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Il Giudizio
Tutto questo per ciò che riguarda il corpo. Domandiamoci adesso che cosa è accaduto dell'anima immortale ed incorruttibile, che poco fa l'informava. E’ questa e la questione veramente interessante per noi in questo studio del Purgatorio. La Fede c'insegna che l'anima nell'istante medesimo in cui si è svincolata dal corpo è comparsa davanti al suo Giudice, e tutte le rivelazioni dei Santi ci confermano la verità del giudizio particolare, imediato e inappellabile. E siccome su tale argomento ci si presentano molte importanti questioni, cerchiamo qui di studiarle e risolverle per ordine. Ciò che sopra ogni altra cosa attrarrà l'attenzione, e farà fissare lo sguardo dell'anima, quel primo sguardo misuratore dell'eternità, sarà la persona del Giudice. Dalla Sacra Scrittura apprendiamo che questo Giudice non sarà altro che Cristo. S. Giovanni ci dice che il Padre non giudicherà nessuno, avendo riservato al Figlio ogni giudizio: Pater non iudicat quemquam, omne iudicium dedit Filio (Jo., 5, 22-23). Negli Atti degli Apostoli leggiamo che Cristo è stato costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti:
Constitutus est a Deo iudex vivorum et mortuorum (Act., 10, 42). Ermete nel suo libro De Pastore, S. Gregorio Magno nei suoi scritti, come pure S. Giovanni Damasceno, S. Giovanni Climaco, e in tempi a noi più vicini S. Geltrude, S. Lutgarda, S. Francesca Romana, S. Teresa e tutte le anime sante, alle quali Iddio ha fatto la grazia di contemplare i misteri dell'altra vita, ci confermano con le loro rivelazioni questa verità di fede. I teologi fanno questione se l'umanità di Cristo si manifesti visibilmente ad ogni anima, e su questo punto sono molto discordi. Il Card. Bona, nel suo trattato De discretione spirituum, si esprime così “Alla fine del mondo comparirà Gesù Cristo nel suo corpo e nella sua gloria, quando verrà a giudicare i vivi e i morti; non è certo però se egli apparirà a ciascun uomo in forma visibile, come taluni scrissero: Non è neppure accertato in qual maniera nostro Signore compirà questo giudizio particolare di ciascun uomo; questo solo si sa che avverrà in un momento, in un batter d'occhio. Ed è perciò che un'apparizione, dirò così, intellettuale di questo Giudice sovrano basterà a compiere tale giudizio” (Op. cit., cap. 20).
Da ciò risulta che il sapiente Cardinale esita di pronunziarsi, quantunque evidentemente propenda per la sentenza negativa. Non mancano tuttavia teologi di merito i quali ritengono che il divin Maestro si sveli a ciascuno nella verità della sua carne trasfigurata e gloriosa, ed avvalorano la loro opinione con ragioni molto plausibili. Tuttavia qualunque sia il modo col quale il divin Salvatore si rivela all'anima, è certo che nel momento stesso in cui gli occhi del corpo, si chiudono alla luce di quaggiù, lo sguardo dell'anima s'illumina ed intuisce e contempla l'adorabile figura di Cristo, suo Giudice. Tutto questo ci porta a domandare dove si faccia il giudizio. La risposta è facile: il giudizio si farà in quel luogo medesimo in cui l'anima si separa dal corpo. Che bisogno infatti avrebbe questa di andare lungi di là, a cercare il tribunale che la dovrà giudicare? La terra è del Signore, dice la Scrittura; ed egli riempie il mondo con la sua presenza. Ciò che a noi impedisce di vederlo, limitati come siamo, sono le mura di questa prigione di carne, che ci circonda, ma nell'ora della morte il velo che ci nascondeva le invisibili realtà si squarcia, e l'anima si trova allora immediatamente sotto lo sguardo del Giudice. Quale istante e quale sgomento sarà mai quello! Avrà luogo allora quel tremendo giudizio, il cui solo pensiero faceva tremare gli anacoreti nelle spelonche dei deserti. Allora l'anima con un solo sguardo abbraccerà tutti e singoli i suoi atti, con tutte le circostanze che li accompagnarono, dovendo rendere stretto conto di tutto, persino di una parola inutile, sia pure obliata. Chi potrebbe credere a tanta rigorosa esattezza, se la stessa eterna Verità non ce lo avesse avvertito? Omne verbum otiosum quod locati fuerint homines, reddent de eo rationem in aie iudicii (Matth., 12, 36). E in qual modo potrà l'anima abbracciar con un solo sguardo il complesso degli atti di tutta quanta la vita? Essa li vedrà nella intelligenza infinita di Dio, al raggio di quel sole di verità, che tutti glieli rischiarerà e che non gliene lascierà sfuggire alcuno. Al lume di quella luce divina leggerà quel libro, dove tutto è notato, e che le sarà posto sotto lo sguardo.
Liber scriptus proferetur in quo totum continetur unde mundus iudicetur.
Vi riscontrerà ciascuna delle sue azioni, con tutte le circostanze da cui furono accompagnate, e ne modificarono più o meno la moralità. Il Giudice chiederà stretto conto di tutto: Redde: rationem villicationis tuae, iam enim non poteris vilicare (Luc., 16-2). Il tempo del merito e del demerito è passato, la prova è finita, irrevocabilmente finita. - Redde rationem - Rendete conto di tutti i vostri peccati: io ero là presente quando voi li commettevate; io tutto vidi, poichè nulla mi si poteva celare i peccati contro Dio, i peccati contro il prossimo, i peccati contro voi stessi, i peccati contro i doveri del vostro stato, contro i vostri obblighi particolari... Oh! qual cumulo immenso di peccati, dal primo che commettemmo quando incominciò a rischiararsi il lume della ragione, fino all'ultimo che commetteremo forse anche sul nostro letto di morte, nel momento di comparire alla presenza del divin Giudice! S. Agostino, nelle sue immortali Confessioni, si accusa di colpe che dice di aver commesso in tenerissima età. Tantillus puer et tantus peccator! E perchè non dovrà esclamarsi col Profeta, che il numero delle nostre iniquità sorpassa di molto quello dei capelli del nostro capo? iniquitates meae multiplicatae sunt super capillos capitis mei (Ps., 37, 4) - Redde rationem. Rendete conto del bene che avreste dovuto fare e che non avete fatto. - Un sacerdote trovavasi sul letto di morte, e il suo confessore cercava invano di eccitarlo alla confidenza in Dio, parlandogli del bene che aveva fatto durante la vita, e delle anime che si era studiato di salvare. – Ahimè! - gridava il morente, con voce accorata - perché non mi parlate del bene che io avrei dovuto fare, che potevo fare, e che non ho fatto? - Sì, al tribunale di Dio, contrariamente a quel che avviene qui in terra, al reo si chiede conto anche di quel che non ha fatto di bene, e che pure avrebbe dovuto fare. Iddio porrà da un lato tutte le grazie concesse all'anima: il battesimo, l'istruzione cristiana, le confessioni, le comunioni, i buoni pensieri, gli ammonimenti, tanta facilità di compiere il bene; e porrà dall'altro lato le nostre opere, e guai allora a colui le cui opere non corrisponderanno alle grazie ricevute, poichè molto sarà domandato a chi molto fu dato. Ci sarà chiesto conto perfino del bene che abbiamo fatto, ma che non abbiamo fatto così bene come avremmo dovuto. - Vediamo un po' queste pretese virtù, delle quali andavate tanto superbo durante la vita. Oh! quanta lega è mescolata a quest'oro! - I farisei facevano opere buone, ma siccome agivano unicamente per piacere agli uomini e per acquistarsi fama di virtuosi, il Signore disse di loro: Receperunt mercedem suam... (Matth., 6, 2): hanno ricevuto la loro mercede. Quanti atti virtuosi nel loro oggetto, saranno parimenti degni di disprezzo innanzi a Dio, perché compiuti in circostanze cattive, con tiepidezza o per mera abitudine, o perchè fatti di contrattempo, o alla sfuggita, o accompagnati da pensieri di vana compiacenza. Eppure ancora non è detto tutto. Che sono infatti quelle voci che salgono dall'abisso? Son le voci di coloro che furono un giorno scandalizzati; sono le grida del sangue. - Giustizia e vendetta - gridano i dannati dal fondo dell'inferno - giustizia e vendetta contro quel padre e quella madre, la cui negligenza ci ha lasciato crescere nel vizio e ci ha fatto piombare quaggiù; giustizia e vendetta contro quell'amico, che ci ha messo a parte dei suoi colpevoli piaceri e che perciò deve partecipare ai nostri supplizi; giustizia e, vendetta contro quel miserabile, i cui empi discorsi ci impedirono di convertirci e di salvarci; ah! per sua colpa siamo dannati alle pene di questo carcere perpetuo: e dovrà egli forse salire al cielo, mentre noi bruciamo quaggiù nelle fiamme eterne? - Ahimè! che risponderà allora quella povera anima a tali formidabili accuse? E non ne avrà ella abbastanza del pesante fardello delle sue colpe, perchè debba caricarsi di quelle degli altri? Ecco delineato il giudizio di Dio, tal quale avverrà per ciascuno di noi; ed è questo che fece provare ai Santi angoscie estreme e praticar loro le più rigide penitenze; le storie delle loro vite ridondano di rivelazioni sul rigore dei giudizi di Dio.
Si legge nelle vite dei santi Padri che un religioso, per nome Stefano, venne trasportato in ispirito al tribunale di Dio. Era egli ridotto in agonia sul suo letto di morte, quando eccolo turbarsi improvvisamente e rispondere ad un interlocutore invisibile. I suoi fratelli di religione, che circondavano il letto, ascoltavano con terrore queste sue risposte: - Vedi, è vero, tale azione, ma mi imposi poi tanti anni di digiuno. - Io non nego quel tal fatto, ma l'ho pianto per tanti anni. Ancor questo è vero, ma in espiazione ho servito il mio prossimo, per tre anni continui. - Indi, dopo, un momento di silenzio, esclamò: Ah! su questo non ho nulla a rispondere; voi giustamente mi accusate, e non ho altro per mia difesa che raccomandarmi, alla misericordia infinita di Dio. - S. Giovanni Climaco, che riferisce questo fatto, di cui fu testimone oculare ci fa sapere che questo religioso aveva vissuto quarant'anni nel suo monastero, aveva il dono delle lingue e molti altri privilegi, avanzava di gran lunga gli altri monaci per la esemplarità della sua vita e pei rigori delle sue penitenze; e conclude con queste parole: Me infelice! che cosa mai diverrò, e qual cosa potrò sperare io sì meschino, se il figlio del deserto e della penitenza trovasi privo di difesa dinanzi a poche colpe leggere? Egli che ha passato una lunga serie di anni fra le austerità e la solitudine, egli arricchito da Dio di privilegi e di doni straordinari, abbandona questa vita lasciandoci nella incertezza della sua eterna salute! Ma forse, dirà qualcuno per confortarsi, non si sarà trattato in questo caso che di una visione intellettuale, e i terrori di quel buon monaco sul giudizío di Dio si potrebbero ritenere come effetto della sua immaginazione riscaldata dalla febbre. Ad ovviare a questa difficoltà riferirò la storia della venerabile Angela Tolomei, religiosa domenicana e sorella del beato Giovanni Battista Tolomei. Era ella cresciuta di giorno in giorno in virtù, e per la sua fedeltà nel corrispondere alla grazia divina era giunta ad un alto grado di perfezione, quando si ammalò gravemente. Il suo fratello, ricco egli pure di meriti innanzi a Dio, non poté con tutte le sue fervorose preghiere ottenerne la guarigione; ricevette ella perciò, con commovente pietà, gli ultimi Sacramenti, e poco prima di spirare ebbe una visione, nella quale osservò il posto che le era riservato in Purgatorio, in punizione di alcuni difetti che non erasi abbastanza studiata di correggere durante la vita; in pari tempo le furono manifestati i diversi tormenti che le anime soffrono laggiù; quindi spirò raccomandandosi alle preghiere del suo santo fratello. Mentre il cadavere veniva trasportato alla sepoltura, il beato Giovanni Battista, appressandosi al feretro, ordinò alla sorella di alzarsi, ed ella, quasi risvegliandosi da un sonno profondo, ritornò con strepitoso miracolo in vita. Nel tempo che proseguì a vivere sulla terra, quell'anima santa raccontava sul giudizio di Dio tali cose da far fremere di terrore, ma ciò che più di tutto confermò la verità delle sue parole fu la vita che menò, poìchè spaventevoli erano le sue penitenze, avendo perfino inventato nuovi segreti, oltre alle comuni penitenze, per martoriare il suo corpo. Leggiamo che durante l'inverno era solita tuffarsi fino al collo in uno stagno gelato, ove rimaneva per lungo tempo recitando il salterio; talvolta bruciava di proposito le sue povere carni, finché il suo corpo diveniva oggetto di orrore e di pietà. E poichè di ciò veniva talvolta ripresa e biasimata, avida com'era di umiliazioni e di contrarietà, non se la prendeva affatto, ed a coloro che la rimproveravano, rispondeva: - Oh! se conosceste il rigore dei giudizi di Dio, non parlereste così! E che è mai quel che io faccio in confronto dei tormenti riservati nell'altra vita alle infedeltà che qui in terra osiamo commettere verso il nostro Creatore? Che è mai, che è mai ciò che io faccio, mentre dovrei fare cento volte di più? - Dopo alcuni anni di così orribili penitenze, la serva di Dio fu chiamata dal celeste Sposo all'altra vita, vivo lasciando tra le sue consorelle il ricordo di sè, delle sue parole e delle sue penitenze.
Ciò che è da osservare in questa storia è che non si tratta di un peccatore che muore in disgrazia di Dio, ma di una fervente religiosa, tutta dedita ai doveri del suo stato, e che per alcune imperfezioni di nessuna gravità secondo il giudizio degli uomini, subì i rigori del giudizio di Dio. Ahimè! se i giusti sono trattati in tal guisa, che cosa accadrà di noi peccatorii? Sono dunque tremendi i giudizi divini! E pensare che ad ogni battito del nostro cuore si rinnova la grande scena: anime ed anime si presentano al trono di Sua Divina Maestà per essere giudicate! Se pensassimo a ciò saremmo presi da immensa compassione, e pregheremmo con fervore per tanti infelici che stanno per comparire davanti al loro Giudice... Ma purtroppo non vi pensiamo e continuiamo a vivere come se tanti nostri fratelli non ci chiedessero il soccorso delle nostre preghiere. Un giorno saremo anche noi sul letto della nostra agonia e allora sarà spesa per noi la medesima moneta che noi spendemmo per gli altri, saremo pagati con la medesima indifferenza. Adottiamo la santa abitudine di pregare per gli agonizzanti, affinchè un giorno vi sia chi preghi per noi in quell'ora tremenda nella quale tanto ne avremo bisogno.
Sac. Luigi Carnino
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