LA VOLONTÀ DI DIO
O
STRADA REALE E BREVE
PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE
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Quanta tristezza sogliamo noi a essere caduti da quel felice stato dell'innocenza! Quanto si desidera di vivere in esso! Se dunque ci è arte e modo di rinfrancarci col favor divino, di correggerela nostra perversa natura, di raddrizzare i nostri appetiti, di riformare le nostre potenze, perché l'abbiamo a disprezzare? Per vero, ancorché la mortificazione e rinnegamento della propria volontà non ci portasse altro bene che questo, ci dovrebbe sforzare ad abbracciarla con tutte le nostre forze, né deve ritardarci il timore che nel principio suo apporta qualche amarezza. Questa è la più sciocca e vergognosa scusa del mondo: perché se per la sanità del corpo non ricusiamo rimedi amari, come per la salute dell'anima e per rimedio della nostra corrotta natura abbiamo a ricusare quelli che alla fine non sono tanto amari, e col tempo sono per essere dolci e saporiti? Si consideri quanto più fanno gli infermi di corpo, che non richiede la mortificazione. Si lasciano quelli aprir le viscere perché si cavi loro una pietruzza che li affligge; si lasciano abbruciare la carne viva per risanare da una piccola postema; si lasciano segare le membra per deviare un dubbioso cancro. E nel gusto che cosa non patiscono i medesimi con bevande amarissime? E quando mai fanno la propria volontà?
Soggetti sempre al medico e al chirurgo, non fanno mai quello che vogliono; domandano un po' d'acqua, e non è loro data; vogliono levarsi, e non è loro permesso; gustano di dormire, e ogni momento vien loro disturbato il sonno. Che ha a fare questa vita tanto miserabile e crudele con la mortificazione? Questa non è mai tanto disgustosa, e alla fine viene dolce e soave, e non è, come la medicina corporale, rimedio tanto incerto e dubbioso.
Dunque se in un padre sarebbe empietà il non dare a un figliuolo il rimedio certo e meraviglioso che sapeva, e nello stesso figlio sarebbe inumanità o disperazione il non pigliarlo, quanto più (se si considera bene la verità delle cose) potrà giudicarsi per disperato, empio e inumano contro sé stesso quegli che non abbraccia la mortificazione per sanare la corruzione della sua carne e del suo spirito.
Siccome dunque fu grande beneficio di Dio incaricarci la mortificazione, così é dei maggiori castighi che può mandare a uno, darlo in preda ai suoi desideri e gusti; e però dice Davide: Il mio popolo non udì la mia voce, né Israele fece conto di me; ed io li lasciai andare dietro i desideri del loro cuore (Salm. 80, 12, 13). E S. Paolo dice che il castigo che diede Dio ai superbi gentili per la loro alterigia, fu il darli in preda ai loro desideri, che é un castigo orribilissimo dato loro per i grandi peccati che commisero. Né v'ha maggior castigo di Dio, che quando castiga un peccato con un altro per le pene nelle quali incorre il misero peccatore, non essendovi maggior tormento di quello che ci sogliono causare le nostre passioni. E in verità quanto incomparabilmente maggiore è il travaglio di uno che non si mortifica, di quello che molto per vero attende a raffrenare le sue passioni!
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P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J.
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