SOLITUDINE, LACRIME E DOLORI DI GESÙ DA CHI LO RICEVE SACRAMENTATO
(18 Gennaio 1933, Vol. 31, di Libro di Cielo, Cap. 24; dagli scritti della Serva di Dio: Apostola della Divina Volontà: Luisa Piccarreta)
Solitudine in cui viene messo Gesù da quelli che Lo ricevono Sacramentato; le sue lacrime; i suoi dolori. Le Specie mute e le specie viventi, continuazione della Vita di Gesù nella creatura.
Avendo fatta la Santa Comunione stavo facendo i miei soliti ringraziamenti, ed il mio Sommo Bene Gesù si faceva vedere afflitto e taciturno, come se sentisse il bisogno della compagnia; ed io stringendomi a Lui cercavo di consolarlo con l’esibirmi [nello] starmi con Lui sempre unita, per non lasciarlo mai solo, e Gesù [ne] pareva tutto contento e, per sfogare il suo dolore, mi ha detto: “Figlia mia, siimi fedele a non lasciarmi mai solo, perché la pena della solitudine è la più opprimente; perché la compagnia è l’alimento dello sfogo di chi soffre, invece senza compagnia si soffre il dolore e si è costretti a sentire la fame, perché manca chi le dà lo sfogo dell’alimento; manca tutto, e forse manca chi potesse offrire il sollievo, fosse pure una medicina amara. Figlia mia, quante anime Mi ricevono Sacramentato nei loro cuori e Mi mettono in solitudine! Mi sento in esse come dentro d’un deserto, come se non [loro] appartenessi. Mi trattano da estraneo; ma sai perché? Non prendono parte alla mia vita, alle mie virtù, alla mia santità, alle mie gioie ed ai miei dolori. Compagnia significa prendere parte a tutto ciò che fa e soffre la persona che gli sta vicino. Quindi, ricevermi e non prendere parte alla mia vita, è per Me la solitudine più amara; e, restando solo non posso [dir loro] quanto brucio d’amore per loro e perciò resta isolato il mio amore, la mia santità, la mia virtù, la mia vita, insomma tutto è solitudine in Me e fuori di Me.
Oh, quante volte scendo nei cuori e piango, perché Mi veggo solo! E quando scendo, vedendomi solo Mi sento non curato, né apprezzato, né amato, tanto che son costretto dalla loro noncuranza a ridurmi al silenzio ed alla mestizia. E siccome non prendono parte alla mia Vita Sacramentale, Mi sento appartato nei loro cuori e, vedendomi che non ho che fare, con pazienza divina ed invitta, aspetto la consumazione delle Specie Sacramentali - dentro delle quali il mio Fiat Eterno Mi aveva imprigionato -, lasciando appena le tracce della mia discesa; perché nulla ho potuto lasciare della mia vita Sacramentale, forse le sole mie lacrime, perché, non avendo preso parte alla mia vita, mancava il vuoto dove poter lasciare le cose che a Me appartengono e che Io volevo mettere in comune con loro. Perciò si veggono tante anime che Mi ricevono Sacramentato e non danno di Me: sono sterili di virtù, sterili d’amore, di sacrificio. Poverelle, si cibano di Me, ma siccome non Mi fanno compagnia restano digiune! Ahi, a quali strette di dolore e di crudele martirio è messa la mia Vita Sacramentale! Molte volte Mi sento affogato d’amore, vorrei sbarazzarmi e sospiro di scendere nei cuori, ma ahimè, sono costretto ad uscirmene più affogato di prima! Come potevo sfogare se neppure hanno fatto attenzione alle fiamme che Mi bruciavano? Altre volte la piena del dolore Mi inonda, sospiro un cuore per avere un sollievo alle mie pene, macché! Vorrebbero che Io prendessi parte alle loro, non loro alle mie! E [Io] lo faccio: nascondo i miei dolori, le mie lacrime, per consolarli, ed Io resto senza il sollievo sospirato! Ma chi può dirti i tanti dolori della mia Vita Sacramentale, e come sono più quelli che Mi ricevono e Mi mettono in solitudine nei loro cuori - ma solitudine amara! - che quelli che Mi fanno compagnia? E quando trovo un cuore che Mi fa compagnia, metto in comunicazione la mia Vita con essa, lasciandole il deposito delle mie virtù, il frutto dei miei sacrifici, la partecipazione della mia Vita; ed Io la scelgo per mia dimora, per nascondiglio delle mie pene e come luogo di mio rifugio, e Mi sento come contraccambiato del sacrificio della mia Vita Eucaristica, perché trovo chi Mi spezza la mia solitudine, chi Mi asciuga le lacrime, chi Mi dà libertà di farmi sfogare il mio amore ed i miei dolori. Sono esse che Mi servono di specie
viventi; non come le Specie Sacramentali che nulla Mi danno, solo che Mi nascondono, il resto faccio tutto da Me solo! Non Mi dicono una parola che spezzi la mia solitudine, sono Specie mute! Invece nelle anime che Mi servono
come specie viventi, svolgiamo la vita insieme, palpitiamo d’un solo palpito; e se la veggo disposta, le comunico le mie pene e continuo in essa la mia Passione: posso dire che dalle Specie Sacramentali passo nelle specie
viventi per continuare la mia vita sulla terra, non da solo ma insieme con essa!
Tu devi sapere che non sono più in mio potere le pene, e le vado chiedendo, per amore, a queste specie viventi delle anime, ché Mi suppliscano a ciò che a Me
manca. Perciò, figlia mia, quando trovo un cuore che Mi ama e Mi fa compagnia dandomi libertà di fare quello che voglio, Io giungo agli eccessi, non ci bado a nulla, do tanto che la povera creatura si sente affogare
dal mio amore e dalle mie grazie. Ed allora non resta più sterile la mia Vita Sacramentale quando scendo nei cuori, no, ma [si] riproduce, bilocando e continuando la mia vita in essa. E queste sono le mie conquistatrici,
ché somministrano a Questo povero indigente di pene la loro vita; e Mi dicono: ‘Amor mio, Tu avesti il tuo turno di pene e finì; ora è il mio turno, perciò lasciami che Ti supplisca e che
io soffra in vece tua’. Ed oh, come ne resto contento! La mia Vita Sacramentale resta al suo posto d’onore perché riproduce altre sue vite nelle creature. Perciò, sempre insieme con Me ti voglio,
affinché facciamo vita insieme e tu prendi a petto la mia Vita ed Io prendo la tua”.
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