sabato 1 febbraio 2020

Chi è don Luigi Villa?



Don Villa a Brescia

Fu la situazione grave in cui si trovavano i Genitori, che spinse don Villa ad accettare dall’arcivescovo di Chieti, mons. Giambattista Bosio, l’incardinazione nella sua diocesi, come era stato suggerito dal Segretario di Stato, cardinale Tardini. Ma fu una incardinazione segretissima, fatta nello studio del Vescovo, e, come testimone, solo il suo Segretario, mons. Antonio Stoppani. Ma mons. Bosio, per consentire a don Villa di aiutare i Genitori, avuto il beneplacito da Roma, trasferì don Villa nella diocesi di Brescia, con l’aprovazione del Vescovo locale.
Il 15 settembre 1962, don Villa aprì una “Casa di formazione”, a Codolazza di Concesio – Brescia, intitolata “Villa Immacolata”, per erigere l’Istituto “Operaie di Maria Immacolata” nato con la paternità di Mons. Bosio.
Nel 1964, l’anziano Vescovo di Brescia, mons. Giacinto Tredici, morì e fu sostituito dal montiniano mons. Luigi Morstabilini.

Il 12 dicembre 1964, mons. Morstabilini promise a mons. Bosio di concedere, in breve tempo, il Decreto di approvazione dell’Istituto; la stessa promessa la fece a don Villa, tre giorni dopo; in gennaio 1965 vi fu il trasferimento dei documenti; il 2 febbraio furono accettate da don Villa alcune condizioni restrittive sulle vocazioni estere; il 4 febbraio, mons. Morstabilini assicurò mons. Bosio che il documento di approvazione era “sicuro”; il 7 febbraio mons. Morstabilini, in visita alla parrocchia in cui risiedeva l’Istituto di don Villa gli evitò l’onore di una sua visita; il 18 maggio, mons. Bosio, dopo un colloquio con mons. Morstabilini assicurò don Villa che il Decreto di approvazione era ormai prossimo al rilascio. 


Ma il 1° luglio 1965, don Villa ricevette dalla Curia di Brescia una lettera del delegato vescovile che lo informava del parere sfavorevole della Commissione a riguardo dell’approvazione dell’Istituto.

Di fronte a tanta ostilità e doppiezza, don Villa comunicò a mons. Bosio la sua intenzione di incardinarsi in un’altra diocesi. Il suo Vescovo dispiaciuto, gli rispose: «No, non farlo, per me!».
Ma questa doppiezza nel modo di agire, obbligò il così paziente e buono mons. Bosio ad AGIRE!
«Adesso basta – disse a don Villa – in fin dei conti il tuo Vescovo sono Io. Se non comprendono la mia delicatezza e carità, andrò a Roma, e ti scriverò».
Il 4 dicembre 1965, mons. Bosio scriveva a don Villa: «Carissimo Padre Villa, puoi dire alle tue figlie che l’Immacolata ha esaudito le nostre e le loro preghiere. Visto che a Brescia non si viene a capo di nulla, ho fatto visita al card. Pietro Palazzini…». La lettera terminava così: «.. non avendo qui, a Roma, i timbri della Curia, potrete ugualmente celebrare la “fondazione” il giorno dell’Immacolata. Il “Documento” ve lo manderò quanto prima».
L’8 dicembre 1965, Mons. Bosio inviò a don Villa il “Decreto” con cui si erigeva canonicamente il suo Istituto “Operaie di Maria Immacolata”.
Il 20 maggio 1967, la sede dell’Istituto fu trasferita in città, in via Galileo Galilei, 121, Brescia, dove risiede tuttora.
Mons. Giambattista Bosio, però, morì pochi giorni dopo, il 25 maggio 1967.
Don Villa non era a conoscenza di alcuna malattia o altro problema di salute che potesse far pensare ad una morte imminente del suo Vescovo. Solo poche settimane prima della morte, lo stesso mons. Bosio, gli aveva detto: «Quando andrò in pensione, vorrei venire a vivere con te, nel tuo Istituto». Le stesse Suore dell’Istituto erano elettrizzate al pensiero di avere con loro un personaggio così famoso e importante.
Quando Mons. Bosio morì, don Villa si trovava all’estero e, al suo ritorno, si recò immediatamente a Chieti per pregare sulla sua tomba.

Il nuovo Vescovo di Chieti, e quindi il diretto superiore di don Villa, fu mons. Loris Capovilla, ex uomo di fiducia del Vescovo di Padova, mons. Girolamo Bortignon, uno dei peggiori nemici di Padre Pio, ex segretario personale di Giovanni XXIII ed ex segretario personale di Paolo VI, dal 1963 al 1967.
Don Luigi si recò subito da Lui ed ebbe un colloquio in cui, il Vescovo, più che trattare la questione della sua incardinazione, per più di un’ora, cercò di convincerlo a non scrivere più articoli contro il comunismo, poiché – diceva – il comunismo sovietico vincerà e si dovrà venire a patti con Mosca!
Con la morte di mons. Bosio, don Villa si trovò stretto in una morsa: da una parte, l’ex segretario personale di Paolo VI, mons. Capovilla; dall’altra, il montiniano Vescovo di Brescia, mons. Morstabilini.
Mons. Capovilla chiedeva a don Villa di incardinarsi a Brescia, mentre mons. Morstabilini insisteva che don Villa rimanesse incardinato a Chieti e continuasse la sua opera a Brescia, riconfermandogli la sua fiducia, stima e benevolenza e consigliandogli di “far maturare i tempi”.
Il 4 febbraio 1968, don Villa, in una lettera al Vicario Generale di Brescia, mons. Pietro Gazzoli, lamentandosi della “poca intelligenza e onestà” e del modo doppio di agire di mons. Morstabilini, riportava due documenti che attestavano la sua mala fede: 

1. una lettera di mons. Morstabilini a mons. Bosio (scritta dopo il Decreto di approvazione di Roma dell’8 dicembre 1965) in cui si scusava per non averlo dato lui tale “Decreto”, perché questa era la sua intenzione, e dove incolpava la Commissione di Curia di averglielo impedito.
2. un’altra lettera di mons. Morstabilini, ad un parroco bergamasco, in cui, invece, il Vescovo affermava esattamente il contrario; pur riconoscendo che don Villa aveva ricevuto un Decreto di approvazione del suo Istituto, disse, però, che, se fosse dipeso da lui, tale Decreto non gli sarebbe mai stato concesso.

Il 3 settembre 1968, don Villa ricevette un “ultimatum” dal Vicario Generale di Chieti, mons. F. Marinis, il quale gli intimava di farsi incardinare a Brescia, entro fine anno.
Il 15 dicembre 1968, don Villa scrisse una lettera al card. Pietro Palazzini per metterlo al corrente di tutte queste manovre che miravano a “scardinare” l’Istituto che aveva da poco fondato.

Questi sono solo i primi esempi del modo di agire dei “nemici” di don Villa: nemici che non l’hanno mai affrontato lealmente e in campo aperto, ma che hanno sempre agito alle spalle, con doppiezza, colpendolo con ogni mezzo, incluso, come vedremo, il tentativo di assassinio.

a cura dell’Ing. Franco Adessa

AMORE E MISERICORDIA



"Voglio vivere unicamente per amarlo e, unita a lui, vivere soffrendo e morire amando".

Serva di Dio Madre Speranza di Gesù

Al di là della sofferenza




Signore, aiutami ad essere cosciente 
dei miei limiti.
Fa’ che io sia tanto coraggioso da non perdermi d’animo 
di fronte alle inevitabili difficoltà della vita.
Fa’ che sia tanto umile da giungere a scoprire
che senza di te non sono nulla e non valgo nulla.
Fa’ sì, Signore, che quando il dolore 
bussa alla mia porta
non lo veda mai come un castigo 
che tu mi invii,
ma come un’opportunità che mi offri 
di poterti dimostrare che ti amo davvero,
e che sono conscio che tu mi ami 
nonostante tutto.
Che la sofferenza, Signore, 
mi renda ogni volta più maturo,
mi renda più disponibile agli altri,
e mi faccia più amabile e più umano. 
Quando verrà il dolore, 
lungi dal ribellarmi contro di te,
che sappia offrirtelo e condivere amore e pace
con tutti coloro che mi circondano.
Signore, ti avevo chiesto forza per uscire vittorioso.
Tu mi hai dato la debolezza
affinché impari ad obbedire con umiltà. 
Ti avevo chiesto salute
per compiere grandi imprese.
Mi hai dato l’infermità 
per realizzare cose migliori.
Desideravo la ricchezza per poter essere ammirato.
Mi hai dato la povertà per acquisire 
sapienza.
Volevo avere potere 
per essere apprezzato dagli uomini.
Mi hai dato debolezza 
perché arrivassi ad avere desiderio di te.
Chiesi una compagna per non vivere solo,
mi desti un cuore
perché potessi amare tutti gli uomini.
Anelavo a cose che potessero rallegrare la mia vita
e mi hai dato vita
perché potessi godere di tutte le cose.
Non ho nulla di quello che ho tanto richiesto,
ma ho ricevuto tutto quello che avevo sperato.
Perché senza rendermi conto
le mie preghiere sono state ascoltate.
e io sono, fra tutti gli uomini, il più ricco.

(Parole incise su una piastra di bronzo 
all’Istituto di Riabilitazione di New York). 


..Padre Angel Peña

La battaglia continua



ERRORI DOTTRINALI DEL VATICANO II


SANTA MESSA
Errori sulla sua natura

Vediamo, ora, la totale disgregazione del nuovo rito che lo stesso Paolo VI destinò a sostituire il tradizionale “Rito di sempre”, ora interdetto (ma mai abrogato!).
Vediamo, quindi, quella rottura con la Tradizione alla luce della Fede cattolica, la quale insegna che Gesù, dopo la doppia consacrazione, è presente sull’altare, come sul Calvario, in stato di vittima immolata e offerta, realizzando una vera transustanziazione del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue. I Protestanti, invece, non credono a questa transustanziazione, perché per essi, la “cena” non è che un memoriale di ciò che Gesù fece la sera del giovedì santo; perciò, per i Protestanti non sarebbe altro che una presenza spirituale di Gesù, poiché, «dovunque, due o tre persone sono riunite nel mio nome, Io sono il mezzo a loro» (Mt. XVIII, 20). Per questo, i Protestanti hanno orrore della Messa cattolica, e con Lutero essi la ritengono più abominevole a Dio di “tutti i peccati commessi in tutti i luoghi di prostituzione del mondo”.
Ebbene, la nuova versione del sacrificio nel rito di Paolo VI, i Protestanti l’hanno subito recepito come espressa nel Nuovo Messale delle domeniche, nell’edizione del 1975, a pagina 383 si legge: “Nel corso della messa si tratta semplicemente di fare menzione dell’unico sacrificio già compiuto”.
Come si vede questa dichiarazione dei Protestanti manifesta assai chiaramente la differenza fondamentale che esiste tra i due riti: quello di Paolo VI permette di negare la fede cattolica nel Santo Sacrificio della Messa, e il rito cattolico, codificato da San Pio V, che obbliga, invece, a professarla (I capo, p. 27-29). Quindi, il rito cattolico, nato dalla riforma del Vaticano II, non significa più la grazia dell’ordinazione sacerdotale; ciò è stato rigettato, e un nuovo rito è stato adottato per far sparire tutto il potere di consacrare e di offrire il Sacrificio del Nuovo Testamento.
Per questo, nel presentare il “Breve esame critico della nuova messa”, a Paolo VI, i cardinali Ottaviani e Bacci dicevano: «questo aveva eretto una barriera invalicabile contro ogni eresia che avrebbe potuto recar danno all’integrità del Mistero». 
Ora, questa barriera invalicabile contro ogni eresia, ossia quell’insieme di preghiere, di offertori, di segni che nella Messa cattolica sottolineavano il carattere sacrificale e propiziatorio della Messa, la riforma di Paolo VI l’ha fatta sparire, perché non significa più la transustanziazione, ma sono vane e senza effetto le parole: «Questo è il mio Corpo… questo è il mio Sangue».

sac. Luigi Villa

SOMMO PADRE



O sommo Padre, noi viviamo tra grandi angustie. Ora dunque ti supplichiamo, ti supplichiamo in nome
Del tuo Verbo,
per mezzo del quale ci facesti colmi dei beni che ci mancavano.
Piaccia ora a te, Padre, come ti  si addice,
volgere lo sguardo verso di noi perché, grazie al tuo aiuto,
non veiamo meno
e il tuo nome non venga in noi cancellato.
E per il tuo stesso nome degnati di venire in nostro aiuto.

Santa Ildegarda di Bingen

Gli oscuri piani del maligno si attuano!



Il tempo si oscura, la vostra esistenza diventa più difficile, ancora più sofferenza si diffonderà ora sulla vostra terra, perché gli oscuri piani del maligno si attuano, cioè egli si dirige direttamente verso il dominio del mondo.

Per questo dovete pregare, bambini Miei, per controbattere a questi piani malvagi e pregare che Dio Padre distenda presto la Sua mano salvatrice per preservare e liberare voi tutti, da queste ingiustizie, dalla tribolazione e dall’immoralità in tutte le sue sfaccettature senza scrupoli.

Pregate, Figli Miei che i seguaci di Mio Figlio aumentino ancora di più e che sempre più anime smarrite possano trovarLo!

Così sia.

Io vi amo. La vostra Mamma Celeste.

VITA DI CRISTO



La Visitazione  

Maria era stata avvertita che avrebbe concepito per virtù dello Spirito Santo. La sua attempata cugina Elisabetta aveva già concepito, nei suoi vecchi anni, un figlio, ed era adesso al sesto mese; e Maria, che ora portava entro di sé il Divino Segreto, si pose in viaggio, e parecchi giorni impiegò da Nazaret alla città di Ebron, che, secondo la tradizione, racchiudeva le ceneri dei fondatoci del popolo di Dio: Abramo, Isacco e Giacobbe. Elisabetta, venuta misteriosamente a sapere che Maria recava entro di sé il Messia, le domandò:  
«E in grazia di che mi è concesso che la madre del mio Signore venga a me?» (Luca 1: 43)  
Fu questo il saluto della madre dell'araldo alla madre del Re di cui l'araldo era destinato a preparare il sentiero; e Giovanni il Battista, ancora ricinto entro il seno della madre, alla testimonianza della madre sobbalzò di giubilo per quell'altra madre che nella casa di lei portava il Cristo.  
La risposta di Maria a questo saluto vien chiamata Magnificati ed è un cantico di gioia che celebra ciò che Dio aveva fatto per lei. Rivolse ella uno sguardo alla storia, ad Adamo, e vide quanto Dio aveva operato, di generazione in generazione, per preparare quel momento, e scorse pure un futuro indefinito in cui «Beata» l'avrebbero chiamata tutte le genti e tutte le generazioni. Sarebbe dunque venuto il Messia d'Israele, e Dio si sarebbe manifestato sulla terra e nella carne. E profetò perfino, Maria, le qualità del Figlio che da lei sarebbe nato, ricolmo di giustizia e di misericordia. Il suo poema termina con un inno alla rivoluzione ch'Egli inaugurerà abbassando i potenti ed esaltando gli umili. 

Venerabile Mons. FULTON J. SHEEN

DELLE CAUSE DEI MALI PRESENTI E DEL TIMORE DE' MALI FUTURI E SUOI RIMEDI AVVISO AL POPOLO CRISTIANO


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DEL CONTE CANONICO ALFONSO MUZZARELLI

DELL'ULTIMA PERSECUZIONE DELLA CHIESA E DELLA FINE DEL MONDO



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P. B. N. B.


La vera Chiesa del Mio Gesù diventerà piccola, ma con grandi uomini e donne di fede.




Cari figli, rimanete con Mio Figlio Gesù, perché solamente così potete ottenere vittoria. Curate la vostra vita spirituale. Dedicate parte del vostro tempo alla preghiera, all'ascolto del Vangelo e alimentatevi con il prezioso alimento dell'Eucaristia. Voi Appartenete al Signore. Non permettete che il demonio vinca. L'umanità vivrà l'angoscia di un condannato e solamente con la forza della preghiera potete sopportare le prove che verranno. Pregate molto per la Chiesa del Mio Gesù. La divisione è arrivata nel seno della Chiesa, ma quelli che rimangono fedeli al vero Magistero vedranno la Mano Potente di Dio agire. La vera Chiesa del Mio Gesù diventerà piccola, ma con grandi uomini e donne di fede. L'albero del male crescerà e i suoi frutti si diffonderanno ovunque. Voi che Mi ascoltate, amate e difendete la verità. Coraggio. Alla fine, avverrà il Trionfo Definitivo del Mio Cuore Immacolato e i giusti saranno ricompensati. Avanti nella verità. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per averMi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Io vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.


Comunione sulla mano? NO! é sacrilegio!



L'Istruzione “Memoriale Domini” del 29 maggio 1969, in cui Paolo VI autorizzava l’Episcopato Italiano a concedere il permesso di dare la “Comunione sulla mano”, ci ha profondamente sconcertati perché noi l’abbiamo visto come un nuovo colpo d’accetta sul tronco della Tradizione Apostolica, e un nuovo processo di auto-demolizione della Tradizione della Chiesa cattolica. Sì, perché dare la “Comunione sulla mano” non è solo un problema liturgico, ma è anche, e principalmente, un problema teologico, proprio perché nell’Eucarestia si concentra tutto il dogma della nostra religione cattolica.
Quindi, chi “profana” l’Eucarestia commette “sacrilegio”, colpisce il sacerdozio di Cristo, ne rifiuta, implicitamente, la sua Passione espiatrice e redentrice, demolisce e distrugge la Chiesa e il Cristianesimo stesso!
La Chiesa aveva abolito quasi subito l’usanza di dare la “Comunione sulla mano”, che poteva essere giustificata ai primi tempi della sua storia a causa delle persecuzioni cruente, ma non poteva più essere approvata dopo le numerose profanazioni che risultavano anche in quei primissimi tempi della Chiesa!
Oggi, purtroppo, nonostante la crisi gravissima che sta attraversando la Chiesa, la Gerarchia si è come piegata a concedere di nuovo quel rito che, da oltre un secolo, volevano l’umanesimo materialista e ateo, il protestantesimo liberale e massonico, la “nuova teologia” tedesca-olandese, ribelle al Magistero solenne della Chiesa di sempre!
Così, a partire dal Vaticano II, ci si comunica in piedi, senza più alcuna genuflessione di adorazione e, adesso, si è arrivati anche a concedere la “Comunione sulla mano”facendo perdere, così, anche quel poco di rispetto che era ancora rimasto per le cose sante!
Comunque, è una norma ingiusta e sacrilega, come lo dimostreremo!
E noi non possiamo rassegnarci a questo triste stato di cose e a limitarci a soffrirne!
Per questo invitiamo tutti, Gerarchia e clero, a rimettere a posto e il rispetto e l’adorazione e l’amore a Gesù-Eucarestia!
Ci auguriamo, perciò, che il Magistero - che, qui, ha sbagliato gravissimamente! - abbia il coraggio di interdirla di nuovo con chiarezza, come aveva già fatto in passato, dopo tante tristissime esperienze!

del sac. Luigi Villa

“Il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono”. (Luca 11,13)



ABITA IN ME…  CONSACRAMI

Spirito di Dio, riempimi, Spirito di Dio, battezzami, Spirito di Dio, consacrami.
Vieni ad abitare dentro me.

Spirito di Dio, guariscimi, Spirito di Dio, rinnovami, Spirito di Dio, consacrami.
Vieni ad abitare dentro me.

Spirito di Dio, riempici, Spirito di Dio, battezzaci, Spirito di Dio, consacraci.
Vieni ad abitare dentro noi.

venerdì 31 gennaio 2020

L'ultimo Papa canonizzato



NEL SEMINARIO DI PADOVA 

In una brumosa mattina del Novembre 1850 il futuro Pio X entrava nel  grande Seminario di Padova: quieto asilo di studi severi e gloria del B.  Gregorio Barbarigo (26). 
Il vigore della sua intelligenza e la sua straordinaria applicazione allo studio,  congiunta ad una schietta e soda bontà, gli acquistarono presto la stima dei  Superiori e l'affetto dei Professori, mentre compagni e condiscepoli, come  presi dalla serena giovialità del suo carattere, non tardarono ad amarlo, non  senza un sentimento di legittima invidia e di ammirazione. (27) 
“Mi trovo bene con tutti e compagni e Superiori” — scriveva un mese dopo il  novello Seminarista al Cappellano di Riese, Don Pietro Jacuzzi succeduto da  poco a Don Luigi Orazio (28). 
Si trovava bene, perché la sua vocazione sacerdotale aveva trovato il suo  clima e poteva oramai svolgersi in tutto il suo rigoglio. 
Prova non dubbia lo splendido risultato dei suoi studi nel chiudersi del suo  primo anno scolastico (1850-1851) con questo invidiabile attestato: 
“Disciplinae nemini secundus — Ingenti maximi — Memoriae summae —  Spei maximae” (29). 
Attestato magnifico che si sarebbe ripetuto di anno in anno fino al giorno, in  cui il figliolo del povero cursore di Riese avrebbe rivarcato la soglia del  grande Seminario, non più come semplice Seminarista, ma come sacerdote di  Cristo. 
Il 20 Settembre 1851 dal suo Vescovo nella vetusta cattedrale di Asolo  riceveva la Tonsura (30). 

UN GRAVE LUTTO 

Ma il secondo anno di Seminario, incominciato e continuato sotto i più lieti  auspici, doveva essere offuscato da una sventura al sommo dolorosa per il  giovane chierico: la morte del padre. 
Il cursore di Riese sulla fine dell'Aprile 1852, avendo preso freddo, si era  dovuto mettere a letto, e, dopo qualche giorno, moriva. 
Sembra che il nostro Seminarista ne avesse avuto il presentimento. 
In uno di quei giorni si presentò, tutto in lagrime, al Rettore del Seminario,  chiedendogli il permesso di andare a casa. 
— Perché? 
— Perché mio padre è gravemente ammalato. 
Era vero e nulla lo aveva fatto prevedere! (31) 
La morte di Giovanni Battista Sarto gettava nel lutto la povera Margherita  con otto teneri figlioletti. Ma, donna di mirabile fede, seppe sopportare la  durissima prova con coraggio e rassegnazione cristiana. 
Anche per il nostro Giuseppe quella morte fu uno schianto, perché al  pensiero degli studi vedeva ora aggiungersi la grave preoccupazione per la  mamma rimasta sola, priva di ogni risorsa, con un avvenire di sofferenze, di  angustie e di stenti. 
Ma non si smarrì. Accettò dalle mani di Dio l'amara sciagura e ad uno zio  paterno che gli domandava se, come il maggiore della famiglia, volesse  succedere al padre nel modesto impiego di cursore comunale per aiutare la mamma, rispose risoluto: 
— No: vado prete! (32) 
E continuò a studiare, santificando lo studio con l'esercizio delle più belle  virtù e chiudendo l'anno scolastico con la solita nota “eminentemente  distinto” (33). 
Ma i brillanti successi nei suoi studi non lo inorgoglivano. 
Lo lasciavano sempre umile e modesto, docile alla disciplina, pronto ad ogni  cenno dei Superiori, tenace assertore tra i suoi compagni del loro prestigio e  della loro autorità (34). Era specchio e modello a tutti i Seminaristi (35). 

VACANZE TRISTI 

Terminato il secondo corso di Filosofia, in cui tra i 39 alunni era riuscito il  primo, egli doveva lamentare la perdita del conforto che gli veniva da due  integerrimi sacerdoti al suo cuore carissimi: Don Tito Fusarini e Don Pietro  Jacuzzi. 
Don Fusarini — il suo secondo padre — per la sua malferma salute aveva  dovuto rinunziare alla Parrocchia di Riese e ritirarsi a Venezia: Don Jacuzzi  — il sostegno della sua povertà — con grande dispiacere della popolazione,  era stato trasferito come Vicario Parrocchiale a Vascon: una piccola borgata  nelle vicinanze di Treviso. 
Quando Giuseppe Sarto ritornò a casa per le vacanze autunnali, sentì ancora  più la perdita che lo aveva colpito. Riese, senza Don Tito e Don Pietro, non  era più Riese. Il nuovo Parroco, per il suo carattere scontroso e per i suoi sistemi alquanto strani, non era gradito alla gente del villaggio. 
Quanto il nostro Seminarista soffrisse per questo stato di cose, ce lo dice egli  stesso in una lettera del 9 Settembre 1854 indirizzata a Don Jacuzzi. 
“E' cosa amara il ricordarsi del tempo felice nella miseria — così scriveva —  eppure, leggendo l'altro giorno la gentile e sempre grata sua lettera, provai  meco stesso un non so che di compiacenza il ricordarmi i bei giorni che in  sua compagnia ho passati. 
“Adesso tutto è svanito. La Canonica è luogo di solitudine e quelli che  l'abitano, anziché conservare qualche ora all'amicizia, godono piuttosto di  fare ogni giorno le loro gitarelle e quindi, quasi sempre vivo in casa da tutti segregato, desiderando il momento di ritornare in Seminario per passare  giorni più di questi tranquilli” (36). 
Ma prima di rientrare in Seminario, volle accondiscendere alla richiesta del  nuovo Parroco, inaugurando la sua carriera oratoria con la predica dei Morti,  la quale lasciò nell'animo dei suoi conterranei una profonda impressione (37). 

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c.

REGOLE ED ESORTAZIONI


DEI PREDICATORI


1 Nessun frate predichi contro la forma e le prescrizioni della santa Chiesa e senza il permesso del suo ministro. 2 E il ministro si guardi dal concederlo senza discernimento. 3 Tutti i frati, tuttavia, predichino con le opere. 4 E nessun ministro o predicatore consideri sua proprietà il ministero dei frati o l’ufficio della predicazione, ma in qualunque ora gli fosse ordinato, lasci, senza alcuna contestazione, il suo incarico.

5 Per cui scongiuro, nella carità che è Dio, tutti i miei frati occupati nella predicazione, nell’orazione, nel lavoro, sia chierici che laici, che cerchino di umiliarsi in tutte le cose, 6 di non gloriarsi, né godere tra sé, né esaltarsi dentro di sé delle buone parole e delle opere anzi di nessun bene che Dio dice, o fa o opera talora in loro e per mezzo di loro, secondo quello che dice il Signore: «Non rallegratevi però in questo, perché vi stanno soggetti gli spiriti».

7 E siamo fermamente convinti che non appartengono a noi se non i vizi e i peccati. 8 E dobbiamo anzi godere quando siamo esposti a diverse prove, e quando sosteniamo qualsiasi angustia o afflizione di anima o di corpo in questo mondo in vista della vita eterna. 9 Quindi tutti noi frati guardiamoci da ogni superbia e vana gloria; 10 e difendiamoci dalla sapienza di questo mondo e dalla prudenza della carne. 11 Lo spirito della carne, infatti, vuole e si preoccupa molto di possedere parole, ma poco di attuarle, 12 e cerca non la religiosità e la santità interiore dello spirito, ma vuole e desidera avere una religiosità e una santità che appaia al di fuori agli uomini.
13 È di questi che il Signore dice: «In verità vi dico, hanno ricevuto la loro ricompensa». 14 Lo spirito del Signore invece vuole che la carne sia mortificata e disprezzata, vile e abbietta, 15 e ricerca l’umiltà e la pazienza e la pura e semplice e vera pace dello spirito; 16 e sempre desidera soprattutto il divino timore e la divina sapienza e il divino amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

17 E restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamogli grazie, perché procedono tutti da Lui. 18 E lo stesso altissimo e sommo, solo vero Dio abbia, e gli siano resi ed Egli stesso riceva tutti gli onori e la reverenza, tutte le lodi e tutte le benedizioni, ogni rendimento di grazia e ogni gloria, poiché suo è ogni bene ed Egli solo è buono.
19 E quando vediamo o sentiamo maledire o fare del male o bestemmiare Dio, noi benediciamo e facciamo del bene e lodiamo il Signore che è benedetto nei secoli. Amen.

S. Francesco d’Assisi


Conoscere la Massoneria



del dott. Franco Adessa

Nel 1917, Massimiliano Kolbe fonda la “Milizia dell’Immacolata”. Naturalmente, la sua lotta non fu quella di abbattere le anime del nemico, ma quella di richiamarle e convertirle, per la loro eterna salvezza, e per questo, Padre Kolbe si rivolgeva anche ai suoi nemici. 
In un suo articolo dal titolo: “Poveretti!!!”, scriveva: “L’uomo è redento. Cristo ha fondato la sua Chiesa sulla roccia. Una parte del popolo ebreo riconobbe in lui il Messia, gli altri, soprattutto i superbi farisei, non vollero riconoscerlo; essi perseguitarono i suoi seguaci e diedero il via ad un gran numero di leggi che obbligavano gli ebrei a perseguitare i cristiani. Queste leggi, insieme a narrazioni e ad appendici, verso il 500, formarono il loro libro sacro, il “Talmud”. In questo libro, i cristiani vengono chiamati: idolatri, peggiori dei turchi, omicidi, libertini impuri, sterco, animali in forma umana, peggiori degli animali, figli del diavolo, ecc. I sacerdoti vengono chiamati indovini e teste pelate (...). La Chiesa (viene chiamata) casa di scempiaggine e di sporcizia. Le immagini sacre, le medagliette, i rosari, sono chiamati  idoli. Nel “Talmud”, le domeniche e le feste vengono denominate giorni di perdizione. In questo libro si insegna, inoltre, che ad un ebreo è permesso ingannare e derubare un cristiano, poiché tutti i beni dei cristiani - vi è scritto - “sono come il deserto: il primo che li prende, ne diviene il padrone”. Quest’opera che raccoglie dodici volumi e che ispira odio contro Cristo e i cristiani, viene considerata da questi farisei un libro sacro, più importante della Sacra Scrittura.  
In ricorrenza del Congresso Internazionale dei massoni, che si tenne a Bucarest nel 1926, Padre Kolbe scrisse, in un articolo: «Quei signori (cioè i massoni) credono di essere loro a governare: ascoltiamo, allora, ciò che scrivono i “Protocolli dei Savi di Sion”», documento che Padre Kolbe chiamava: “Il libro davvero fondamentale della Massoneria”.
Il Santo scrive: «Il protocollo n.11 afferma: “Noi creeremo e metteremo in atto le Leggi e i Governi (…) e, al momento opportuno, (...) sotto forma di rivolta nazionale.
(...).  E necessario che le popolazioni, sconcertate dall’avvenuta rivolta, poste ancora sotto l’influenza del terrore e dell’incertezza, comprendano che siamo talmente forti, talmente intoccabili, talmente pieni di potere che in nessun caso terremo conto delle loro opinioni e dei loro desideri, ma, anzi, siamo in grado di schiacciare le loro manifestazioni in ogni momento e in ogni luogo (...). Allora, per paura, chiuderanno gli occhi e rimarranno in attesa delle conseguenze. (...). A quale scopo abbiamo ideato e imposto ai massoni tutta questa politica, senza dare ad essi la possibilità di esaminarne il contenuto? Questo è servito di fondamento per la nostra organizzazione massonica segreta (...) la cui esistenza neppure sospettano queste “bestie” da noi adescate nelle logge massoniche».
Padre Kolbe, a questo punto, si rivolge ai massoni dicendo: «Avete sentito, signori massoni? Coloro che vi hanno organizzato e vi dirigono segretamente, gli ebrei, vi considerano delle bestie, attirate nelle logge massoniche per scopi che voi neppure sospettate (...). Ma sapete, signori massoni, che cosa vi attende il giorno in cui vi verrà in mente di incominciare a pensare da soli? Ecco, ascoltate: il medesimo protocollo prosegue affermando: «La morte è l’ine vitabile conclusione di ogni vita. (...). Giustizieremo i massoni in modo tale che nessuno, (...) potrà avere dei sospetti, neppure le stesse vittime: moriranno tutti nel momento in cui ce ne sarà bisogno, apparentemente per effetto di malattie comuni (...)». 
E il Santo continua: «Signori massoni, voi che, recentemente, durante il Congresso di Bucarest, vi siete rallegrati del fatto che la Massoneria si sta rafforzando ovunque, riflettete e dite sinceramente: non è meglio servire il Creatore nella pace interiore (...), piuttosto che obbedire agli ordini di chi vi odia?».
San Massimiliano si rivolge, infine, ai Capi Incogniti della Massoneria con queste parole: «E a voi, piccolo manipolo di ebrei, “Savi di Sion”, che avete provocato coscientemente già tante disgrazie e ancora di più ne state preparando, a voi mi rivolgo con la domanda: quale vantaggio ne ricavate? (...). Gran cumulo di oro, di piaceri, di svaghi, di potere: tutto questo non rende ancora felice l’uomo. E se anche questo desse la felicità, quanto potrà durare? Forse una decina di anni, forse una ventina  (...). E poi?... E voi, capi ebrei, che vi siete lasciati sedurre da Satana, il nemico dell’umanità, non sarebbe meglio se anche voi vi rivolgeste sinceramente a Dio?».
In un altro articolo del 1926, Padre Kolbe, sempre citando i “Protocolli dei Savi di Sion” scriveva: «Essi dicono di se stessi: “Chi o che cosa è in grado di far crollare una forza invisibile? La nostra forza è appunto di questa natura. La “Massoneria esterna” serve solo per nascondere i suoi scopi, ma il piano d’azione di questa forza sarà sempre sconosciuto alla gente».
Ma il Santo sottolinea con sottile ironia: «Noi siamo un esercito, il cui “Condottiero” vi conosce ad uno ad uno, ha osservato e osserva ogni vostra azione, ascolta ogni vostra parola, anzi... nemmeno uno dei vostri pensieri sfugge alla sua attenzione. Dite voi stessi: in tali condizioni, si può parlare di segreto nei piani, di clandestinità e di invisibilità?». E qui, Padre Kolbe rivela il nome del “Condottiero” del suo esercito: «E’ l’Immacolata, il rifugio dei peccatori, ma anche la debellatrice del serpente infernale. Ella vi schiaccerà il capo!».

Nota: il testo è tratto da un articolo pubblicato su Chiesa viva n° 125.

PER OTTENERE UNA GRAZIA



Pieno di fiducia e di speranza animosa io vengo a Voi, o Famiglia Santissima, per impetrare la grazia che tanto sospiro. Entro nella vostra casa di Nazareth, la quale è ricca di tutti i tesori celesti che vi hanno accumulato il Figlio di Dio, la Madre di Dio, ed il Padre putativo di Cristo. Dalla pienezza di questa casa tutti possono ricevere, tutto il mondo se ne può arricchire, senza che essa tema di impoverire. Orsù dunque, grande Famiglia, poiché sei tanto ricca in ogni dono, poiché hai tanta volontà di compartire i favori, dammi quanto ti chiedo; te lo chiedo umilmente per la gloria di Dio, per tuo maggior onore, per il mio bene e quello del mio prossimo. Che non parta sconsolato dai vostri piedi! Voi che accoglieste sempre con volto ilare, con tratto amoroso quelli di Betlemme, quelli dell'Egitto, e specialmente quelli di Nazareth, accogliete anche me con la medesima benignità.
Certo che voi non negaste mai la grazia a quanti fecero a voi ricorso qui in terra; e vorrete negare a me la grazia che imploro adesso che regnate gloriosa in cielo? Neppure posso immaginarlo; ma ho un presentimento sicuro che voi mi ascolterete, anzi, che già mi abbiate ascoltato e mi abbiate già concesso la grazia desiderata. Tre Pater, Ave, Gloria
Gesù, Giuseppe, Maria, vi dono il cuore e l’anima mia.

Regina della Famiglia



IL MESSAGGIO DI GHIAIE

Il messaggio affidato dalla Vergine Maria ad Adelaide Roncalli è semplice ma non è puerile, né insignificante. Queste  obiezioni furono rivolte ad altre apparizioni già riconosciute dalla  Chiesa. La validità di un messaggio non è data dalla complessità  del testo, né dalla sua elaborazione teologica. Il messaggio di  Ghiaie non è un tutto organico, espresso con frasi concatenate.  Troviamo in esso delle ripetizioni, come quando la Vergine, nella  seconda apparizione, ripete alla bambina la raccomandazione che le aveva rivolta nella prima: "Devi essere buona, ubbidiente, sincera e pregare bene, rispettosa verso il prossimo". Qualsiasi  pedagogia è ripetitiva. Il compito insostituibile della madre è  quello di ripetere, di radicare nell'animo dei figli ciò che è  fondamentale nella vita di ciascun uomo. La Vergine si comporta  come madre nella vita spirituale di Adelaide e di ognuno di noi.  Inoltre, la bambina Adelaide nell'estasi conosce per intuizione,  non in modo discorsivo; addirittura la conoscenza le può essere  data direttamente da Dio. La differenza tra questa conoscenza e la  nostra abituale, si manifesta anche nella formulazione essenziale dei concetti, anzi, in un concetto ne possono essere contenuti  altri. Sia la conoscenza e il modo di esprimerla risentono  dell'origine da cui provengono, cioè Dio, il quale è semplicissimo  e infinito nello stesso tempo. Per questo bisogna essere molto  prudenti quando si giudicano i fatti soprannaturali, che esulano  dal nostro mondo e spesso per darne un giudizio non serve molto  la scienza umana. I più adatti a capire questi fenomeni sono quelli  che ne hanno fatto esperienza o che vivono una intensa vita  spirituale. 
A proposito di brevità, voglio ricordare che il messaggio dell'apparizione di Pontmain (Francia), avvenuta il 17 gennaio  1871, riconosciuta il 2 febbraio 1892, dal vescovo di Laval,  monsignor Wicart, e confermata dal Papa Pio XI,è fatto da una  sola frase. Si può avere un'apparizione autentica, senza che vi sia  un messaggio fatto di parole; l'apparizione in se stessa è già un  messaggio. Alfonso Ratisbonne, il giovane ebreo convertito, al quale la Vergine apparve nella chiesa di S. Andrea delle Fratte  a Roma, il 20 gennaio 1842, disse: "Ella non mi ha parlato, ma io  ho capito tutto". 
Aggiungo che il messaggio di Ghiaie non è dato solo dalle parole, ma da tutti quegli elementi che fanno parte integrante  dell'apparizione: i colombi bianchi che la precedono; gli angeli, i  santi che l'accompagnano; i colombi con la piuma scura che la  Vergine tiene tra le mani; il punto luminoso che si ingrandisce  fino a contenere in tre ovali di luce la S. Famiglia o a mostrare la  Vergine ammantata di luce; la visione allegorica degli animali  che pregano nella chiesa, dinanzi la S. Famiglia. 
L'apparizione di Ghiaie, come ogni avvenimento religioso  di una certa importanza, ha la sua spiritualità. La spiritualità di  Ghiaie non solo è conforme alla verità rivelata, ma è talmente  ampia da dare ad ogni persona, in qualsiasi condizione si trovi la  possibilità di raggiungere la salvezza eterna e di percorrere la via  della santità. Potremmo chiamare la spiritualità di Ghiaie  nazaretana, perché offre a tutte le famiglie e ai singoli che la  compongono, come modello da imitare la S. Famiglia di Nazareth. 

Severino Bortolan