mercoledì 1 maggio 2019

I SETTE VIZI CAPITALI



EGO TE ABSOLVO


V.  La lussuria 

LA LUSSURIA è una tendenza di gustare i diletti della carne fuori del legittimo matrimonio. 

Dio è tanto geloso della purezza dei Suoi collaboratori nella creazione della stirpe umana, che con due Comandamenti vigila sopra l'immacolatezza del letto matrimoniale e vieta perfino ogni pensiero d'infedeltà ed ogni sguardo. 

Nonostante questo divieto c'è nell'uomo, cominciando dell'adolescenza, una tendenza più o meno violenta a gustare questo frutto proibito anche fuori del matrimonio. 

La lussuria si commette quando si cerca e si vuole direttamente il piacere cattivo con pensieri, parole o atti. Questi peccati commessi da soli o con gli altri non tardano a produrre tiranniche abitudini che inclinano sempre più la volontà ai grossolani diletti. Si perde ogni amore per la famiglia, per la religione, e ci si seppellisce sempre più sotto la rovina del proprio onore, finchè i diavoli non ci seppelliscono negli abissi infernali. Non si conosce nessuna malattia prodotta dalla continenza, mentre vi sono molte che hanno origine nella lussuria. 

Solo con la preghiera, la mortificazione, con la fuga di ogni occasione, si vince questa tiranica passione; ma sopratutto con la Santa Confessione e la S. Comunione frequenti e ben fatte. 

G. Crux

In Te la mia anima trova un caldo rifugio



In Te la mia anima trova un caldo rifugio,
finché la tempesta scatenata si quieti.
Io tendo il mio orecchio verso il Cielo
per ascoltare la Tua Tenera Voce,
sempre così consolante.
Non devo temere,
la Tua santa presenza a me vicino, 
mi consola,
nessuno può sostituire la Tua Fedeltà,
Tu ormai sei il mio Maestro, 
L’Altissimo, il Signore dei Signori, 
il mio Redentore
e così io mi abbandono totalmente a Te,
ripongo la mia anima e il mio cuore
fra le Tue Divine Mani.
Amen.

Nella Mia Casa devono essere fatte enormi riparazioni



Gesù:
nella Mia Casa devono essere fatte enormi riparazioni, ma Io La riedificherò, mattone dopo mattone, strato dopo strato; malgrado gli incredibili attacchi che la Mia Casa subisce, Io, il Signore, alla fine trionferò; allora riempirò la Mia Casa di anime pure, come un colombaio si riempie di colombe, così sarà della Mia Casa; e lascerò queste anime pure nutrirsi direttamente dalla Mia Mano, perché imparino a dire: “Abba”; la Divinità vincerà la corruzione, la corruzione che attraverso i vizi del mondo ha fatto dei Miei figli degli atei;

intendo fare di queste anime pure esseri divini che riflettono la Mia Divinità; ecco perché vi ricordo senza interruzione la Verità in questi giorni, anche se Mi ripeto; anche se qualcuno di voi è contrario a queste Mie ripetizioni, continuerò a ricordarvi le stesse verità, è il solo modo per ridare vita ad alcuni spiriti inerti;

oggi il Mio Santo Spirito di Grazia è respinto dagli increduli, ma essi non sanno che cosa respingono; è come dice la Scrittura: … “la pietra che i costruttori hanno scartato ha dato prova di essere la pietra angolare; sasso d’inciampo, pietra per far cadere gli uomini”;1 questi increduli cadono sulla pietra angolare perché non credono alle Opere del Mio Santo Spirito; sì, oggi il Mio Santo Spirito di Grazia che discende per indicarvi la Via, la Verità e la Vita è realmente la Chiave di Volta, la Pietra Angolare che voi non riconoscete e che rifiutate completamente;

23 Dicembre, 1989

CRISTO CROCIFISSO CAPOLAVORO DELL’AMORE



IL CROCIFISSO CAPOLAVORO DELL'AMORE E LE SUE NOZZE ETERNE

La definizione di "5° Tempo" che abbiamo dovuto dare a questa ultima parte della nostra riflessione, è solo per adattarci al modo di pensare di noi che siamo ancora di questo mondo: infatti dopo la fine del mondo e della storia umana, dopo la fine del peccato, della morte di Satana dentro lo stagno di fuoco, dopo la fine dunque, anche del tempo, non si dovrebbe più parlare di tempo, perché sarebbe sopravvenuta un'altra realtà, dove la vita non sarebbe più un passaggio, cioè un perpetuo passare da alfa a beta, da beta a delta, etc., ma un eterno stare, quale è appunto la vita eterna, definita da Boezio: 'Tota simul et perfecta possessio'un possesso simultaneo e totale del Tutto!
E il fatto, del quale ora vogliamo parlare, è meraviglioso oltre ogni dire, e lo si potrà comprendere bene solo se sapremo vederlo dentro questo contesto di eternità. Si tratta, come è detto sopra, delle Nozze eterne dell'Agnello cioè del Crocifisso, capolavoro dell'Amore, con la Nuova Gerusalemme, cioè con l'umanità da Lui redenta e salvata nella Vita Eterna; ne parla Giovanni (Ap 21,9): "Poi venne uno dei sette Angeli e mi parlò: "Vieni, ti mostrerò la Fidanzata, la Sposa dell'Agnello". Lui stesso in precedenza aveva visto: "La città santa, la Nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come sposa adorna per il suo Sposo". Ma questo tema di Dio e di una sua Sposa ritorna spesso, fin dai primi tempi, nella Sacra Scrittura: sarà bene dunque riportarne i punti più significativi.
Isaia (54,5): "Esulta, o sterile, non temere, non vergognarti, perché tuo Sposo è il tuo Creatore: Signore degli eserciti è il suo nome".
Isaia (62,4): "Nessuno ti chiamerà più abbandonata, ma tu sarai chiamata Mio Compiacimento, poiché il Signore si compiacerà di te. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto: come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà di te".
Matteo (9,15): "E Gesù disse loro: non possono gli invitati a nozze essere in lutto, mentre lo sposo è con loro".
Giovanni (3,29): "Chi possiede la sposa è lo sposo: ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo". - (L'immagine nuziale che nell'Antico Testamento è applicata tra Dio e Israele, Gesù se l'è appropriata).
2Corinzi (2,2): "Io infatti provo per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi ad un unico Sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo". - (Paolo, amico dello Sposo, gli presenta la Chiesa sua fidanzata) - (A partire da Osea 2, l'amore di Yaveh per il suo popolo viene rappresentato dall'amore dello sposo e della sposa).
Apocalisse (19,1-10): "Alleluia! Perché sono giunte le nozze dell'Agnello: la sua sposa è pronta" - Nel Nuovo Testamento Gesù presenta l'era messianica come uno sposalizio (cfr Lc nozze del Figlio de re), soprattutto qualificandosi Egli stesso come lo Sposo (Mt 9,15 e Gv 3,29) mostra che l'alleanza nuziale tra Dio e il suo popolo si realizza pienamente in Lui.
Alla fine, ecco che tutto sembra risolversi: nelle ultime pagine dell'Apocalisse, ecco la nuova Gerusalemme che discende dal Cielo con la solennità della Sposa dell'Agnello, in vista del prossimo incontro con Lui, che risponde agli incalzanti: 'Vieni, vieni!' dicendo: "Verrò presto!". "Verrò presto!": dunque non è ancora venuto e la Chiesa continua ad aspettarlo: "nell'attesa della sua venuta". Dovranno infatti realizzarsi quei tragici fatti da noi già contemplati, con i quali e dopo i quali si determinerà la fine del tempo e l'avvento dell'eterno! Infatti il mistero delle nozze dell'Agnello e della nuova Gerusalemme, cioè dell'umanità redenta da lui, poiché sono Nozze eterne, non hanno alcun confronto con le nozze nel tempo: queste hanno il grande compito di diffondere nello spazio e nel tempo i membri della eccelsa razza umana, e avviarli poi verso i loro eterni destini: le Nozze eterne dell'Agnello invece hanno il compito di cogliere ciò che nel tempo ciascuno ha maturato di eterno per portarlo alla perfezione, poiché eternità vuol dire: "Tota simul et perfecta possessio!".
Ecco poi come l'Apocalisse (21,3) definisce le Nozze dell'Agnello: "Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro, ed essi saranno suo popolo, ed Egli sarà "Dio con loro"'. Parole, queste, che ci ricordano il grande problema dell'Alleanza: quell'Alleanza che Dio, fin dai primi tempi, aveva stabilito con il popolo ebraico, e che poi Cristo aveva rinnovato elevandola alla dignità di Eterna Alleanza, perché fondata sul suo Sangue, quello da lui sparso nel grande Sacrificio voluto dal Padre per la nostra Redenzione: quel Sacrificio cioè che Lui stesso aveva voluto e sognato fin dal principio, vedendosi già appeso a quella Croce, abbracciato ad essa in un abbraccio sponsale, inteso a meritare di essere l'Agnello Sposo della nuova Gerusalemme, quella che Lui già prevedeva discendere dal Cielo come una Sposa incontro a Lui!

Padre Virginio Carlo Bodei O.C.D.

Le APPARIZIONI di Gesù Risorto



Apparizione a Giuseppe d'Arimatea, a Nicodemo e a Mannaen.

4 aprile 1945.  
Mannaen, insieme ai pastori, va svelto per le pendici che da Betania conducono a Gerusalemme. Una bella strada va diretta in direzione dell'Uliveto. E verso essa piega Mannaen dopo avere lasciato i pastori, che alla spicciolata vogliono entrare in città per andare al Cenacolo. Poco prima, lo rilevo dai loro discorsi, devono avere incontrato Giovanni, che veniva verso Betania per portare la notizia della Risurrezione e l'ordine di essere tutti in Galilea fra qualche giorno. 
Si lasciano appunto perché i pastori vogliono ripetere personalmente a Pietro ciò che già hanno detto a Giovanni, ossia che il Signore, apparendo a Lazzaro, ha detto di riunirsi nel Cenacolo.  
Mannaen sale per una strada secondaria verso una casa in mezzo ad un uliveto. Una bella casa, che ha intorno una fascia di cedri del Libano, dominanti con le loro moli imponenti i numerosi ulivi del monte. Entra sicuro e al servo accorso dice: «Dove è il tuo padrone?». 
 «Di là con Giuseppe. É venuto da un poco». «Digli che ci sono». Il servo va e torna con Nicodemo e Giuseppe. Le voci dei tre si mescolano in uno stesso grido: «É risorto!». Si guardano, stupiti di saperlo tutti. Poi Nicodemo prende l'amico e lo trascina in una stanza interna. Giuseppe li segue. «Hai osato tornare?». «Si. Egli lo ha detto: "Al Cenacolo". Io lo voglio ben vedere, ora, glorioso, per levarmi il dolore del ricordo di Lui legato e coperto di sozzure come un malvivente colpito dallo sdegno del mondo». «Oh! noi pure vorremmo vederlo... E per levarci l'orrore del ricordo di Lui suppliziato, delle sue ferite senza numero... Ma Egli si è mostrato solo alle donne», mormora Giuseppe. «É giusto. Esse sono state fedeli a Lui sempre in questi anni. 
Noi avevamo paura. La Madre lo ha detto: "Un ben povero amore il vostro, se ha atteso questa ora per mostrarsi!"», obbietta Nicodemo. «Ma per sfidare Israele, a Lui più contrario che mai, avremmo ben bisogno di vederlo!... Se tu sapessi! Le guardie hanno parlato... Ora i Capi del Sinedrio e i farisei, non ancora convertiti da tanta ira del Cielo, vanno cercando chi può sapere della sua Risurrezione per imprigionarlo. Io ho mandato il piccolo Marziale - un fanciullo sfugge più e meglio - ad avvisare quelli della casa di stare all'erta. Dal Tesoro del Tempio hanno tratto denaro sacro per pagare le guardie, acciò dicano che i discepoli lo hanno rapito e che quanto hanno detto prima, della Risurrezione, non era che bugia per paura della punizione. La città bolle come un paiolo. E c'è chi, dei discepoli, già la lascia per paura... Voglio dire i discepoli che non erano a Betania...» «Si, avremmo bisogno della sua benedizione per avere coraggio». «A Lazzaro è apparso... Era quasi l'ora di terza. Lazzaro ci apparve trasfigurato».  
«Oh! Lazzaro lo merita! Noi...», dice Giuseppe. «Si. Noi siamo ancora incrostati di dubbio e di pensiero umano come da una lebbra mal guarita... E non c'è che Lui che può dire: "Io voglio che voi ne siate mondati". Non parlerà dunque più, ora che è risorto, a noi che siamo i meno perfetti?», chiede Nicodemo. «E non farà più miracoli, per castigo del mondo, ora che è il Risorto da morte e dalle miserie della carne?», domanda di nuovo Giuseppe. Ma il loro chiedere non può avere che una risposta. La sua. E la sua non viene. I tre restano accasciati. Poi Mannaen dice: «Ebbene. Io vado al Cenacolo. Se mi uccideranno, Egli assolverà l'anima mia e lo vedrò in Cielo. Se no lo vedrò qui, in Terra. Mannaen è tanto inutile cosa nelle sue schiere che, se cade, lascerà lo stesso vuoto che lascia un fiore colto in un prato gremito di corolle: non si vedrà neppure...», e si alza per andare. Ma, mentre si volge verso la porta, questa si illumina del divino Risorto, che a palme aperte, in atto di abbraccio, lo ferma dicendo: «Pace a te! A voi pace! Ma rimanete dove siete tu e Nicodemo. Giuseppe può ancora andare, se crede. Ma qui mi avete, e dico la richiesta parola: "Io voglio che siate mondati da quanto di impuro resta nel vostro credere". Domani scenderete in città. Andrete dai fratelli. Questa sera ho da parlare ai soli apostoli. Addio. E Dio sia sempre con voi. Mannaen, grazie. Tu hai creduto più di questi. 
Grazie, dunque, anche al tuo spirito. A voi grazie della vostra pietà. Fate che si muti in più alta cosa con una vita di intrepida fede». Gesù scompare dietro una incandescenza abbagliante. I tre sono beati e smarriti. «Ma era Lui?», chiede Giuseppe.  
«E non hai sentito la sua voce?», risponde Nicodemo. «La voce... può averla anche uno spirito... Tu, Mannaen, che gli eri tanto vicino, che ti parve?». «Un vero corpo. Bellissimo. Respirava. Ne sentivo l'alito. E mandava calore. E poi... le Piaghe le ho viste. Parevano aperte allora. 
Non davano sangue, ma era carne viva. Oh! non dubitate più! Che Egli non vi castighi. Abbiamo visto il Signore. Voglio dire: Gesù tornato glorioso come sua Natura lo vuole! E... ci ama ancora... In verità, se ora Erode mi offrisse il regno, gli direi: "Mi è polvere e sterco il tuo trono e corona. Ciò che io possiedo nulla lo supera. Ho la conoscenza beata del Volto di Dio"».  


SANTA TERESA DI GESÙ



Dio vi liberi dalle varie qualità di paci che godono i mondani! Il Signore non ci permetta mai di gustarle perché ci sarebbero di guerra senza fine. 
 Ecco un mondano che ingolfato nei più enormi peccati vive tranquillamente, contento dei suoi vizi, senza alcun rimorso di coscienza. – 
Questa pace, come certo avrete letto, indica che egli e il demonio sono amici. E, fin che vive, il maligno non gli vorrà certo muover guerra. 
 Vi sono anime così perverse che per evitare questa guerra – e non già per amore di Dio – tornerebbero alquanto al suo servizio. Ma pur tornandovi, non vi durano a lungo, perché, appena il demonio se ne accorge, offre loro nuove ebbrezze di loro gusto, con le quali le ritorna alla sua amicizia, trattenendovele poi fino a quando non le abbia condotte in quel luogo, ove farà loro intendere quanto una tal pace sia stata falsa. Ma di queste anime non vi è proprio di che occuparci: se la vedano loro! Spero nel Signore che tanto male fra voi non venga mai ad allignare. Tuttavia il demonio potrebbe incominciare con un'altra pace: quella con i difetti leggeri. – Finché si vive, figliuole, si deve star sempre con timore. 


“Sto male, malissimo. Vorrei morire e solo Dio, che tutto vede, sa il perché… Ieri è stato il giorno più brutto della mia vita… l’inferno in terra… Ora cerco il perdono, ma non ho neanche il coraggio di chiederlo. Spero solo che Dio Misericordioso, abbia pietà di me, ultimo degli esseri, e cambi il mio cuore, quello stesso cuore che credevo migliore e che, invece, mi ha fatto tradire la vita…”



Un capitolo della mia vita stava per concludersi prima che scoprissi di essere incinta.  
Affaticata, ma nel contempo colma di speranza per un nuovo inizio, avevo investito tutte le mie energie nella preparazione dell’esame di Stato che mi avrebbe consentito di diventare un avvocato. 
Anni di studio, di sacrifici, di rinunce, di sforzi continui per non soccombere alla stanchezza mentale, stavano finalmente per essere ripagati. Il mio desiderio più grande era spiccare il volo e raggiungere l’indipendenza per essere libera.  
Stava per accadere davvero! ... e così è stato.  
Superato quell’ostacolo, che a volte consideravo insormontabile, la gioia non era più una sensazione che speravo di provare al più presto, ma era divenuta reale; la conclusione perfetta di un’immensa fatica. Ora, tutto sembrava in discesa. 
Che soddisfazione! Mi sentivo viva, animata da un gran vigore, appagata come non accadeva da diverso tempo, pronta per affrontare il mondo.  
E accanto a me avevo un uomo meraviglioso, che amavo come non avevo mai amato nessuno, che rappresentava il mio sostegno nella vita di tutti i giorni e che era il mio sorriso e la mia allegria…  
Poi…  
… il buio.  
Allarmata, benché si trattasse di un minimo ritardo, per qualche giorno mi sono sentita assalita da una gran disperazione. Le mie mestruazioni si presentavano sempre con assoluta puntualità e, per tal motivo, il mio istinto mi diceva che quel ritardo era quasi certamente dovuto ad una gravidanza. E se così fosse stato? Che avrei fatto? 
Rimandavo indietro i miei pensieri nel tentativo di esorcizzarli, come se la mia indifferenza avesse potuto annullarli e scongiurare ciò che temevo. 
Ma, inevitabilmente, la mente si proiettava nel futuro e avevo paura.  
Paura …  
Paura di crescere? Di assumermi responsabilità? 
Di forzare la mano del destino ed essere sposata per obbligo? Di legare a me una persona di cui non conoscevo realmente le intenzioni? Di essere un peso per Stefano e la mia famiglia, visto che non avevo un lavoro e non ero in grado di offrire al mio bambino tutto quello di cui aveva necessità?  
Non lo so… Non so rispondere...  
So “solo” che l’avrei amato immensamente; a lui avrei riservato ogni goccia del mio amore.  
Ma mi sentivo così confusa da non saper mettere facilmente ordine in quel groviglio di emozioni contrastanti.  
C’era soltanto un modo per porre fine a quel tormento che mi assillava: fare il test di gravidanza. Per questo occorreva prudenza: abitando in un piccolo paese di montagna bisognava essere discreti per sottrarsi a quei pettegolezzi e commenti che sarebbero stati inevitabili. Recarsi presso la farmacia di una città vicina: ecco, era questa la soluzione migliore.  
Lungo il percorso in macchina il tempo era scandito dal silenzio. Più andavamo avanti e più si avvicinava il momento di conoscere la verità. Ed ero talmente immersa nella mia angoscia da perdere la percezione dei luoghi, del tempo, della vicinanza di Stefano. Ricordo solo che ci tenevamo per mano e che, in quei frangenti, tutto scorreva per me in modo anonimo: niente colori intorno, niente luce, nessuna voce...  
Avrei voluto dei figli, e avrei desiderato che il loro padre fosse il mio adorato Stefano. Mi capitava di fantasticare sulla nostra famiglia, ma non c’era stabilità nella mia vita.  
E lui? Che cosa stava provando realmente? Si sarebbe sentito in trappola in caso di esito positivo? Sicuramente mi sarebbe rimasto accanto… 
Ma all’improvviso era come se non conoscessi realmente né lui né me… 
 Inspiegabile. 
Fatto l’acquisto, il viaggio di ritorno ci era stato utile per leggere il foglietto informativo e informarci sulle modalità d’uso di quel “termometro degli ormoni” così piccolo e tuttavia in grado di cambiare la direzione delle nostre esistenze.  
Sempre più certa di conoscere la risposta senza attendere la colorazione delle lineette, speravo tuttavia di sbagliarmi.  
Tre minuti di attesa soltanto erano richiesti…  
Istanti interminabili…  
Il test era positivo.  
Assalita da una gran disperazione, mi sentivo soffocare… Mai provato una simile angoscia.  
Era come se la mia vita fosse finita in quell’attimo. Piangevo e non riuscivo a calmarmi. 
In un certo senso ha sorpreso anche me la mia reazione. Ripetevo: “non lo voglio!”…  
Come se fosse stato un brutto regalo da rifiutare.  
Ma lui era già in me, viveva già in me, respirava in me… Che cosa c’era di tragico nella vita che portavo in grembo? Che cosa c’era di tragico nell’innocenza assoluta e pura di quel bambino? 
Niente. Tutt’altro!  
Eppure, mi ostinavo a non capire…  
Mi sentivo perduta.  
Ormai non si poteva fare più nulla se non… 
buttarlo via; eh già, le cose vanno chiamate con il proprio nome. 
La possibilità di abortire non l’avevo inizialmente considerata poiché contraria ai miei principi, ai valori e agli insegnamenti che mi avevano trasmesso i miei genitori e, dunque, discordante con la mia coscienza…  
… La mia coscienza……  
Quella stessa coscienza che intendevo preservare da qualsiasi tipo di compromesso, in qualsiasi situazione mi fossi venuta a trovare, e che, invece, avevo macchiato già solo con il mio proposito poi divenuto realtà.  
Dopo uno sfogo liberatorio dell’ansia accumulata nei giorni precedenti, quasi in una pausa, del cuore e della mente, dagli affanni provati, accarezzavo l’idea di diventare una mamma dopo nove mesi... 
Mi sembrava incredibile, meravigliosamente straordinario, e al telefono con la mia amica Liliana le mie lacrime si erano inaspettatamente trasformate in sorriso.  
Ma il giorno successivo “quell’idea” diventava sempre più insistente e mi martellava… Il meccanismo era scattato.  
Con la scusa di volermi solo informare su cosa sarebbe accaduto se avessi scelto di non tenerlo, mi avviavo a percorrere una strada senza ritorno. 
Un non ritorno deciso da me però, perché fino all’ultimo minuto avrei potuto rifiutare e fermare tutto; dire: “no, grazie. Io e il mio bambino andiamo via”. La mia vita sarebbe stata migliore a quest’ora, non ne ho alcun dubbio.  
Eppure non è andata così. Da allora, tutto è accaduto velocemente: il primo contatto con il Dott. X, la visita ginecologica nel suo Studio, l’ecografia che non ho voluto vedere, se non in seguito, le analisi del sangue (eseguite ovviamente in un laboratorio privato). La “preparazione” per quello che sarebbe diventato il giorno più orrendo e terribile della mia vita. E alla mente mi tornano ancora, lasciandomi basita adesso come in quell’occasione, le parole pronunciate dal medico incontrato ma, soprattutto, quelle non dette.  
Ricordo che dopo la spiegazione, breve e distaccata, di come si sarebbe svolto l’intervento, il Dott. X aggiunse: “Se decidete per il sì, andate avanti e non voltatevi indietro”; e poi rivolgendosi solo a me: “Devi armarti di tre sacchi di pazienza”.  
Basta.  
Solo questo.  
Non mi ha domandato, nemmeno una volta, “Cosa ti spinge a farlo?” o “Sai cosa succede in realtà?” 
o “Sei sicura?” o “come stai?”. Non c’è mai stato un suo tentativo di dissuasione nei miei confronti. 
Non ha nemmeno accennato a quanto potesse essere meravigliosa la maternità, al miracolo della vita che essa custodisce in sé; non mi ha aiutato a riflettere, a pensare, a ragionare (perché la donna che pensa di abortire non ha la lucidità per capire nulla, essendo sopraffatta dal panico e dalla paura); come se far nascere un bambino o ucciderlo fosse stata la medesima cosa… come decidere se indossare un paio di pantaloni bianchi o neri… come se fosse stato naturale e normale. 
Quella freddezza, che io ho avvertito essere dominante, mi ha spiazzato e ha contribuito ad aumentare la mia solitudine… Avevo bisogno di parlare, parlare, parlare… ed essere ascoltata per essere capita ed aiutata.  
Quella mattina varcai la soglia dell’ospedale alle 9. Raggiunto il reparto, mi ritrovai in una sala d’attesa piena di gente; eppure il vuoto che regnava nel mio cuore era grande e dal sapore amaro.  
Mi tenevo stretta a Stefano cercando protezione, un rifugio sicuro per le mie paure. Ricordo di averlo guardato, ad un certo punto, chiedendogli: 
“E se lo teniamo e ce ne andiamo via tutti e tre?”. 
Senza distogliere il suo sguardo dal mio, sorridendomi dolcemente, rispose: “Se vuoi, lo sai, lo possiamo tenere”.  
Cavolo! Invece di sentir rinnovare la mia (“mia” non “nostra”) libertà di scelta, avrei desiderato con tutta me stessa che mi avesse preso per mano per poi trascinarmi fuori di lì, lontano; che mi avesse abbracciato forte, fino a togliermi il respiro, per poi dirmi: “Insieme ce la possiamo fare; io questo bambino lo voglio…perché ti amo”. Ma, ahimè, quello che chiedeva realmente il mio cuore non aveva ricevuto risposta e, di nuovo, mi sono sentita SOLA.  
In quel momento si affacciò nel corridoio il Dott. X che, dopo avermi dato le prime e necessarie istruzioni su cosa fare una volta giunta in camera, invitò Stefano a tornare nel pomeriggio: la tutela della privacy delle altre sventurate come me imponeva questa decisione.  
Io non volevo che andasse via… che ci separassimo.  
L’ultima opportunità di salvare il nostro bambino, parlando ancora e trasmettendoci le nostre emozioni, liberamente, senza i condizionamenti dell’imperdonabile e stupida razionalità che ci attanagliava… era svanita. E poi, come avrei potuto affrontare tutto da SOLA?  
Entrai allora nella stanza… un ghetto riservato a chi, come me, quel giorno doveva abortire.  
Si respirava morte al suo interno.  
Quasi mi bloccai sui miei passi. Sentivo le gambe come riluttanti a proseguire…  
Trovai un unico letto disponibile, vicino alla finestra, di certo il più esposto al vento, che s’infiltrava dalla stessa e che quel giorno soffiava impetuoso.  
Ma che importava… Il gelo che sentivo nel cuore era più opprimente...  
Mi vergognavo di essere lì, non avevo il coraggio di sollevare lo sguardo dal letto su cui appoggiai le mie poche cose, pur sapendo che non sarei stata giudicata dalle “mie compagne”.  
Quasi inebetita, mi preoccupai di assumere l’antibiotico che mi ero procurata precedentemente su indicazione del medico, accompagnandolo con un sorso d’acqua…  l’acqua… l’unico segno di vita lì dentro.  
Spogliatami, indossai subito il pigiama e andai in bagno a fare pipì: di lì a poco sarebbe arrivato il Dott. X che ci avrebbe inserito nella vagina un ovulo necessario per dilatare l’utero. Avremmo dovuto attendere due ore per far sì che ciò avvenisse e fosse…  più facile strappare via dal grembo… mio figlio…  
Scrivo e, mentre lo faccio, piango. E’ difficile continuare a raccontare…  
I dolori diventarono sempre più acuti: l’ovulo stava svolgendo efficacemente la propria azione... 
Alla schiena e alle gambe avvertivo un male insopportabile; le ovaie si contraevano, il sangue si era gelato, le ossa si erano rattrappite. Battendo letteralmente i denti rivolgevo lo sguardo al soffitto, cercando il volto di Dio: ma con quale diritto?  
Mi chiedevo a voce alta: “cosa sto facendo?”.  
Non sapevo che la risposta a quella domanda mi avrebbe perseguitato da subito e per ogni nuovo giorno della mia misera vita.  
Non ce la facevo più!! Richiesi l’intervento di un’infermiera affinché mi somministrasse qualcosa, qualsiasi cosa, per alleviare la mia crescente sofferenza. 
Fu necessario farmi una flebo di un potente antidolorifico. Non riuscivano a trovare la vena e ciò significava dolore che si sommava ad altro dolore, ma non mi importava: l’unico mio desiderio era che cessassero quelle continue e violente contrazioni.  
Si aggiunse, di lì a poco, un forte senso di nausea tale da non riuscire più a trattenermi e a indurmi a vomitare i succhi gastrici e… la mia anima.  
Con gli occhi di chi implora un briciolo di pietà “rubai” la mano dell’infermiera e la portai sul mio viso, stringendola poi.  
“Qual è il tuo nome?” - le chiesi.  
“Liliana” - subito mi rispose, con un fare cordiale che non potrò mai dimenticare.  
“Come la mia migliore amica” - le dissi con un debole sorriso. “Grazie” - continuai . “Aiutami, fa tanto male; ti prego aiutami”. “Devi respirare lentamente; se ti agiti è peggio. Vedrai che tra poco andrà meglio”.  
Ma non passava.  
“Voglio la mia mamma” - le dissi ancora, 
guardando verso la porta.  
“Perché non è venuta?”.  
“Perché non sa niente”.  
Lei, la mia mamma, non mi avrebbe mai permesso di essere lì; non mi avrebbe consentito neanche di 
pensare alla soluzione da me scelta. Con il suo “solito” amore mi avrebbe sostenuta e si sarebbe 
sacrificata per aiutarmi se ce ne fosse stato bisogno. Sarebbe stata felice di quel dono, come gli altri in famiglia. Ma io non volevo essere un peso per nessuno, neanche per lei.  
La mia tribolazione raggiunse l’apice e lanciai un urlo di dolore... Arrivò di nuovo il Dott. X che si sedette ai bordi del letto, cercando a suo modo di consolarmi. “Glielo avevo detto che doveva armarsi di tre sacchi di pazienza” – mi ricordò. 
Vomitai di nuovo.  
Non tardò a presentarsi un diverso effetto collaterale dell’ovulo: la diarrea. Il dottore ci invitò ad andare in bagno una alla volta e a non esitare a chiamare l’infermiera in caso di bisogno.  
Giunto il mio turno, raccolsi tutte le forze. Non riuscivo a tenermi in piedi, ma non potevo evitarlo.  
Tornata a letto, stremata, guardai l’orologio. Non vedevo l’ora che avesse fine quella lenta agonia.  
Più tardi si affacciò un signore sull’uscio, che ci chiese chi volesse sottoporsi per prima all’intervento. Sperando che l’attesa fosse finita mi abbandonai alla stanchezza; finalmente stavo un po’ meglio.  
Portarono via la più grande di noi tre sventurate. 
Prima che la stessa rientrasse, un’infermiera mi venne a prendere in camera, e mi chiese se ce la facevo a camminare.  
Per raggiungere la sala operatoria, attraversammo un lungo corridoio, per me interminabile. Lei mi sorreggeva tenendomi per un braccio; i miei passi erano lenti e insicuri; la testa era china. Mi sentivo come un animale che andava al macello.  
Quando vi giungemmo, vidi su una barella l’altra ragazza, semicosciente, che accarezzai in viso prima che la portassero via. 
Aspettai in una stanza, piegata su me stessa, quasi inebetita, con lo sguardo fisso sul pavimento, dove mi privarono delle calze, della collana e di un anello da cui non mi separavo quasi mai. Quando mi dissero che era tutto pronto mi portarono in sala operatoria, mi fecero togliere il pantalone del pigiama e le mutandine. Mi fecero mettere supina sul lettino, con le gambe appoggiate sul divaricatore e il bacino spostato in avanti: era quella la giusta posizione da adottare.  
Mi vergognavo, mi sentivo violentata, percossa nella mia intimità. Erano in cinque intorno a me…  
Il Dott. X era pronto. Prima di addormentarmi, rivolsi una supplica all’anestesista, una donna sulla quarantina, dallo sguardo indifferente e duro, mi sembrava, ma che invece rappresentò per me un momento di umanità e protezione. Rispose affermativamente al mio “dimmi che quando mi sveglierò sarà tutto finito” con una carezza accompagnata da uno sguardo tenero e compassionevole.  
Poi… un forte dolore alla mano per via della sostanza iniettatami e l’ultima frase, pronunciata a denti stretti, prima di far morire mio figlio:  
“Quanto fa male”…  
Al fiacco risveglio, mi sentii letteralmente rovesciare sul letto. Avevo un lenzuolo in mezzo alle gambe per assorbire l’emorragia in corso. Non riuscivo a muovermi bene. Ero ancora semiparalizzata.  
Più vivo che mai è il senso di tormento provato quando mi resi conto di non essere più mamma... 
Perché mamma si diventa nel momento in cui scopri che non sei più sola, ma c’è una parte di te che sta nascendo dentro di te. E’ una nuova vita, è tuo figlio. 
Sentivo le lacrime calde e silenziose solcarmi il viso: da quel preciso istante iniziò il mio tormento.  
“Non c’è più. Non c’è più” - mi disperavo con quel briciolo di forza che mi rimaneva.  
Squillò il telefono. Con gran fatica risposi. Era la mia amica Liliana con cui mi sfogai piangendo e dicendo di nuovo:  
“Non c'è più, non c’è più...”.  
Pochi minuti e rientrò da quella sala dell’orrore anche la terza ragazza: così lo scempio si era compiuto.  
I nostri singhiozzi, isolati dall’allegria di chi, nelle vicine stanze, si preparava a vivere l’evento più straordinario della vita, richiamavano il buio in cui eravamo vergognosamente precipitate.  
Chi mi avrebbe salvato, restituendomi alla luce della Grazia Divina? Chi mi avrebbe reso la dignità di donna che avevo soffocato con le mie stesse mani? Ma soprattutto, chi mi avrebbe ridato mio figlio, anzi la mia bambina? Eh sì, perché ero certa che sarebbe stata una femminuccia.  
Straziante il pentimento che aveva bussato da subito al mio cuore. 
Da allora non ho più pace. Non mi perdonerò mai per aver deciso di far morire quella che doveva essere la persona più importante della mia esistenza.  
Ecco, amica mia, ora conosci la mia storia e hai letto il mio dolore, per quanto possibile.  
Tuttora non so spiegarti che cosa mi abbia davvero spinta a diventare quella che non sono. 
Probabilmente si è trattato di paura di crescere, o di essere abbandonata, o di non essere più amata, o di tenere accanto a me una persona che pensavo potesse sentirsi in trappola, o semplicemente di non farcela, di non saper essere una brava mamma e una valida donna.  
Non lo so, non lo so, non lo so…  
La mente umana è complessa e tortuosa e, spesso, neanche noi conosciamo bene tutti i labirinti del nostro inconscio.  
Quel che è certo è che si è trattato di un gesto sconsiderato, frutto del mio egoismo più abbietto e che non rifarei, mai e poi mai, se solo potessi tornare indietro.  
Lo so, anche tu ti senti sola, non vedi via d’uscita al tuo turbamento.  
Provi un disagio per una situazione che non sai come gestire e che non ti appartiene perché nuova, più grande di te, del mondo in cui finora hai vissuto.  
Hai il timore di essere giudicata per ciò che provi in realtà, che nessuno possa capirti, e sei convinta che abortire sia la cosa più giusta da fare; che basteranno pochi minuti del tuo tempo per dare una risposta indolore e definitiva alla tua angoscia. 
Ma, purtroppo, l’angoscia resterà per sempre, perché il dolore per non aver pazientato e aver assecondato la morte di tuo figlio, non riuscirai più a cancellarlo. 
Non sentirti sola.  
Molto più vicino di quanto pensi c’è qualcuno disposto ad ascoltarti, a tenderti la mano per non farti cadere, ad essere tuo amico, un amico sinceramente dispiaciuto per ciò che stai passando e che vuole offrirti il proprio aiuto.  
Hai bisogno di parlare. Sfogati pure, fai tutto quel che è necessario per salvarVi, ne hai il diritto ed anche il dovere. 
Proteggiti da te stessa; proteggi l’amore che già vive in te. 
Capisco quanto, adesso, ogni cosa ti sembri difficile, impossibile da superare, ma tira fuori tutta la forza che hai dentro, perché sono certa che tu ne abbia tanta. Noi donne siamo speciali: 
creature fragili, ma che sanno essere anche forti rocce… 
E’ vero, l’ignoto spaventa, irrigidisce, ma pensa che può rivelarsi una meravigliosa sorpresa.  
La vita ti stupisce soprattutto quando sei convinto che non ci sia più luce per te, e ti emoziona come l’abbraccio inaspettato di un bambino.  
Dio ti ha scelta come mamma di tuo figlio: crede in te.  
Tu hai scelto tuo figlio e lui ha voluto te e non un’altra mamma!! 
Coraggio!!  
Sono sicura che basterà guardarlo negli occhi, tenere la sua tenera mano nella tua, stringerlo a te e sentire il suo profumo per cancellare i brutti pensieri, le angosce, le incertezze.  
Lui sarà la tua forza e tu sarai il suo faro, sempre acceso.  
Se qualcuno avesse deciso di farci morire non avremmo potuto scoprire com’è bello cantare, avere amici, innamorarsi, rimanere stupefatti dinanzi alla bellezza del mare… essere ciò che siamo. 
Quante volte ci siamo lasciati sopraffare dalla rabbia perché non ci hanno lasciato liberi di scegliere. Non arroghiamoci allora il diritto di decidere se far vivere o morire un essere umano, ossia la carne della nostra carne.  
Non negarti l’amore di tuo figlio come ho fatto io. 
Di fronte ad ogni donna in attesa ti chiederai “perché io no?” e non potrai rimproverare nessuno se non te stessa.  
Sapessi che pena si scatenerà in te nel vedere una mamma felice in compagnia del proprio bambino, perché avresti potuto godere della stessa felicità e l’hai rifiutata.  
Comincerai a contare i mesi e poi gli anni che avrebbe compiuto tuo figlio se non lo avessi fatto morire. Cercherai di immaginare il suo volto, l’espressione dei suoi occhi, il suo sorriso e li rivedrai in ogni bambino che incrocerai per strada.  
Non puoi pensare che le mie siano solo parole. 
Chi meglio di me può capirti? Io sono stata all’inferno e non voglio che lo conosca anche tu. 
Ti prego. Ascolta solo il tuo cuore e se qualcuno ti spinge a credere che abortire sia per il tuo bene, allontanalo perché non sa quello che dice, e non ti ama davvero.  
Se deciderai di interrompere la tua gravidanza, ricordalo, non potrai tornare più indietro. Sarà una ferita sempre aperta, sempre sanguinante. Non mortificarti… ti supplico come fossi mia sorella…  
Ora ti lascio, amica mia, con un messaggio che ho scritto il giorno seguente l’aborto. Dovevo liberare in qualche modo il dolore che mi stava consumando fino a togliermi anche il respiro. 
 
“Sto male, malissimo. Vorrei morire e solo Dio, che tutto vede, sa il perché… 
Ieri è stato il giorno più brutto della mia vita… 
l’inferno in terra… Ora cerco il perdono, ma non ho neanche il coraggio di chiederlo. Spero solo che Dio Misericordioso, abbia pietà di me, ultimo degli esseri, e cambi il mio cuore, quello stesso 
cuore che credevo migliore e che, invece, mi ha fatto tradire la vita…” 
 
Mi auguro fortemente che domani mattina, al risveglio, tu sorrida perché avrai deciso di iniziare una nuova, straordinaria avventura… 

      … con TUO FIGLIO. 

Testimonianze









CON L’IMMACOLATA CONTRO MASSONI E “NEMICI” DELLA CHIESA DI DIO



IL SEGRETO DELLA VITTORIA: L'IMMACOLATA


L'Immacolata: generatrice, mediatrice e dispensatrice di tutte le grazie.

Maria, Madre di Dio, non solamente è così vicina alla sorgente, qual'è Dio, da parteciparvi come a nessuno è dato, ma è pure così ineffabilmente unita a Lui da esserne la Sposa: in Lei e per Lei Dio genera castissimamente la grazia. L'Immacolata, dice P. Kolbe «è congiunta in modo ineffabile con lo Spirito Santo, per il fatto che è sua Sposa, ma lo è in un senso incomparabilmente più perfetto di quello che tale termine può esprimere nelle creature». Una unione castissima interiore, che dà luogo ad una vita divinamente feconda: «Di quale genere è questa unione? Essa è innanzitutto interiore, è l'unione del suo essere con l'essere dello Spirito Santo. Lo Spirito dimora in Lei, vive in Lei, e ciò dal primo istante della sua esistenza, sempre e per l'eternità. In che cosa consiste questa vita dello Spirito Santo in Lei? Egli stesso è amore in Lei, l'amore del Padre e del Figlio, l'amore con il quale Dio ama se stesso, l'amore di tutta la SS. Trinità, un amore fecondo, una concezione. Nelle somiglianze create l'unione d'amore è la più stretta. La Sacra Scrittura afferma che saranno due in una sola carne (cf Gen 2, 24) e Gesù sottolinea: «Cosicché non sono più due, ma una carne sola» (Mt 19, 6). In un modo senza paragone più rigoroso, più interiore, più essenziale, lo Spirito Santo vive nell'anima dell'Immacolata, nel suo essere e La feconda, e ciò fin dal primo istante della sua esistenza per tutta la sua vita, ossia per sempre. Questa Concezione Immacolata Increata concepiscse immacolatamente la vita divina nel grembo dell'anima di Lei (Maria) Sua Immacolata Concezione. Pure il grembo verginale del corpo di Lei è riservato a Lui, che vi concepisce nel tempo - come tutto ciò che è materiale avviene nel tempo - anche la vita dell'uomo-Dio».
Non basta: «Lo Spirito Santo, il divino Sposo dell'Immacolata, agisce solamente in Lei e attraverso Lei, comunica la vita soprannaturale, la vita della grazia, la vita divina, la partecipazione all'amore divino, alla divinità».
P. Kolbe può tirarne tutte le conseguenze: «Per questo appunto Ella è diventata Mediatrice di tutte le grazie, proprio per questo Ella è veramente la Madre di ogni grazia divina», «... la Mediatrice di tutte le grazie dello Spirito Santo»; Mediatrice «di tutte le grazie, poiché appartiene allo Spirito Santo, a motivo della più intima e vitale unione con lo Spirito Santo. Ecco perché attraverso Lei si va a Gesù Cristo e al Padre». E così: «L'Immacolata è la madre di tutta la nostra vita soprannaturale, poiché è la Mediatrice delle grazie, anzi la Madre della grazia divina, perciò è nostra madre nella sfera della grazia, nella sfera del soprannaturale».
Si delinea così anche quello che potremmo chiamare il circuito abituale della grazia nel suo discendere e salire: «... come la grazia viene a noi dal Padre attraverso il Figlio e lo Spirito Santo, così a buon diritto i frutti di questa grazia salgono da noi al Padre in ordine inverso, ossia attraverso lo Spirito Santo e il Figlio, vale a dire attraverso l'Immacolata e Gesù. È questo lo stupendo prototipo del principio di azione e di reazione, uguale e contraria, come affermano le scienze naturali». La «via» è unica, obbligata, ineludibile: «Dal momento in cui si è attuata tale unione (= dell'Immacolata con lo Spirito Santo), lo Spirito Santo non concede alcuna grazia, il Padre non fa scendere, attraverso il Figlio e lo Spirito Santo, nell'anima la vita soprannaturale se non attraverso la Mediatrice di tutte le grazie, l'Immacolata, con il suo assenso, con la sua collaborazione. Ella riceve tutti i tesori di grazia, in proprietà e li distribuisce a chi e nella misura che Ella stessa vuole».
Il pensiero del P. Kolbe, come si vede, è chiarissimo: è nell'Immacolata e attraverso l'Immacolata che si acquisisce la grazia, ed è l'Immacolata che la distribuisce. La dottrina di Maria «Corredentrice» e della sua «Mediazione», che lascia ancora perplessi parecchi teologi, sembra qui formulata, parecchi anni prima del Concilio Vaticano II, in perfettissima consonanza con quanto questo stesso Concilio insegnerà. L'Immacolata si inserisce nella «catena», al suo posto e nella sua funzine di creatura, senza alcun detrimento alla dignità e necessità assoluta dell'opera di Cristo. Un ordine e una subordinazione di essere e di compiti da tenere presenti, coerentemente, anche nella devozione pratica.

P. ANTONIO M. DI MONDA O.F.M.Conv.

Per il Dono della Santa Comunione



Oh Ostia Celeste, riempi il mio corpo con il nutrimento di cui ha bisogno. 
Riempi la mia anima con la Divina Presenza di Gesù Cristo. 
Dammi la grazia di compiere la Santa Volontà di Dio. 
Colmami della pace e della tranquillità che vengono dalla tua Santa Presenza. 
Non permettere mai che io dubiti della Tua Presenza. 
Aiutami ad accettarTi in Corpo e Anima e, per la Santa Eucaristia,  
fa che le grazie concesse mi aiutino a proclamare  
la gloria del Signore Nostro Gesù Cristo. 
Purifica il mio cuore. 
Apri la mia anima e santificami quando ricevo  
il grande Dono della Santa Eucaristia. 
Accordami le grazie e i favori che dai a tutti i figli di Dio  
e concedimi l’immunità dal fuoco del Purgatorio. 
Amen. 

L'UNIONE CON DIO



Si deve desiderare di possedere quaggiù una idea della beatitudine eterna

L'uomo che vive secondo lo spirito deve dirigere le proprie intenzioni, i propri sforzi e gli avvenimenti, in modo da meritare il possesso, in corpo mortale, di un'idea della beatitudine futura e pregustare quaggiù, in certo qual modo, un assaggio di felicità della vita celeste.
Ecco il coronamento di ogni perfezione. Bisogna che lo spirito si liberi dalla carne, per elevarsi sempre più verso le regioni sublimi dell'immateriale, sì che la vita e i desideri del suo cuore diventino una sola e continua preghiera.


S. Alberto Magno

AVVISI DALL'ALTRO MONDO SULLA CHIESA DEL NOSTRO TEMPO



CHE COS'É LA POSSESSIONE? 

(Padre Arnold Renz, SDS) 


Prove dell'esistenza del diavolo 
 
Sono le dichiarazioni di Cristo nella Santa Scrittura, le divulgazioni dell’Ufficio della dottrina ecclesiastica, le dichiarazioni del Papa come rappresentante di Cristo. Queste dichiarazioni sono chiaramente concordi: il diavolo esiste. 

L'attività di Satana 

Satana manifesta una grande potenza, non soltanto nel suo influsso intimo sugli uomini e nella tentazione al peccato e alla negazione di Dio, ma anche fino alla dominazione di persone determinate nel caso d'una possessione. 

Possessione 

Anche se la possessione non può essere confermata né rifiutata dalla scienza (psicologi, parapsicologi), benché lo faccia, andando oltre alle sue competenze, la sua esistenza deve pur essere ammessa. Prescindendo dalle dichiarazioni dell’Ufficio della dottrina ecclesiastica e della Sacra Scrittura, ne danno prova le esperienze dei Santi (per esempio Giovanni della Croce, un caso di Santa Teresa d’Avila con una suora o il parroco di Ars e molti altri santi). 

La storta della Chiesa riferisce una grande serie di possessi, che non voglio enumerare qui. È vero che si deve essere prudenti nel supporre una possessione, perché ci sono pure malattie psicologiche, che assomigliano molto ai casi di possessione. Ci sono diversi sintomi che provano una possessione. Ma il più attendibile è la reazione all’esorcismo parlato solo nella mente, "l’esorcismo probativo", Però pure in questo caso è possibile che i demoni si nascondano e non parlino, non reagiscano. Se non reagiscono, questo non è ancora una prova, che essi non siano presenti. Se però essi reagiscono conformemente, ciò rivela la possessione. 

Una caratteristica importante è il comportamento di fronte ad oggetti consacrati, reliquie, acqua benedetta, medaglie e simili. Ma in questo caso la persona non deve aver conoscenza della benedizione di oggetti. Il distinguere l’acqua comune dall’acqua benedetta indica la presenza di demoni. Certe persone hanno la capacità, di distinguere acqua benedetta da acqua non benedetta. Ma essi non reagiscono con rifiuto rabbioso. Dipende dunque sempre da una reazione furibonda, che naturalmente non è spiegabile. 

Un’altra caratteristica è il successo dell’esorcismo. Tanto per nominare un caso: I ragazzi di Illfurt.19 Questi demoni poterono essere esorcizzati. I due ragazzi erano dopo l’esorcizzazione, che si prolungò per più di due anni, assolutamente normali. 

Bonaventura Meyer

PADRE PIO E IL DIAVOLO



Gabriele Amorth racconta...


Da Pietrelcina a San Giovanni Rotondo: il demonio lo segue 

Ma non è solo la “Torretta” la residenza di Padre Pio nell’esilio a Pietrelcina. Se d’inverno il fraticello preferisce l'appartamentino di proprietà di suo fratello, Michele, vicino alla chiesetta di Sant’Anna, d’estate si trasferisce spesso nella “masseria”, poco più di un capanno per tenere gli attrezzi, e per non dormire alla luce delle stelle durante i lavori dei campi, a Piana Romana. E lì che la sua famiglia ha un po’ di terra, e frate Pio ama quel luogo, dove con la bella stagione trova più agevole isolarsi, pregare e studiare. Tutte le mattine toma però in paese, per celebrare la messa; percorre un viottolo contorto, che dolcemente conduce fra i campi al ruscello. C’è un ponticello di legno, che supera il piccolo corso d’acqua quasi ai bordi del paese. E sul ponte, come accadeva nel Medioevo, deve pagare un pedaggio. Ma non sono gli armigeri di un signorotto locale, ad aspettarlo per estorcergli del denaro. Sono i demoni, che fanno ala al suo passaggio per insultarlo e malmenarlo. «Mo' passa o' santariello!» gli gridano, usando in maniera irridente il nome con cui veniva sottovoce definito in paese. «Mo'passa o' santariello»! Nei loro confronti però Padre Pio reagisce: «Schiattate! Schiattate!» (“Scoppiate”, in dialetto campano). Purtroppo per lui però la cosa non finisce lì; la sera, quando si rientra a casa, trova ad aspettarlo quello che viene chiamato «il solito monacone». Lo accoglie con le stesse parole usate dagli “scherani” sul ponte: «Arriva il santo!», e poi fa seguire lo scherno alle botte. Luigi Peroni, che ha seguito Padre Pio dal 1946 fino alla morte, afferma che ci sono molte testimonianze, su questi episodi, e cita soprattutto quella di un fratino, Antonio di Matteo. Fra' Antonio sentì il racconto di Padre Pio che aveva paura di traversare il ponticello (Voce di Padre Pio, ottobre 1971, pag. 7). Inoltre c’è anche una confidenza di Padre Pio a Lino da Prata sulle bastonate ricevute dal demonio (Numero Unico, Padre Pio, 1968, pag. 18). 

Nel luglio del 1916 Padre Pio compie una prima, breve permanenza a San Giovanni Rotondo, provenendo da Foggia. Ma anche qui non è da “solo”; qualcuno lo segue, e lo infastidisce, quotidianamente. Padre Paolino da Casacalenda ricorda così, nelle sue memorie: «I giorni nei quali si trattenne a San Giovanni Rotondo furono di grande sollievo per il suo fisico. Egli respirava davvero con piacere quell'aria fresca delle montagne che circondano il convento e non sentiva più la sonnolenza e la pesantezza da cui era preso nella calura di Foggia. Cominciò pure a riposare nelle ore in cui la comunità andava a letto, così tutta la persona sentì rinascere le forze. Quantunque il diavolo ogni sera lo tormentava, e io me ne accorgevo dal sudore che impregnava la sua camicia quando lo aiutavo a cambiarsi; io però ero molto soddisfatto e non mi pentivo di averlo spinto a venire con me». La camicia era «come se fosse stata messa in un tino d'acqua e poi sollevata». 

Come in un’epopea di antichi eroi, in un duello mitico, gli avversari si seguono, si minacciano, si affrontano; anche quando sembrano allontanarsi, in realtà stanno solo studiando nuove tattiche per riprendere con maggiore energia. Il demonio non perde di vista Padre Pio; da Pietrelcina, dove per quasi sei anni lo ha sottoposto a tutte le possibili prove fisiche e spirituali, e lo accompagna anche a Foggia, nel periodo che il giovane frate vi trascorre. Le manifestazioni diaboliche alla “Torretta” erano tutt’altro che silenziose, come abbiamo appreso anche dalle testimonianze dei vicini. E delle particolari caratteristiche del demonio si resero ben presto conto i confratelli del convento foggiano. 
Nella sua permanenza a Venafro il monaco santo aveva stilato, come al solito su richiesta dei superiori, e per la «santa obbedienza» una relazione precisa: «Queste tentazioni sono veramente terribili, perché il demonio investe completamente lo spirito di quelli che si elevano nell'amore di Dio, e lo agita in un modo così violento che se non ci fosse un grande speciale aiuto da parte del Signore si potrebbe cadere, specialmente quando il demonio per riportare più facilmente la vittoria, si mostra sotto la forma di laida donna, ignuda, e sospinge violentemente l'anima a cedere e ad acconsentire. Da principio mi apparì sotto la forma di un gatto nero e brutto. La seconda volta sotto forma di giovanette ignude che lascivamente ballavano. La terza volta, senza apparirmi, mi sputavano in faccia. La quarta volta, senza apparirmi, mi straziavano con rumori assordanti. La quinta volta, mi apparì in forma di carnefice che mi flagellò. La sesta volta in forma di crocifisso. La settima volta sotto forma di un giovine, amico dei frati, che poco prima era stato a visitarmi. L'ottava volta sotto forma del Padre Spirituale. La nona volta sotto forma del Padre Provinciale. La decima volta sotto forma di Pio X. Altre volte sotto forma del mio Angelo Custode, di san Francesco, di Maria Santissima, o nelle sue fattezze orribili con un esercito di spiriti infernali». 

MARCO TOSATTI 

SPIRITO SANTO



Vieni, o Spirito di Sapienza, e compatendo agli stolti mortali, che apprezzano e gustano i falsi beni di quaggiù, anzichè i veri ed eterni beni del Cielo; raddrizzane il torto sentire, e arrichiscili del Dono della tua Sapienza. 

la Grande Imbarcazione affronterà immensa tempesta e grande sofferenza verrà per i Miei poveri figli.



Messaggio di Nostra Signora Regina della Pace, a Sobradinho, Brasília / DF, trasmesso il 29/04/2019

Cari figli, la Grande Imbarcazione affronterà immensa tempesta e grande sofferenza verrà per i Miei poveri figli. Dall'accordo, la morte; dalla verità, la vittoria. Avvicinatevi a Mio Figlio Gesù e lasciate che Lui trasformi le vostre vite. Siete importanti per il Signore. Siete liberi per essere del Signore. Non vi allontanate dal cammino della verità. Non permettete che il peso delle prove vi allontani da Dio. Io vengo dal Cielo per aiutarvi. AscoltateMi. Avrete ancora lunghi anni di dure prove, ma non tiratevi indietro. La Vittoria di Dio sarà anche la vostra vittoria. Coraggio. Nelle mani il Santo Rosario e la Sacra Scrittura; Nel cuore, l'amore alla verità. Aprite i vostri cuori e consegnate al Signore la vostra esistenza. AiutateMi. Ho bisogno di voi. Cercate forze nel Vangelo del Mio Gesù e nell'Eucaristia. Non c'è vittoria senza croce. Avanti senza paura. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.