venerdì 5 luglio 2019

PADRE PIO DA PIETRELCINA



Origine

Padre Pio non fu spinto a manifestare per iscritto la sua vita intima e i suoi rapporti con la divinità né dal capriccio né dalla vana compiacenza, né da qualunque altro motivo umano. Anzi se fosse dipeso da lui, nessuno, al di fuori dei confessori e direttori, si sarebbe mai accorto del suo mondo interiore e dei segreti della sua anima. Se ne parlò e ne scrisse fu solo per compiere la volontà di Dio e per soddisfare alle impellenti necessità dello spirito, assetato di luce e di conforto, sempre bramoso di corrispondere fedelmente alla sua misteriosa vocazione, ben consapevole che il Signore voleva servirsi dei suoi rappresentanti per svelargli i suoi divini disegni e il modo concreto di attuarli ed anche per confermarlo sia sulla realtà dei fenomeni che sul modo di comportarsi nei momenti cruciali dell'ascesa verso la cima della perfezione.  
Ha un valore programmatico ciò che egli scriveva già il 1° ottobre 1910 a padre Benedetto: "Mi scriva poiché mi fanno bene i suoi consigli, e mi dica ancora ciò che Dio vuole da questa ingrata creatura". E pochi giorni più tardi: "Se non le dispiace mi scriva, poiché mi fanno tanto bene le sue lettere" (22 10 1910). 
Il desiderio di consigli e l'espressione di gratitudine si riscontrano spesso nelle sue lettere. Ed appunto perché è grande il bisogno che ne sente e notevole il frutto che ne ricava, chiede una corrispondenza frequente e lettere lunghe, soprattutto nei momenti di desolazione e di prove particolarmente intense e sconcertanti: "Sarei poi per pregarvi - scrive a padre Benedetto - che nell'usarmi la carità di scrivermi, aggiungiate ancora l'altra carità di scrivermi assai a lungo" (21 4 1915).  
Lo stesso pensiero e nello stesso giorno esprime anche a padre Agostino:  "Scrivetemi, quando Gesù il vuole, e sempre a lungo; le vostre risposte sui tanti problemi, dubbi e difficoltà io le aspetto come luce di paradiso, come rugiada benefica su pianta assetata" (21 4 1915).  
Si rendeva ben conto delle difficoltà che i suoi problemi procuravano ai direttori, ma non poteva fare a meno di ricorrere ad essi per superare taluni momenti assai complicati:  "Rispondetemi, o padre, oso pregarvi, e subito. Non mi abbandonate, per carità; la mia lampada oscilla, sta per spegnersi. Se è necessario l'alimento, la vostra santa parola e le vostre ardenti preghiere lo facciano per carità. Mi permetto ancora pregarvi di scrivermi e di scrivermi a lungo e non fare come avete fatto ultimamente. In contrario, preferisco l'assoluto silenzio, che voi non lo farete giammai. Mi accorgo che metto a dura prova la vostra pazienza; ma sopportatemi ancora, Gesù ve ne darà eterna ricompensa" (4 8 1915).  
E, quasi con un amabile rimprovero, ritorna sullo stesso argomento il 18 settembre dello stesso anno: 
"Perdonatemi, o mio carissimo padre, volevo imitare la brevità dolorosa di parecchie vostre lettere; me l'avevo proposto,  ma non vi adirate con me, non vi riesco proprio".  
Mentre, però, desiderava lettere lunghe dai suoi direttori, egli era piuttosto breve nei suoi resoconti di coscienza, a meno che non fosse stato espressamente richiesto il contrario. Perciò padre Benedetto per stimolarlo, e come reazione al desiderio di ricevere lettere lunghe, quasi come una minaccia, gli dice "di non esser breve solo quando tu sarai lungo" (18 3 1921).  
Dal canto loro anche i direttori desideravano che padre Pio scrivesse loro più spesso e più a lungo e il motivo di tale esigenza era duplice: da una parte, volevano essere informati tempestivamente dello stato dell'anima, per rendere più efficace la direzione; e dall'altra, anch'essi avevano bisogno dei suoi 
consigli e orientamenti, come si vedrà chiaramente quando ci occuperemo, in questa introduzione, dell'aspetto passivo e attivo della direzione. 
Dalle lettere di padre Benedetto stralciamo alcune testimonianze soltanto. 
Anzitutto, da esperto direttore di spirito, egli ci tiene ad essere regolarmente informato dei bisogni e dei progressi dell'anima, come pure delle esigenze di Dio a suo riguardo. Già dall'inizio della direzione raccomanda al suo diretto: "Scrivimi spesso, anche a costo di non ricevere da me risposta" (1 12 1910). E la stessa raccomandazione ritorna verso la fine del terzo periodo: "Continuo a regolarmi con le supposizioni sullo stato generale del tuo spirito, perché nulla, da mesi, so dei fenomeni interiori: siano pene siano gioie. E poiché le insistenze riescono vane, continuo a rassegnarmi argomentando e arzigogolando con la testa. Usquequo? Desideri che io guidi con particolari direttive, ma dove le briglie?" (16 11 1921; cf. anche la lettera del 18-3 1921).  
Ma la richiesta diventa più accorata e più urgente allorché padre Benedetto sente il bisogno di luce e di conforto nelle lotte del suo spirito. In questi casi non si rassegna facilmente al silenzio e malamente sopporta che padre Pio non sia sollecito nelle risposte: "Ricorda anche tu che mai ti ho lasciato senza risposta anche quando la folla delle occupazioni non mi permetteva di soffiarmi il naso. Poche parole, ma devi rispondere" (29 6 1919). Né gli sembrava ragione sufficiente lo straordinario lavoro di ministero: "Scrivimi a lungo; oso dirlo anche sapendo il tuo grande lavoro. Il giorno per gli altri, la notte per noi" (19 11 1919). E nemmeno lo stato cagionevole di salute: "Dal 18 dicembre al 4 
gennaio vi sono 17 giorni! Quanto altro debbo attendere? Comprendo e compatisco le infermità, ma il silenzio non deve prendere l'aspetto di abbandono" (4 1 1921); "Attendo ansiosissimamente - insiste - . Voglio soccorso di preghiere, di parole, e informazioni sul tuo io invisibile" (4 6 1921).  
E il 1° giugno 1921, non senza un pizzico di invidia spirituale, scriveva:  "Le figlie di santa Anna mi dissero ieri che il tuo tempo è inferiore alle esigenze, e ne ero persuaso; ma non so se la relazione dell'anima tua e della mia abbiano ad aversi tra le ultime, giacché il tuo primo prossimo siamo tu ed io. Ora specialmente che il silenzio sui tuoi fatti interni si è molto prolungato e la mia necessità urgente risorta".  
Erano giustificate queste esigenze dei direttori ed i loro lamenti avevano un qualche fondamento? Il lettore troverà la risposta nell'epistolario. Qui vogliamo ricordare alcuni fattori soltanto, che spiegano e giustificano la condotta di padre Pio circa la frequenza e la lunghezza delle sue lettere ai direttori.  
a ) Spesso il suo abituale stato cagionevole di salute non gli permetteva di sbrigare la corrispondenza tempestivamente e comodamente ed il primo a soffrirne era proprio lui. Frasi come questa ritornano più d'una volta: "Sento in cuor mio un grande desiderio di dirvi tante cose, tutte di Gesù; ma [...] la vista non mi accompagna" (21 3 1912).  
"Sono stato sempre nemico della doppiezza, ed ora mi si accusa che per iscusarmi ho ricorso alla menzogna, solo perché dico la verità di essere quasi impossibilitato a scrivere. Non fu mia intenzione, padre mio, il disubbidirvi nell'aver fatto trascorrere tanto tempo senza scrivervi. A me mi si ordina il 
riposo completo della vista" (21 10 1912).  
"Immagino che lei non è contento della narrazione in generale del mio stato interno, ma, padre mio, la vista mi vuol privare anche di quest'ultimo, cioè di narrarle minutamente il mio stato interno. Iddio sa quanto sconquasso mi porta dopo aver scritto un po'" (31 3 1912).  
Non di rado gli sgorbi di penna rivelano l'agitazione del polso e la mano malferma, specialmente quando scrive tormentato da altissime febbri o da emicranie lancinanti. Tuttavia soltanto una volta si servì d'uno scrivano (26 8 1913).  
b) Si aggiungano le suggestioni e l'intervento di satana, il quale in certi periodi si accaniva contro di lui, anche in modo violento, per ostacolare la regolare corrispondenza con i direttori:  "Era già da assai tempo che avrei desiderato scrivervi; ma barbablù me l'ha impedito. Ho detto che me l'ha impedito, perché ogni volta che mi determinavo a scrivervi, ecco che un fortissimo dolore di testa mi assaliva, che sembrava che lì per lì si fosse per spezzare, accompagnato da un acutissimo dolore nel braccio destro, impossibilitandomi a tener la penna in mano" (9 8 1912). 
"Sapete dove si è appigliato il diavolo? Egli non voleva che nell'ultima mia lettera inviatavi vi fossi tenuto informato della guerra che lui mi muove. E siccome io, secondo il mio solito, non volli dargli ascolto [...], essi (dico essi, perché era più di uno, sebbene uno solo parlasse) mi si buttarono addosso 
maledicendomi e picchiandomi fortemente, minacciandomi di distruggermi, se non mi decidevo a mutare idea riguardo alle nostre relazioni" (14 10 1912; cfr. lett. del 13 12 1912).  
A questo diabolico intervento si collega la curiosa trovata di padre Agostino, della quale ci occuperemo in appresso, di servirsi cioè nella sua corrispondenza del latino, greco e francese. 
c) La frequenza e la lunghezza delle lettere era condizionata anche dalle assillanti occupazioni di ministero, soprattutto a partire dal 1919, quando le folle cominciarono a riversarsi al convento di San Giovanni Rotondo. Padre Pio si scusa presso i direttori, anche se questi - particolarmente padre Benedetto - non credono facilmente a tale impedimento.  
Il 25 agosto 1920 scriveva a padre Agostino: "Cosa dirvi del mio spirito? Troppo lungo sarebbe il dirvelo ed il tempo mi manca. Solo vi prego di pregare e far pregare per me il buon Gesù, affinché si compia su di me sempre e tutta la sua santissima volontà".  
La stessa giustificazione e motivo ritorna in parecchie lettere indirizzate al padre Benedetto, come in questa:  "Il lavoro che mi preme e mi opprime continuamente senza interruzione, sia di giorno che di notte, ed i miei mali fisici, che da più giorni si vanno accentuando [...]. Lavoro sempre sopra dolore ed il lavoro è tanto che non mi dà mai tempo di piegarmi sopra me stesso, ed è un vero miracolo se non perdo la testa" (14 3 1921);  
"Non risposi - spiega allo stesso padre Benedetto - innanzitutto perché non ho avuto un momento libero, sebbene voi, come sempre, non ci credete" (24 12 1921).  
Tali sono alcuni dei motivi principali che spiegano e giustificano il numero e la forma delle lettere della presente raccolta. 
La loro autenticità è fuori dubbio. Sia quelle di padre Pio che quelle dei suoi direttori sono state trascritte dagli autografi, quindi ogni sospetto a riguardo sarebbe infondato. A questo criterio di valore incontrovertibile si aggiunge il criterio interno del contenuto e della dottrina: dalla prima pagina sino all'ultima si riscontra sempre la stessa linea continua, sempre lo stesso personaggio, la medesima ricerca dello stesso ideale, battendo la stessa strada. 

EPISTOLARIO primo 

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