Alla luce delle Rivelazioni a Maria Valtorta
IL QUARTO COMANDAMENTO: “ONORA IL PADRE E LA MADRE”.
Gesù è sempre stabile nella casa che Lazzaro Gli ha messo a disposizione all’Acqua Speciosa e continua la sua predicazione sui Dieci Comandamenti.
È una triste e fredda giornata invernale e la nebbia stagna ancora sui canneti delle rive.
Riporto tutto il capitolo per intero perché, oltre alla lezione sul quarto Comandamento, avremo uno splendido esempio di come andrebbero trattati quei fratelli che sono cattivi e ci fanno soffrire ingiustamente.
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3 marzo 1945.
[…] Non c'è nessuno, a perdita d'occhio, sulle due sponde del Giordano. Solo nebbietta bassa, fruscio di acqua contro i canneti, borbottio di acque che per le piogge cadute i giorni avanti sono piuttosto motose, e qualche richiamo di uccelli, corto, triste, come lo è quando è cessata la stagione degli amori e i pennuti sono intristiti per la stagione e il poco cibo.
Gesù li ascolta e pare interessarsi molto al richiamo di un uccellino, che con una regolarità di orologio piega il capino Finalmente l'uccelletto pare avere avuto una risposta nel «cip» che viene dall'altra sponda e frulla via, attraverso il fiume, con un piccolo strido di gioia.
Gesù fa un gesto come per dire: «Meno male!», poi riprende la passeggiata.
«Ti disturbo, Maestro?», chiede Giovanni che viene dai prati.
«No. Che vuoi?».
«Volevo dirti... mi pare che sia una notizia che ti possa dare sollievo e sono venuto subito, anche per consigliarmi con Te.
Ero a scopare i nostri stanzoni ed è venuto Giuda di Keriot. Mi ha detto: "Ti aiuto". Sono rimasto stupito perché fa sempre poco volentieri anche il comandato di queste umili cose... ma non ho detto nulla più che questo: "Oh! grazie! Farò più presto e meglio". Lui si è messo a scopare e abbiamo fatto presto. Allora ha detto: "Andiamo nel bosco. Sono sempre i vecchi che portano le legna. Non sta bene. Andiamo noi. Io non so molto fare. Ma se m’insegni...". E siamo andati. E mentre ero lì che legavo con lui le fascine mi ha detto: "Giovanni, ti voglio dire una cosa".
"Parla", ho detto. E pensavo che fosse qualche critica.
Invece ha detto: "Io e te siamo i più giovani. Bisognerebbe stare più uniti. Tu hai quasi paura di me, ed hai ragione perché io non sono buono. Ma credi... non lo faccio apposta. Delle volte ho il bisogno di essere cattivo. Forse perché, unico come ero, mi hanno viziato. E vorrei diventare buono. I vecchi, lo so, mi guardano poco bene. I cugini di Gesù sono urtati perché... sì, io ho mancato molto con loro, e anche con il loro cugino. Ma tu sei buono e paziente. Voglimi bene. Fa' conto che io sia un fratello, cattivo, sì, ma che bisogna amare anche se cattivo. Lo dice anche il Maestro che bisogna fare così. Quando mi vedi fare poco bene, dimmelo. E poi non mi lasciare sempre solo. Quando vado in paese, vieni anche tu. Mi aiuterai a non fare del male. Ieri ho sofferto molto. Gesù mi ha parlato ed io l'ho guardato. Nel mio sciocco rancore non guardavo né me stesso né gli altri. Ieri ho guardato e ho visto... Hanno ragione di dire che Gesù è sofferente... ed io sento che ne ho colpa anche io. Non voglio più averla.
Vieni con me. Ci verrai? Mi aiuterai ad essere meno cattivo?".
Così ha detto, e io, te lo confesso, avevo il cuore che mi batteva come quello di un passero preso da un ragazzo.
Batteva di gioia perché ho piacere che lui diventi buono, per Te ne ho piacere, e batteva un poco di paura perché non vorrei diventare come è Giuda. Ma poi mi è venuto in mente quanto mi avevi detto il giorno che prendesti Giuda, e ho risposto: "Sì, che ti aiuterò. Ma io devo ubbidire, e se ho altri ordini...". Pensavo: ora lo dico al Maestro e se Lui vuole lo faccio, se non vuole mi farò dare ordine di non andare lontano dalla casa».
«Senti, Giovanni. Io ti lascio andare. Però mi devi promettere che se senti che qualche cosa ti turba, tu me lo vieni a dire. Mi hai dato tanta gioia, Giovanni. Ecco qua Pietro col suo pesce. Vai, Giovanni».
Gesù si volge a Pietro: «Buona pesca?».
«Umh! Non molto. Pesciolini... Ma tutto fa. C'è Giacomo che brontola perché qualche animale ha roso la fune e si è persa una rete. Ho detto: "E lui non doveva mangiare? Abbi compatimento per la povera bestia". Ma Giacomo non la intende così...», ride Pietro.
«Quello che dico Io di uno che è un fratello. E quello che voi non sapete fare».
«Parli di Giuda?».
«Parlo di Giuda. Egli ne soffre. Ha desideri buoni e tendenze perverse. Ma dimmi un poco tu, esperto
pescatore. Quando Io volessi andare in barca sul Giordano e raggiungere il lago di Genezaret come potrei fare? Ci riuscirei?».
«Eh! sarebbe un lavorone! Ma ci riusciresti con barchette piatte... Faticoso, sai? Lungo! Bisognerebbe sempre misurare il fondo, avere occhio alle rive e alle secche, ai boschetti galleggianti, alla corrente. La vela non serve in questi casi, anzi... Ma vuoi tornare sul lago seguendo il fiume? Guarda che contro corrente si va male. Bisogna essere in molti, se no...».
«Tu l'hai detto. Quando uno è un vizioso, per andare al Bene deve andare contro corrente, e non può, da solo, uno riuscire. Giuda è proprio uno di questi. E voi non lo aiutate. Il meschino va su, solo, e urta nel fondale, sfrega sulle secche, si impiglia nei boschetti galleggianti, viene preso dai gorghi. D'altronde, se misura il fondo, non può contemporaneamente tenere il timone o il remo. Perché allora lo si rimprovera se non procede? Avete pietà degli estranei e di lui, vostro compagno, no? Non è giusto. Vedi là Giovanni e lui che vanno al paese a prendere pane e verdure? Egli ha chiesto in grazia di non andare solo. E l'ha chiesto a Giovanni, perché non è sciocco e sa come voi vecchi la pensate su lui».
«E Tu lo hai mandato? E se si guasta anche Giovanni?».
«Chi? Mio fratello? Perché si guasta?», chiede Giacomo che giunge con la rete ripescata contro un canneto.
«Perché Giuda va con lui».
«Da quando?».
«Da oggi, ed Io l'ho permesso».
«Allora, se lo permetti Tu...».
«Sì, lo consiglio anzi a tutti. Lo lasciate troppo solo.
Non siate dei giudici per lui solo. Non è peggiore di tanti.
Ma è più viziato, fin dall'infanzia».
«Sì, deve essere così. Se avesse avuto per padre e madre Zebedeo e Salome, così non sarebbe. I miei parenti sono buoni. Ma si ricordano di avere un diritto e un dovere sui figli».
«Hai detto giusto. Oggi parlerò proprio di questo. Ora andiamo. Vedo già della gente che si muove sui prati».
«Io non so come faremo più a vivere. Non c'è più ora di mangiare, di pregare, di riposare... e la gente aumenta sempre», dice Pietro fra ammirato e seccato.
«Te ne duoli? Segno che vi è ancora ricerca di Dio».
«Sì, Maestro. Ma Tu ne soffri. Sei rimasto anche senza mangiare ieri, e questa notte senza altre coperture che il tuo mantello. Se lo sapesse tua Madre!».
«Benedirebbe Dio che mi porta tanti fedeli».
«E rampognerebbe me al quale si è raccomandata», finisce Pietro.
Vengono in giù verso di loro, gesticolando, Filippo e Bartolomeo. Vedono Gesù e affrettano il passo dicendo: «Oh! Maestro! Ma come facciamo? C'è un vero pellegrinaggio; e malati, e piangenti, e poveri senza mezzi che vengono da lontano».
«Compreremo pane. I ricchi danno oboli. Non c'è che da usarli».
«Le giornate sono brevi. La tettoia è già ingombra di gente in bivacco. Le notti sono umide e fredde».
«Hai ragione, Filippo. Ci stringeremo tutti in uno stanzone.
Possiamo farlo, e attrezzeremo gli altri due per coloro che non possono raggiungere le case entro sera».
«Ho capito! Fra poco dovremo chiedere agli ospiti il permesso di mutarci la veste. Saranno così invadenti che ci faranno fuggire noi», brontola Pietro.
«Vedrai altre fughe, Pietro mio! Che ha quella donna?».
Ormai sono già sull'aia e Gesù nota una donna piangente.
«Mah! C'era anche ieri, e anche ieri piangeva. Quando Tu parlavi con Mannanen si è mossa per venirti incontro, poi se ne è andata. Deve stare al paese, o qui vicino, perché è tornata. Malata non pare...».
«La pace sia con te, donna», dice Gesù passandole accosto.
E lei risponde piano: «E con Te».
Null'altro. Ci saranno almeno quelle trecento persone.
Sotto la tettoia sono degli zoppi, ciechi, muti; uno tutto agitato da un tremito; un giovinetto palesemente idrocefalo, tenuto per mano da un uomo. Non fa che mugolare, sbavare, dimenare il suo testone dall'espressione ebete.
«È forse figlio di quella donna?», chiede Gesù.
«Non so. Simone si occupa dei pellegrini, e sa».
Chiamano lo Zelote e l'interrogano. Ma l'uomo non è con la donna. Essa è sola.
«Non fa che piangere e pregare. E mi ha chiesto poco fa: "Guarisce anche i cuori il Maestro?"», spiega lo Zelote.
«Sarà qualche moglie tradita», commenta Pietro.
Mentre Gesù va verso i malati, Bartolomeo con Matteo vanno alla purificazione con molti pellegrini.
La donna nel suo angolo piange e non si muove.
Gesù non nega a nessuno il miracolo. Bello quello dell'ebete al quale infonde intelletto con l'alito, tenendo poi il testone fra le sue lunghe mani. Tutti si affollano.
Anche la velata, forse perché c'è molta gente, osa avvicinarsi alquanto e si pone presso la donna piangente.
Gesù dice al cretino: «Io voglio in te la luce dell'intelletto per fare via alla luce di Dio. Odi, di' con Me: "Gesù". Dillo.
Lo voglio».
L'ebete, che prima mugolava come una bestia, null'altro che un mugolìo, farfuglia a fatica: «Gesù», anzi: «Gegiù».
«Ancora», ordina Gesù tenendo sempre fra le mani la testa deforme e dominandolo col suo sguardo.
«Gessù».
«Ancora».
«Gesù!», dice finalmente il cretino. E l'occhio non è più così vuoto d’espressione, la bocca ha un sorriso diverso.
«Uomo», dice Gesù al padre. «Hai avuto fede! Tuo figlio è guarito. Interrogalo. Il nome di Gesù è miracolo contro i morbi e le passioni».
L'uomo dice al figlio: «Chi sono io?». E il ragazzo: «Il padre mio».
L'uomo si stringe al cuore il figlio e spiega: «Mi è nato così. La sposa m'è morta nel parto e lui era impedito nella mente e nella favella. Ora vedete. Ho avuto fede, sì. Vengo da Joppe. Che devo fare per Te, Maestro?».
«Essere buono. E con te il figlio tuo. Nulla più».
«E amarti. Oh! andiamo subito a dirlo alla madre di tua madre. È lei che mi ha persuaso a questo. Che sia benedetta!».
I due vanno felici. Della passata sventura non resta che la grossa testa del ragazzo. L'espressione e la parola sono normali.
«Ma è guarito per volontà tua o per potere del Nome tuo?», chiedono in molti.
«Per volontà del Padre, sempre benigno al Figlio. Ma anche il mio Nome è salvezza. Voi lo sapete: Gesù vuol dire Salvatore. La salvezza è dell'anima e dei corpi. Chi dice il Nome di Gesù con vera fede risorge dai morbi e dal peccato, perché in ogni malattia spirituale o fisica è l'unghia di Satana, il quale crea le malattie fisiche per portare alla ribellione e alla disperazione attraverso la sofferenza della carne, e quelle morali o spirituali per portare alla dannazione».
«Allora secondo Te in ogni afflizione del genere umano non è estraneo Belzebù».
«Non è estraneo. Per lui malattia e morte sono entrate nel mondo. E delitto e corruzione ugualmente per lui sono entrati nel mondo.
Quando vedete uno tormentato da qualche sventura, pensate pure che egli soffre per Satana.
Quando vedete che uno è causa di sventura, pensate anche che egli è strumento di Satana».48
«Ma le malattie vengono da Dio».
«Le malattie sono un disordine nell'ordine. Perché Dio ha creato l'uomo sano e perfetto. Il disordine, portato da Satana nell'ordine dato da Dio, ha portato seco le infermità della carne e le conseguenze delle stesse, ossia la morte, oppure le ereditarietà funeste.
L'uomo ha ereditato da Adamo ed Eva la macchia di origine. Ma non quella sola. E la macchia sempre più si estende abbracciando i tre rami dell'uomo: la carne sempre più viziosa e perciò debole e malata, il morale sempre più superbo e perciò corrotto, lo spirito sempre più incredulo ossia sempre più idolatra.
Perciò occorre, come ho fatto Io con quel deficiente, insegnare il Nome che fuga Satana, scolpirlo nella mente e nel cuore, metterlo sull'io come un sigillo di proprietà».
«Ma Tu ci possiedi? Chi sei, che tanto ti credi?».
«Fosse così! Ma non è. Vi possedessi, sareste già salvi. E sarebbe il mio diritto. Perché Io sono il Salvatore e dovrei avere i miei salvati. Ma coloro che avranno fede in Me li salverò».
«Giovanni... - io vengo da Giovanni - mi ha detto: "Vai da Colui che parla e battezza presso Efraim e Gerico. Egli ha il potere di sciogliere e legare, mentre io non posso che dirti: fa' penitenza, per rendere agile l'anima tua a seguire la salute"», dice uno dei miracolati, che prima si reggeva sulle stampelle ed ora si muove spedito.
«Non ne soffre il Battista di perdere la folla?», chiede uno.
E quello che ha parlato prima risponde: «Soffrire? Dice a tutti: "Andate! Andate! Io sono l'astro che scende. Egli l'astro che sale e si fissa eterno nel suo splendore. Per non rimanere nelle tenebre andate a Lui prima che il mio lucignolo si spenga"».
«Non dicono così i farisei! Loro sono pieni di astio perché Tu attiri le folle. Lo sai?».
«Lo so», risponde brevemente Gesù.
Si attacca una disputa sulla ragione o meno del modo di agire dei farisei. Ma Gesù la tronca con un: «Non criticate» che non ammette replica.
Tornano Bartolomeo e Matteo coi battezzati.49
Gesù inizia a parlare.
«La pace sia con voi tutti. Ho pensato, posto che ora venite qui sin dal mattino, e più comodo vi è partire a metà giorno, di parlarvi di Dio al mattino.
Ho anche pensato ad alloggiare i pellegrini che non possono tornare alle case entro sera. Io sono pellegrino a mia volta e non possiedo che il minimo indispensabile datomi dalla pietà di un amico.
Giovanni ha ancora meno di Me. Ma da Giovanni vanno persone sane o semplicemente poco malate, rattratti, ciechi, muti. Ma non morenti o febbrili come da Me. Vanno da lui per battesimo di penitenza. Da Me venite anche per guarigione di corpi.
La Legge dice: "Ama il tuo prossimo come te stesso". Io penso e dico: come mostrerei di amare i fratelli se chiudessi il mio cuore ai loro bisogni anche fisici? E concludo: darò loro ciò che mi fu dato. Stendendo la mano ai ricchi chiederò per il pane dei poveri, levandomi il letto accoglierò in esso lo stanco e il sofferente. Siamo tutti fratelli. E l'amore non si prova a parole, ma a fatti. Colui che chiude il cuore al suo simile ha cuor di Caino. Colui che non ha amore è un ribelle al comando di Dio. Siamo tutti fratelli. Eppure Io vedo, e voi vedete, che anche nell'interno delle famiglie là dove il sangue uguale ribadisce, anche col sangue e la carne, la fratellanza che ci viene da Adamo - vi sono odi e attriti.
I fratelli sono contro i fratelli, i figli contro ai genitori, i consorti l'uno all'altro nemici. Ma per non essere malvagi fratelli sempre, e adulteri sposi un giorno, bisogna imparare sino dalla prima età il rispetto verso la famiglia, organismo che è il più piccolo ed il più grande del mondo.
Il più piccolo rispetto all'organismo di una città, di una regione, di una nazione, di un continente. Ma il più grande perché il più antico; perché messo da Dio quando ancora il concetto di patria, di paese non esisteva, ma già era vivo e operante il nucleo famigliare, sorgente alla razza e alle razze, piccolo regno in cui l'uomo è re, la donna regina, sudditi i figli.
Può mai un regno durare se diviso e nemico fra i suoi singoli abitanti? Non può durare. E in verità non dura una famiglia se non c'è ubbidienza, rispetto, economia, buona volontà, operosità, amore.
"Onora il padre e la madre", dice il decalogo. Come si onorano? Perché si devono onorare?
Si onorano con vera ubbidienza, con esatto amore, con confidente rispetto, con un timore riverenziale che non preclude la confidenza ma nello stesso tempo non ci fa trattare i maggiori come fossimo servi ed inferiori.
Si devono onorare perché, dopo Dio, i datori della vita e di tutte le necessità materiali della vita, i primi maestri, i primi amici del giovane essere nato alla Terra, sono il padre e la madre.
Si dice: "Dio ti benedica", si dice: "grazie" a quello che ci raccoglie un oggetto caduto o ci dà un tozzo di pane. Ed a questi che si spezzano nel lavoro per sfamarci, per tesserci le vesti e tenerle monde, per questi che si alzano per scrutare il nostro sonno, si negano riposo per curarci, ci fanno letto del loro seno nelle nostre stanchezze più dolorose, non diremo, con l'amore: "Dio ti benedica", "grazie"?
Sono i nostri maestri. Il maestro è temuto e rispettato. Ma esso ci prende quando già sappiamo l'indispensabile per reggerci e nutrirci e dire le cose essenziali, e ci lascia quando il più arduo insegnamento della vita, ossia "il vivere", ci deve ancora essere insegnato.
E sono il padre e la madre che ci preparano alla scuola prima, alla vita poi. Sono i nostri amici. Ma quale amico può essere più amico di un padre? E quale più amica di una madre?
Potete tremare di essi? Potete dire: "Sarò tradito da lui, da lei"?
Eppure ecco il giovane stolto e la ancora più stolta fanciulla che si fanno amici degli estranei, e chiudono il cuore al padre e alla madre, e si guastano mente e cuore con contatti che sono imprudenti se pure non sono colpevoli, cagione di lacrime paterne e materne che rigano come gocce di piombo fuso il cuore dei genitori.
Quelle lacrime però, Io ve lo dico, non cadono nella polvere e nell'oblio. Dio le raccoglie e le numera. Il martirio di un genitore calpestato avrà premio dal Signore. Ma l'atto del figlio suppliziatore di un genitore neppure sarà dimenticato, anche se il padre e la madre supplicano, nel loro dolente amore, pietà di Dio per il figlio colpevole.
"Onora il padre e la madre se vuoi vivere lungamente sulla Terra", è detto.
"Ed eternamente in Cielo", Io aggiungo. Troppo poco sarebbe il castigo di vivere poco qui per avere mancato ai genitori! L'al di là non è fola, e nell'al di là si avrà premio o castigo a seconda di come vivemmo.
Chi manca ad un genitore manca a Dio, perché Dio ha dato per il genitore comando d'amore, e chi non ama pecca. Perde perciò così, più della vita materiale, la vera vita di cui vi ho parlato, e va incontro ad una morte, ha anzi già la morte avendo l'anima in disgrazia del suo Signore, ha già in sé il delitto perché ferisce l'amore più santo dopo Dio, ha già in sé i germi dei futuri adultèri perché da cattivo figlio viene perfido sposo, ha già in sé gli stimoli del pervertimento sociale perché da un figlio cattivo sboccia il futuro ladro, il truce e violento assassino, il freddo strozzino, il libertino seduttore, il gaudente cinico, il ripugnante traditore della patria, degli amici, dei figli, della sposa, di tutti.
E potete aver stima e fiducia in colui che ha saputo tradire l'amore di una madre e deridere i capelli bianchi di un padre?
Però, udite ancora, però al dovere dei figli corrisponde un pari dovere dei genitori. Maledizione al figlio colpevole! Ma maledizione anche al colpevole genitore. Fate che i figli non vi possano criticare e copiare nel male. Fatevi amare per un amore dato con giustizia e misericordia.
Dio è Misericordia. I genitori, secondi a Dio solo, siano misericordia. Siate esempio e conforto dei figli. Siate pace e guida. Siate il primo amore dei vostri figli. Una madre è sempre la prima immagine della sposa che noi vorremmo. Un padre per le figlie giovinette ha il volto che esse sognano per lo sposo.
Fate che soprattutto i figli e le figlie scelgano con saggia mano i reciproci consorti pensando alla madre, al padre, e volendo nel consorte ciò che è nel padre, nella madre: una virtù verace.
Se avessi a parlare finché è esaurito l'argomento, non basterebbe il giorno e la notte. Onde abbrevio per amore di voi.
Il resto ve lo dica lo Spirito eterno. Io getto il seme e poi passo.
Ma il seme nei buoni getterà radica e farà spiga. Andate. La pace sia con voi».
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a cura del Team Neval
Riflessioni di Giovanna Busolini