domenica 28 luglio 2019

L'INFERNO VISTO DAI SANTI



ESISTE ANCHE L'INFERNO DELL'ALDILÀ 

Se è impossibile negare l'esistenza di veri e propri inferni sulla terra, un inferno eterno, invece, appare più che mai, a tanti, una vera e propria favola inaccettabile per mille ragioni. Eppure - ne abbiamo già fatto cenno -: "Tutti i popoli furono persuasi dell'esistenza di una pena eterna per gli empi. 
I Greci, i Romani, i Galli, i Persiani, gli Indiani, i Cinesi e altri popoli dell'Oriente, quelli barbari e pagani dell'Europa settentrionale come i Germani e i Britanni, numerose tribù primitive dell'Africa, varie scuole maomettane, come pure i gruppi indigeni scoperti recentemente in America e in Australia, tutti ammettono una vita ultraterrena, dove gli empi soffriranno pene gravissime. È rilevante il valore di questo consenso perché s'impone per la sua antichità e universalità, riguarda una verità spiacevole (specialmente per i malvagi), a cui non si può assegnare altra origine che la Rivelazione o la voce della coscienza. Questa, allo stesso modo che promulga la legge naturale e rende certa l'esistenza del Legislatore Supremo, così ne manifesta anche la sanzione. Un tale consenso non può essere basato sull'errore". Questa credenza universale è confermata in pieno dalla Rivelazione. 
Il catechismo della dottrina cattolica - che abbiamo riportato sopra - non fa che ripetere e riassumere la rivelazione divina, portata alla perfezione da Cristo stesso. Non vogliamo qui elencare tutti i testi e le prove del N. e V. Testamento, per i quali rimandiamo ad autori competenti. 
Eccone però almeno alcuni, tra i più significativi. 
Nel libro di Giuditta si legge: "Il Signore onnipotente si vendicherà di essi (gli empi e ribelli a Dio), e li visiterà nel giorno del giudizio; Egli farà entrare il fuoco e i vermi nella loro carne, perché siano bruciati e straziati in eterno" (Giuditta 16, 20- 21). 
È chiaro che qui si parli dello stato del dannato, bruciato e straziato in eterno dal fuoco e da altre pene. 
Non meno esplicito il profeta Isaia: "Si sono atterriti in Sion i peccatori, il tremito ha invaso gli ipocriti. Chi di voi potrà stare col fuoco divoratore? Chi di voi potrà stare nelle fiamme eterne?" (Is 33, 14). 
Chi non conosce poi la parabola del ricco epulone? Il ricco che banchetta tutti i giorni e il povero Lazzaro tormentato dalla fame. Ma ecco, questi muore ed è portato dagli angeli nel seno di Abramo (= in paradiso). Muore il ricco e va all'inferno: in mezzo ai tormenti, torturato dalla sete e dal fuoco, implora una stilla d'acqua ma gli viene negata, oltre tutto perché "tra noi e voi - dice Abramo - è stabilito un grande abisso, che non si può attraversare" (Lc 16,19-31). Gesù spesso parla di fuoco eterno, di verme inestinguibile, di tenebre e stridore di denti, ecc. 
Al giudizio finale - dice il Signore - buoni e cattivi sono separati: i buoni alla destra e i perversi alla sinistra. A questi egli dirà: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli" (Mt 25,31-46). 
"Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti" (Mt 8,12). 
Per l'uomo trovato al banchetto nuziale senza l'abito nuziale, "il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti" (Mt 22,13). 
La metafora "tenebre esteriori" è, secondo Maurizio Blondet, agghiacciante. "Gesù - egli dice -, quando allude a 'le tenebre esteriori dove non è che pianto e stridor di denti', deve ricorrere a parole scelte da una zona estrema del linguaggio', come fa dire Thomas Mann al suo diavolo, che con il nome di Sammael (angelo del veleno) si presenta al musicista Leverkhun per comprargli l'anima. Perché si possono usare molte parole, ma tutte stanno soltanto per nomi che non esistono. 
Questa è precisamente la gioia segreta, la sicurezza dell'inferno: che non è enunciabile, che è salva dal linguaggio. Che esiste semplicemente, ma non la si può mettere nel giornale, non la si può rendere pubblica, non se ne può dare una nozione critica con parole. (...) E, infatti, ciò che più colpisce è come Gesù, nell'alludere a ciò che avviene nelle tenebre esteriori, ricorra a una frase d'impersonalità inaudita, una impersonalità di secondo grado. Non dice che `nelle tenebre esteriori' si piange e si stridono i denti. 
Non dice nemmeno che `non c'è altro' che pianto e stridore; già quell'altro è di troppo, perché non c'è più, forse, nemmeno la minima traccia di `altro'. 
Tutto ciò che c'è là fuori non è che pianto e stridor di denti. Potremmo sospettare che non esistano nemmeno più esseri umani nel senso proprio, ma solo residui. C'è infatti là fuori qualcuno che piange e stride? A prendere le parole di Cristo nel senso letterale, non c'è che pianto e stridore". 
S. Pietro e l'Apocalisse ci dicono, pure, tra l'altro, per chi è destinato l'inferno. "Non sapete voi che gli ingiusti non possederanno il regno di Dio? Badate a non errare: né i fornicatori, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né quelli che peccano contro natura, né i ladri, né gli avari, né i dediti all'ubriachezza, né i maldicenti, né i rapaci, avranno l'eredità del regno di Dio". L'inferno è soprattutto per quelli "che vanno dietro alla carne, nell'immonda concupiscenza, e disprezzano l'autorità" (2 Pt 2,9-10). 
L'inferno è per "i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori" (Apoc 21,8). 
Anche l'apostolo Paolo afferma che coloro che non obbediscono al Vangelo saranno: "castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore" (2 Thess 1,9). Alla fine dei tempi "il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti" (Mt 13,41-42). 
Da dire pure che, leggendo attentamente il Vangelo si ha addirittura l'impressione che esso parli soprattutto dell'inferno: vedi, per es., la parabola delle vergini sapienti e stolte (queste trovano la porta chiusa e sono escluse dalla cena e lasciate nella tenebra e freddo della notte...); la parabola dei talenti (il servo fannullone, cacciato e spogliato di tutto), ecc. Non c'è, quasi pagina soprattutto del Vangelo, dove non si parli o non si alluda all'inferno. 
Superfluo ricordare che chi parla, con tanta chiarezza e decisione dell'inferno, è Cristo Redentore, Colui cioè che ha dato la vita per l'umanità, e che ha mostrato e parlato in maniera ammirabile della divina misericordia (si pensi solo alla parabola del Figliuol prodigo). Si può allora rimanere sconcertati quanto si vuole, incapaci come siamo di conciliare l'infinita misericordia con l'infinita giustizia divina, ma non si può mettere in dubbio la verità affermata: esiste un inferno, spaventoso luogo di tormenti, e un inferno eterno. 
Di fronte ad affermazioni così categoriche, che senso hanno certe affermazioni o difficoltà avanzate magari, spesso, anche da preti e teologi di fama? Tutte le obiezioni - quali che siano e anche moltiplicate all'infinito e non risolte in pieno dalla ragione -, mai potranno scalfire le affermazioni chiarissime della Rivelazione. Il Cardinale Newman, se non erro, diceva che cento obiezioni non costituiscono un argomento. Se, infatti, si ha a che fare con una verità autentica, alle obiezioni si può anche non saper rispondere per mille ragioni, ma esse mai potranno vanificarla o eliminarla. 

Padre Antonio Maria Di Monda

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