domenica 19 aprile 2020

DELLA ESORTAZIONE E DELLA LODE CHE POSSONO FARE TUTTI I FRATI



REGOLE ED ESORTAZIONI

1 E questa o simile esortazione e lode tutti i miei frati, quando a loro piacerà, possono annunciare ad ogni categoria di uomini, con la benedizione di Dio:


2 Temete e onorate,
lodate e benedite,
ringraziate e adorate
il Signore Dio onnipotente
nella Trinità e nell’Unità,
Padre e Figlio e Spirito Santo,
creatore di tutte le cose.
3 Fate penitenza,
fate frutti degni di penitenza,
perché presto moriremo.
3 Date e vi sarà dato,
Perdonate e vi sarà perdonato;
E se non perdonerete agli uomini le loro offese,
il Signore non vi perdonerà i vostri peccati.
Confessate tutti i vostri peccati.
7 Beati coloro che muoiono nella penitenza,
poiché saranno nel regno dei cieli.
8 Guai a quelli che non muoiono nella penitenza,
poiché saranno figli del diavolo
di cui compiono le opere,
e andranno nel fuoco eterno,
9 Guardatevi e astenetevi da ogni male
e perseverate nel bene fino alla fine.

S. Francesco d’Assisi



GESU’ AL CUORE DELLE MAMME



Non risentimento, ma bontà Una mamma è sempre il perno fondamentale della casa, è sempre una lampada che rischiara con la luce serena del suo amore materno. Ma se nell'amore materno si mescolano risentimenti e reazioni, allora il perno non sostiene, e la lampada forma le ombre che annebbiano la luce... L'amore materno unisce la famiglia con la benedizione, il risentimento la divide, e allora ogni suo membro diventa egoista e prepotente. Non sono le parole violente che vincono le dissensioni, ma la preghiera e la bontà.

don Dolindo Ruotolo

sabato 18 aprile 2020

IL MISTERO DEL PURGATORIO



ILTEMPO PREZIOSO

Le povere anime nel Purgatorio! Io le considero e scruto i loro dolori ed i loro pensieri: esse hanno  un indescrivibile pentimento per ogni attimo sciupato della loro vita. Vorrebbero con grida  richiamare indietro ognuno di quegli attimi e riempirli di Dio. Sono affamate di quella fame di  grazia di cui avrebbero dovuto sentire la fame durante la vita.
Vedo chiaro quanto è profondo questo sentimento, se esse hanno giocato con il tempo. Il vuoto  che hanno nell'anima genera tale fame, che esse tendono per così dire la lingua a ricevere un nutrimento spirituale. Ma quando sono così arroventate dal pentimento, allora viene il buon Dio e  reca il suo Santo Sangue e tutta la sua eternità per colmare quel vuoto, per colmare con la sua  Santa Passione ed il suo Sangue, ciò che è stato scavato dalla contrizione.
Non si pensa abbastanza seriamente, mentre si vive, a quanto severo è Dio nel giudicare sull'uso del  tempo, specie coloro che avevano una vocazione superiore, coloro che erano consacrati a Dio,  offerti a Lui, i servi e le serve di Dio. Ci sono tante povere anime che mi pregano e mi assediano:  «Va' dunque nel mondo e di' che non vivano anch'essi in questa cecità». Così scrivo queste parole,  come meglio posso, incalzata dalle povere anime.
Il tempo ha un'importanza particolare specie per i consacrati a Dio. Ci sono tante cose inutili nella  vita; sono tutti vuoti destinati al Purgatorio; tutti buchi che devono essere rattoppati nell'eternità. Nemmeno del nostro stesso tempo siamo noi a disporre. Dio ce lo ha dato perché lo colmiamo di  intenzioni sante, ce lo ha dato quasi fosse una coppa con le parole: «Va', attingi alla fonte della vita  eterna, poi torna da me e riportala colma».
Allora Gesù berrà alla coppa e riconoscente introdurrà l'anima in questa infinita eternità, nel mare  della vita eterna, dove essa si congiungerà al flusso comune della infinita ed eterna eternità.
Il tempo della nostra vita deve essere riempito di intenzioni sante: non si dovrebbe effettivamente  fare nulla che non avesse un motivo santo. Con la santa intenzione si può dar pregio ad ogni cosa,  anche a ciò che non ha né valore né utilità: quante cose inutili appartengono al nostro galateo ed  alle regole della nostra amabilità, quante cose inutili nella nostra professione e nel nostro dovere!  Si fa quello che c'è da fare per non dare nell'occhio, e per adattarci agli altri; eppure anche questo  tempo deve essere santamente calcolato, poiché anche in ciò che per sé non ha valore è racchiuso  il valore di un qualche dovere, qualsiasi cosa si faccia, per amore di Dio. Ma anche qui taluni sono  tentati a volersi scusare troppo ampiamente, a preoccuparsi più delle cose terrene che di Dio solo,  mentre dedicano un tempo troppo lungo alle cose esteriori, un tempo che spesso si potrebbe di  molto abbreviare o addirittura eliminare.
Chi ama il mondo ed il suo movimento e la sua azione vi partecipa volentieri. Per chi non lo ama  ciò che egli è costretto a fare è un sacrificio, egli da sé riduce tutto allo stretto indispensabile. Dio ci  giudica severamente in rapporto al tempo! Noi che viviamo solo un istante, come dovremmo  calcolare e risparmiare! Così come fa il mercante con i suoi affari e le sue imprese, per guadagnare  molto e trarre profitto da ogni cosa.
È un tale danno ogni istante che noi viviamo senza un motivo più elevato, lasciando inutilmente il  bel sentiero della grazia. Da tutto, anche da ogni cosa terrena, si può trarre un guadagno per Dio. 
Egli ha cosparso la nostra vita di tesori eterni, intimamente cosparsa. Basta non dimenticare di  avere in tutto un movente ed una finalità santa, basta non fare nulla senza una santa intenzione. Dio si compiace che noi distribuiamo il nostro tempo e non ne disponiamo da padroni assoluti. Il  tempo non appartiene a noi, ma a Lui! Egli ha contati gli istanti della nostra vita e conosce che  cosa essi devono rendere. Egli vede esattamente che cosa perdiamo e che cosa troviamo. Egli ha  posto un fine santo in ogni attimo della nostra vita, un compito, un piano, e noi dobbiamo  rispondere a tutte le intenzioni di Dio, dando ad ogni cosa un fondamento, così che i suoi fini siano  anche i nostri e non riportiamo vuoto ciò che Egli ci ha preparato perché lo riempissimo.
Il grande onnipotente Iddio è anche il Dio degli attimi della nostra vita, Dio del nostro tempo prezioso. Egli è maestro, il nostro buon maestro, e dobbiamo ubbidirlo in tutto.
Vedo nel Purgatorio anche molti religiosi, i quali, per essersi troppo a lungo ed inutilmente  trattenuti con gli uomini, presentano tante zone vuote nell'anima; religiosi che per i mondani  rapporti di amicizia hanno smarrito l'ornamento del riserbo claustrale, che non hanno capito di  dover concedere alle visite ed alle amicizie solo il tempo che non contraddiceva alla solitudine del  chiostro. Quanto mondo trovo in queste anime, e questo mondo è zero davanti all'eternità. Quanti  hanno dedicato ore ed ore al mondo in cose che si sarebbero potute sbrigare molto più  rapidamente. Quante ore di interiore preghiera e di raccolte visite al tabernacolo avrebbero potuto  guadagnare, e quante di queste ore preziose sono state giocate e sono andate perdute per Dio e per  l'eternità! Quanti minuti si sarebbero potuti risparmiare per il Dio Eucaristico, se l'anima avesse  avuto fame, la vera fame del suo dovere e di Dio! Quanto è buono il Signore che concede alle  anime di riparare a tutto questo nel Purgatorio! Il Purgatorio è perciò anche una sofferenza  impregnata di tempo. Esse soffrono a causa del tempo e questa è nostalgia: provano una indicibile  nostalgia di Dio, di purezza, di perfezione, e sono insieme felici perché sanno di essere nei luogo  del miglioramento: questo le libera da ogni disperazione, il loro dolore è una speranza, una fiducia,  un desiderio ed un ritorno.
Davvero Dio non ci ha dato il tempo perché con esso giocassimo e facessimo ciò che vogliamo. Il  tempo è il vaso con cui dobbiamo attingere alla fonte della vita eterna, e, se non lo riportiamo pieno, il Signore ci guarda con occhio interrogatore e chiede: «Che cosa hai fatto con questo tesoro di  grazia? Io ti comandai di riportarmelo pieno e tu sei andato per le tue vie; dimenticando il comando  del tuo Dio, hai perfino infranto il vaso bello e santo; che cosa mi riporti?».
Allora l'anima si sprofonda ai piedi di Dio, poiché ora sta davanti ai giudice eterno e non può  sfuggire a Lui, alla sua Parola, come spesso forse ha fatto nella vita. E sta davanti a Lui, davanti  al Dio onnipotente, e forse Gli ha riportato solo i cocci, i cocci di tante grazie infrante, di tanto  tempo perduto. Allora essa prega il Signore: «Io ti prego, fallo ritornare intero». E se l'anima era  già pentita in punto di morte, il suo accento sarà ancora più pentito.
Allora il Signore clemente dice: «Vieni dunque nel Purgatorio, lo faremo tornare intero». Ma questa  guarigione non può e non deve avvenire senza dolore, perché l'anima perde la sua rigidità solo  nella contrizione, e la contrizione fa male. Ma chi riporta il vaso colmo ha sorte felice: a lui si  spalancano le porte dell'eternità. Abbiamo tanto, infinitamente tanto da attingere alla fonte  dell'amore misericordioso: nella Santa Comunione, prima ancora nella confessione, e nelle Sante  Messe, nelle predicazioni. Nulla ci manca, purché non diventiamo dissipatori della Parola di Dio e  impariamo tutto, tutto quello che conviene alla nostra salute e ci conduce ad una celeste purezza. Siamo così ben provveduti di grazie; dobbiamo solo non riceverle ingrati e insensibili, per abitudine. Ma Dio è così misericordioso che, se abbiamo una volontà buona, possiamo anche qui sulla  terra riparare dove abbiamo mancato. Basta convertirsi e con buona volontà volere essere  migliori; allora anche il passato viene sanato da Gesù stesso. Quando il vaso del tempo non è  ancora pieno, possiamo giungere a riempirlo con la contrizione e la buona volontà e la santa fame  della Parola di Dio: per essa riceviamo Gesù, e troviamo la forza di seguire la sua Parola. Nella  Parola di Dio troviamo la via alle sorgenti della grazia e impariamo ad usarne rettamente. Per  l'udito comunichiamo con Gesù e ricevendolo devotamente seguiamo il suo richiamo e gli apriamo l'ingresso del cuore. Ogni parola di Dio, ogni parola del sacerdote è un bussare di Gesù al cuore, ed  ogni buona volontà è un aprire la porta. Quando uno apre la porta, Gesù si prende cura di tutta la sua  anima e dei suoi impegni eterni.

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY



Una vocazione tardiva (1805-1809).  
Giovanni Maria Vianney a vent'anni. 

Era la seconda volta che Giovanni Maria Vianney lasciava i campi di Dardilly ed il focolare domestico. Dopo la sua prima Comunione era cresciuto alquanto, ma i massai di Point-du-Jour potevano ritrovare nel giovane ventenne l'amabile e candido fanciullo di un giorno; non era ancora perfetto, ma già lasciava intravvedere a quale grado di virtù avrebbe potuto salire. Quasi ad' ogni pasto non prendeva che la sua minestra 1, anche se lo si pregava di cibarsi d'altro, ed era pure sempre all'età dello sviluppo, nella quale l'appetito si fa maggiormente sentire. Giovanni Maria, che si imponeva queste penitenze in vista di uno scopo preciso, le rese ancora più aspre, e, per attirare la benedizione di, Dio sopra i suoi studi, ottenne dalla zia che gli preparasse sempre la sua parte di minestra senza mettervi il condimento. Sia per dimenticanza che per maggiore comodità Margherita Humbert gli servì molte volte il cibo come ai suoi famigliari, ma il nipote, dominato per un momento ancora dalla sua naturale vivacità, presentava poi un volto triste, come se, deglutendo ciascuna cucchiaiata, arrischiasse di essere soffocato 2. Verrà giorno in cui, meglio trasformato dalla grazia di Dio, conserverà il suo abituale sorriso anche nelle più spiacevoli circostanze.  

Di cuore sempre aperto alla compassione verso gli indigenti, qualche volta conduceva a casa, per la notte, tutti i mendicanti che vedeva sulla strada; talvolta la casa ne fu riempita 3. Un giorno, andando a Dardilly per visitare la famiglia, incontrò un povero e gli diede le scarpe nuove che suo padre gli aveva comperato. Se ne era creduto proprietario legittimo, avendole pagate con il suo lavoro, ma a casa non si pensò così e lo si accolse coi più severi rimproveri, quando si presentò a piedi nudi. Questo fatto tuttavia non gli insegnò nulla, ed un altro giorno, incontrando una povera donna circondata da bambini in tenera età, profondamente commosso, le diede sette franchi, cioè tutto quanto possedeva 4.  

Gli studi iniziati lo chiamavano al presbiterio di Ecully ogni mattina ed ogni sera. Vi entrava accolto dal sorriso benevolo di Margherita Balley, che in abito comune conservava ancora l'anima ed i modi di Suor Maria Giuseppa Dorotea 5. Suo fratello Carlo era conosciuto per buon teologo e si sapeva che aveva rifiutato più volte la cattedra di morale nel seminario maggiore di Lione. La sua accoglienza era grave e la voce ferma, ma lo sguardo era dolce e confidente, tanto che Giovanni Maria in sua compagnia si sentiva bene.  

La grammatica latina gli parve alquanto difficile. Quantunque la sua conversazione vivace e di buon gusto, che rendeva ambita la sua compagnia, potesse lasciar intravedere qualche dote d'ingegno. le cose di studio non le comprendeva senza estrema difficoltà, e soprattutto diventava lento e confuso appena si sentiva una penna in mano: senza sua colpa l'intelligenza era rimasta troppo a lungo senza esercizio; né era più felice la memoria, che pure doveva avere la parte principale nel ritenere le prime nozioni: offuscata nel tempo in cui maneggiava lesto la vanga lucente, aveva anche dimenticato le poche nozioni grammaticali, un giorno imparate alla scuola del maestro Dumas. - Ma non si comincia la sintassi latina prima di conoscere quella della propria lingua.  

Il piccolo Deschamps, i fratelli Loras, fanciulli di buona formazione, che imparavano con evidente facilità le declinazioni e le coniugazioni, udendo il loro compagno leggere stentatamente quello che ad essi era sembrato facile come un giuoco, ridevano di lui. Ma non rideva l'abate Bailey, che si domandava invece preoccupato: «Questo giovane giudizioso, di una profonda pietà, si scoraggerebbe al primo ostacolo?» - Si trattava di una penosa fatica, ben più dura di quella sopportata nella vigna paterna. Venuta la sera, lo scolaro ventenne, alla luce della piccola lampada della masseria, ostinatamente si chinava sui suoi libri, pregava con fervore, supplicando lo Spirito Santo ad imprimere le parole nella sua «povera testa». Ma al mattino seguente si accorgeva che le parole sempre ribelli gli erano sfuggite di nuovo.  

Si esercitava nelle traduzioni facili dei Fatti scelti dell'Antico Testamento 6, il manuale classico per i principianti, in quell'epoca. Il P. Deschamps ci ha detto di avere aiutato allora il suo vecchio compagno di studio a cercare le parole nel vocabolario per fare una buona traduzione 7. Mattia Loras, forse il migliore nella scuola dell'abate Balley, rendeva a Giovanni Maria il medesimo servizio, ma, d'indole nervosa e di mano pronta, un giorno, stanco delle incomprensioni «del vecchio scolaro», lo schiaffeggiò oltraggiosamente in presenza dei suoi compagni. L'offeso, che pure aveva avuto da natura un carattere violento, s'inginocchiò allora davanti al fanciullo di dodici anni, che lo aveva percosso, domandandogli umilmente perdono. Mattia che nascondeva un cuore d'oro si pentì tosto e, commosso fino alle lagrime, cadde nelle braccia di Giovanni Maria, ancora genuflesso 8, sigillando un'amicizia profonda. Mattia Loras divenuto missionario negli Stati Uniti e vescovo di Dubuque non dimenticherà mai i particolari di questo fatto 9  

***
Canonico FRANCESCO TROCHU 

EPISTOLARIO



Il direttore 

Insistente richiesta.   Non per iniziativa personale, ma, in un secondo tempo,  alla richiesta esplicita e ripetuto invito, padre Pio assume le parti di maestro  e direttore dei suoi maestri e direttori. E lo fa non senza una certa ritrosia e  con grande timore riverenziale. Ritiene una stonatura l'inversione delle parti e  un controsenso che il discepolo diventi maestro di chi ha il compito di  insegnargli, che l'infermo prescriva ricette e amministri farmachi al suo  medico:  

"Mi fate un paterno rimprovero dal perché non vi parlo mai nelle mie lettere del  vostro spirito, ed avete ben ragione. Ma, che volete, sembrami una vera  stonatura che mentre l'infermo ricorre per rimedi al medico, si permetta di  scoprire in pari tempo al suo medico le di lui infermità. Ma sorvolando sopra  questa stonatura, per non contravvenirvi e solo per ubbidirvi, mi permetto di  dirvi ciò che il Signore mi permette di manifestarvi, sicuro di farvi cosa grata  e di essere da voi compatito per la mia spudoratezza" (9 5 1915). 
"Mi confondo, mi copro il volto di rossore nel leggere la vostra paterna  ammonizione, che cioè volendo per me le necessarie assicurazioni e desiderando  che mi si scriva assai per consolarmi, sia io tanto parco nel darle agli altri e  specialmente a voi. L'è questo un dolce vostro rimprovero ma a me riesce assai  amaro da strapparmi le lagrime, perché vedo che ne avete tanta ragione. Ma sarà  mai possibile che un infermo prescrive medicine al suo medico? Oh! e non sarebbe  troppa spudoratezza il farla da medico col suo medico? Se poi sono parco con gli  altri è perché temo che il troppo parlare non mi abbia da far sbagliare" (1 6  1915). 

"Ho letto e riletto attentamente nella vostra lettera quello che riguarda le  vostre interne sofferenze, e sono compreso da un senso vivissimo di umiliazione  nel dover venire a decidere cose che riguardano voi, mio padre, mia guida, mio  superiore. Avrei voluto esimermi da questo dovere, ma nol posso: avrei dovuto  soffocare gli stimoli della coscienza, che mi avrebbe rimproverato di aver fatto  male. Quindi invertiamo pel momento un po' le parti e parlerò pure con tutta  franchezza e sincerità. Chiamato a sentenziare su ciò che mi avete espresso  nella lettera, dichiaro, senza far torto alla verità, dinanzi a Dio ed alla mia  coscienza, essere tutto effetto di tentazione ciò che mi avete espresso nella  vostra lettera. Sa Iddio, padre, con quale spirito io parlo in questo momento"  (23 7 1917).

PREGANDO PER I FRATELLI NELLA D. V: PER RIDARE A DIO LA GLORIA



(tratto dagli Scritti sulla Divina Volontà della Serva di Dio Luisa Piccarreta)



Volume 14 Luglio 6, 1922
Benedizione di Gesù alla sua Mamma. Chi vive nella Divina Volontà è depositrice della Vita Sacramentale di Gesù.


Stavo pensando ed accompagnando Gesù nell’Ora della Passione quando Si portò alla Divina Mamma per chiederle la santa benedizione, ed il mio dolcissimo Gesù nel mio interno mi ha detto: “Figlia mia, prima della mia Passione volli benedire la mia Mamma ed essere da Lei benedetto; ma non fu la sola Mamma che benedissi, ma a tutte le creature, non solo animate ma anche inanimate; vidi le creature deboli, coperte di piaghe, povere, il mio cuore ebbe un palpito di dolore e di tenera compassione e dissi: ‘Povera umanità, come sei decaduta! Voglio benedirti, affinché risorga dal tuo decadimento; la mia benedizione imprima in te il triplice suggello della Potenza, della Sapienza e dell’Amore delle Tre Divine Persone, e ti restituisca la forza, ti sani e ti arricchisca; e per circondarti di difesa benedico tutte le cose da Me create, affinché tu le riceva tutte benedette da Me: ti benedico la luce, l’aria, l’acqua, il fuoco, il cibo, affinché resti come inabissata e coperta con le mie benedizioni. E siccome tu non la meritavi [la mia benedizione], perciò volli benedire la mia Mamma, servendomi di Lei come canale per far pervenire a te le mie benedizioni’.
E come Mi ricambiò la Mamma mia con le sue benedizioni, così voglio che le creature Mi ricambino con le loro benedizioni; ma ahimè, invece di ricambio di benedizioni, Mi ricambiano con offese e maledizioni! Perciò, figlia, entra nel mio Volere e portandoti sulle ali di tutte le cose create suggella tutte con le benedizioni che tutti Mi dovrebbero, e porta al mio dolente e tenero Cuore le benedizioni di tutti”.
Onde, dopo aver fatto ciò, come per compensarmi mi ha detto: “Figlia diletta mia, ti benedico in modo speciale; ti benedico il cuore, la mente, il moto, la parola, il respiro, tutta e tutto ti benedico”.
Onde, dopo ciò ho seguito le altre Ore della Passione, e mentre seguivo la Cena Eucaristica, il mio dolce Gesù Si è mosso nel mio interno, e con la punta del suo dito ha bussato forte nel mio interno, tanto che lo ho sentito con le mie orecchie, e ho detto tra me: “Che vorrà Gesù, che bussa?” E Lui, chiamandomi, mi ha detto: “Non bastava bussarti per sentirmi, ma anche chiamarti per essere ascoltato. Senti, figlia mia, mentre istituivo la Cena Eucaristica chiamai tutti intorno a Me, guardai tutte le generazioni, dal primo all’ultimo uomo, per dare a tutti la mia Vita Sacramentale, e non una volta, ma tante volte per quante volte ha bisogno del cibo corporale. Io volevo costituirmi come cibo dell’anima, ma Mi trovai molto male vedendo che questa mia Vita Sacramentale restava circondata da disprezzi, da noncuranze ed anche da morte spietata. Mi sentii male, provai tutte le strette della morte della mia Sacramentale Vita, [morte] sì straziante e ripetuta; guardai meglio, feci uso della potenza del mio Volere e chiamai intorno a Me le anime che sarebbero vissute nel mio Volere. Oh, come Mi sentivo felice! Mi sentivo circondato da queste anime, cui la potenza della mia Volontà le teneva come inabissate, e che come centro della loro vita era il mio Volere; vidi in loro la mia Immensità e Mi trovai ben difeso da tutti, ed a loro affidai la mia Vita Sacramentale. La depositai in loro affinché non solo ne avessero cura, ma Mi ricambiassero per ogni Ostia consacrata con una vita loro. E questo succede connaturale, perché la mia Vita Sacramentale è animata dalla mia Volontà Eterna [e] la vita di queste anime come centro di vita è il mio Volere, sicché quando si forma la mia Vita Sacramentale, il mio Volere agente in Me agisce in loro ed Io sento la loro vita nella mia Vita Sacramentale, si moltiplicano con Me in ciascuna Ostia, ed Io sento darmi vita per Vita.
Oh, come esultai nel vedere te per prima, che in modo speciale ti chiamai a formar vita nel mio Volere! Feci [in te] il mio primo deposito di tutte le mie Vite Sacramentali, ti affidai alla mia Potenza ed alla mia Immensità del Volere Supremo, affinché ti rendessero capace di ricevere questo deposito. E fin d’allora tu eri a Me presente, e ti costituii depositrice della mia Vita Sacramentale e, in te, a tutte le altre [anime] che avrebbero vissuto nel mio Volere. Ti diedi il primato su tutto, e con ragione, perché il mio Volere non è sottoposto a nessuno, e fin sugli Apostoli, sui sacerdoti, perché se loro Mi consacrano, ma [tuttavia] non restano vita insieme con Me, anzi Mi lasciano solo, obliato, non curandosi di Me; invece queste [anime che sarebbero vissute nel mio Volere] sarebbero state vita nella mia stessa Vita, inseparabili da Me; perciò ti amo tanto: è il mio stesso Volere che amo in te!”

Le Mie piccole barche



Gesù: “Quando salii il Calvario, Io Mi addossai interamente la responsabilità di diventare il Salvatore del Mondo e di andare avanti fino al culmine delle Mie Sofferenze, accettate con Amore per la Gloria del Padre e la Vita Eterna per i Figli di Dio.

Anche voi, quando dovete compiere un atto d’Amore per la Gloria di Dio, non disdegnate la sofferenza che l’accompagna. Accettate tutto per la Gloria di Dio, affinché la Misericordia divina impregni ogni vostro minimo sforzo e accompagni la vostra decisione.

Come il seme si lascia trasportare dal vento là dove deve penetrare nel terreno scelto per diventare pianta e sostenere il frutto che donerà, così il tuo SI sia SÌ’. Non misurare la tua forza con il tuo corpo; sii certa che Dio solo può ottenere da te il meglio di te stessa, perché tu non ti conosci. Sei come una barca che Dio riempie fino all’orlo per far passare le Anime dalla parte della riva meravigliosa, a te ancora sconosciuta.

Ma da questa barca, di cui nessuno conosce la capacità, nemmeno tu, Io farò uscire i Salvati degli Ultimi Tempi, le Anime che hanno esitato a gettarsi nella fornace ardente del Mio Cuore, che brucia giorno e notte dello stesso Fuoco che incendiò i cuori di tutti i Miei Apostoli, di tutti i Miei Santi.

Figlia, non temere la tempesta che si scatenerà tra poco su tutta la Terra con una forza fino ad oggi insospettata, perché presto si romperanno da ogni parte gli ormeggi, lasciando alla deriva chi non era saldamente ancorato al Mio Santo Cuore.


Io ti chiedo di informare i tuoi Fratelli di venire immediatamente a rifugiarsi nelle barche che sopporteranno la furia dei marosi scatenati dal Male. Barche che saranno riempite fino all’orlo; non abbiate paura, Io sono qui! Sara necessario che vi uniate e remiate vigorosamente verso il solo Rifugio che vi riparerà da questa furiosa tempesta. Venite al Porto della Salvezza, venite a Me senza riserve. PortateMi tutti quelli che sono sul punto di naufragare ed annegare per sempre. Non abbiate paura

Gridate il Mio Nome e remate con tutte le forze verso il Porto della Salvezza:


‘0 Cuore adorabile del Mio Salvatore, sii il nostro Rifugio, 0 Cuore Addolorato ed Immacolato di MARIA, sii la nostra Luce in questo Tempo di tenebre.

Prega per noi, Santa Madre di Dio.
Guida tutte queste piccole barche
verso il Cuore Adorabile del Tuo Divin Figlio
perché vi giungano tutte le pecore al completo
e non se ne perda nemmeno una’.

La Luce risplende e le Tenebre non L’hanno riconosciuta. Ed ecco che Essa sta per nascondersi, affinché ogni Uomo comprenda l’errore nel quale le Tenebre l’hanno sommerso. Ogni Anima si vedrà così com’è alla sua stessa luce interiore, nello spazio che l’Uomo Mi ha riservato nel suo cuore.

Illuminerò il film della sua vita, che si svolgerà come una bobina di filo, dall’esterno all’interno per riavvolgersi dall’interno all’esterno; in questo modo sarà svelato ogni dettaglio e sarà rimesso in ordine, se accorderete il vostro si per una vita migliore.

L’Uomo, così, riceverà il suo primo Perdono per rientrare in un Mondo Nuovo. Per tre volte Io porrò la stessa domanda. Questo sì sarà, quale prima promessa, d’accettare il proprio cambiamento per diventare migliore:

‘Figlio, vuoi seguirMi?.
‘Sì, lo voglio!’.

La sua seconda domanda gliela porrò dinanzi alla Porta del Mio Regno della Città Santa, la Nuova Gerusalemme:

‘Vuoi diventare abitante della Città Santa?’.
‘Sì, lo voglio!’.

E la terza domanda sarà quella in cui Io gli chiederò:

‘Accetti di vivere con il tuo Dio per l’Eternità?’.
‘Sì, lo voglio!’.

Allora Io introdurrò Mio Figlio, portandolo Io Stesso sulle braccia, per metterlo seduto a fianco del Mio Trono, molto vicino a Me. Egli sarà Santo della Mia Santità, incoronato della Mia stessa Gloria. La sua fronte brillerà della Mia Luce, che non si spegne, perché sulla sua fronte brillerà per sempre la Mia Croce Gloriosa.


Io sono 1’Eterno. Santo é il Mio Nome.

Amen”.

”J. N. S. R.” 30 marzo 1995

GESU’ OSTIA




Parole e miracoli di Gesù che preparano l'evento eucaristico

Tutta la vita di Gesù è una preparazione al suo sacrificio. La sua presentazione al tempio, avvenuta quaranta giorni dopo la nascita, lascia già immaginare la croce nelle parole profetiche di Simeone a Maria: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2,34-35).
Nel battesimo, al Giordano, San Giovanni Battista va incontro a Gesù esclamando: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!" (Gv 1,29); è l'eco delle parole profetiche di Isaia: "... era come agnello condotto al macello" (Is 53,7).
Il battesimo nel Giordano, infatti, è la preparazione di un altro battesimo, quello di sangue, di cui parla lo stesso Gesù: "C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto" (Gv 12,50).
Nei tre anni di predicazione, Gesù non solo indirizza lo sguardo di chi l'ascolta verso l'albero della croce, ma lascia intravedere e prepara, pure, ciò che miracolosamente egli compirà nell'ultimo pasto con gli apostoli.
Come si è precedentemente visto, nel discorso riportato da San Giovanni (Cfr. Gv 6,22 ss), Gesù afferma: "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo", "quello vero", "il pane della vita", "e il pane che io darò è la mia carne". E conclude dicendo: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda".
Queste parole di Gesù torneranno in mente ai suoi discepoli, quando prenderanno il pane e il vino consacrati dalle mani del loro Maestro nell'Ultima Cena. Senza questo discorso, infatti, non avrebbero potuto pienamente comprendere l'atto d'amore, sacrificale e redentivo che l'Eucaristia contiene.
Quando Gesù dice: "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12,24), parla di se stesso. Egli muore per comunicare la vita, come appunto fa il seme, che marcisce per germogliare; così, diventa spiga e poi pane: il prezioso nutrimento dell'uomo.
Dopo aver raccontato la parabola del seminatore, Gesù spiega che "Il seme è la parola di Dio" (Lc 8,11): crescerà e si svilupperà nella terra fertile del cuore di chi l'avrà accolta.
Ora, quando il Signore insegna ai suoi seguaci di chiedere al Padre celeste il "pane quotidiano" (Mt 6,11), non si può pensare ad un pane che sia nutrimento solo per il corpo e non per l'anima. La tradizione della Chiesa, infatti, vi indica il pane materiale, il pane della Parola e il pane eucaristico. (Questo triplice aspetto sarà esposto ampiamente nel successivo paragrafo).
Gesù si presenta come "pane vivo", ma anche come "acqua viva" (Gv 4,10). Alla donna samaritana, incontrata vicino al pozzo di Giacobbe, dice: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna" (Gv 4,13-14).
L'acqua (elemento che purifica e disseta, che mantiene in vita la natura, indispensabile per l'uomo al pari del cibo), qui, assume anche un significato eucaristico, come l'acqua e il sangue usciti dal costato di Gesù colpito in croce dalla lancia di uno dei soldati (Cfr. Gv 19,34), e che richiama l'acqua sgorgata dalla roccia nel deserto, dopo essere stata colpita da Mosè col suo bastone (Cfr. Es 17,1 ss; Nm 20,1 ss).
San Colombano scrive: «Il Signore stesso, il nostro Dio Gesù Cristo è la sorgente di vita che ci invita a sé, perché di lui beviamo. Beve di lui chi lo ama. Beve di lui chi si disseta alla parola di Dio; chi lo ama ardentemente e con vivo desiderio. Beve di lui chi arde di amore per la sapienza».
Gesù dice di essere "la vera vite" (Gv 15,1 ss). E nella frase: 'Io sono la vite, voi i tralci" (Gv 15,5), riecheggia il profondo e vitale legame che deve intercorrere tra il Signore e i suoi seguaci, quell'intimità che si assapora quando Cristo dimora in noi e noi in lui, come avviene durante la comunione eucaristica.
Tutti noi, pure, portatori di Cristo, siamo tralci in cui scorre la medesima linfa della vera vite.
Nelle antiche civiltà orientali, l'albero della vite è un albero cosmico: le sue radici affondano nella terra, i suoi tralci avvolgono il cielo, e gli acini sono come le stelle: l'albero della vite s'identifica con l'albero della vita.
E il frutto della vite è l'uva. In alcune rappresentazioni pittoriche della Sacra Famiglia, Maria porge al Bambino un grappolo d'uva: uva che darà il vino-sangue dell'Ultima Cena e della Croce.
Un classico tema del Vecchio Testamento è la figura di DioPastore. Anche Gesù applica a se stesso questa immagine, rivelando così la sua natura divina.
Al re Davide che invoca: "Il Signore è il mio pastore" (Sal 22,1), fa eco Gesù: "lo sono il buon pastore" (Gv 10,11 e 14). Tra gli elementi che accompagnano la raffigurazione del pastore, quello che riveste un maggior significato simbolico è il bastone. Tale attributo, usato per guidare il gregge, rappresenta lo Spirito Santo, colui che guida. Ed è al bastone che spesso è appeso il vasello, una zucchetta per contenere latte.
Il latte, come simbolo eucaristico, lo ritroviamo nell'invito che San Pietro fa ai cristiani: "come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza: se davvero avete già gustato come è buono il Signore" (1 Pt 2,2-3).
L'immagine del latte associata all'Eucaristia la usa anche Sant'Alfonso de' Liguori: «Siccome una madre che tiene il petto ripieno di latte, va trovando bambini che vengano a succhiare, acciocché la sgravino da quel peso, così appunto il Signore da questo Sacramento d'amore ci chiama tutti»l.
E Santa Teresa di Gesù Bambino verseggia: «I1 serafino si nutre di gloria, di puro amore, di perfetta letizia: io, bambinella, nel ciborio non vedo che il colore, l'immagine del latte, il latte che s'addice alla mia infanzia. L'amore del cuor divino non ha l'eguale, tenero amore, potenza insondabile! L'Ostia mia bianca è il latte verginale !».
Nell'Ultima Cena Gesù ci lascia la speranza dell'ultimo ed eterno banchetto, quello del regno dei cieli: "lo vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò di nuovo con voi nel regno del Padre mio" (Mt 26,29).
Anche il regno dei cieli, infatti, viene da lui descritto con scene di banchetto. Ricordiamo, ad esempio, la parabola del convito (Cfr. Lc 14,15-24), dove si racconta di un uomo che vuol dare una grande cena, ma gli invitati trovano tutti delle scuse per non andare. Allora il padrone di casa, irritato, ordina al servo di uscire per le strade della città e condurre poveri, storpi, ciechi e zoppi a riempire la sua casa. "Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena". Chi non accetta, infatti, il messaggio della salvezza, non potrà partecipare all'Eucaristia celeste.
Nella parabola del ricco epulone (Cfr. Lc 16,19-31), il povero Lazzaro, costretto a sfamarsi di ciò che cade dalla mensa del ricco, quando muore viene portato dagli angeli "nel seno di Abramo", cioè al posto d'onore della mensa divina.
Gesù non si limita ad usare il linguaggio, per preparare l'evento eucaristico dell'Ultima Cena; compie anche gesti significativi, come la trasformazione dell'acqua in vino, e la moltiplicazione dei pani.
L'episodio delle nozze di Cana, in cui Gesù compie il suo primo miracolo, è ricco di immagini:
a) I due sposi simboleggiano Adamo ed Eva.
b) Gesù e Maria sono il nuovo Adamo e la nuova Eva.
c) La trasformazione dell'acqua in vino è il passaggio dall'antica alla nuova alleanza.
d) Il vino offerto da Gesù viene attinto dalle giare, la cui acqua serviva per la purificazione. Ora la forza purificatrice non è più nell'acqua, ma nel sangue del Redentore, simboleggiato dal vino nuovo.
e) Questo vino nuovo viene servito per ultimo: è il segno ch'è finito il tempo vecchio ed è iniziato il tempo nuovo, quello messianico; non più nozze terrene, dunque, ma nozze divine. Sant'Agostino, infatti, interpreta la presenza di Gesù alle nozze di Cana, come la presenza del Verbo che è venuto in questo mondo per sposare l'umanità redenta col suo sangue.
L'Eucaristia è il convito nuziale dove non è più l'acqua ad essere trasformata in vino, ma è il vino che sarà trasformato in sangue.
Gesù moltiplica dei pani e dei pesci. Anche questo miracolo è l'anticipazione simbolica dell'Eucaristia: il Pane che verrà spezzato, moltiplicato e distribuito a tutti i credenti.
Quali sono gli insegnamenti da cogliere in questo episodio?
a) Il pane moltiplicato ci indirizza verso i fratelli: come Gesù, anche noi dobbiamo moltiplicare e distribuire, con loro e per loro, il pane della nostra fede.
b) Come per il vino di Cana, anche la sovrabbondanza dei pani indica che in Gesù è arrivata la pienezza dei tempi.
c) La raccolta del pane avanzato ordinata da Gesù, perché nulla vada disperso, sottintende la sacralità di questo pane, quale segno del proprio corpo, nonché la raccolta dei 'figli di Dio che erano dispersi" (Gv 11,52), "perché tutti siano una cosa sola" (Gv 17,21).
d) Le dodici ceste riempite sono destinate a tutta l'umanità. Il numero dodici, infatti, che richiama al numero degli apostoli, rappresenta l'universalità della Chiesa. Quando rinnova il miracolo, le ceste riempite sono sette: il numero dei doni dello Spirito Santo che conferisce alla Chiesa anche l'attributo della santità.
I Vangeli ci presentano, dunque, un Gesù che dà da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, che si siede a tavola nella casa del fariseo, di Matteo, di Lazzaro, di Zaccheo... Anche queste scene conviviali hanno lo scopo di prepararci a comprendere il contenuto dell'Eucaristia, ch'è la Cena del Signore, dove il suo corpo e il suo sangue diventano nostro cibo e nostra bevanda. E sarà proprio questo pasto consumato fra amici ad attuare la vittoria di Cristo sulla morte. Nella 'comunione' con Cristo, infatti, consiste la salvezza dell'uomo.

Chi è don Luigi Villa?



Benelli, Casaroli, Ruini

Mons. Giovanni Benelli fu, prima, Pro-segretario di Stato, poi, dal 1977 Vescovo di Firenze e, subito dopo, fatto Cardinale. Dopo la morte di Paolo VI, aveva tentato di essere eletto Papa, ma fu invece eletto il card. Siri, il quale, per le terribili minacce fatte dallo stesso card. Benelli, dovette desistere. E così, come compromesso, fu eletto il card. Luciani, col nome di Giovanni Paolo I.
Ma dopo 33 giorni di regno, Giovanni Paolo I fu ucciso.
Fu lo stesso don Villa a chiedere al card. Palazzini di far fare un’auto psia al Papa, e per essere più convincente, radunata la stampa di Roma, ventilò il dubbio di un assassinio. Il card. Palazzini, allora, fece eseguire tre autopsie, che furono chiamate “visite mediche”. Il risultato di tutte e tre fu: “Assassinato”!
La pubblicazione della “Lista Pecorelli” troncò la candidatura del card. Casaroli; e dopo un altro scontro tra Benelli e Siri, dopo la morte di Luciani, fu eletto il card. Karol Woytjla. Con la morte del card. Giovanni Benelli, avvenuta nel 1982, l’uomo più potente in Vaticano era il card. Agostino Casaroli.


Ma “Chiesa viva” aveva ancora dei validi e coraggiosi collaboratori; infatti, a fianco di quelli che abbandonavano la battaglia, vi erano anche personaggi che, malgrado la loro elevata posizione in Vaticano, si dichiaravano apertamente collaboratori della Rivista e difensori di don Villa.
Uno di questi fu mons. Nicolino Sarale, che lavorò in Segreteria di Stato dal 1978 al 1995, anno della sua morte. 
Mons. Sarale, per “Chiesa viva”, scrisse libri e quattro cicli completi di Omelie per Sacerdoti e, negli ultimi anni della sua vita, tenne la rubrica: “Osservatorio Romano”, in cui denunciava la crescente crisi interna della Chiesa.
Mons. Sarale non era solo un collaboratore, ma anche la “sentinella” di don Villa in Segreteria di Stato, e gli scrisse lunghe lettere sulle questioni più delicate e scottanti della Chiesa. Egli era un uomo limpido e coraggioso: ogni mese riceveva 50 copie di “Chiesa viva” che diffondeva anche in Segreteria di Stato. Egli aveva il coraggio di difendere don Villa di fronte ad alti Prelati, e persino di fronte al Papa.
Alcuni anni dopo la morte di questo carissimo amico di don Luigi, mettendo insieme varie frasi udite dal Padre ed altri articoli letti sui giornali, riuscii a farmi un’idea sulla strana morte di Mons. Sarale, avvenuta il 27 settembre 1995.

Un giorno, don Villa mi raccontò di una sua visita a mons. Sarale, il quale, parlando della sua salute, gli accennò ad una sua malattia alle ginocchia e di certe iniezioni che il medico gli faceva in quelle parti del corpo.
Don Luigi aggiunse di aver ottenuto da lui l’involucro della confezione di queste iniezioni e di averle mostrate al suo medico, il quale, dopo aver associato la malattia del Monsignore alle iniezioni che gli venivano praticate, esclamò: «Ma queste iniezioni provocano il cancro!».

Difatti Mons. Sarale morì a seguito di una operazione che si era resa necessaria per poterlo salvare da un cancro, che si era sviluppato allo stomaco, con una rapidità impressionante. Dopo la morte di mons. Sarale, sui giornali, scoppiò lo scandalo del medico di Giovanni Paolo II, il quale - si diceva - era riuscito ad arrivare fino a quella posizione senza alcun concorso, e che, dopo lo scandalo, si defilò. Era quello lo stesso medico che aveva praticato le iniezioni alle ginocchia di mons. Nicolino Sarale?

Gli anni 1990, sulla scena del Vaticano, videro il ritiro del card. Agostino Casaroli da Segretario di Stato, il declino del card. Ugo Poletti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e Vicario di Sua Santità, e la contemporanea ascesa di mons. Camillo Ruini.
I cardinali Casaroli e Poletti, entrambi massoni, figurano nella “Lista Pecorelli” con tanto di data di iniziazione, di Numero di matricola e di Sigla.
Il card. Casaroli era l’alfiere della politica filo-comunista di Paolo VI,
chiamata “Ostpolitik”, e dalla sua carica di Segretario di Stato, a fianco di Giovanni Paolo II, era l’uomo più potente del Vaticano, che aveva, come secondo, solo il card. Ugo Poletti, il quale aveva fatto una carriera fulminea, con Paolo VI, per una ragione molto particolare.
Divenuto Arcivescovo di Milano, mons. Montini prese la decisione di chiudere e spostare altrove “Il Popolo d’Italia”, un giornale ben consolidato, e pubblicato dalla Diocesi di Novara. L’arcivescovo di Novara, mons. Gilla Vincenzo Gremigni, protestò perché questo atto non era di giurisdizione dell’Arcivescovo Montini. Ai primi di gennaio 1963, solo sei mesi prima della sua elezione al papato, Montini inviò all’Arcivescovo di Novara una lettera di tale contenuto che, al leggerla, Gremigni ebbe un attacco di cuore e morì. La lettera fu trovata dall’Ausiliare, mons. Ugo Poletti, il quale la custodì per sè.  Quando Montini divenne Papa, il fantasma dell’Arcivescovo Gremigni lo seguì nella persona di mons. Poletti.

Nel 1967, la stampa italiana ricevette l’informazione che la morte dell’Arcivescovo Gremigni aveva a che fare col nuovo Papa. 
Subito dopo, Poletti ebbe una serie di miracolose promozioni da parte di Paolo VI: Vescovo di Spoleto (1967), Vicereggente di Roma, e cioè il più stretto collaboratore del card. Angelo Dell’Acqua (Segretario di Stato e Vicario del Papa) (1969), Cardinale (1973), Vicario del Papa (1973), Presidente della CEI (1985). Già nel 1986, mons. Camillo Ruini era diventato il pupillo del card. Poletti come suo Segretario della CEI, ma pochi anni dopo, nel 1991, mons. Ruini fu proiettato al vertice del potere vaticano; in rapida successione, egli fu nominato: Cardinale, Vicario del Papa e Presidente della CEI, mantenendo questi ultimi due titoli per molti e, forse, troppi anni.
Nel 1991, il card. Camillo Ruini era diventato l’uomo più potente del Vaticano.
Lo stesso anno 1991, don Villa iniziò a pubblicare, su “Chiesa viva”, una lunga serie di articoli sul movimento Neo-catecumenale, fino a quando, il 13 maggio 2000, questi furono raccolti e pubblicati in un libro, dal titolo: “Eresie nella dottrina neo-catecumenale” che denunciava le 18 eresie di questo Movimento, diretto da Francesco Argüello, detto “Kiko” e della sua compagna, una ex suora, di nome Carmen Hernandez.
Di sicuro, questi attacchi non piacquero al card. Ruini, poiché era proprio lui il Protettore ufficiale di questo Movimento ereticale.

a cura dell’Ing. Franco Adessa

Preghiera alla Santissima Trinità!



Trinità Santissima, Padre, Figlio, Spirito Santo, noi, tue creature, ti adoriamo!

Il nostro spirito, visitato dallo Spirito di vita e di amore, entra in comunione con Dio Uno e Trino e a Dio, nelle Tre Divine Persone, affidiamo noi stessi, perché il nostro cuore sia di Dio, la nostra mente sia rivolta a Dio, la nostra anima sia a Dio consacrata, perché in Dio è la sorgente unica di ogni nostro anelito, la forza del nostro vivere quotidiano, la speranza del nostro domani, la certezza del nostro oggi, la fede nella potenza salvifica e redentiva delle nostre anime, l'esperienza di vita, nell'amore per l'Amore che procede dal Padre e dal Figlio, per raggiungere il nostro povero nulla e del nostro nulla fare unità di amore con il Tutto, che è in Dio Uno e Trino! Amen!  

Il dogma di Maria Corredentrice: è questo il momento opportuno per proclamarlo?



La Corredentrice

Un’altra cosa possiamo pensare: che la Chiesa comprenderà chiaramente l’ufficio  di Maria come Corredentrice, quando essa, vivendo la realtà del suo stesso “Venerdì  Santo” in quanto Corpo Mistico di Cristo, prenderà coscienza della sua propria  corredenzione, partecipando all’opera della Redenzione secondo le parole di San  Paolo: “Sono crocifisso con Cristo e non sono più io chi vive, ma è Cristo chi vive in me” 
(Gal 2,20) e “completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo in favore del  suo Corpo, che è la Chiesa” (Col 1,24). Solo allora, quando la Chiesa si vedrà sulla  Croce con Cristo suo Sposo e Capo, o ai piedi della Croce con la sua Madre  Addolorata, comprenderà pienamente la verità della Corredenzione di Maria. 
Sarà forse per questo, perché si avvicina ormai l’ora del Calvario, che la Madonna  ci sta mostrando mediante le sue immagini il Sangue del suo Divin Figlio e le sue  stesse lacrime. 

Pablo  Martín  Sanguiao

DELLE CAUSE DEI MALI PRESENTI E DEL TIMORE DE' MALI FUTURI E SUOI RIMEDI AVVISO AL POPOLO CRISTIANO





DEL CONTE CANONICO ALFONSO MUZZARELLI

Ascoltate la Mia Parola, che echeggia come un tuono dal cielo!



Pensate che la vostra vita vada più che bene (sia in regola) se non fate niente di male agli altri , ma, Miei amatissimi figli, questo è un inganno del diavolo.

Non rispettate i Miei Comandamenti e non seguite gli insegnamenti di Gesù. Anche in questo caso il diavolo vi ha teso le sue trappole, infatti, siete convinti che “questi” valessero per prima e pensate che ora che vivete fra tanto lusso, eccitazione e ricchezze e che “avete creato un mondo moderno” essi abbiano perso significato o non abbiano più alcun significato e che debbano essere adattati al vostro mondo moderno ma, Miei amatissimi figli, è proprio questa la trappola tesa dal diavolo!

I Miei Comandamenti sono validi per tutti i tempi 

Gli insegnamenti di Mio Figlio valgono a loro volta per tutti i tempi, 

La vostra vita qui sulla terra serve per prepararvi alla magnifica Eternità nel Mio Regno Celeste, cioè molto presto, nel Nuovo Regno di Mio Figlio.

Il diavolo vi propone tutte le seduzioni, in modo che non troviate la strada di ritorno a casa, infatti siete talmente concentrati su voi stessi, sul vostro mondo terreno e impigliati nelle nebbie del diavolo, che cascate sempre più profondamente nelle sue trappole e accettate e vi fate opinioni, che sono e sono state tutte adulate e date dal diavolo!

Se non vi convertite le Mie piaghe, colpiranno molti di voi!
Se non vi convertite il Mio fuoco, brucerà i luoghi di peccato!
Se non vi convertite, vi prenderò un terzo della vostra terra!
Mio Figlio è pronto ed EGLI verrà a voi, prima come Salvatore misericordioso, poi come Giudice e guai a chi non si è convertito per allora!

Ascoltate la Mia Parola che echeggia come un tuono dal cielo: Io il Padre Onnipotente, Creatore di ogni vita e Signore sul Cielo e sulla terra e su tutto ciò che è, vi colpirò con la Mia ira, se non vi convertite! Soltanto attraverso Mio Figlio, Gesù Cristo, Salvatore del mondo, Io regalo ancora la Mia misericordia al mondo, ma voi dovete accettarla perché altrimenti i Miei castighi cadranno su voi e colpiranno quelli che non hanno ascoltato la Mia Parola.

Così sia.

Il vostro Padre Celeste.

Creatore di tutti i figli di Dio e Signore di tutto ciò che è. Amen.

LA VITA DI SAN BENEDETTO



I fazzoletti delle monache

Non molto lontano dal monastero era una contrada, ove, per la predicazione di  Benedetto, un notevole numero di gente si era convertita dal culto degli idoli alla  fede di Dio. C'era lì un gruppetto di donne consacrate e il servo di Dio aveva cura  di mandarvi spesso i suoi monaci per assistere spiritualmente quelle anime.
Un giorno ne mandò uno, secondo il consueto. Terminata la piccola  conferenza, il monacello, pregato da quelle sante donne, accettò alcuni fazzoletti  e se li nascose in seno.

Appena tornato al monastero, il servo di Dio prese a rimproverarlo con estrema  severità: "Come mai - gli andava ripetendo come mai ti è entrata in petto  l'iniquità?".Quegli rimase profondamente stupito e non ripensando a quel che  aveva fatto, non capiva bene i motivi del rimprovero. Glieli fece capire il santo  dicendogli: "E non ero io presente quando hai accettato quei fazzoletti dalle serve  di Dio e poi l'hai nascosti nel seno?". Subito allora il monaco si gettò ai suoi piedi  e chiedendo perdono per aver agito senza prudenza, trasse fuori dal petto i  fazzoletti che vi aveva nascosto.

tratto dal Libro II° dei "Dialoghi" di San Gregorio Magno