martedì 12 marzo 2019

PADRE PIO DA PIETRELCINA



 La sua missione 


a .   "Una vocazione a corredimere".  
E' fuor di dubbio che padre Pio abbia avuto una sua missione propria, un carisma specifico che in certo qual modo ha condizionato tutta la sua vita sia nella visuale individuale che nell'attività sociale. Non sempre fu consapevole delle realizzazioni concrete e delle finalità determinanti di questa missione affidatagli dalla divina provvidenza; ma in ogni momento la seguì generosamente e intrepidamente e mai dubitò della realtà di tale missione, né mai si sottrasse dalle responsabilità che da essa scaturivano.  
Siamo d'avviso che padre Benedetto colpì veramente nel segno, quando, con espressione concisa e vigorosa, definì la missione e il carisma di cui stiamo parlando come "una vocazione a corredimere". Rispondendo il 27 agosto 1918 alla lettera di padre Pio del 21 dello stesso mese, con la quale gli raccontava il fenomeno mistico della trasverberazione e le conseguenti angosciose ansie, si esprime in questi termini:  "Tutto quello che avviene in voi è effetto di amore, è prova, è vocazione a corredimere, e quindi è fonte di gloria [...].  Dominus tecum. Egli, l'amore paziente, penante, smanioso, accasciato, pesto e strizzato nel cuore, nelle viscere, tra l'ombre della notte e più della desolazione nell'orto di Getsemani è con voi associato al vostro dolore e associandovi al suo. Ecco tutto, ecco la verità e la sola verità. La vostra non è neppure una purga, ma una unione dolorosa. Il fatto della ferita compie la passione vostra come compì quella dell'Amato sulla croce".  
Questa sua "vocazione a corredimere" l'umanità peccatrice padre Pio l'attuò partecipando ai dolori dell'Amante crocifisso, il quale lo scelse come vittima di amore e di dolore. Più d'una volta, riflettendo su se stesso, sul passato e sul suo avvenire, padre Pio confessa schiettamente di scoprire qualcosa di misterioso nel corso degli avvenimenti, nei suoi rapporti con Dio e nella condotta di Dio verso di lui. La prima causa di quest'aria di mistero, che in certi periodi avvolgeva la sua vita, scaturiva dal contrasto - per lui troppo evidente - tra le sue infedeltà alla grazia e la sempre più grande benevolenza di Dio verso la sua anima. Evidentemente il fenomeno doveva avere scopi precisi, che a lui però sfuggivano e perciò chiedeva angosciosamente che gli fossero chiariti:  "Io in me veggo del mistero; continuamente mi dolgo dei commessi peccati; continuamente propongo di non commetterli più, continuamente ci ho una volontà risoluta a non più peccare, eppure, mi duole il dirlo, con il sangue agli occhi, che con tutto questo son ancora imperfetto, e sembrami che spesso spesso do disgusto al Signore. Alle volte mi viene una disperazione grande perché mi sembra quasi impossibile che Gesù debba perdonarmi tanti peccati [...]. O, che lavoro è mai questo? Me lo spieghi un po'. Ma tutto questo mi succede senza avvedermene, poiché la volontà di disgustare anche lievemente Iddio non ce l'ho affatto" (2 9 1911).  
Inoltre a mano a mano che si addentra per la via dolorosa delle purificazioni passive verso l'unione trasformante, si vede maggiormente avvolto nel mistero e, con la mente quasi smarrita, dichiara di nulla comprendere come e perché si trovi in tale sconcertante situazione:  "Quanta è grande, o padre, la mia sventura! Chi potrà comprenderla? Conosco benissimo d'essere io un mistero a me stesso, non so comprendermi" (17 10 1915).  
Si direbbe, però, che questo mistero non consiste precisamente nell'ignorare i disegni fondamentali di Dio, ma piuttosto nel non conoscere il modo come quei disegni debbono attuarsi e realizzarsi in lui. Scrivendo al padre Agostino, per ben due volte ed a pochi mesi di distanza, insiste sulla stessa idea:  
"Quante cose vorrei dirvi, o padre, ma non il posso: riconosco d'essere un mistero a me stesso" (17 3 1916).  
"Che dirvi di me? Sono un mistero a me stesso, e se mi reggo, si è perché il buon Dio ha riservato l'ultima e più sicura parola all'autorità su questa terra" (15 8 1916).  
Nel novembre del 1922, alludendo alla sua entrata nell'ordine cappuccino, scrive ad una figlia spirituale:  "Ti siano rese infinite lodi e ringraziamenti, o mio Dio. Ma tu qui mi nascondesti agli occhi di tutti, ma una missione grandissima avevi fin d'allora affidata al tuo figlio. Missione che a te ed a me solo è nota [...]. Oh Dio! fatti sempre più sentire al povero mio cuore e compi in me l'opera da te incominciata. Sento intimamente una voce che assiduamente mi dice: santificati e santifica"6.  

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