martedì 28 gennaio 2020

LA VIA NEGATIVA



(Il problema ―dell‘esistenza‖ di Dio in S. Tommaso) 


Per giungere a una conoscenza di Dio che tenga conto simultaneamente delle esigenze di queste due ispirazioni divergenti, Tommaso impiega un metodo che certamente richiede tutte le risorse della ragione, ma che consiste piuttosto nel negare che nell‘affermare, nello scartare successivamente «tutto ciò che non è Dio» più che pretendere di precisare ciò che egli è. Si tratta dunque dell‘impiego della «via di separazione» (via remotionis) ereditata dallo Pseudo-Dionigi e di cui si trova un bell‘esempio in ciò che costituisce, per così dire, la prefazione della Somma contro i Gentili. In questa prima grande opera della maturità, Tommaso non era ancora dominato dalla preoccupazione di brevità, forse eccessiva, che caratterizza la Somma di teologia; vi si trovano perciò spesso delle spiegazioni più ampie che aiutano il lettore a comprendere più facilmente. Nelle due opere, una volta data per acquisita l‘esistenza di Dio («esiste un primo essere al quale diamo il nome di Dio»), rimane da interrogarsi su ciò che egli è in se stesso:  «Nel considerare la realtà divina si deve ricorrere soprattutto alla via della negazione. La sostanza divina infatti sorpassa con la sua immensità tutte le forme che la nostra intelligenza può raggiungere, e quindi non siamo in grado di app renderla in modo tale da conoscere «ciò che essa è‖ (quid est). Ne avremo pertanto una certa conoscenza sapendo «ciò che essa non è‖ (quid non est). E tanto più ci avvicineremo a tale conoscenza, quanto più numerose saranno le cose che col nostro intelletto potremo escludere da Dio» 66 .  Il paragone è un po‘ grossolano, ma si può provvisoriamente azzardare l‘immagine: Tommaso utilizza un‘idea tanto semplice quanto quella che si trova alla base di alcuni giochi di società in cui si tratta di indovinare quale è la persona o la cosa alla quale pensa il partner. La cosa più semplice è procedere per eliminazioni successive: si tratta di una cosa o di un essere vivente? Di un animale o di una persona? Di un uomo o di una donna?... Di eliminazione in eliminazione si arriva a poter azzardare un nome. Le cose sono tuttavia meno semplici quando si tratta di Dio:  «Infatti noi conosciamo tanto più perfettamente una realtà quanto più ne scorgiamo le differenze che la distinguono dalle altre: poiché ogni cosa possiede un essere proprio che la distingue da tutte le altre. Cosicché noi cominciamo col situare nel genere le cose di cui conosciamo le definizioni, e questo ce ne dà una certa conoscenza comune; si aggiungono in seguito le differenze che distinguono le cose le une dalle altre: così si raggiunge una conoscenza completa della cosa».  Per chi non fosse familiarizzato con questo modo di ragionare, sarà sufficiente un esempio per capirlo. In questa prospettiva, le cose si definiscono innanzitutto tramite i loro aspetti più generali (il genere) ai quali si aggiungono delle note caratteristiche (la differenza specifica). Così, quando si tratta dell‘essere umano definito come «animale razionale», «animale» lo situa nel genere degli esseri animati, distinguendolo dai vegetali o dai minerali, mentre «razionale» indica la differenza specifica che caratterizza l‘uomo fra tutti gli animali. Con questo non si vuol dire di sapere tutto dell‘uomo né soprattutto di ogni uomo. Questa conoscenza dell‘universale «uomo» non è che una conoscenza astratta che prende in considerazione proprio gli aspetti più generali, ma che lascia sfuggire la conoscenza del singolare (quella di Pietro o di Paolo, che appartiene a tutt‘altro tipo di approccio). Ora, nemmeno questa conoscenza, per quanto povera sia, è possibile quando si tratta di Dio: «Ma nello studio della sostanza divina, poiché non possiamo cogliere «ciò che è‖ (quid) e prenderlo come genere, e dato che non possiamo nemmeno desumere la sua distinzione con le altre cose tramite le differenze positive, siamo obbligati a desumerla dalle differenze negative».  Noi possediamo una differenza positiva quando «razionale» si aggiunge ad «animale» per definire l‘uomo; ma poiché questo non può valere per Dio, in tal caso bisognerà dire piuttosto: non cosa, non animale, non razionale... Ne seguirà dunque una procedura analoga:  «Come nel campo delle differenze positive una differenza ne implica un‘altra e aiuta ad avvicinarsi maggiormente alla definizione della cosa sottolineando ciò che la distingue da molte altre, così una differenza negativa ne implica un‘altra ed evidenzia la distinzione da molte altre. Se affermiamo per esempio che Dio non è un accidente, lo distinguiamo in tal modo da tutti gli accidenti. Se poi aggiungiamo che non è un corpo, lo distinguiamo ancora da un certo numero di sostanze; e così, progressivamente, grazie a codeste negazioni, arriviamo a distinguerlo da tutto ciò che non è lui. Si avrà allora una considerazione appropriata della sostanza divina quando Dio sarà conosciuto come distinto da tutto. Ma non sarà una conoscenza perfetta, poiché si ignorerà ―ciò che è in sè stesso» (quid in se sit)».  Malgrado la sua lunghezza e la sua difficoltà, occorreva citare questo testo che risulta molto chiaro sia in se stesso sia riguardo all‘intenzione di san Tommaso. Egli è animato dalla profonda convinzione che non è piccola cosa sapere di Dio ciò che non è. Ciascuna di queste differenze negative determina con una precisione crescente la differenza precedente e coglie sempre meglio il contorno esterno del suo oggetto: «E così, procedendo per ordine e distinguendo Dio da tutto ciò che non è, tramite negazioni di questo genere, arriveremo ad una conoscenza non positiva ma vera della sua sostanza, poiché lo conosceremo come distinto da tutto il resto» 67 23 L‘immagine del nostro gioco di società rivela qui la sua insufficienza; l‘apparente parallelo non funziona fino in fondo. Supponendo che io sia riuscito a identificare la persona o la cosa che bisognava riconoscere, mi trovo ormai in un campo conosciuto e non vi è più mistero per me. Non così accade per quanto riguarda Dio. Io posso affermano in verità con un giudizio positivo, ma non posso farmene un‘idea, un concetto che esprimerebbe il suo proprio mistero. «Non è una definizione che ce lo fa conoscere, ma la sua distanza da tutto ciò che non è. Ciò che è, non è conosciuto ma affermato, cioè stabilito con un giudizio» 68 . La teologia negativa non è in alcun modo una teologia negatrice.  Oltre alla sua pertinenza intellettuale, questo testo è anche molto illuminante circa ciò che amerei chiamare l‘implicito metodo spirituale del Maestro d‘Aquino. Non sarà mai abbastanza l‘attenzione prestata al rigore di questa dialettica negativa; essa costituisce in se stessa un ‘ascesi con esigenze poco comuni. Se si sforza di praticarla nello stato d‘animo che abbiamo tentato di suggerire nelle prime pagine di questo libro, il teologo non può non considerare le tappe del suo cammino che come altrettanti gradi ascendenti nella via che conduce verso Dio. Se, come ogni credente, deve abbandonare gli idoli per rivolgersi verso il Dio vivente (cf. At 14, 14), egli deve anche rinunciare alle costruzioni del suo spirito, idoli personali che non sono i meno tenaci. A suo modo, è a questo che invita Tommaso quando distingue la contemplazione dei filosofi e la contemplazione cristiana. La prima ha sempre la tentazione di fermarsi alla gioia della conoscenza in se stessa ed è in fin dei conti ispirata dall‘amore di sé; la seconda, la contemplazione dei santi, totalmente ispirata dall‘amore di carità per la Verità divina, termina all‘oggetto stesso 69 . Interamente oggettiva, nel senso che è l‘oggetto stesso che ne comanda lo svolgimento, questa ascesa richiede da parte del soggetto che vi si consacra una spoliazione a misura della pienezza che dovrà colmano. L‘esercizio della teologia si rivela così come una scuola di vita spirituale.

a cura di P.Tito S. Centi  e P. Angelo Z. Belloni 

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