I. - La spiritualità è la scienza che insegna a progredire nella virtù e, in particolare, nell'amore divino. Si distingue dalla morale, scienza dei doveri. Questa, mentre mostra quali sono le obbligazioni che non possono essere violate senza peccare, valuta la gravità delle colpe. La spiritualità, ponendo in evidenza la questione delle obbligazioni della coscienza, espone i mezzi pratici per combattere i difetti, acquisire le virtù e incrementare la carità: guida, dunque, l'anima nel lavoro della sua santificazione.
Per conoscere bene le meraviglie dell'amore divino, l'illuminazione interiore della grazia è indispensabile e si ottiene, non per l'astinenza, ma per la generosità, per la fiducia nella grazia. Così, si apprende la scienza spirituale più dalla pratica che dalla teoria. Coloro che fanno poco, a maggior ragione quelli che non fanno nulla, per progredire nell'amore di Dio, non comprenderanno se non superficialmente la bellezza dell'ideale e non sapranno afferrare con certezza i mezzi che assicurano la loro ricostruzione; siano quali siano gli studi che intraprendono, non possederanno mai sufficientemente la scienza spirituale. Al contrario, coloro che si sforzano, rimangono, nel breve tempo, abbastanza chiariti e apprendono molto meglio le lezioni del sacerdozio. A questo giova straordinariamente lo studio di questa scienza spirituale, che è la scienza dei santi.
La spiritualità è la scienza dei santi, perché sono essi che l'hanno creata. Ne hanno tratto gli elementi prima di tutto dalla Scrittura, soprattutto dal Vangelo, dalle luci che hanno ricevuto da Dio e, infine, dalla propria esperienza. È ancora la scienza dei santi perché ci insegna a portare felicemente a termine l'opera della nostra santificazione. È questo lavoro di santificazione che san Paolo raccomandava tanto a Timoteo: «Esercitati nella pietà; la pietà è utile a tutto; ha per sé le promesse della vita presente e della vita futura» (1). La pietà è, dunque, la disposizione di un'anima applicata alla sua santificazione. L'anima che cerca solo di evitare il peccato e di fare la sua salvezza, ma che, assorbita dalle preoccupazioni temporali, non si preoccupa del suo avanzamento spirituale, è un'anima cristiana, non è un'anima pia.
Il termine pietà può essere inteso in diversi sensi. Non gli diamo, qui, il significato di una virtù speciale che, secondo san Tommaso, ci porta a compiere verso i nostri genitori e la nostra patria, i nostri doveri di amore e di dedizione. Non intendiamo nemmeno che essa sia, come vuole il volgo, un'applicazione più perfetta alla pratica della religione; ma è ciò che Francesco di Sales chiama devozione e che, nel suo pensiero, di san Tommaso e dei teologi, è l'amore di Dio abbastanza forte da determinarci ad agire con cura, frequenza e prontezza.
La pietà non consiste, dunque, nelle pratiche esterne. Ogni persona che recita lunghe formule di preghiere, non è per questo pia. Se non cerca di correggere i propri difetti, di migliorare le proprie virtù, se non vuole lottare contro la propria natura, ma le cede in tutto, ad eccezione dei peccati gravi, la sua pietà è falsa. (2) Ma se le pratiche della pietà non costituiscono l'essenza della pietà, sono, tuttavia, mezzi sicuri che l'anima pia impiega per avanzare, e non si può avere una vera pietà trascurando ogni pratica.
2.- La pietà nasce dalla fede; si alimenta e si sviluppa con il pensiero delle grandi verità: grandezze, diritti sovrani, benefici e amore infinito di Dio, opere e perfezioni di Gesù, bruttezza del peccato, bellezza e necessità delle virtù, interessi eterni dell'anima. Si basa, dunque, la pietà sul dogma; l'anima che conosce male la propria religione, non può essere solidamente pia; al contrario, una conoscenza più perfetta delle verità che la fede insegna, è un potente ausilio per la consolidazione e l'aumento della pietà.
Sembra superfluo dire che richiede, prima di tutto, il minimo di vita cristiana obbligatoria per tutti e, di conseguenza, l'osservanza dei comandamenti. Chi viola gravemente e frequentemente questi, non può arruolarsi nelle fila dei cristiani pii.
3.- Abbiamo già citato la celebre parola di san Paolo esaltando i vantaggi della pietà. Ispirato dallo Spirito Santo, merita tutto il credito e il rispetto. Inoltre, è facile comprendere quali siano questi frutti preziosi che la pietà fa raccogliere in questa vita e nell'altra.
In questa vita, la pietà facilita i sacrifici che richiede il compimento dei nostri doveri e aiuta a svolgerli con maggiore fedeltà e perfezione. Per lo zelo che ci ispira, per la correzione che porta ai nostri difetti e per l'acquisizione delle virtù che ci fornisce, essa ci fa evitare un numero considerevole di peccati. Per le preghiere che ci mette sulle labbra, più raccolti, più ardenti, ci raggiunge abbondanti e preziose grazie. Le virtù a cui ci applica, ci forniscono dolcezze intime che non conoscono le anime volgari.
La pietà, infine, mitiga le asperità della vita; induce a servir Dio con maggiore attenzione, maggiore diligenza, maggiore perfezione. Per praticare le virtù è necessario, non si può negarlo, compiere atti penosi, impor alla natura sacrifici, privazioni e incomodi, costringerla a rinunciare a soddisfazioni a cui è molto attaccata: soddisfazioni di amor proprio, di vanità, di sensualità, di curiosità, ecc. Ma coloro che si dedicano alla pietà comprendono presto che queste privazioni e abnegazioni non sono così costose. Quanto durano? A volte lo spazio di alcuni minuti, e di esse resta solo il ricordo. Cosa sperimentiamo oggi delle privazioni che ci siamo imposti un anno fa, dieci, venti anni fa? Che piacere proviamo di quelle soddisfazioni il cui sacrificio Dio ci chiedeva e che gli abbiamo rifiutato? Lo Spirito Santo ce lo dice in termini penetranti nel Libro della Sapienza, quando ci rappresenta i malvagi che, dopo la morte, ma invano, comprendono l'inanità dei godimenti della vita. A che ci è servito l'orgoglio? Che profitto abbiamo tratto dalla ricchezza di cui tanto ci vantavamo? Tutte queste cose si sono svanite come un'ombra; sono passate come il messaggero affrettato, come la nave che solca le onde tempestose senza lasciare tracce del suo passaggio... come l'uccello che attraversa i cieli senza segnare il suo percorso... o come l'aria che, colpita dalla freccia scagliata contro il bersaglio, si ricompone così istantaneamente che non si sa da dove sia passata... I beni che l'empio aspetta sono come il fiocco di lana che il vento porta via, come la leggera schiuma che l'uragano disperde, come il fumo che il soffio del vento dissipa, come il ricordo fugace dell'ospite di un giorno. La fede, in verità, preserva anche le anime comuni dagli gravi errori degli empi. I buoni cristiani non vogliono sacrificare la loro salvezza alle loro passioni, ma sono lontani dal comprendere così bene come i cristiani pii, il nulla dei beni transitori, e sono più esposti a lasciarsi affascinare e sedurre da essi. Cedono con maggiore facilità alla natura che cerca di soffrire il meno possibile e godere il più possibile. Quante persone sposate, non si vedono, ai nostri giorni, che si dicono cristiane e, per sfuggire agli oneri del loro stato, per conservare più sicuri i beni di questo mondo, si liberano di doveri sacri e vivono nel peccato compromettendo gravemente la loro salvezza? Se si applicassero alla pietà, la loro fede sarebbe più viva e più illuminata e non aumenterebbero il numero, purtroppo già molto grande, dei disertori della fede. Coloro che non si dedicano con ardore all'estirpazione dei propri difetti, si costituiscono schiavi di essi. Soffrono, ammirano coloro che praticano le virtù contrarie; sentono invidia di questi, ma rimangono attaccati ai difetti che li tirannizzano. Mille volte più felici sono i cristiani pii che, per amore di Dio, combattono fedelmente le loro cattive inclinazioni e si sforzano di progredire nelle virtù. Le vittorie che ottengono su se stessi, le azioni generose che compiono, fanno loro sperimentare gioie dolci e profonde di cui le persone senza pietà non hanno alcuna idea.
4 - La pietà non isola dai pesi della vita, ma aiuta a sopportarli con spirito di fede e rassegnazione. La grande infelicità del mondo, infelicità mai abbastanza deplorata, sta nel soffrire con impazienza, perché, così si soffre senza profitto. Soffrire con pazienza non è infelicità, poiché i dolori rassegnatamente sopportati devono, secondo la parola del Divino Maestro, trasformarsi in gioia senza fine. Qui sulla terra, anche chi soffre con fede, fiducia in Dio e amore, è incomparabilmente meno sfortunato di colui che sopporta i mali di questa vita e, nella sua prova, non vuole vedere la mano della divina Provvidenza. Generalmente i cristiani senza pietà considerano solamente le cause seconde, cioè le creature, che sono la causa o occasione dei mali che li affliggono. Non si penetrano del fatto che Dio, che tutto governa, non permette nulla che non sia per il nostro profitto spirituale e che tutto concorre per il bene di coloro che davvero Lo amano. Inoltre, e sopra ogni cosa, avendo poco amore, poco si impressionano dei patimenti che Nostro Signore ha sopportato per loro; non sono rafforzati dai Suoi divini esempi, né eccitati a soffrire come Lui e per Lui. Non hanno, dunque, nelle loro pene, le inestimabili consolazioni che l'anima pia trova lì.
5 - In una comparazione graziosa e molto azzeccata, San Francesco di Sales ci ha fatto comprendere i grandi vantaggi della devozione: «Gli struzzi non volano mai, le galline volano raramente, pesantemente e rasoterra, ma le aquile, le colombe, le rondini volano frequentemente, con leggerezza e molto in alto. Così, i peccatori non volano in Dio, si muovono sempre sulla terra e per la terra; gli uomini di bene, che non hanno ancora raggiunto la devozione, volano in Dio attraverso le loro buone azioni, ma raramente, lentamente e pesantemente; le persone devote volano in Dio frequentemente, pronte e in alto.» Chi non comprende quanto sia vantaggioso servire il Signore con questa prontezza e generosità?
6. - I vantaggi eterni che Paolo attribuisce alla pietà sono ancora più preziosi. In primo luogo, essa rende la nostra salvezza più garantita: «Assicurate la vostra salvezza, dice l'Apostolo, con timore e tremore». Se «una sola cosa è necessaria», cioè servire bene Dio e, in questo modo, evitare l'inferno e raggiungere il cielo, è follia disprezzare la pietà che ci aiuta a rendere a Dio un culto degno di Lui. Chi non si preoccupa del proprio avanzamento nella virtù, del proprio progresso nella carità, non ha nei confronti di Dio se non un amore estremamente debole ed è incapace di resistere agli assalti del tentatore e alle cattive inclinazioni della natura: compromette gravemente la propria salvezza. Chi, al contrario, si applica con impegno al servizio di Dio, si preserva dal peccato e impiega il miglior mezzo per salvare la propria anima. Se coloro che conducono una vita senza pietà, pensando a Dio solo di tanto in tanto, facendo pochi sforzi per compiacerlo, riescono a sfuggire alla condanna eterna, al momento della loro morte saranno privi di meriti e, di conseguenza, poverissimi d'amore. Ora, dovendo essi conservare, per tutta l'eternità, il grado d'amore che possiederanno nel momento della morte, saranno eternamente inferiori, immensamente inferiori a coloro che sono stati pii. Questi ultimi, infatti, che quotidianamente praticano un gran numero di atti soprannaturali che sono semi dell'eternità, semi dell'infinità delizie: preghiere, pratiche pie, doveri di stato svolti con grande spirito di fede, prove pazientemente sopportate, sacrifici generosi, aspirazioni amorose... che abbondante messe dovranno raccogliere! che tesori stupendi dovranno godere! Saranno molto più amati da Dio, lo conosceranno molto meglio e lo ameranno anche molto di più. Dio si darà loro molto più abbondantemente; essi saranno i ricchi del paradiso; e, se, per il fervore della loro vita e la perfetta generosità, sono riusciti a elevarsi alla categoria degli amici intimi del Re del Cielo, per tutta l'eternità saranno i suoi prediletti, i suoi favoriti.
P. A. SAUDREAU
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