venerdì 31 gennaio 2020

L'ultimo Papa canonizzato



NEL SEMINARIO DI PADOVA 

In una brumosa mattina del Novembre 1850 il futuro Pio X entrava nel  grande Seminario di Padova: quieto asilo di studi severi e gloria del B.  Gregorio Barbarigo (26). 
Il vigore della sua intelligenza e la sua straordinaria applicazione allo studio,  congiunta ad una schietta e soda bontà, gli acquistarono presto la stima dei  Superiori e l'affetto dei Professori, mentre compagni e condiscepoli, come  presi dalla serena giovialità del suo carattere, non tardarono ad amarlo, non  senza un sentimento di legittima invidia e di ammirazione. (27) 
“Mi trovo bene con tutti e compagni e Superiori” — scriveva un mese dopo il  novello Seminarista al Cappellano di Riese, Don Pietro Jacuzzi succeduto da  poco a Don Luigi Orazio (28). 
Si trovava bene, perché la sua vocazione sacerdotale aveva trovato il suo  clima e poteva oramai svolgersi in tutto il suo rigoglio. 
Prova non dubbia lo splendido risultato dei suoi studi nel chiudersi del suo  primo anno scolastico (1850-1851) con questo invidiabile attestato: 
“Disciplinae nemini secundus — Ingenti maximi — Memoriae summae —  Spei maximae” (29). 
Attestato magnifico che si sarebbe ripetuto di anno in anno fino al giorno, in  cui il figliolo del povero cursore di Riese avrebbe rivarcato la soglia del  grande Seminario, non più come semplice Seminarista, ma come sacerdote di  Cristo. 
Il 20 Settembre 1851 dal suo Vescovo nella vetusta cattedrale di Asolo  riceveva la Tonsura (30). 

UN GRAVE LUTTO 

Ma il secondo anno di Seminario, incominciato e continuato sotto i più lieti  auspici, doveva essere offuscato da una sventura al sommo dolorosa per il  giovane chierico: la morte del padre. 
Il cursore di Riese sulla fine dell'Aprile 1852, avendo preso freddo, si era  dovuto mettere a letto, e, dopo qualche giorno, moriva. 
Sembra che il nostro Seminarista ne avesse avuto il presentimento. 
In uno di quei giorni si presentò, tutto in lagrime, al Rettore del Seminario,  chiedendogli il permesso di andare a casa. 
— Perché? 
— Perché mio padre è gravemente ammalato. 
Era vero e nulla lo aveva fatto prevedere! (31) 
La morte di Giovanni Battista Sarto gettava nel lutto la povera Margherita  con otto teneri figlioletti. Ma, donna di mirabile fede, seppe sopportare la  durissima prova con coraggio e rassegnazione cristiana. 
Anche per il nostro Giuseppe quella morte fu uno schianto, perché al  pensiero degli studi vedeva ora aggiungersi la grave preoccupazione per la  mamma rimasta sola, priva di ogni risorsa, con un avvenire di sofferenze, di  angustie e di stenti. 
Ma non si smarrì. Accettò dalle mani di Dio l'amara sciagura e ad uno zio  paterno che gli domandava se, come il maggiore della famiglia, volesse  succedere al padre nel modesto impiego di cursore comunale per aiutare la mamma, rispose risoluto: 
— No: vado prete! (32) 
E continuò a studiare, santificando lo studio con l'esercizio delle più belle  virtù e chiudendo l'anno scolastico con la solita nota “eminentemente  distinto” (33). 
Ma i brillanti successi nei suoi studi non lo inorgoglivano. 
Lo lasciavano sempre umile e modesto, docile alla disciplina, pronto ad ogni  cenno dei Superiori, tenace assertore tra i suoi compagni del loro prestigio e  della loro autorità (34). Era specchio e modello a tutti i Seminaristi (35). 

VACANZE TRISTI 

Terminato il secondo corso di Filosofia, in cui tra i 39 alunni era riuscito il  primo, egli doveva lamentare la perdita del conforto che gli veniva da due  integerrimi sacerdoti al suo cuore carissimi: Don Tito Fusarini e Don Pietro  Jacuzzi. 
Don Fusarini — il suo secondo padre — per la sua malferma salute aveva  dovuto rinunziare alla Parrocchia di Riese e ritirarsi a Venezia: Don Jacuzzi  — il sostegno della sua povertà — con grande dispiacere della popolazione,  era stato trasferito come Vicario Parrocchiale a Vascon: una piccola borgata  nelle vicinanze di Treviso. 
Quando Giuseppe Sarto ritornò a casa per le vacanze autunnali, sentì ancora  più la perdita che lo aveva colpito. Riese, senza Don Tito e Don Pietro, non  era più Riese. Il nuovo Parroco, per il suo carattere scontroso e per i suoi sistemi alquanto strani, non era gradito alla gente del villaggio. 
Quanto il nostro Seminarista soffrisse per questo stato di cose, ce lo dice egli  stesso in una lettera del 9 Settembre 1854 indirizzata a Don Jacuzzi. 
“E' cosa amara il ricordarsi del tempo felice nella miseria — così scriveva —  eppure, leggendo l'altro giorno la gentile e sempre grata sua lettera, provai  meco stesso un non so che di compiacenza il ricordarmi i bei giorni che in  sua compagnia ho passati. 
“Adesso tutto è svanito. La Canonica è luogo di solitudine e quelli che  l'abitano, anziché conservare qualche ora all'amicizia, godono piuttosto di  fare ogni giorno le loro gitarelle e quindi, quasi sempre vivo in casa da tutti segregato, desiderando il momento di ritornare in Seminario per passare  giorni più di questi tranquilli” (36). 
Ma prima di rientrare in Seminario, volle accondiscendere alla richiesta del  nuovo Parroco, inaugurando la sua carriera oratoria con la predica dei Morti,  la quale lasciò nell'animo dei suoi conterranei una profonda impressione (37). 

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c.

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