, che cercheremo di sintetizzare in pochi concetti: l’uomo, dopo il peccato, perde la visione di Dio Padre e Maestro (Gn 2,19-20) e sente nascere in sé la paura (Gn 3,10). Questo sentimento nuovo - che non è da Dio ma che gli ha instillato satana - deformerà sempre più l’immagine del volto paterno di Dio sostituendola con quella di un padrone “irascibile” e vendicativo. L’uomo, creato ad “immagine e somiglianza di Dio” (Gn 1,26), con il peccato diviene violento e, man mano che inizia a riscoprire il concetto di Dio, si fa di Lui un’idea “a sua immagine e somiglianza”. 

Questa errata concezione di Dio è patrimonio di tutte le religioni antiche. La Grecia le riassume nel suo Olimpo in cui dei e dee giocano sulla sorte degli uomini a seconda dei loro umori, che sono un transfert degli umori dell’uomo decaduto dal suo stato di nobiltà e purezza originari.

 Lo Spirito Santo ha dovuto stare al gioco dell’uomo perché questi - uscito dall’età della pietra con un cuore di pietra e con la clava in mano - non era in grado di andare oltre il concetto di un Dio “a sua (dell’uomo) immagine e somiglianza”: se l’uomo è terribile nella sua ira, Dio lo sarà infinitamente di più perché la sua forza è enormemente maggiore. Per questo era ricorrente l’espressione: “Chi ci salverà dall’ira di Dio?”; e gli uomini non esitavano a sacrificare vite umane per placare la divinità “adirata”. Sarà necessaria l'Incarnazione perché l’uomo possa finalmente riscoprire il vero volto di Dio nel Figlio di Dio che si è fatto figlio dell’uomo. 


L’ “IRA” DI DIO NEL NUOVO TESTAMENTO 

All’“ira” di Dio nel Vecchio Testamento, si contrappone nel Nuovo l’Amore del Padre che non “si vendica” delle offese ricevute ma le scioglie nella Sua Misericordia che è “più potente del peccato” (Dives in Misericordia, VIII); che non colpisce il peccatore ma “si fa peccato” pagando per tutti. Per la prima volta viene manifestato il vero Volto di Dio: Padre nostro…” (Mt 6,9).

Ma la vecchia concezione del Dio che si adira, che si vendica, che quasi ci provoca al male è dura a morire: ne sono prova varie espressioni liturgiche e l’interpretazione del Padre Nostro, che ci è stata tramandata addirittura forzando la versione originale. Riteniamo opportuno fare il punto della situazione anche in questo campo, esaminando l’orazione introduttiva al Padre nostro nella Santa Messa e alcune espressioni dello stesso.


 “OSIAMO DIRE: PADRE NOSTRO” 

Nella Santa Messa è in uso da secoli questa formula di introduzione al Padre nostro, rimasta in vigore anche dopo l’ultima riforma liturgica: 

“Obbedienti al comando del Salvatore e formati al suo divino insegnamento, osiamo dire: Padre nostro....”. 

Che è come dire: “Signore Iddio, con poca convinzione, con pochissima spontaneità e con tantissima paura, noi osiamo chiamarti Padre. Ma non adirarti con noi: lo facciamo unicamente perché ce lo ha ordinato tuo Figlio, il nostro Salvatore...”.

Per comprendere meglio quanto stiamo dicendo facciamo un paragone. Immaginiamo che un fratello maggiore spieghi al fratellino più piccolo che, dopo tanti anni di guerra, sta finalmente tornando a casa il papà che il piccolo non ha mai conosciuto. Per prepararlo all’incontro gli parla di lui come della persona più buona del mondo, proprio perché è il papà. E immaginiamo che, al momento dell’incontro, mentre il padre con commozione di pianto sta aprendo le braccia a questo piccolo per stringerselo al cuore, si senta dire dal suo bambino: 

“Senta, signore, io non la conosco. Ma poiché il mio fratello più grande mi ha ordinato di farlo, io oso dirle: “Padre”. Ma non si offenda, lo faccio solo perché mio fratello me lo ha imposto...”.

 Cosa proverà quel padre dinanzi a queste espressioni del suo piccolo? Bene, l’unica differenza che passa tra un padre terreno e il Padre del cielo è che Questi è infinitamente più padre di tutti i padri dell’universo messi insieme, perché Egli è la fonte di ogni paternità. L’Amore di tutti i padri della terra è appena una scintillina di quello che è l’Amore del Padre del cielo, che è Padre, solo Padre, e che si commuove e si scioglie di tenerezza quando si sente chiamare “Padre!”.

A questo riguardo facciamo una riflessione: Gesù chiama il Padre suo con l’espressione più intima di “Abbà” una volta sola, durante l’agonia nell’orto del Getsemani (Mc 14,36), che è il momento di massima unione con il Padre nella sua vicenda terrena. Quindi, nel momento della massima sofferenza Lo considera più che mai Padre e non Giudice inflessibile e vendicativo che scarica su di Lui la sua ira.

 Dopo l’ascensione di Gesù “Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!” (Gal 14,36). Lo Spirito eleva questo “grido” continuamente, perché nel nostro spirito vuole glorificare il Padre ogni istante, ad ogni respiro, ad ogni battito di cuore.

 E noi dovremmo ripetere ogni istante “Padre, Padre, Padre mio...”, o meglio “Abbà!”, che è la testimonianza della nostra intimità filiale con Lui. 


“E NON CI INDURRE IN TENTAZIONE” 

Quotidianamente noi ci rivolgiamo al Padre del Cielo con la preghiera che Gesù ci ha insegnato ma, senza accorgercene, diciamo una orribile bestemmia. Esaminiamo i due termini con il dizionario (De Felice-Duro) alla mano:

“Indurre” = “Spingere a un determinato atteggiamento o comportamento, mettere in una determinata condizione” Tentazione” = “Impulso, stimolo naturale o provocato a compiere azioni allettanti ma illecite, ingiustificate, sconvenienti o inopportune”. 

Dal che si deve dedurre che Dio, il Padre nostro del Cielo, ci potrebbe “spingere a compiere azioni allettanti ma illecite, ingiustificate, sconvenienti o inopportune”, comportandosi nei nostri riguardi alla stregua del satana, di colui che è male e odio puro e che la Scrittura ci presenta appunto come il “tentatore” (Mt 4,3). 

E questo lo ripetiamo da secoli, milioni di volte al giorno, nelle preghiere private e pubbliche, anche col canto... Povero Padre nostro, povero Papà nostro che - dopo averci donato il Suo Figlio unigenito proprio per liberarci dalla tentazione - si sente ripetere in continuazione, in centinaia di lingue: “...e non ci indurre in tentazione!”. La cosa più strana è che questa traduzione è inesatta, perché la giusta versione è: “E non permettere che cadiamo nella tentazione”.Ancora più strano è il fatto che nessuno corregga questa espressione. Per fortuna, anche il sense of humor di Dio, come tutti i suoi attributi, è infinito.

C’è una spiegazione a questo strano modo di rivolgersi a Dio? Credo di sì. La Chiesa Cattolica ha ereditato molto dal mondo ebraico, e non è riuscita ad eliminare le antiche credenze, nonostante Gesù abbia fatto il possibile e l’impossibile per farci comprendere che il Padre è Amore. 

Nei nostri cuori evidentemente non è ancora riuscito a penetrare lo Spirito che grida Abbà, e ci sentiamo più vicini allo spirito di cui si fa portavoce il mio confratello sacerdote nella sua lettera. 

Ma Davide, Geremia, Giobbe non avevano avuto l’insegnamento e la testimonianza di amore di Gesù, e quindi hanno delle attenuanti. Noi come possiamo giustificare questa ottusità nei confronti dell’Amore del Padre che ci ha amato al punto da sacrificare per noi, in croce, il Suo Unigenito Figlio?


 GESÙ CACCIA I VENDITORI DAL TEMPIO

 “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Mt 11,29), esorta Gesù.

 A Filippo - che gli manifesta il timore latente del Padre chiedendogli: “Signore, mostraci il Padre e ci basta” (Gv14,8) - risponde con una espressione che dovrebbe togliere tutti i falsi timori di Dio: “Filippo, chi ha visto Me ha visto il Padre. Come puoi dire: mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?” (Gv 14,9-10). Se il Padre è nel Figlio e il Figlio è mite ed umile di cuore, ne consegue che anche il Padre è mite ed umile di cuore. Il Padre è di fatto soloAmore dolcissimo che non vuole e non può usare alcun tipo di violenza, e non potrà quindi neanche venire alla fine dei tempi con potenza distruttiva.

 Le obiezioni che regolarmente vengono poste a questa asserzione sono note, e il nostro confratello sacerdote ce ne ha ricordate alcune: Dio, oltre che Amore, è anche Giustizia. Tante pagine del Vecchio Testamento ce lo presentano implacabile nella sua giustizia; e, anche nel Nuovo Testamento, Gesù non dà forse una potente manifestazione della sua “ira” proprio nel Tempio, cacciando a frustate i mercanti?

 Esaminiamo allora questo brano, che conoscono tutti, anche quelli che non hanno mai letto i Vangeli, e che ognuno cita con convinzione per giustificare le proprie violenze:

 “(Gesù) trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato». I discepoli si ricordarono allora che sta scritto: lo zelo per la tua casa mi divora. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù”. (Gv 2,14-22) 

La bufera che Gesù scatena nel Tempio non è simbolica: è un vero terremoto che scombussola uomini e cose. La Valtorta “vede” e descrive la scena con toni anche più coloriti: 

“(Gesù) in mano non ha nulla. Solo la sua santa ira. E con questa, camminando veloce e imponente fra banco e banco, sparpaglia le monete così meticolosamente allineate per qualità, ribalta tavoli e tavolini, e tutto cade con fracasso al suolo, fra un gran rumore di metalli rimbalzanti e di legni percossi e grida di ira, di sgomento e di approvazione. Poi strappate di mano a dei garzoni del bestiame delle funi con cui essi tenevano a posto bovi, pecore e agnelli, ne fa una sferza ben dura, in cui i nodi per formare i lacci scorsoi divengono flagelli, e l’alza e la rotea e l’abbassa, senza pietà. Sì, senza pietà”. (Maria Valtorta, Il Poema dell’Uomo-Dio, Pisani 1975, vol. 2°, pag. 80)

 Dinanzi a questa scena, tutti si sentono autorizzati a parlare di “santa ira di Dio”, legittimata dalla profezia di Davide e motivata dallo stato di reale degrado morale del Tempio: “ira” che testimonia la Giustizia di Dio che ad un certo momento dice “basta!”.

 E come il Figlio ha mandato per aria monete e bancarelle, così il Padre, quando la misura sarà colma, farà esplodere il mondo con la sua “ira”: Sarà di fatto il “dies irae” tanto temuto e sempre ritenuto prossimo. Facciamo ancora notare, e lo ricorderemo sempre, che Dio non può proprio adirarsi, perché è Pace infinita. E non ha potuto “adirarsi” neppure quando si è incarnato perché - anche se rivestita di carne mortale - la sua natura divina ha sempre conservato il dominio assoluto su ogni facoltà e passione umana.

Ma allora Gesù nel Tempio ha fatto tutto “per finta”? No, Gesù ha fatto tutto “sul serio”, e certamente era profondamente “sdegnato” (sdegno: “moto dell’animo per cui si rifugge con disprezzo da una cosa o persona” è molto diverso da “rabbia” e “ira”). 

Ma per leggere nella chiave giusta questo episodio dobbiamo fare delle considerazioni che ci porteranno lontano. Prima di tutto cerchiamo di ricostruire la scena servendoci degli elementi che il Vangelo ci offre. 


RICOSTRUIAMO LA SCENA

 I venditori ed i cambiavalute vanno dalle guardie del tempio e dai sommi sacerdoti narrando concitatamente l’accaduto e reclamando la tutela dei loro diritti di commercianti forniti di regolare licenza e che pagano puntualmente le tasse. Si discute un po’sulla questione e poi sacerdoti, guardie, bancarellari e commercianti si recano da Gesù che, eretto in tutta la sua potenza di Uomo-Dio, è pronto a sostenere l’urto di quella fiumana urlante.

 La “potenza” emanata da Gesù è stata troppo grande ed è ancora nell’aria; nessuno ha il coraggio di aggredirlo direttamente. Inoltre, dinanzi all’incredibile sconquasso che si trovano dinanzi sorge negli ebrei un dubbio: fosse Gesù il Messia da sempre atteso, il grande condottiero che guiderà la sospirata rivolta del popolo ebraico liberandolo dal giogo romano? La domanda che rivolgono a Gesù è quasi rispettosa: 

“Quale segno ci mostri per fare queste cose?”

 E’la domanda che Gesù si aspettava e che ha provocato. C’è una pausa di silenzio, di timore e di speranza da parte degli inquirenti e ancora di più da parte degli apostoli e dei simpatizzanti, rimasti anch’essi traumatizzati dall’accaduto. Nel silenzio generale, su quella folla in spasmodica attesa - pronta a dichiararlo re se la risposta sarà secondo le loro aspettative - si ode la parola di Gesù che dice a voce alta e in tono solenne: 

“Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo farò risorgere”. (Gv 2, 19) 

Questa risposta prende tutti in contropiede, amici e nemici. E’ umanamente assurda, illogica, e gli astanti glielo fanno notare subito:

 “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni, e in tre giorni lo farai risorgere?” (Gv 2, 20)

La delusione è generale. La tensione cade. “Non è il Messia - dicono i nemici - è un povero pazzo...”. La sentenza rimbalza tra la folla: “Non è il Messia... è un povero pazzo; tanto pazzo da dire che ricostruirà il Tempio in tre giorni... Peccato, noi speravamo... E’pazzo, poveretto...”.

 Forse, proprio per questo, non lo mettono in carcere e non gli addebitano i danni: i furbi gestori del Tempio colgono la vistosa occasione per denigrare lo scomodo maestro e svilire così la sua potente azione di grazia.

 I più smarriti sono gli apostoli, che debbono assorbire il riflesso degli insulti lanciati al loro Maestro e che, in fondo in fondo, sono anche loro perplessi. Vorrebbero chiedere delle spiegazioni ma non osano. Gesù tace. L’episodio resterà un grande punto interrogativo che spesso tornerà a turbare la loro fede. Capiranno solo dopo la morte di Gesù:

 “Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo e credettero alla parola detta da Gesù”. (Gv 2,21-22)

 Nessuno dei commentatori di questo brano (per quanto mi consta) ha avanzato l’ipotesi che Gesù si sia manifestato in questa occasione come il Profeta che stava dando il messaggio più potente della storia. Per comprendere quanto stiamo asserendo, vediamo chi è il profeta e quale è il suo modo di esprimersi. 


CHI È IL PROFETA?

 La parola profeta deriva dal greco profétes, da pro-femì, che secondo una concezione antica significa «predire», secondo la spiegazione moderna «parlare, esprimere per (un altro)». Nel caso nostro, il profeta è colui che parla in nome di Dio, spinto dall’azione dello Spirito di Jahvè. 

Il Signore parla al profeta: a) per mezzo dei sogni; b) per mezzo delle visioni; c) per mezzo delle estasi. Questo termine nel linguaggio biblico sta a significare il comportamento dell’uomo che “investito da una forza esterna - nel nostro caso lo Spirito di Dio - si sente spostato fuori dal suo ordine, non essendo più soggetto al controllo e alla guida della ragione nel suo stato normale” (Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, EDB, ad vocem). 

Alle estasi possono connettersi gesti simbolici con i quali i profeti fanno intendere le loro profezie. Si ha allora il gesto profetico, accompagnato dall’oracolo o discorso profetico.


IL “GESTO PROFETICO” E L’ “ORACOLO”

 Quando Jahvè voleva far penetrare nelle menti e nei cuori alcune verità particolarmente importanti, faceva compiere al profeta - in stato di estasi - dei gesti clamorosi, shockanti, che rendevano plasticamente evidente la loro predicazione e costringevano quindi alla riflessione. Questi gesti vengono definiti anche “azioni simboliche”. Riportiamo qualche esempio:

 Geremia, per ordine di Dio, acquista una brocca di terracotta e la rompe dinanzi agli anziani del popolo e ai sacerdoti dicendo che così sarà distrutta Gerusalemme (Ger 19,10); 

Ahia di Silo divide il suo mantello come prova della imminente divisione del regno (I Re, 11,29 ss.); 

Ezechiele mima la fuga precipitosa di uno che parte per l’esilio per indicare la futura deportazione (Ez 12,6-11). 

Così presentata, la profezia non aveva bisogno di lunghi commenti; erano sufficienti poche parole - appunto l’oracolo o discorso - per trasmettere il messaggio che Dio intendeva dare.


GESÙ, IL PROFETA DEI PROFETI 

Nell’episodio del Tempio Gesù si manifesta in tutta la sua potenza di Uomo-Dio, dando un messaggio profetico che va ben oltre Israele e che spacca in due la storia dello spirito dell’uomo: al tempio di pietra deve essere sostituito il tempio di carne, DIO VIVE NELL’UOMO! Per enunciare questa verità rivoluzionaria, che riguarda gli uomini di tutte le religioni e di tutti i tempi, Gesù usa in pienezza lo stile profetico dell’Antico testamento, servendosi del gesto profetico e dell’oracolo. 

Il gesto profetico è la demolizione di tutto il mercato, simboleggiante la futura distruzione del tempio di Gerusalemme e del proprio corpo; l’oracolo sono le poche parole che pronuncia: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”.

 E’forse il momento più forte di tutta la vita apostolica di Gesù e la Potenza che da Lui scaturisce è sovrumana. La Valtorta così Lo descrive:

 “Gesù è terribile. Pare l’arcangelo posto sulla soglia del Paradiso perduto. Non ha spada fiammeggiate fra le mani, ma ha i raggi negli occhi, e fulmina derisori e sacrileghi.” (ibid. o.c.)

Gesù si trova nel Tempio che per gli Ebrei era l’unica sede della divinità e in questa occasione si manifesta più che mai Maestro e Profeta. Egli deve far comprendere a tutti ciò che aveva già detto alla samaritana: 

“E’giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre.... E’ giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. (Gv 4,21-24)

 Gesù, in altre parole, deve spostare l’asse dal Tempio di pietra al tempio di carne: Dio non abita in una struttura materiale, ma nell’uomo. 

Questo messaggio per gli Ebrei è duro da accettare: è la fine del popolo ebraico come “unico” popolo di Dio; è il crollo dei loro progetti di riscossa nazionale; è l’ammettere che tutti gli uomini (anche i samaritani e i romani!), hanno la loro stessa dignità spirituale. Gli Ebrei non riconobbero la potenza profetica di Gesù, e per questo formularono la domanda in modo errato: invece di chiedergli: “Quale segno ci mostri per fare queste cose”, avrebbero dovuto chiedergli: “Cosa vuoi mostrarci con questo segno?”.

Gesù è Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo. Al Tempio esplode in tutta la sua Potenza profetica, come nell’ultima Cena e sul Calvario si manifesterà in tutta la sua dignità sacerdotale e regale.


 PADRE PIO, “PROFETA” DI DIO

 Chi ha conosciuto da vicino Padre Pio da Pietrelcina ha assistito spesso a delle sue manifestazioni che venivano superficialmente classificate come atti di nervosismo e di impazienza. 

P.Bonaventura da Cavallana, cappuccino, durante il mese di maggio che stava predicando a S. Giovanni Rotondo, assistette ad una di queste “esplosioni” contro una persona che era andata a trovare Padre Pio, e ne restò traumatizzato. Ne parlò dopo con il Padre, dicendogli: “Padre, questa mattina si è adirato proprio assai...”. Padre Pio gli rispose sorridendo: “In verità ti dico, non ho mai perso la pazienza e mai mi sono adirato in vita mia ...”.

 Cosa erano queste “esplosioni”? Erano forti vibrazioni di Spirito che dovevano rompere delle barriere, delle incrostazioni che bloccavano l’azione della Grazia negli spiriti. Ne ho fatto personale esperienza, in uno dei miei incontri con lui. Ero andato a trovarlo dopo mesi di affannose attività per una missione che proprio lui mi aveva affidata. Avevo raccolto solo umiliazioni, e mi recai da lui sperando tenerezza e parole di conforto. 

Invece Padre Pio, appena entrato in sacrestia, cominciò a gridare con una voce di tuono talmente potente che temetti che avesse a crollare la chiesa. Le poche parole che pronunziò - nove, per la precisione - mi entrarono dentro e furono come delle bombe che esplosero nel mio profondo provocando una specie di terremoto interiore. Ricordo bene la scena: tutti sorridevano come se il Padre avesse raccontato una barzelletta, mentre io avrei voluto che si aprisse il pavimento per potermi nascondere sotto di esso.

 Due minuti dopo lo raggiunsi nel matroneo della chiesa nuova, e mi inginocchiai alla sua sinistra pronto ad una seconda ondata di bombe. Mi rivolse invece uno sguardo di tenerezza infinita. 

Pensando di aver mancato in qualcosa nei suoi confronti, gli chiesi se non voleva che mi recassi più da lui. Mi guardò sorpreso e addolorato: “Vieni quando ti pare” rispose e, quasi temendo che potessi abusare di questa concessione, aggiunse: “Vieni quando ti mandano i superiori!”. Io cercavo di balbettare: “Ma lei... prima... in sacrestia...” e lui mi guardava stupito, come se stessi facendo uno strano discorso che lui non riusciva a comprendere. In ultimo, con i modi spicci che lo distinguevano, dandomi con la mano un colpetto sulla testa, mi licenziò dicendo: “Mo’ lasseme pregà!” e si sprofondò di nuovo nel suo cappuccio. Ebbi l’impressione - probabilmente errata - che non si fosse reso neanche conto di quello che era scaturito alcuni minuti prima dalla sua persona. 

Me ne tornai a casa riflettendo su quanto mi era accaduto, su quelle nove parole che mi erano esplose dentro. Solo successivamente compresi che quelle nove parole erano state l’“oracolo” che aveva distrutto, in maniera irreversibile, la dura“struttura interiore” del mio “io”. 

Una esplosione del genere, con carica enormemente più potente - a testata nucleare! - deve essersi verificata quel giorno a Gerusalemme, quando Gesù mise a soqquadro il Tempio. 


E’ L’ORA DELL’IRA DI DIO 

Caro Confratello Sacerdote, cari Amici, è l’ora dell’“ira di Dio”. E’ l’ora del Padre e tutti devono piegarsi a quest’ora. Il Padre è stanco di attendere, è stanco di vederci soffrire, è stanco di vederci schiaffeggiati dal satana perché è Lui stesso che viene mortificato nei suoi figli.

Grazie per avermi dato l’occasione di eliminare alcuni residui di scorie che avrebbero potuto inquinare la visione di Dio intesa come Amore purissimo e totale. Il Padre ha detto “basta” e, nel Figlio, sta venendo in mezzo a noi con potenza:

 “Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava “Fedele” e “Verace”: egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui. E’avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio. Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell’ira furiosa del Dio onnipotente. Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori”. (Ap 19,11- 16) 

Vi invitiamo a leggere questo brano dell’Apocalisse con la chiave di lettura che abbiamo tentato di dare a proposito dell’ “ira furiosa di Dio”.

 La “spada affilata che esce dalla bocca per colpire le genti” è la parola di Dio che risuonerà come tuono nelle coscienze di un’umanità stordita e dissacrata, divenuta ottusa alla voce dello Spirito e risuonerà prima di tutto in ciascuno di noi, per uccidere il nostro “io”, il vero demonio che ci portiamo dentro e per farci rinascere. Solo così entreremo nel Regno dei Cieli, cioè nella dimensione dello Spirito e dell’Amore. 

Se, con le riflessioni sull’“ira di Dio”, abbiamo portato qualcuno a credere in modo più concreto all’Amore del Padre e a prepararsi così nel modo migliore a quest’ultimo scontro, l’augurio di Pace e di gioia che vi abbiamo inviato all’inizio ci è già tornato centuplicato. Grazie.

 Il Padre nostro dolcissimo e potente nel Suo Amore ci sorrida e ci colmi di gioia in questo tempo che auguriamo più che mai foriero di Luce per illuminare le folte nebbie nelle quali siamo sommersi.

P. Andrea D’Ascanio 

PREGHIERA ALLO SPIRITO SANTO 

 


O Spirito Santo, abisso di carità,  

Tu sei fuoco che sempre arde e non si consuma, 

Tu sei pieno di letizia e di leggerezza. 

Al cuore che viene colpito da questa fiamma,  

ogni amarezza sembra dolce e leggero ogni grande peso.  O dolce amore, che pasci e nutri la nostra anima. 

O Spirito Santo, in realtà il Tuo fuoco arde e consuma:   distrugge e dissolve ogni difetto, ignoranza e negligenza  presente nell’anima. 

Il Tuo amore non è inattivo, anzi opera grandi cose. 

 

Santa Caterina da Siena 

La morte non è la “soluzione” alle vostre preoccupazioni e miserie!

 


Figli Miei. La vostra anima soffre e voi, correndo dietro alle cose terrene senza riconoscere ciò che è realmente importante, la lasciate deperire. Siete qui per prepararvi all’Eternità ma così tanti di voi non ci credono. Credono – e in questo mondo mentono a se stessi- che dopo la loro vita terrena “tutto finisca”. Pensano di “essere liberati “da tutto lo stress, i fardelli, le miserie e i tormenti quando moriranno, per morte naturale o per una morte arrecata da altri,ma, figli Miei, IL VERO TORMENTO COMINCIA SOLO QUANDO VOI NON VI CONVERTITE!

La morte non è la soluzione alle vostre preoccupazioni e miserie, infatti, la vostra soluzione è SOLO Gesù, il vostro Salvatore, che vi ama moltissimo! Dopo la vostra morte, le preoccupazioni e le miserie non terminano, si modificano soltanto! Chi pensa che tutto finisca quando muore, si sbaglia perché in realtà comincia la Vita Eterna ed essa è lunga, figli Miei.

Per questo “rifugiatevi” tutti da Gesù! Vivete insieme a LUI! DonateGLI le vostre preoccupazioni e miserie! Quando abbandonerete la terra -per una morte che non vi siete auto inflitti(!)- EGLI, ci sarà e vi porterà con Sé, ma chi non si era dichiarato per LUI sarà catturato dai demoni del diavolo e trascorrerà la sua eternità nel fuoco dell’inferno!

Figli Miei. È di straordinaria importanza che voi vi dichiariate durante la vostra vita terrena perché quando la morte -o la fine- bussa alla vostra porta, voi dovete essere pronti! Soltanto chi ha regalato il proprio SI a Gesù può essere salvato! Non aspettate oltre e cambiate vita. Io, la vostra Mamma Celeste, che vi ama tantissimo vi prego di farlo perché chi non si purifica adesso, presto non avrà più tempo per farlo.

Il purgatorio non sarà più una scelta possibile perché ci saranno soltanto 2 vie: l’inferno del diavolo o il Nuovo Regno di Mio Figlio. Preparatevi, dunque e purificatevi perché quando la fine verrà, dovete essere puri e pronti. Amen.

Io vi amo.

La vostra Mamma Celeste.

Madre di tutti i figli di Dio e Madre della Salvezza.

Amen.

11 gennaio 2015

LE GRANDEZZE DI MARIA

 

VINCOLI INEFFABILI TRA IL VERBO E LA VERGINE.

E Voi, Verbo Eterno che essendo suo Dio volete pure essere suo Figlio, che dirò mai, che farò in onore del Figlio e della Madre? Voi vivete in unità e in società col Padre dal quale siete generato, e con lo Spirito Santo che da voi procede, e volete, oltre che con queste persone divine ed eterne, assumere una congiunzione, una unione; una società oltremodo stretta ed onorevole con una terza persona umana e temporale; volete essere Figlio della Vergine come siete Figlio di Dio, averla per Madre come avete Dio per Padre, e nella vostra potenza e bontà la rendete degna di essere Madre di Dio. Per la vostra umiltà le prestate obbedienza e sommissione durante la vostra vita su la terra; e coronando nel vostro amore e nella vostra sapienza l'opera delle vostre mani, le date nei cieli una gloria adeguata ad una tale dignità e sacra autorità.

Siate benedetto o grande Iddio!

Voglio onorare in sempiterno il Figlio e la Madre. Voglio onorare la Madre per causa del Figlio, è il Figlio nella Madre; Voglio onorare tutto ciò che la Vergine è per il Figlio suo e suo Dio, e tutto Ciò che il Figlio suo è per Lei; voglio onorare tutti quei vincoli mutui ed ineffabili, a noi sconosciuti, tra il Figlio di Dio e la Vergine, come segreti che la terra deve ignorare e che sono riservati alla gloria, all'amore, alla luce del cielo. [132]

CARD. PIETRO DE BÉRULLE